L’astronauta Samantha Cristoforetti tornerà nello spazio ad agosto 2022
per raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale, dove aveva trascorso 200
giorni fra novembre 2014 e giugno 2015. L’Agenzia Spaziale Europea ha
annunciato una
conferenza stampa online
per presentare i dettagli della missione il 3 marzo alle 11 CET (10:00
GMT).
Saranno presenti:
Samantha Cristoforetti, Astronauta ESA
Josef Aschbacher, Direttore Generale ESA
David Parker, Direttore dell’Esplorazione Umana e Robotica ESA
Giorgio Saccoccia, Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana
L’assegnazione a una seconda missione risale a
novembre 2019, ma mancano i dettagli. Per ora si sa con ragionevole certezza che il
veicolo che la riporterà nello spazio sarà più confortevole dell’angusta Soyuz
del suo primo viaggio: dovrebbe trattarsi della capsula Dragon di
SpaceX, lanciata da un vettore Falcon 9 per la missione Crew Dragon 4
USCV-5, quindi con partenza dagli Stati Uniti, dalla storica Rampa 39A del Kennedy Space Center dalla quale partirono gli astronauti che camminarono sulla Luna.
Secondo ShuttleAlmanac, solitamente molto attendibile nelle sue previsioni
ragionate, la missione dovrebbe durare sei mesi e i suoi compagni di viaggio
dovrebbero essere gli statunitensi Kjell Lindgren e Bob Hines e forse un cosmonauta russo. Non è noto, al momento, se la missione ha già in programma per Samantha Cristoforetti un’EVA (“passeggiata spaziale”).
2021/03/03 14:35
La conferenza stampa ha comunicato pochi dettagli concreti. Non è ancora deciso se Samantha Cristoforetti volerà con una Crew Dragon o con una Boeing Starliner, ma di certo non con una Soyuz. La data esatta di partenza è ancora da definire: le mie fonti parlano di agosto 2022, ma ASI oggi parla di “primavera del 2022”. La destinazione è la Stazione Spaziale Internazionale. Uno degli esperimenti che svolgerà a bordo riguarderà una stampante 3D per metalli. La durata della missione non è ancora stata definita, ma è stato dichiarato che è probabile che sia di circa sei mesi. Il nome e il logo della missione non sono ancora stati decisi ma verranno annunciati a breve. Speriamo che il nome non sia "Cristofoready", come ha titolato scherzosamente l’ESA in un comunicato stampa e nel video qui sotto.
Per il lungo termine, David Parker, direttore ESA per l'esplorazione
umana e robotica, ha detto che tre astronauti europei voleranno verso la stazione orbitale lunare (la Gateway)entro
questo decennio.
Qui sotto potete rivedere la conferenza stampa.
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È disponibile la puntata
di stamattina
del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, condotta da me
insieme a
Tiki. Grandi novità bollono in pentola: ve ne parlerò da metà marzo. La puntata di venerdì prossimo salta per fare spazio a Sanremo. A 56:00 circa salgo cautamente sul mio skateboard classe 1980 :-)
Uno dei tormentoni di Internet è recuperare un post o un tweet di qualche
tempo fa che faceva una previsione rivelatasi poi sbagliata e citarlo
commentando che “non è invecchiato bene”. Se la previsione si rivela obsoleta
molto rapidamente, allora la si commenta dicendo che il post “è invecchiato in
fretta.”
Ecco un esempio di affermazione che purtroppo non è invecchiata bene (Kayleigh McEnany è stata la portavoce dell’ex presidente statunitense
Donald Trump):
One year ago today, Kayleigh McEnany made a really bad COVID prediction, but
what's really special is how she also made a bad terrorism prediction in the
same sentence
pic.twitter.com/yIjgHFMm3K
Però di solito l’invecchiamento si misura almeno in giorni, se non in mesi o
anni. Invece oggi ho fatto un commento che è invecchiato (non so se bene o
male) nel giro di poche ore.
Un utente su Twitter ha pubblicato le istruzioni per disabilitare
immediatamente un robot quadrupede della Boston Dynamics in caso di
aggressione o altro pericolo: si tira la maniglia di sgancio del pacco
batterie, situata sulla “pancia” del robot, e così si interrompe tutta
l’alimentazione.
Ho commentato definendola una cosa utile da sapere in un prossimo futuro.
Il guaio è che quel “prossimo futuro” era già arrivato, come documenta la
notizia che proprio uno di questi robot quadrupedi viene usato dalla polizia
di New York per pattugliare le strade del Bronx.
