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Il Disinformatico

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2023/07/28

Podcast RSI - Story: TETRA:BURST, la falla segreta e voluta delle radio di polizia e militari

logo del Disinformatico

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto) e qui sotto.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

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[CLIP: Suoni radio]

Da quasi trent’anni uno dei sistemi di radiocomunicazione più usati al mondo, adottato dalle forze di polizia, dalle grandi aziende, dai gestori di infrastrutture critiche e dai servizi di sicurezza e protezione civile, ha una falla informatica che consente ascolti e intercettazioni delle comunicazioni, teoricamente criptate, e interferenze nei comandi di gestione degli impianti.

La falla non è il risultato di un errore: è stata inserita intenzionalmente, e i venditori di questa tecnologia lo sapevano ma hanno taciuto. 

Questa è la storia di come un gruppo di ricercatori è riuscito a scoprire l’esistenza di questa falla, superando la barriera di segretezza che la circondava, e a convincere i centri nazionali di cibersicurezza ad agire in segreto per correggerla. Ed è anche la storia del perché chi sapeva è stato zitto.

Benvenuti alla puntata del 28 luglio 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]

È il primo gennaio del 2021. Un gruppo olandese di analisti di sicurezza informatica che va sotto il nome di Midnight Blue [immagine qui accanto] inizia a studiare la crittografia del sistema TETRA, quello usato per proteggere le comunicazioni radio delle forze di polizia [per esempio in Italia, in Belgio e nei paesi della Scandinavia], dei servizi di emergenza, dei militari e delle agenzie di intelligence di molti paesi, oltre che di molti operatori commerciali per il settore industriale e delle infrastrutture, per esempio negli oleodotti e nelle reti ferroviarie ed elettriche.

Si tratta di uno standard sviluppato negli anni Novanta del secolo scorso dall’ente di normazione europeo ETSI [European Telecommunications Standards Institute], che include quattro diversi algoritmi di crittografia. Il primo, denominato TEA1, è destinato alle applicazioni commerciali, per esempio per gli impianti radio usati nelle infrastrutture critiche europee, ma viene usato anche da alcune forze di polizia.

Il secondo algoritmo, TEA2, è riservato per l’uso in Europa da parte della polizia, dei servizi di emergenza, dei militari e delle agenzie di intelligence (la Svizzera usa uno standard differente, che però ha un nome molto simile: TETRAPOL).

Il terzo, che come avrete probabilmente intuito si chiama TEA3, è riservato invece per le forze di polizia e i servizi di emergenza al di fuori dell’Europa, nei paesi considerati “amici” dell’Unione Europea. Il quarto algoritmo, TEA4, è praticamente inutilizzato.

Lo standard TETRA è pubblico, ma gli algoritmi no: vengono forniti solo sotto accordo di riservatezza, e chi vende apparati di questo tipo è tenuto a usare misure di protezione che rendano difficile estrarre e analizzare questi algoritmi. 

Nella crittografia, però, la presenza di questo tipo di protezione è considerata spesso un sintomo di debolezza. Una delle regole di base della crittografia, infatti, è il cosiddetto Principio di Kerckhoffs, enunciato dall’omonimo crittografo olandese addirittura alla fine del 1880, che dice in sostanza che la sicurezza di un sistema di crittografia non deve dipendere dal tenere segreto il modo in cui funziona, ossia il suo algoritmo. Il sistema in sé deve poter cadere in mano nemica senza causare problemi; solo le sue chiavi crittografiche devono restare segrete.

Ma molto spesso, nella sicurezza non solo informatica, si pensa che tenere segreto il funzionamento delle misure di protezione sia un ingrediente fondamentale della sicurezza, e che a volte basti solo questo. Questo modo di pensare oggi viene chiamato comunemente security through obscurity, o “sicurezza tramite segretezza”, e purtroppo si è visto che in molte occasioni la segretezza e il divieto di analizzare un sistema sono in realtà delle scuse per non rivelare le malefatte o i difetti del prodotto. È successo, per esempio, per il GSM e per il GPRS.

È quindi comprensibile che i ricercatori di Midnight Blue siano stati attratti da un sistema crittografico così diffusamente utilizzato, oltretutto in contesti molto delicati, e tenuto segreto per quasi tre decenni. E così i ricercatori si sono procurati una radio della Motorola che usa lo standard TETRA ed è commercialmente disponibile. Trascorrono quattro mesi nel tentativo di localizzare ed estrarre gli algoritmi dall’area protetta del dispositivo, la sua cosiddetta secure enclave, nel firmware dell’apparato. E alla fine ci riescono.


La rivincita di Kerckhoffs

I ricercatori comunicano a Motorola le tecniche che hanno usato per scavalcare le protezioni messe dall’azienda, affinché Motorola possa rimediare, e poi iniziano ad analizzare gli algoritmi che erano rimasti segreti per così tanto tempo.

E qui arriva la prima, grossa sorpresa: nell’algoritmo TEA1, quello per uso commerciale, c’è un difetto intenzionale, una cosiddetta backdoor, che riduce la lunghezza della sua chiave dagli 80 bit ufficiali a soli 32 bit. Una chiave così corta è l’equivalente di usare una password di tre cifre, e infatti gli esperti di Midnight Blue riescono a scavalcarla in meno di un minuto usando un normale laptop. Questo consentirebbe di decifrare le trasmissioni di dati e di ascoltare le conversazioni fatte dalle forze di polizia o dagli altri utenti di questa versione del sistema TETRA.

La seconda sorpresa è che questo difetto intenzionale è in realtà noto alle industrie del settore e ad alcuni governi. Lo testimonia una comunicazione confidenziale del governo statunitense, risalente al 2006 e resa pubblica da Wikileaks, nella quale si nota che l’azienda italiana Finmeccanica voleva vendere dei sistemi TETRA a due forze di polizia municipali iraniane e che il governo degli Stati Uniti aveva espresso la propria opposizione al trasferimento di tecnologie così sofisticate, ricevendo però rassicurazioni sul fatto che gli apparati avrebbero avuto una chiave crittografica lunga “meno di 40 bit”. Non è chiaro se il cliente della commessa, che valeva sei milioni e mezzo di euro, fosse al corrente del fatto che gli veniva venduta una tecnologia menomata e soprattutto facilmente intercettabile. Anche le informazioni segrete rivelate da Edward Snowden indicano che i servizi segreti britannici intercettavano le comunicazioni TETRA in Argentina nel 2010. 