Il robot viene impiegato per entrare in ambienti dove c’è pericolo per gli
agenti, per esempio in caso di persone armate e barricate in scantinati, ed è
dotato di luci e telecamere per consentirgli di perlustrare gli spazi
circostanti.
Ma è fin troppo ovvio che c’è una forte tentazione di fare il passo logico
successivo, che è quello di dotare il robot di armi. Invece di mettere in
pericolo la vita di un agente o di un soldato, perché non mandare un robot?
A questo proposito, un collettivo online denominato
MSCHF ha montato su uno di questi robot un
fucile da paintball e l’ha fatto
girare in una stanza nella quale
sparava a statue e pupazzi. Il messaggio è chiaro.
Forse è il caso di cominciare a discutere di come usare e regolamentare queste
tecnologie.
Il gergo di Internet ha una definizione per tutto. Avete presente quando qualcuno ripesca un commento fatto online anni fa e lo ripresenta, facendo ripartire la discussione e magari anche il bisticcio?
Questo si chiama necroposting: il gesto di prendere un post o un commento passato, quindi “morto” secondo gli standard di frettolosità di Internet e soprattutto dei social network, e ridargli nuova vita, a volte senza che gli altri si rendano conto che stanno dibattendo in realtà su una vicenda vecchia ed esaurita.
È considerata una pratica da dilettanti, perché non ha alcun senso ribattere a qualcuno mesi o anni dopo che è avvenuta la discussione e tutti l’hanno abbandonata, per cui la replica non verrà vista da nessuno. Di conseguenza, viene spesso bandita in molti forum.
Ecco un esempio di necroposting tratto da questo blog:
Il termine esiste almeno dal 2004, secondo KnowYourMeme (da cui ho tratto l’illustrazione in testa all’articolo).
Se avete un indirizzo di mail avete ricevuto almeno una volta nella vita un
messaggio contenente la classica “truffa alla nigeriana”: uno sconosciuto si
presenta dicendo di essere un membro di una famiglia nobile vittima di una
persecuzione e aggiungendo di avere un’ingente somma di denaro, alcuni milioni
di dollari, che può recuperare soltanto con il vostro aiuto.
Il vostro nome gli è stato raccomandato da un amico che avete in comune ma che
non viene nominato per prudenza. In cambio della vostra assistenza è disposto
a darvi una percentuale molto consistente di quei milioni. Per avviare la
procedura di recupero, però, ha bisogno che gli anticipiate una piccola somma.
La truffa è diventata particolarmente popolare in Nigeria, dove operano molti
dei truffatori che la praticano. Da questa diffusione nel paese è nato il
soprannome di
“truffa alla nigeriana”, e dal numero della sezione pertinente del codice penale nigeriano è nato il
nome alternativo di questo raggiro, ossia
419 scam.
Tuttavia questa truffa non è affatto nata con Internet, come molti pensano. Girava già su carta negli anni Novanta, chiedendo risposta tramite l’allora modernissimo fax, come segnala Silvano, che mi ha mandato questa copia di una lettera del 1998:
Ma Atlas Obscura
segnala che il New York Times del 1898 (sì, milleottocentonovantotto)
parlava già della faccenda dicendo che era una truffa “comune” e “vecchia” che
stava riemergendo. Ovviamente non c’era Internet nel 1898, per cui i
truffatori comunicavano per posta cartacea.
Scrive il NYT:
“L’autore della lettera è sempre in carcere a causa di qualche reato
politico. Ha sempre una grossa somma di denaro nascosta, ed è
immancabilmente ansioso che venga recuperata e usata affinché qualche uomo
onesto possa prendersi cura della figlia giovane e indifesa. È al corrente
della prudenza e del buon carattere del destinatario della lettera tramite
un amico comune, che non nomina per cautela, e gli chiede aiuto in un
momento di grande difficoltà.”
In cambio, spiega il giornale, il mittente
“è disposto a dare un terzo del tesoro nascosto all’uomo che lo
recupererà”. Ma prima ha bisogno di ricevere una piccola somma di denaro.
Gli ingredienti di oltre centoventi anni fa, insomma, sono gli stessi di oggi.
Ma si può andare ancora più indietro nel tempo, alla fine del Settecento.
Eugène François Vidocq (1775-1857), uno dei padri della criminologia, racconta
nelle sue
memorie
di quando fu condannato a otto anni di carcere per
“falso in conti pubblici ed autentici”, nel 1797. In prigione a Bicêtrevide che
i carcerati scrivevano le cosiddette “lettere di Gerusalemme”, con la
complicità dei carcerieri, e ne descrisse il contenuto:
Signore,
Indubbiamente lei sarà stupito nel ricevere una lettera da una persona
che non conosce, che sta per chiederle un favore; ma dalla triste
condizione nella quale mi trovo, sono perduto se una persona d’onore non
mi presterà soccorso: questa è la ragione per la quale mi rivolgo a lei,
di cui ho sentito così tante cose che non posso esitare un istante nel
confidare tutti i miei affari alla sua cortesia....
La lettera standard prosegue spiegando che lo scrivente diceva sempre di
essere il cameriere personale di un noto marchese che aveva dovuto abbandonare
il proprio tesoro in un luogo ben occultato per evitare che finisse nelle mani
dei malfattori. Il luogo era nelle vicinanze del destinatario della lettera.
L‘autore della lettera spiegava che in cambio di un piccola somma si sarebbe
potuto liberare dal carcere e avrebbe potuto così condurre il destinatario al
tesoro per dividerselo.
Questa è la spiegazione, tratta da Les Mémoires authentiques de Vidocq a partire da pagina 211 (scansione trovata grazie a vivamega e testo trovato da andpagl):
Trascrizione:
[...] l’impudence des voleurs et l’immoralité des employés [de la prison] étaient portées si loin, qu’on préparait ouvertement dans la prison des tours de passe-passe et des escroqueries dont le dénouement avait lieu à l’extérieur. Je ne citerai qu’une de ces opérations, elle suffira pour donner la mesure de la crédulité des dupes et de l’audace des fripons. Ceux-ci se procuraient l’adresse de personnes riches habitant la province, ce qui était facile au moyen des condamnés qui en arrivaient à chaque instant : on leur écrivait alors des lettres, nommées en argot lettres de Jérusalem, et qui contenaient en substance ce qu’on va lire. Il est inutile de faire observer que les noms de lieux et de personnes changeaient en raison des circonstances.
“Monsieur,
“Vous serez sans doute étonné de recevoir cette lettre d’un inconnu qui vient réclamer de vous un service : mais dans la triste position où je me trouve, je suis perdu si les honnêtes gens ne viennent pas à mon secours, c’est vous dire que que je m’adresse à vous, dont on m’a dit trop de bien pour que j’hésite un instant à vous confier toute mon affaire. Valet de chambre du marquis de..., j’émigrai avec lui. Pour ne pas éveiller les soupçons, nous voyagions à pied et je portais le bagage, y compris une cassette contenant seize mille francs en or et les diamants de feue madame la marquise. Nous étions sur le point de joindre l’armée de ..., lorsque nous fûmes signalés et poursuivis par un détachement de volontaires. Monsieur le marquis, voyant qu’on nous serrait de près, me dit de jeter la cassette dans une mare assez profonde, près de laquelle nous nous trouvions, afin que sa présence ne nous trahît pas dans le cas où nous serions arrêtés. Je comptais revenir la chercher la nuit suivante ; mais les paysans, ameutés par le tocsin que le commandant du détachement faisait sonner contre nous, se mirent avec tant d’ardeur à battre le bois où nous étions cachés qu’il ne fallut plus songer qu’à fuir. Arrivés à l’étranger, monsieur le marquis reçut quelques avances du prince de ...; mais ces ressources s’épuisèrent bientôt, et il songea à m’envoyer chercher la cassette restée dans la mare. J’étais d’autant plus sûr de la retrouver, que le lendemain du jour où je m’en étais dessaisi, nous avions dressé de mémoire le plan des localités, dans le cas où nous resterions longtemps sans pouvoir y revenir. Je partis, je rentrai en France, et j’arrivai sans accident jusqu’au village de ..., voisin du bois où nous avions été poursuivis. Vous devez connaître parfaitement ce village, puisqu’il n’est guère qu’à trois quarts de lieue de votre résidence. Je me disposais à remplir ma mission, quand l’aubergiste chez lequel je logeais, jacobin enragé et acquéreur de biens nationaux, remarquant mon embarras quand il m’avait proposé de boire à la santé de la république, me fit arrêter comme suspect. Comme je n’avais point de papiers, et que j’avais le malheur de ressembler à un individu poursuivi pour arrestation de diligences, on me colporta de prison en prison pour me confronter avec mes prétendus complices. J’arrivai ainsi à Bicêtre, où je suis à l’infirmerie depuis deux mois.
“Dans cette cruelle position, me rappelant avoir entendu parler de vous par une parente de mon maître, qui avait du bien dans votre canton, je viens vous prier de me faire savoir si vous ne pourriez pas me rendre le service de lever la cassette en question, et de me faire passer une partie de l’argent qu’elle contient. Je pourrais ainsi subvenir à mes pressants besoins, et payer mon défenseur, qui me dicte la présente, et m’assure qu’avec quelques cadeaux, je me tirerais d’affaire.