 

La terza sorpresa è che esiste un difetto tecnico che tocca tutti e quattro gli algoritmi nella fase di sincronizzazione e che consente di intercettare le comunicazioni e i messaggi e anche di trasmettere messaggi falsi, usando una trasmittente appositamente modificata che costa poche migliaia di euro o franchi.

Tutti questi difetti sono rimasti nello standard per più di due decenni perché gli esperti indipendenti non potevano ispezionarne liberamente gli algoritmi. Questo conferma il principio che la sicurezza basata sulla segretezza non è affidabile, rende difficile le verifiche indipendenti e rende invece facile tenere nascosti eventuali difetti o sabotaggi intenzionali. Kerckhoffs aveva ragione.

Verso la fine del 2021 i ricercatori di Midnight Blue si trovano così in una posizione molto delicata. Sono riusciti a scoprire falle molto importanti in un sistema di radiocomunicazione usato in moltissimi paesi, nelle situazioni più critiche, da imprese, polizie e soccorritori. A questo punto hanno un problema: come riuscire ad avvisare tutti senza far trapelare queste falle e senza farle cadere nelle mani di chi potrebbe sfruttarle per sabotare infrastrutture, intercettare comunicazioni sensibili o seminare il caos?

Rivelazioni d’agosto

Il 14 dicembre 2021 gli esperti di Midnight Blue contattano per la prima volta il centro nazionale per la cybersicurezza del loro paese e lo informano delle loro scoperte. A gennaio 2022 iniziano gli incontri con i rappresentanti delle forze di polizia, dei servizi di sicurezza, dell’ETSI e dei fabbricanti degli apparati TETRA, e a febbraio il centro nazionale per la cybersicurezza olandese distribuisce un avviso tecnico solo agli addetti ai lavori. L’ETSI, intanto, corregge il difetto di sincronizzazione pubblicando uno standard aggiornato a ottobre 2022 e crea tre nuovi algoritmi sostitutivi, anche questi segreti.

I fabbricanti creano degli aggiornamenti del firmware, ma la falla nell’algoritmo TEA1 non è rimediabile con uno di questi aggiornamenti: bisogna proprio cambiare algoritmo in ogni singolo dispositivo e bisogna sospendere l’erogazione del servizio durante questo cambiamento, cosa spesso impraticabile nel caso di infrastrutture essenziali.

Il 24 luglio scorso, infine, il problema viene reso pubblico, sperando che nel frattempo gli utenti di questi sistemi li abbiano aggiornati. Il 9 agosto prossimo i dettagli tecnici delle ricerche svolte da Midnight Blue verranno pubblicati presso Tetraburst.com, dove per ora c’è solo una sintesi della situazione insieme ad alcuni video dimostrativi e ai link delle numerose conferenze di sicurezza internazionali nelle quali i ricercatori presenteranno i risultati delle loro indagini e renderanno pubblici gli algoritmi finora segreti.

Chiunque usi sistemi TETRA, insomma, dovrà verificare che siano stati applicati tutti gli aggiornamenti di sicurezza, altrimenti le comunicazioni che crede siano protette saranno in realtà facilmente intercettabili. E intanto, ancora una volta, la mancanza di trasparenza ha ostacolato la sicurezza invece di rinforzarla e ha creato un’illusione di sicurezza che è stata sfruttata da alcuni governi per spiare gli altri per decenni (come nel caso dello scandalo della Crypto AG, risalente al 2020). 

Conviene ricordarsi tutto questo la prossima volta che qualcuno ci propone un prodotto di sicurezza, anche al di fuori del campo informatico, e ci racconta che non può discutere i dettagli di come funziona perché quei dettagli sono e devono restare segreti, altrimenti addio sicurezza: è una foglia di fico che il buon Auguste Kerckhoffs aveva già tolto più di un secolo fa. 

 

Fonte (con molti dettagli tecnici in più): Wired.com.

2023/07/27

Ufologia: come al solito, zero prove concrete nelle audizioni al Congresso USA

David Grusch, ex addetto dell’intelligence dell’aviazione militare statunitense, ha fatto una serie di dichiarazioni ufologiche durante un’audizione davanti a una commissione del Congresso degli Stati Uniti. La cosa ha suscitato una notevole risonanza mediatica, come al solito, ma come altrettanto solito le dichiarazioni sono completamente prive di qualunque prova concreta.

Grusch ha dichiarato che il governo USA avrebbe recuperato dei veicoli e che da questi veicoli sarebbero stati estratti “elementi biologici” che sarebbero “non umani”. Lo dice, però, sulla base di una dichiarazione fatta da “persone che hanno conoscenza diretta” alle quali ha parlato; ha precisato di non aver mai visto direttamente corpi alieni. Siamo insomma nel campo delle dicerie riportate di seconda mano.

Grusch non è nuovo a dichiarazioni di questo genere. Forbes, a giugno 2023, ne scriveva lucidamente, con obiezioni di buon senso.

La prima obiezione è che secondo Grusch e altri ufologi, gli extraterrestri schianterebbero regolarmente le proprie astronavi sulla Terra. Ma se sono sufficientemente evoluti da avere veicoli interstellari (o interdimensionali, come sostiene Grusch, sempre senza prove), come mai continuano a sfracellarsi? Sono incapaci di pilotare? Anzi, perché mai dovrebbero avere a bordo degli equipaggi? Già adesso noi facciamo ricognizione con i droni.

La seconda obiezione è che gli ufologi sostengono spesso che da questi ipotetici veicoli schiantati sarebbero state estratte delle tecnologie che oggi vengono usate in segreto dai potenti di turno. Ma è un’idea idiota e arrogante, perché parliamoci chiaro: il divario tecnologico fra noi e qualunque civiltà capace di viaggi interstellari è equivalente a quello fra noi e un abitante dell’antica Roma. Le speranze di poter decifrare e addirittura usare tecnologie così avanzate sono nulle. 