“Recevez, Monsieur, etc.
“Signé N...”
Sur cent lettres de ce genre, vingt étaient toujours répondues. On cessera de s’en étonner si l’on considère qu’elles ne s’adressaient qu’à des hommes connus par leur attachement à l’ancien ordre de choses, et que rien ne raisonne moins que l’esprit de parti. On témoignait d’ailleurs au mandataire présumé cette confiance illimitée qui ne manque jamais son effet sur l’amour-propre ou sur l’intérêt ; le provincial répondait donc en annonçant qu’il consentait à se charger de retirer le dépôt. Nouvelle missive du prétendu valet de chambre, portant que, dénué de tout, il avait engagé à l’infirmier pour une somme assez modique, la malle où se trouvait, dans un double fond, le plan dont il a déjà été question. L’argent arrivait alors, et l’on recevait jusqu’à des sommes de douze et quinze cents francs. Quelques individus, croyant faire preuve d’une grande sagacité, vinrent même du fond de leur province à Bicêtre, où on leur remit le plan destiné à les conduire dans ce bois mystérieux qui, comme les forêts fantastiques des romans de chevalerie, devait fuir éternellement devant eux. Les Parisiens eux-mêmes donnèrent quelquefois dans le panneau ; et l’on peut se rappeler encore l’aventure de ce marchand de drap de la rue des Prouvaires, surpris minant une arche du Pont-Neuf, sous laquelle il croyait trouver les diamants de la duchesse de Bouillon.
On comprend, du reste, que de pareilles manœuvres ne pouvaient s’effectuer que du consentement et avec la participation des employés, puisqu’eux-mêmes recevaient la correspondance des chercheurs de trésors. Mais le concierge pensait qu’indépendamment du bénéfice indirect qu’il en retirait, par l’accroissement de la dépense des prisonniers, en comestibles et en spiritueux, ceux-ci, occupés de cette manière, en songeaient moins à s’évader.
Vidocq spiega tutto: di cento lettere di questo tipo, venti ricevevano sempre
risposta. I carcerati si procuravano gli indirizzi delle persone ricche della
provincia dai nuovi prigionieri. I ricchi abboccavano a questa storia
improbabile, mandando a volte fino a 1500 franchi dell’epoca. E non c’era
verso di far capire alle vittime che erano state raggirate: Vidocq racconta
del
“mercante di stoffe della Rue des Prouvaires, che fu colto a scavare sotto
un arco del Pont Neuf [a Parigi], dove si aspettava di trovare i diamanti della duchessa di Bouillon”.
Ma secondo France Culture si può andare ancora più indietro nel tempo, fino al sedicesimo secolo, quando prosperava la truffa della “prigioniera spagnola”: la lettera del truffatore parlava di una principessa (inesistente) che era prigioniera dei turchi, che chiedevano un riscatto per liberarla. La principessa, diceva la lettera, aveva inoltre promesso di sposare chiunque l’avesse liberata, e quindi si chiedeva al ricco che riceveva la missiva di contribuire alla liberazione della prigioniera.
I secoli passano, le tecnologie cambiano, ma le debolezze umane sono sempre le
stesse.
Vedo che Giorgia Meloni protesta per la demonetizzazione di Byoblu: “YouTube ha revocato al canale di @byoblu le pubblicità e ha sospeso tutti gli abbonamenti. Un inaccettabile atto discriminatorio contro una testata giornalistica libera e indipendente. FDI esprime solidarietà alla redazione e presenterà un'interrogazione parlamentare sul caso”.
Faccio fatica a capire perché si debba esprimere solidarietà con un sito che fa soldi su bugie e notizie false e pericolose. Tipo questa (copia permanente):
Per chi volesse sapere la storia di quell’articolo, i dettagli sono qui.
Non è neanche la prima volta che Byoblu viene demonetizzato. Ricordo che avvenne nel 2017.
Giusto per chiarezza: Byoblu è ancora perfettamente in grado di
pubblicare le proprie opinioni. Semplicemente non può monetizzarle.
L'articolo 21 della Costituzione italiana parla di libertà
d'espressione, non di diritto di farci soldi. Tutto qui.
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Il signor Frederick William Lanchester, quello nella foto qui accanto, vi fa
risparmiare su ogni volo aereo che prendete e su ogni pacco spedito per posta
aerea che ricevete. No, non è il proprietario segreto della Ryanair o di
Amazon. Anche perché è morto, povero in canna, nel 1946. Frederick William
Lanchester era un ingegnere britannico, classe 1868.
L’ingegner Lanchester era il tipo di persona che affrontava un problema quando
il resto del mondo nemmeno sapeva dell’esistenza del problema. Nel
1897, a ventinove anni, stava già risolvendo i problemi dell’efficienza
aerodinamica dei velivoli ancora prima dello storico, primo volo a motore dei
fratelli Wright nel 1903.
Nel 1897, Frederick Lanchester concepì e brevettò le winglet. Avete
presente quelle strane pinne triangolari alle estremità delle ali degli aerei
moderni? Quelle. Sono dell’Ottocento. Il brevetto è il
British Patent No. 3608, Improvements in and relating to Aerial Machines.
Lanchester aveva già intuito che l’incontro fra il flusso d’aria che passa
sopra l’ala e quello che le passa sotto genera invisibili vortici di
estremità, che creano resistenza. Aveva anche capito che un piano verticale
collocato a queste estremità avrebbe ridotto i vortici e migliorato
l’efficienza del velivolo: lo stesso principio per cui le auto da corsa hanno
pareti verticali agli estremi degli alettoni.
Questo è Lanchester nel 1894, alle prese con uno dei suoi eleganti modelli di
aereo a eliche spingenti:
E questo è uno dei disegni del brevetto di Lanchester, in cui si vede l’ala
troncata e dotata di un capping plane o piano terminale (dettaglio
e di Figura 12):
Nel suo brevetto, Lanchester parla specificamente di applicare questi piani
terminali
“allo scopo di minimizzare la dissipazione laterale dell’onda portante.”
Non è che Lanchester avesse già in mente eleganti Jumbo Jet per andare alle
Maldive spendendo meno: a quell’epoca il velivolo da ottimizzare e brevettare
era un aliante-bomba, da usare in guerra, una sorta di siluro dell’aria. Anzi,
a fine Ottocento l’aviazione civile era ritenuta tecnicamente impossibile,
visto che mancava un motore sufficientemente leggero. Fra l’altro, Lanchester
propose anche di progettarne e costruirne uno, ma gli fu detto che nessuno lo
avrebbe preso sul serio e così si dedicò a fabbricare automobili. I fratelli
Wright non furono avvisati che quel motore era impossibile e lo costruirono, e
il resto è storia.
Lanchester aveva anche definito i concetti fondamentali di portanza, stallo e
resistenza aerodinamica, ma le riviste scientifiche britanniche dell’epoca
snobbarono e respinsero i suoi scritti. Pochi anni più tardi arrivò la
conferma scientifica delle sue intuizioni da parte del tedesco Ludwig Prandtl,
padre della meccanica dei fluidi, ma l’apporto di Lanchester all’aviazione fu
riconosciuto pubblicamente solo verso la fine della sua vita. Nel 1931
ricevette la Daniel Guggenheim Medal per il suo contributo alla teoria
fondamentale dell’aerodinamica.
Frederick Lanchester morì senza un quattrino, fiaccato dal morbo di Parkinson
e dalla perdita della vista, poco dopo la fine di una guerra mondiale nella
quale i frutti delle sue idee “impossibili” avevano dominato i cieli e deciso
le sorti di intere nazioni.
Le sue alette finirono sostanzialmente nel dimenticatoio per settant’anni:
provò a riprenderle un altro pioniere tedesco, Sighard Hoerner, negli anni
Cinquanta, ma le compagnie aeree erano in piena espansione, il carburante
costava poco, si progettavano aerei di linea supersonici e a nessuno
interessava risparmiare. Fino alla crisi petrolifera del 1973, che cambiò
tutto.
Quell’improvviso ed enorme aumento dei prezzi del carburante spinse la NASA a
investire urgentemente in ricerca aerodinamica. Uno dei suoi ingegneri
aeronautici, Richard Whitcomb, rispolverò e migliorò le winglet di
Lanchester, ispirandosi alle vele delle navi, non solo per risparmiare
carburante ma anche per ridurre le pericolose turbolenze lasciate dal
passaggio dei grandi aerei di linea.
Questo è un quadrigetto KC-135 dell’aviazione militare statunitense, prestato
alla NASA e modificato nel 1979 per valutare gli effetti delle
winglet.