Immaginate Giulio Cesare che vede sfracellarsi un Boeing 757, e ditemi se sarebbe capace di dedurne i principi dei motori a reazione o anche solo di capire cos’è lo smartphone trovato tra i rottami. Le tecnologie elettroniche sarebbero totalmente incomprensibili per qualunque persona dell’antichità. Sarebbero indistinguibili dalla magia. Immaginate di spiegare a Cesare che possiamo catturare la sua voce e farla riprodurre a una tavoletta sottile e lucida, tanto per fare un esempio.

Come ho già scritto, qui gli extraterrestri non c’entrano nulla. L’interesse del Congresso per gli UFO o UAP che dir si voglia non è dettato dalla credenza negli alieni, ma nella preoccupazione molto concreta che dietro questi avvistamenti insoliti ci possano essere veicoli molto terrestri e molto poco americani, che qualche potenza straniera userebbe per sorvegliare le attività militari. Ma ai giornalisti in cerca di clamore e clic interessa solo parlare di omini verdi.

(AGG 2023/08/18) Antibufala: nave in fiamme con 3000 auto a bordo, la Guardia Costiera non ha detto che è colpa di un’auto elettrica. E le elettriche sono tutte intatte, incendio scoppiato altrove

Ultimo aggiornamento: 2023/08/18 16:20.

Il Corriere della Sera, in un articolo firmato da Maurizio Bertera, titola “Nave in fiamme con 3 mila auto a bordo: un morto. L’incendio forse è partito da un’elettrica”, con il sottotitolo “La Guardia Costiera olandese ritiene probabile che l’enorme rogo sia partito da una delle 25 vetture elettriche a bordo” (link intenzionalmente alterato; copia permanente). È falso.

Nel corpo dell’articolo, Bertera scrive che “Un portavoce della Guardia Costiera ha rivelato all’agenzia di stampa Reuters che l’origine del fuoco può essere ricondotta a un’auto elettrica a bordo della nave”. È falso anche questo.

Non c’è nessuna conferma che l’incendio sia partito da un’auto elettrica e la Guardia Costiera olandese non ha affatto rilasciato la dichiarazione riportata dal Corriere. Il liveblog della Guardia Costiera olandese dice esplicitamente che “la causa dell’incendio non è ancora nota” (“De oorzaak van de brand is nog onbekend”). Inoltre il sito Electrek ha chiamato la Guardia Costiera olandese, che ha dichiarato di non aver affatto attribuito l’incendio a un’auto elettrica.

Reuters, citata dal Corriere, conferma che la causa dell’incendio è ancora ignota e aggiunge che “un portavoce della Guardia Costiera aveva detto a Reuters che l’incendio era iniziato vicino a un’auto elettrica” (“The coastguard said on its website the cause of the fire was unknown, but a coastguard spokesperson had earlier told Reuters it began near an electric car”).

Da nessuna parte viene detto quello che scrive il Corriere, ossia che l’origine del fuoco possa essere ricondotta a un’auto elettrica.

La nave in questione, la Fremantle Highway, ha preso fuoco nel Mare del Nord. Trasporta 2832 auto a carburante e 25 auto elettriche dalla Germania all’Egitto. Una persona dell’equipaggio è morta.

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2023/08/02 17:40. Un articolo di NOS news, segnalato nei commenti qui sotto da CheshireCat, precisa che le auto elettriche o ibride a bordo sono 498, non 25, su un totale di 3783 veicoli, non 2832 come annunciato inizialmente.

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2023/08/18: 16:20. CleanTechnica segnala che le auto elettriche sono tutte intatte e l’incendio è partito da un altro punto della nave. Il direttore delle operazioni di recupero, Peter Berdowski, ha dichiarato alla stampa olandese che le 498 auto elettriche a bordo sono tutte intatte e che l’incendio è probabilmente iniziato sull’ottavo ponte dei dodici. Le auto elettriche erano situate molto più in basso. 

Sono curioso di vedere quanti dei giornali, dei siti e degli hater che hanno diffuso con entusiasmo la notizia della presunta colpa delle auto elettriche pubblicheranno con altrettanta evidenza la smentita della balla che hanno disseminato.

2023/07/22

(AGG 2023/08/03 22:00) Ci vediamo oggi a Torano Nuovo per un TEDx, nonostante Tess danneggiata dalla grandine?

Come avevo preannunciato, oggi alle 16 sarò ospite del TEDxToranoNuovo, al Palazzo Ducale Della Montagnola di Corropoli, in Abruzzo, per parlare di fake news pilotate con l’intelligenza artificiale. L’elenco completo dei relatori partecipanti è qui. Tutte le informazioni su come raggiungere il luogo dell’evento e partecipare sono sul sito www.tedxtoranonuovo.it.

Il viaggio di 620 chilometri in auto elettrica da Lugano a Torano Nuovo ha avuto un grosso contrattempo di natura non elettrica: ieri siamo rimasti bloccati in coda in autostrada intorno a Milano e, come tanti altri automobilisti, siamo stati travolti da una violentissima grandinata.

La Dama e io stiamo bene, anche se un po’ scossi, ma Tess, la nostra auto, ne è uscita parecchio malconcia: parabrezza incrinato in più punti e carrozzeria piena di ammaccature ovunque.

Ci siamo fermati al Service Center Tesla di Peschiera Borromeo per verificare che fosse ancora in grado di affrontare il viaggio. Sarà un’impresa ripararla (è completamente assicurata), ma è marciante.

A parte questo e il traffico molto intenso, il viaggio è andato bene: abbiamo fatto tappa per un pranzo leggero al Supercharger di Modena, caricando più che a sufficienza per arrivare al Supercharger di Fano un paio d’ore più tardi. Dopo una pausa per caffè e bombolino e un giretto per i negozi, siamo ripartiti per Torano, anche qui con molta più carica del necessario. A destinazione c’è una colonnina di ricarica. Non abbiamo speso nulla di “carburante”: le ricariche sulla rete Tesla per noi sono gratuite grazie ai referral. Spero di vedervi oggi!

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2023/07/25 9:30. Siamo alle prese con le conseguenze del danno a Tess e della nuova grandinata che ha colpito la zona del Maniero stanotte, per cui faccio solo un breve aggiornamento per dire che il TEDx è andato benissimo, con interventi molto interessanti e spesso poetici e con una cena fra relatori e pubblico che è stata insolitamente ricca di occasioni di scambi di conoscenze personali e professionali (spero un giorno di potervi raccontare un episodio che ci ha fatti restare... di sasso). Ora le riprese devono essere vagliate e preparate da TED; vi aggiornerò non appena verranno pubblicate.

Ieri, dopo una giornata di riposo e recupero con gli amici di Torano, siamo rientrati al Maniero senza particolari problemi (626 km, 122,6 kWh, 196 Wh/km andando quasi sempre a 130 km/h ove possibile), con due tappe di ricarica gratuita (Fano e Modena), una delle quali ha coinciso, come consueto, con il pranzo ed è stata un’occasione per incontrare un amico. Tess adesso dorme, malconcia, al coperto e sto coordinando le riparazioni.

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Il mio TEDx Talk è stato appena pubblicato. Intanto TESS sta iniziando le riparazioni a partire dal parabrezza.

2023/07/21

Podcast RSI - Copie digitali dei defunti, Threads contro Twitter contro Mastodon, addio a un grande hacker

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È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto) e qui sotto.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

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[CLIP: Video di Re;memory]

Il signor Lee sapeva che gli restava poco da vivere ed era preoccupato per sua moglie, che sarebbe rimasta sola, e così le ha lasciato il suo gemello digitale. Pochi mesi dopo la sua morte, la moglie è andata a trovarlo. “Tesoro, sono io. È passato molto tempo” le ha detto. 

Sembra l’inizio di una puntata di Black Mirror, ma è invece l’inizio di un video commerciale che promuove i servizi molto concreti di un’azienda coreana che offre griefbot: repliche digitali interattive, audio e video, delle persone decedute.

Benvenuti alla puntata del 21 luglio 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo, e in questo podcast vi racconterò i dettagli di questi griefbot e dei loro usi inattesi, insieme alle ultime novità riguardanti lo scontro fra Threads e Twitter e la storia di uno degli hacker più famosi di sempre, Kevin Mitnick.

[SIGLA di apertura]

Griefbot e intelligenze artificiali

La visionaria serie televisiva distopica Black Mirror ha ormai una lunga tradizione di previsioni tecnologiche che qualche anno dopo si avverano. Dieci anni fa, nella puntata Be Right Back (Torna da me nella versione italiana), aveva immaginato un servizio online che raccoglieva tutte le informazioni pubblicate sui social network da una persona defunta e tutti i suoi messaggi vocali e video e li usava per creare un avatar che, sullo schermo dello smartphone, parlava esattamente come quella persona e aveva il suo stesso aspetto.

Con l’arrivo di ChatGPT e delle altre tecnologie di intelligenza artificiale, quest’idea è diventata fattibile, e ha un nome tecnico, griefbot, che combina il termine inglese “grief” (cioè “lutto”), con “bot”, vale a dire “programma o agente automatico”.

Già alcuni anni fa erano stati realizzati in Russia, Canada, Stati Uniti e Cina dei griefbot elementari, capaci di scrivere messaggi e di chattare online imitando più o meno lo stile e, in alcuni casi, anche la voce di una persona defunta, e proprio un anno fa in questi giorni Amazon proponeva di dare al suo assistente vocale Alexa la voce di un familiare deceduto. Ma questi griefbot erano abbastanza limitati come fedeltà delle loro conversazioni e non erano in grado di mostrare interazioni video.

Ora, però, l’azienda coreana Deepbrain AI, che produce assistenti virtuali e conduttori sintetici per telegiornali, offre anche queste interazioni su schermo, tramite Re;memory, un servizio che permette alle persone di dialogare anche in video con chi non c’è più.

A differenza dei griefbot realizzati fin qui, che si basano sui dati lasciati dalla persona deceduta, Re;memory si appoggia a suoni, immagini e dati forniti appositamente e preventivamente. Chi vuole lasciare ai posteri un proprio avatar interattivo deve farsi videoregistrare per circa sette ore, durante le quali avviene un colloquio dettagliato, il cui contenuto viene poi usato per fornire a un’intelligenza artificiale una serie di campioni audio e video e di informazioni personali sulle quali basare l’avatar che replicherà l’aspetto fisico e la voce della persona.

I familiari potranno incontrare l’avatar, e interagirvi in vere e proprie conversazioni, recandosi in apposite sedi, dove vedranno l’immagine della persona su un grande schermo, a grandezza naturale, seduta comodamente in poltrona, che parla e si muove in risposta alle loro parole.

Nel video promozionale del servizio, che costa circa 10.000 dollari e si paga anche ogni volta che lo si usa, si vede che l’avatar dialoga per esempio con la figlia di un defunto, rispondendo a senso alle sue parole e creando in lei una forte commozione anche se il tono dell’avatar è poco dinamico e molto pacato, perché il software si basa solo sui campioni registrati in queste sedute apposite, che comprensibilmente non sono ricolme di entusiasmo.

Re;memory non è l’unico griefbot sul mercato: aziende come Hereafter AI offrono avatar più vivaci, ma solo in versione audio, che dialogano con i familiari e sono anche in grado di citare storie e aneddoti del passato della persona scomparsa.

L’avvento di questi fantasmi digitali era facilmente prevedibile, ma come capita spesso queste nuove possibilità, concepite con uno scopo di conforto ben preciso, hanno anche delle applicazioni meno facili da anticipare.

Per esempio, nulla vieta, almeno dal punto di vista tecnico, di creare un avatar di una persona e di usarlo mentre quella persona è ancora in vita, al posto di quella persona. Immaginate un adolescente che passa moltissimo tempo al telefonino a dialogare con i propri amici e si rende conto che preferisce interagire con gli avatar di quegli amici, che sono meno impulsivi e più socievoli e non sono mai stanchi o scocciati, e comincia a preferirli agli amici in carne e ossa. Per citare il futurologo Ian Beacraft in un suo recente intervento pubblico, una sfida dei genitori di domani non sarà decidere quanto tempo è giusto lasciare che i propri figli stiano online, ma decidere quanti dei loro amici possano essere sintetici.