Un dettaglio di una di queste winglet:
I risultati furono notevolissimi: oltre il 6% di autonomia in più, corse di
decollo ridotte, pause più corte fra il decollo di un aereo e quello del
successivo, minor rumore. Le alette furono adottate prontamente dai jet
privati e poi dagli aerei di linea in numerose varianti e oggi sono
onnipresenti. Questa, per esempio, è una winglet raccordata di un Airbus A350 (credit: Julian Herzog/Wikipedia):
Dietro quel piccolo dettaglio che scorgiamo dal finestrino del nostro volo
vacanziero low-cost, insomma, c’è un secolo di storia, ci sono drammi
di talenti incompresi e miopi ottusità, e c’è tanta scienza che merita di
essere raccontata e ricordata. In particolare c’è tanta ricerca di base:
quella che si fa senza sapere in anticipo a cosa serve e che nessuno vuole
finanziare perché ritenuta “inutile”.
Credits:
Wikipedia;
NASA;
Princeton.edu;
F.W. Lanchester and the Great Divide;
NASA;
The Shadow of the Eagle. Una versione ridotta di questo articolo è comparsa su Le Scienze nel 2017. Questo articolo fa parte delle Storie di Scienza: una serie libera e
gratuita, resa possibile dalle donazioni dei lettori. Se volete saperne di
più,
leggete qui. Se volete fare una donazione, potete cliccare sul pulsante qui sotto.
Grazie!
Da un anno, ormai, sul sito del Fatto Quotidiano c’è un articolo a
firma di Januaria Piromallo, che dà per morto il Principe Filippo.
“La mia fonte molto, molto vicino a Buckingham Palace è autorevole”,
scrive Piromallo il 26 marzo 2020: sì, duemilaventi. Poco importa, a
quanto pare, che il principe Filippo sia stato poi visto in giro in buona
salute. Meno male che Piromallo precisa che
“il rischio che potesse essere anche una fake news mi ha portato alla
prudenza e a non pubblicare niente.”
Sul Fatto Quotidiano c‘è anche un altro articolo di un anno fa (25 marzo 2020) che riporta la stessa notizia falsa, stavolta firmata da “F.Q.”. Copia permanente: https://archive.is/Dv8DN.
Come se non bastasse, a luglio 2020 il Fatto Quotidiano ha pubblicato un articolo che dice che “i “cattivoni” della rete insinuavano che il “nostro” fosse passato a miglior vita”. Dimenticando che fra i cattivoni c’è anche il Fatto Quotidiano. Copia permanente: https://archive.is/bbqb6.
Però mi raccomando, le fake news sono colpa di Internet.
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altri metodi.
La NASA ha appena rilasciato una serie di video assolutamente,
inimmaginabilmente spettacolari ripresi dalle telecamere di bordo
durante l’atterraggio di Perseverance, insieme a una bordata di
fotografie, alcune delle quali sono già state elaborate per creare immagini
panoramiche a 360° come
questa (che vista in
un visore per realtà virtuale è totalmente immersiva, sembra proprio di essere
seduti sul Rover a guardare il panorama di Marte):
Non c’è niente da fare: il video a colori batte completamente la fotografia
statica nel dare la sensazione di essere lì e nel permettere di capire
concretamente la dinamica degli eventi. E oltre al valore mediatico
spettacolare, viscerale di questi video, c’è il fatto che vediamo per la prima
volta con immagini fluide in movimento cosa succede realmente durante un
atterraggio su Marte. Anche gli scienziati e i progettisti dei veicoli
spaziali sono entusiasti, perché finalmente vedono direttamente i
comportamenti dei materiali e della polvere che prima potevano soltanto
stimare.
Pubblicherò le altre man mano che mi riprendo dall’emozione: e questo non è
che l’inizio, visto che a bordo ci sono telecamere stereoscopiche da 20
megapixel e c’è persino un elicottero con una telecamera tutta sua.
Per ora chiarisco che le immagini sono grezze e non sono ancora state
elaborate per fornire i colori reali (ossia come li vedrebbe il nostro occhio)
e segnalo che le immagini vengono pubblicate man mano a questo
indirizzo:
Questa
è la zona di atterraggio di Perseverance,
vista dall’orbita
marziana grazie allo strumento HiRise a bordo della sonda Mars Reconnaissance
Orbiter. Da sinistra, il paracadute e la carenatura posteriore; lo stadio di
discesa; il rover vero e proprio; lo scudo termico. Ognuno dei riquadri ha un
lato di circa 200 metri (credit: NASA/JPL/University of Arizona). Stando ai dati
dichiarati nella conferenza stampa dalla NASA (la trovate più sotto), rispetto a
Percy lo stadio di discesa si trova a circa 700 metri, il
paracadute sta a circa 1200 metri e lo scudo termico è a 1500 metri.