[CLIP: Beacraft che dice “as many of you with kids, the challenges aren't going to be about how much time they spend on their digital devices but deciding how many of their friends should be synthetic versus organic”]

Oppure immaginate uno stalker che si crea un avatar della persona dalla quale è ossessionata, attingendo ai testi, ai video e ai messaggi vocali pubblicati sui social network da quella persona. Tutti quei dati che abbiamo così disinvoltamente condiviso in questi anni verranno custoditi tecnicamente, e verranno protetti legalmente, contro questo tipo di abuso? Non si sa.

Ma ci sono anche delle applicazioni potenzialmente positive: una persona molto timida o che ha difficoltà di relazione o si trova a dover affrontare una conversazione molto difficile potrebbe per esempio esercitarsi e acquisire fiducia in se stessa usando un avatar interattivo. In ogni caso, è ormai chiaro che la frontiera delle persone virtuali è stata aperta e non si chiude.

Fonte aggiuntiva: Engadget.

Threads vs Twitter

Non capita spesso di sentire che un social network impedisce intenzionalmente ai propri utenti di frequentarlo più di tanto, ma è quello che succede da qualche tempo su Twitter. Proprio mentre sto preparando questo podcast mi è comparso l’avviso che ho “raggiunto il limite giornaliero di visualizzazione di post” e mi è stato proposto di abbonarmi “per vedere più post giornalmente”

La limitazione è stata decisa ai primi di luglio ufficialmente per contenere il cosiddetto data scraping, ossia la copiatura su vasta scala dei contenuti pubblicati dagli utenti, però è anche un modo per incoraggiare gli utenti a pagare per abbonarsi.

Queste limitazioni sono insolite e non piacciono né agli utenti né agli inserzionisti, perché ovviamente impediscono agli utenti di vedere le loro pubblicità, eppure anche Threads, il rivale di Twitter creato da Meta e rilasciato in fretta e furia pochi giorni fa in versione incompleta, ha dovuto prendere una misura analoga per difendersi dagli attacchi degli spammer. Anche in questo caso, ci stanno andando di mezzo anche gli utenti onesti che sfogliano tanto il servizio.

Threads ha ovviamente anche una limitazione ben più forte per noi utenti dell’Europa continentale. Ufficialmente, infatti, l’app non è disponibile per chi risiede in Europa, salvo nel Regno Unito, perché acquisisce dati personali in modi incompatibili con le principali norme europee. Questo blocco fino a pochi giorni fa era aggirabile in vari modi, ma ora è stato reso più robusto: molti di coloro che riuscivano a usare Threads dall’Europa passando attraverso una VPN si sono visti comparire un messaggio di errore e non possono più postare messaggi ma solo leggere quelli degli altri.

Nel frattempo, anche senza gli utenti europei, Threads ha battuto ogni record di velocità di adozione di un servizio online, raggiungendo i primi 100 milioni di iscritti complessivi nel giro di una settimana dal suo debutto e superando anche il primatista precedente, ChatGPT, che ci aveva impiegato due mesi. Ma dopo l’entusiasmo iniziale, il numero di utenti attivi giornalmente su Threads si è dimezzato rispetto all’inizio, scendendo da 49 milioni [nel podcast per errore dico 40] a circa 24, ossia poco meno di un quinto di quelli di Twitter. La strada per rimpiazzare Twitter come fonte di notizie in tempo reale è insomma ancora lunga.

Nonostante il calo molto significativo, Threads rimane comunque enorme rispetto a Mastodon, altra piattaforma simile a Twitter, caratterizzata dalla sua indipendenza federata e dal fatto che non raccoglie dati personali, come fanno invece Threads e Twitter. Il confronto è particolarmente significativo perché Meta, proprietaria di Threads, ha avviato formalmente presso il World Wide Web Consortium, uno dei principali enti di standardizzazione di Internet, la procedura di adozione dello standard ActivityPub, lo stesso usato da Mastodon e da tanti altri servizi analoghi, e questo in teoria permetterebbe agli utenti di Mastodon di interagire con quelli di Threads e viceversa. Ma molti degli amministratori delle varie istanze di Mastodon, le “isole” che compongono questa piattaforma federata, non vedono di buon occhio l’arrivo di un colosso commerciale come Threads, che li potrebbe travolgere sommergendole di traffico, e stanno già pensando di bloccare o defederare Threads. Altri, invece, sperano che la popolarità di Threads possa dare maggiore visibilità a questo ideale di libera migrazione e interoperabilità proposto da ActivityPub e da Mastodon.

Twitter, da parte sua, non se la passa bene economicamente. Il suo proprietario, Elon Musk, aveva detto in un’intervista recente che Twitter era a un passo dal generare profitti e che gli inserzionisti che erano scappati dopo la sua acquisizione della piattaforma stavano tornando, ma pochi giorni fa ha invece dichiarato che i ricavi pubblicitari sono scesi del 50%. E su Twitter grava anche il debito di 13 miliardi di dollari che Musk ha usato per acquistare questa piattaforma a ottobre 2022. Quel debito sta costando circa un miliardo e mezzo di dollari l’anno, e il bilancio rimane in rosso nonostante i licenziamenti massicci e, a quanto risulta perlomeno dalla ventina di cause avviate contro Twitter, nonostante le bollette non pagate e i compensi di liquidazione ai dipendenti licenziati che non sono stati corrisposti. Non è chiaro quanto possa ancora durare Twitter in queste condizioni. Se non avete ancora fatto una copia dei vostri dati pubblicati su Twitter, forse è il caso di cominciare a pensarci.

Storia di un hacker

È il 1979. Un ragazzino di sedici anni riesce a farsi dare il numero telefonico di accesso ad Ark, il sistema informatico sul quale la Digital Equipment Corporation, uno dei grandi nomi dell’informatica dell’epoca, sta sviluppando il suo nuovo sistema operativo. Il ragazzino entra nel sistema e si copia il software. Per questo reato trascorre un mese in carcere e resta per tre anni in libertà vigilata. Verso la fine del periodo di sorveglianza, riesce a entrare nei computer della società telefonica Pacific Bell che gestiscono le segreterie telefoniche e per i successivi due anni e mezzo si rende irreperibile, usando telefoni cellulari clonati per nascondere la sua localizzazione e violando numerosi sistemi informatici.

Il ragazzo viene inseguito a lungo dall’FBI, che lo arresta nel 1995 per una lunga serie di reati informatici, e trascorre cinque anni in carcere. 

Ma questa non è la storia di un criminale informatico qualunque, perché l’allora nascente Internet insorge in sua difesa. Il sito Yahoo, popolarissimo in quel periodo, viene violato e ospita un messaggio che chiede la scarcerazione del giovane hacker. Lo stesso succede al sito del New York Times [13 settembre 1998]. La rivista informatica 2600 Magazine, lettura fondamentale degli hacker di allora, distribuisce un adesivo con due semplici parole che faranno la storia dell’informatica: FREE KEVIN.

Fonte: Wikipedia.
Fonte: Kevin Kopec.

Quel ragazzo, infatti, è Kevin Mitnick, uno degli hacker più famosi e temuti della storia dell’informatica, e la punizione inflittagli dalle autorità viene vista da molti informatici come eccessiva e gonfiata dalle pressioni dei media, anche perché le tecniche di penetrazione usate da Mitnick sono spesso elementari e basate più sulla persuasione delle persone (il cosiddetto social engineering) e sull’inettitudine delle aziende in fatto di protezione dei dati e di sicurezza dei sistemi che su chissà quali acrobazie informatiche, e Mitnick ha avuto accesso a tantissimi sistemi ma non ne ha tratto grande profitto economico.

Kevin Mitnick viene rilasciato nel 2000, con il divieto di usare qualunque sistema di comunicazione diverso dal telefono fisso, e diventa un affermatissimo consulente informatico, che insegna le proprie tecniche di social engineering agli addetti alla sicurezza di moltissime aziende in tutto il mondo. Scrive alcuni dei libri fondamentali della sicurezza informatica, come The Art of Deception, in italiano L’arte dell’inganno, e The Art of Intrusion, che diventa L’arte dell’intrusione in italiano, e racconta il proprio punto di vista sulle sue scorribande informatiche nel libro The Ghost in the Wires, altra lettura obbligatoria per chiunque voglia fare sicurezza informatica seriamente, tradotta in italiano con il titolo Il fantasma nella rete.

Una delle sue caratteristiche, oltre alla fama mondiale nel suo campo, è il suo biglietto da visita: è realizzato in lamina di metallo, fustellata in modo da formare dei grimaldelli che sono funzionanti e adatti per aprire la maggior parte delle serrature. 

Mentre preparo questo podcast, il New York Times, quello violato tanti anni fa dai sostenitori di Kevin Mitnick, ha pubblicato la notizia della sua morte a 59 anni in seguito alle complicanze di un tumore pancreatico. Lascia la moglie Kimberley, che aspetta da lui il primo figlio. E qualcuno, su Twitter, si augura caldamente che l’inferno e il paradiso abbiano installato l’autenticazione a due fattori. Kevin is free.

2023/07/20

Kevin Mitnick, 1963-2023

Pubblicazione iniziale: 2023/07/20 9:40. Ultimo aggiornamento: 2023/07/20 16:30. L’articolo è stato riscritto estesamente per tenere conto delle nuove informazioni.

Kevin Mitnick, uno degli hacker e social engineer più famosi del mondo, è morto il 16 luglio scorso. Ne ha dato l’annuncio inizialmente stanotte (ora italiana) solo un sito di necrologi, Dignitymemorial.com; poi il New York Times (copia permanente) ha confermato la notizia tramite una portavoce dell’azienda KnowBe4, per la quale Mitnick lavorava come chief hacking officer, e SecurityWeek ha scritto di aver confermato tramite proprie fonti imprecisate. 

Solo qualche ora più tardi è comparso un avviso sul sito di KnowBe4 e sull’account Twitter di Mitnick; la moglie Kimberley ha dato l’annuncio su Twitter poco fa; il sito della Mitnick Security ha attiva tuttora (16:30) la pagina per prenotare una conferenza con lui e la sua pagina LinkedIn non riporta alcuna informazione sul suo decesso. Visto che purtroppo ci sono molti siti e account social che speculano sulle morti annunciate, questa inconsueta penuria iniziale di aggiornamenti e di fonti mi ha imposto cautela nel riportare la notizia nelle prime ore.

Secondo il NYT, Mitnick ci ha lasciato in seguito a complicanze legate a un tumore al pancreas. Se volete ripassare chi era Kevin Mitnick, ho scritto alcuni articoli che raccontano alcuni episodi della sua straordinaria carriera e dedicherò a lui parte del podcast del Disinformatico di domattina.

2023/07/19

Da dove nasce #IlGattoDelGiorno?

La mia “rubrica” Il Gatto Del Giorno è nata sull’impulso del momento, senza un piano preciso, ma vedo che piace a parecchia gente, per cui riassumo qui le sue origini per rispondere a una curiosità ricorrente e tenerne traccia prima che i dettagli sfumino nella memoria.

Premessa: anni fa ero iscritto a un feed RSS che, fra le tante offerte, proponeva quotidianamente delle bellissime collezioni di sfondi, con titoli come Widescreen Wallpapers for your desktop, Desktop Wallpapers 4K Ultra HD, Classy Wallpapers, ComputerDesktopWallpapersCollection, HD Wallpaper Mix, Desktop Wallpapers HD, SuperWallpapers, High-Quality Wallpaper Pack, New Best Wallpapers Pack, eccetera. Contenevano foto splendide tratte da film e telefilm, immagini spettacolari di automobili, aerei e veicoli spaziali civili e militari, sfondi astratti, modelle, attrici e attori, animali e in particolare tanti gatti, in altissima risoluzione (4K o superiori). Facevano un figurone come screen saver a rotazione sul mio monitor gigante ed erano (e tuttora sono) ottimi supporti per le mie lezioni e presentazioni pubbliche.



Vista la quantità, la qualità e soprattutto l’assiduità con la quale venivano pubblicate queste collezioni (un centinaio di foto ognuna, con alcune collezioni che si avvicinavano al migliaio di collezioni pubblicate), mi sono sempre chiesto chi preparasse tutto questo materiale e perché, visto che non c’era un ritorno economico diretto o indiretto (niente pubblicità, nessuna richiesta di denaro). 