Alcuni dettagli dell’immagine di HiRise: ecco Perseverance (fonte).
Lo
stadio di discesa
o “gru volante”, il cui impatto intenzionale ha creato un ventaglio di detriti:
Suoni! Uno dei microfoni di bordo ha registrato
il rumore di bordo del veicolo e una folata di vento marziano. Altri campioni audio sono
qui. Siamo
talmente abituati al silenzio delle riprese nel vuoto che non pensiamo mai al
fatto che questi veicoli sono pieni di motorini, attuatori, parti mobili che
fanno rumore. E il fatto che si possa sentire questo rumore ci ricorda molto
potentemente che questa sonda è su un pianeta, un pianeta che ha
un’atmosfera, non un deserto senz’aria come la Luna.
Il paracadute, con la sua colorazione asimmetrica usata per rilevare eventuali
rotazioni o deformazioni e contenente un codice da decifrare (ne parlo più
sotto):
La gru volante a razzo, uno dei veicoli spaziali più pazzeschi mai concepiti,
vista da sotto, dal punto di vista di Percy durante lo sgancio. Notate
che i motori non emettono fiammate: sono alimentati a idrazina con catalizzatore, che brucia
senza produrre fiamme colorate. È lo stesso fenomeno che si nota nelle missioni
lunari Apollo, in cui i motori del Modulo Lunare usavano una miscela di Aerozine 50 (50% idrazina, 50% dimetil idrazina asimmetrica) e tetrossido di diazoto che non produceva fiammate visibili (cosa che i lunacomplottisti non hanno ancora capito).
Andy Saunders
ha ricalibrato e ripulito un’altra immagine della skycrane:
Questa è un’elaborazione stereoscopica delle immagini riprese dalla “gru
volante” (servono gli occhialini rossi e blu), creata da
Nathaniel Bradford:
La conferenza stampa di presentazione delle immagini e dell’audio (da 38:22),
che fornisce moltissimi dettagli della manovra di atterraggio (compresa la
presenza di un messaggio nascosto nel
paracadute e
già scoperto dagli appassionati
in
poche ore) e spiega bene cosa si vede nei video:
Una chicca fra le tante: le telecamere hanno ripreso fino a ben 75 fotogrammi
al secondo (il triplo della cadenza normale). A parte le riprese su pellicola
sulla Luna delle missioni Apollo, che comunque arrivarono solo a 12 fotogrammi
al secondo (e 10 in video), non credo che ci sia mai stata una ripresa su un
corpo celeste fatta con cadenze vicine a quelle necessarie per ottenere
immagini realmente fluide. Notate inoltre che una di queste telecamere,
montata sulla gru volante, ha trasmesso immagini fino all’ultimo istante,
quando è stato sganciato il rover, sfruttando il cavo spiralato che si vede
nelle foto qui sopra, e il file video è sopravvissuto al tranciamento
improvviso del cavo.
Sul rover ci sono dei pannelli di riferimento per la calibrazione del colore
nelle foto. La calibrazione e i suoi pannelli sono spiegati in grande
dettaglio, insieme al significato delle icone e delle diciture,
qui):
Chicca: c’è anche una “foto di famiglia” dei vari rover marziani, che ricorda
molto gli adesivi che si mettono sulle automobili per rappresentare le
famiglie a bordo:
C’è anche una foto della colonna di fumo prodotta dallo schianto della gru
volante, vista da una delle telecamere di Perseverance. Spettacolare.
Vale la pena di confrontare la
potenza di calcolo
di Perseverance con quella di uno smartphone: il suo processore
principale è una
terna
di BAE RAD 750, che operano fino a 200 MHz (un
iPhone 11, classe 2019, opera a dieci volte questa frequenza). Lentissimo, ma è
protetto contro le radiazioni, cosa di cui l’iPhone non ha bisogno (per questo
nello spazio si usano processori “vecchi”: essendo meno densi di componenti,
sono meno sensibili alle radiazioni). Percy include anche dei
processori FPGA Virtex-5 usati per la navigazione e per l’elaborazione delle
immagini.
Il rover ha 2 GB di memoria flash, 256 MB di RAM dinamica e 256 KB di EEPROM.
Oggi uno smartphone con meno di 16 GB di memoria flash è impensabile: l’iPhone
12 parte da 64 GB. Per cui se le immagini arrivano da Marte un po’ a
rilento, non lamentatevi. State usando tecnologia degli anni Novanta. Vi
ricordate com’era l’informatica di quei tempi? Appunto.
Le specifiche complete dei processori e delle telecamere di
Perseverance sono su
Nasa.gov
(anche
qui).