Ho un sospetto, che non posso confermare: considerato che le foto di veicoli militari includevano moltissime immagini di aerei, carri armati e sommergibili russi, e che le foto delle auto e delle modelle mostravano targhe e ambientazioni indiscutibilmente russe e fra le illustrazioni di animali spiccavano spesso orsi con la stella rossa, può darsi che si trattasse di una forma di propaganda pro-Russia. Ma i dati EXIF che ho controllato non hanno rivelato nulla.






 

Sia come sia, mi sono ritrovato con decine di migliaia di fotografie di vario genere, che ho selezionato e archiviato in cartelle tematiche. Le foto del Gatto Del Giorno provengono da lì.

Prevengo l’inevitabile battuta: no, non ho intenzione di avviare una rubrica La Modella Scosciata Davanti a BMW Tamarra del Giorno; se è questo il materiale che cercate, potete procurarvelo per i fatti vostri. Gli indizi ve li ho forniti.

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L’idea di usare queste immagini di gatti per una rubrica quotidiana mi è venuta a febbraio 2020, in piena pandemia, quando eravamo tutti chiusi in casa, senza vaccini, con bollettini sanitari catastrofici e senza speranze all’orizzonte. Ho pensato che una foto al giorno di un bel gatto, pubblicata di mattina come prima cosa non appena mi svegliavo, avrebbe forse dato un piccolo momento di sollievo a qualcuno, e così ho attinto a quella cartella felina e ho cominciato a postare quotidianamente.

Non mi aspettavo che sarebbe diventato un appuntamento così seguito, con gente che mi scrive chiedendo se sto bene visto che non ho ancora pubblicato il Gatto del Giorno (a volte faccio tardi la notte e quindi mi alzo tardi la mattina, o sono in viaggio e sto guidando). Ed è stato bello vedere che i colleghi di ReteTre hanno addirittura creato questo omaggio:

Non sono sicuro della data precisa di quando ho iniziato la rubrica. Su Instagram, il mio primo post con il testo “Il gatto del giorno” dovrebbe essere quello del 10 febbraio 2020, mentre il primo con l’hashtag #IlGattoDelGiorno (in maiuscolo o minuscolo) è dell’11 febbraio 2020. Su Twitter, invece, ho iniziato a usare l’hashtag il 17 febbraio 2020, perlomeno secondo la ricerca di Twitter, che però in questo periodo mi sembra decisamente inaffidabile. Dopo lo sconquasso di Twitter causato da Elon Musk, ho smesso di postare il GDG su quella piattaforma e ho iniziato a farlo invece su Mastodon il 25 novembre 2022 e sul mio canale Telegram il 29 novembre 2022. Se per caso scoprite qualcosa di diverso, avvisatemi.

2023/07/15

Mi tocca fare un po’ di body hacking: installo cristallini nuovi - terza parte

Ultimo aggiornamento: 2023/11/07. Segue dalla prima parte e dalla seconda parte.

Piccolo aggiornamento sul mio body hacking (intervento di sostituzione del cristallino): va tutto bene e finalmente posso andare al cinema a vedere un film nitidamente (ho scelto Indiana Jones e il Quadrante del Destino). I puntini scuri nel campo visivo sono scomparsi, la guida notturna è tornata a essere un piacere e il bagliore luminoso stellato al centro del campo visivo è diventato quasi impercettibile.

La vista dell’occhio operato è decisamente migliore di quella dell’occhio non ancora operato (per il quale l’intervento è previsto per i primi di settembre). A parte una leggera striatura luminosa a ore 11 e a ore 5 quando guardo oggetti luminosi su fondo scuro (fanali, lampioni, la Luna), la vista è tornata com’era anni fa, prima che io iniziassi a mettere gli occhiali, che ora indosso solo per il lavoro a distanza ravvicinata (per leggere o guardare lo schermo del computer).

Adesso devo decidere cosa fare per il secondo occhio (il destro). La procedura standard consisterebbe nell’installare anche lì un cristallino artificiale dello stesso tipo già installato nel sinistro, ossia una lente che mette a fuoco da circa un metro fino all’infinito (il cristallino artificiale non ha accomodamenti come li ha invece il cristallino naturale), ma mi sto accorgendo che l’occhio non operato vede sfuocato da lontano e a fuoco da vicino (almeno di giorno) e che nonostante io abbia in questo momento due occhi che mettono a fuoco a distanze differenti non ho alcun fastidio o disorientamento: anzi, vedo bene sia gli oggetti lontani, sia quelli vicini. E quindi sto considerando l’idea di installare un cristallino che metta a fuoco da vicino, in modo da avere un occhio per la visione di oggetti lontani e l’altro per quella degli oggetti vicini. In questo modo non dovrei indossare occhiali praticamente mai.

Ho chiesto al medico che mi sta seguendo, e mi ha detto che sì, c’è gente che lo fa; è solo questione di preferenze personali. Ma ovviamente non ci sono garanzie su come il mio cervello elaborerà due immagini con focalizzazioni così dissimili. Per ora se la sta cavando bene, tutto sommato, ma va detto che il cristallino naturale che ho ancora è in grado di regolare la propria messa a fuoco, mentre un cristallino artificiale non potrà farlo. Mal che vada, comunque, metterei gli occhiali per correggere la “miopia” del secondo cristallino. Chissà che effetto farebbe con i visori per realtà virtuale o con gli occhialini per il cinema 3D. Ci devo pensare.

Nel frattempo è scomparso l’effetto Pulfrich (non vedo più in 3D le immagini 2D con movimenti da sinistra a destra) e ho notato una particolarità dell’occhio operato: quando lo muovo di scatto, percepisco una leggera oscillazione dell’immagine, che si stabilizza quasi subito. Anche questo, mi dice il medico, è normale. L’effetto è molto insolito, non fastidioso, e ho provato a documentarlo con un paio di video ripresi usando semplicemente una webcam con una lente d’ingrandimento apposita. Se guardate bene, dovreste intravedere il bordo della lente artificiale (un circolino più piccolo rispetto alla pupilla) e l’oscillazione dell’umor acqueo sotto la cornea (una sorta di “effetto budino di gelatina”).

I video sono stati girati rispettivamente 7 e 22 giorni dopo l’intervento. Anche se vista da fuori l’oscillazione può sembrare impressionante, io in realtà non la noto affatto, salvo in particolari condizioni di luce (per esempio quando ho una luce laterale molto intensa), probabilmente per via della cecità saccadica, ossia la breve interruzione della visione che si ha normalmente ogni volta che si sposta lo sguardo.