Le fotocamere di Perseverance sono posizionate in modo da consentire
foto stereoscopiche in altissima risoluzione. Già ora gli appassionati stanno
estraendo le parti comuni delle foto scattate da fotocamere differenti per
ottenere immagini 3D. Fra questi appassionati c’è anche Brian May, che insieme
a Claudia Manzoni ha creato queste foto:
Mi è stato segnalato un sito di commercio online italiano che ha definitivamente
risolto il problema degli utenti che dimenticano le password usando una
soluzione decisamente originale: non controlla la password.
Incuriosito e leggermente incredulo che qualcuno possa commettere uno
scivolone del genere, vado alla home page del sito, clicco su Login e
mi registro.
Il sito è perentorio: la password deve essere lunga almeno sei caratteri e
deve contenere almeno un numero. Perché la sicurezza è una cosa seria. Va
bene: immetto una password conforme.
Ricevo dal sito la mail che mi invita a cliccare su un link o immettere un
codice per confermare e attivare il mio account. Faccio quanto richiesto, e mi
scollego.
L’account funziona: posso entrare e vedere il mio profilo. Posso scegliere
prodotti e metterli nel carrello.
Faccio logout, rientro facendo login, scrivo il mio indirizzo di mail e
lettere a caso nel campo della password, ed ecco che mi ritrovo nel mio
account.
Ma dai, sarà un errore mio. Magari il sito usa un cookie per fare a
meno di digitare la password. Però la password me l’ha chiesta.
Provo con un altro browser, che non ho mai usato per fare login a quel sito.
Scrivo il mio indirizzo di mail, scrivo lettere a caso nel campo della
password.... e sono dentro di nuovo.
Provo a questo punto su un altro computer. Vado alla home page, clicco su
Login, immetto il mio indirizzo di mail e tre caratteri random
nel campo della password, violando quindi anche la regola dei sei caratteri
minimi obbligatori... e sono di nuovo nel mio account.
Posso vedere i dati del mio profilo: nome, cognome, indirizzo di casa, numero
di telefono. Se avessi fatto ordini, probabilmente potrei vedere anche quelli.
Ho trovato sul sito l’indirizzo del responsabile della protezione dei dati
(DPO) e gli ho scritto oggi quanto segue:
Buongiorno,
sono Paolo Attivissimo, giornalista informatico. Vi
segnalo che è possibile entrare nel vostro sito di e-commerce
[omissis] digitando qualunque cosa al posto della password, anche
semplicemente tre lettere a caso.
Questo consente a chiunque di
accedere ai dati personali dei vostri clienti semplicemente conoscendone
l'indirizzo di mail.
Ritengo che questo configuri una grave
violazione della sicurezza e della privacy dei vostri clienti, con potenziali
ripercussioni in termini di GDPR.
Vi invio questa segnalazione
affinché possiate rimediare. Qualora dovessero trascorrere 15 giorni di
calendario dalla segnalazione senza un vostro riscontro, riterrò assolto il
mio dovere di "responsible disclosure" e mi riserverò a quel punto l'opzione
di pubblicare i dettagli la notizia nell'interesse dei vostri clienti.
Ho
pubblicato un articolo preliminare, senza citare il vostro nome, presso
Disinformatico.info.
Cordiali saluti Paolo Attivissimo Lugano,
Svizzera
Vediamo che succede.
2021/02/21 19:50. Stando alle prime indicazioni, il problema riguarda
gli account creati di recente; gli utenti che hanno account sul sito da
parecchio tempo segnalano che per loro le password sbagliate vengono
rifiutate.
2021/02/21 20:30. Ora il sito non accetta più qualunque cosa al posto
della password, ma in compenso non accetta neanche la password
effettiva dell’account che ho creato. Ho cliccato su
“Ho dimenticato la password” per resettarla e mi è arrivato
correttamente via mail il link per resettarla. L’ho cambiata e ora non mi
accetta neppure questa.
2021/02/22 16:20. Oggi ho ricevuto una mail dal DPO che mi ha
ringraziato per la segnalazione, che è stata presa in carico dall’azienda.
Sono in corso verifiche e l’accesso, mi dice sempre il DPO, è ora possibile
soltanto immettendo nome utente e relativa password. Dice inoltre che mi
aggiornerà sui risultati delle verifiche. Ho fatto di nuovo il reset della
password e ora entro correttamente soltanto con la mia password effettiva.
2021/02/22 20:05. Su richiesta dell’azienda, ho modificato l’immagine
che rappresenta il tentativo di login.