2023/08/31. Piccolo aggiornamento all’aggiornamento: il secondo intervento è stato rinviato al 7 novembre su richiesta del chirurgo, per esigenze sue non legate al mio decorso. Non ho potuto scegliere una data più vicina a causa dei miei impegni già presi e non spostabili, come il CicapFest e varie conferenze alle quali non posso presentarmi con un occhio bendato.

2023/11/07. Intervento eseguito: i dettagli sono qui.

2023/07/13

Podcast RSI - Storie positive di intelligenza artificiale

logo del Disinformatico

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate presso www.rsi.ch/ildisinformatico (link diretto) e qui sotto.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite feed RSS, iTunes, Google Podcasts e Spotify.

Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.

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[CLIP: Deepfake di Elon Musk che promuove servizio di criptovalute]

La voce è quella, molto caratteristica, di Elon Musk, e il video mostra chiaramente Musk che parla davanti a un microfono, in un’ambientazione da podcast, e raccomanda un sito che nasconde una truffa. Dice che un suo amico ha avuto un’idea geniale per un servizio di scambio di criptovalute che offre le condizioni migliori e la possibilità di ottenere queste criptovalute gratis. Elon Musk cita il nome del sito e invita a visitarlo.

Ma è tutto finto: è l’ennesimo deepfake, pubblicato oltretutto su Twitter, che è di proprietà proprio di Elon Musk, da un utente con il bollino blu, uno di quelli che Twitter continua a definire “verificati” quando in realtà hanno semplicemente pagato otto dollari.

[Il testo era “An incredible crypto gift from @ElonMusk
Promo code 68z88cnh for 6.5 ETH hxxps://t.co/7su64bT4Dq pic.twitter.com/NjiJlcVUE2 — PuprpleApe.eth (@purpleapeeth) July 7, 2023]. Ho alterato intenzionalmente i link mettendo “hxxps” al posto di “https”]

Quel tentativo di truffa è rimasto online per almeno 24 ore, nonostante le ripetute segnalazioni degli utenti esperti, ed è stato visto da quasi 250.000 persone. Dodicimila utenti hanno anche cliccato su “mi piace”. Non c’è modo di sapere quante persone abbiano invece creduto al video e all’apparente sostegno di Elon Musk e abbiano quindi affidato i propri soldi ai truffatori.

[Segnalo la scheda informativa “Deepfake - come proteggersi” del Garante per la protezione dei dati italiano]

Sono numeri che dimostrano chiaramente il potere di inganno dei deepfake generati usando l’intelligenza artificiale per far dire in video qualunque cosa a persone molto note e usarle come involontari testimonial che promovono truffe [un altro caso di deepfake truffaldino è qui]. Ma questa è la stessa tecnologia che consente a Harrison Ford di apparire realisticamente ringiovanito di quarant’anni nel film più recente della saga di Indiana Jones.

[Clip: Fanfara di Indiana Jones, dalla colonna sonora di Indiana Jones e il Quadrante del Destino]

Due settimane fa, nella puntata del 30 giugno, vi ho raccontato alcune storie di disastri e orrori resi possibili dall’uso e abuso dell’intelligenza artificiale e ho promesso che avrei presentato anche i lati positivi, e le nuove opportunità di lavoro, di questa tecnologia tanto discussa.

Benvenuti dunque alla puntata del 14 luglio 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]

Parole, parole, parole

Come tante altre tecnologie, anche l’intelligenza artificiale si presta a usi positivi e a usi negativi: dipende con che criterio la si adopera. L’esperto di intelligenza artificiale Stuart Russell, intervenuto pochi giorni fa al vertice “AI for Good” delle Nazioni Unite tenutosi a Ginevra, riassume questo criterio in un’intervista a Swissinfo con queste parole:

[CLIP: voce inglese, coperta da voce italiana che dice “Il modello di business non è 'posso risparmiare licenziando tutto il mio personale?' Il modello di business è che ora possiamo fare cose che prima non potevamo fare”]

Ne avete appena ascoltato un esempio concreto: con i metodi tradizionali e i tempi di produzione di un podcast come questo, scomodare uno speaker solo per fargli leggere in italiano le poche parole del professor Russell sarebbe stato un problema organizzativo e logistico ingestibile. Con l’intelligenza artificiale, invece, la voce può essere generata direttamente da me in una manciata di minuti usando un software come Speechify. Non è lavoro tolto a uno speaker professionista: è lavoro che uno speaker non avrebbe potuto fare e che permette di fare appunto una cosa che prima non si poteva fare: il cambio di voce permette di indicare chiaramente che si tratta di una citazione [le alternative sono cercare di far capire quando inizia e finisce la citazione usando il tono della voce, cosa che mi riesce malissimo, oppure ricorrere a formule poco eleganti come dire “inizio citazione” e “fine citazione”].

Fra l’altro, anche la voce inglese in sottofondo è generata [sempre con Speechify], eppure ha una cadenza molto naturale. Se non vi avessi detto che non è quella del professor Russell, avreste notato che era sintetica? Probabilmente no, e questo crea obblighi etici di trasparenza per chi usa queste voci giornalisticamente. Nulla di nuovo, in realtà, visto che da sempre nel giornalismo si usa far ridire da uno speaker le parole dette da una persona di cui si vuole proteggere l’identità, e si avvisa il pubblico di questo fatto. Tutto qui.

Un altro esempio di cosa che prima non si poteva fare arriva da Chequeado, che è un’organizzazione senza scopo di lucro che si impegna a contrastare la disinformazione nel mondo ispanofono. Ha creato un software di intelligenza artificiale che legge automaticamente quello che viene pubblicato nei social network, trova le notizie vere o false che si stanno diffondendo maggiormente e allerta i fact-checker, i verificatori umani, affinché possano controllarle. Questo permette alla redazione di Chequeado di concentrarsi sul lavoro di verifica e quindi di essere più efficiente e tempestiva nelle smentite delle notizie false. È un bell’esempio positivo, che si contrappone alle notizie di testate giornalistiche [CNET Money] che pubblicano articoli generati dall’intelligenza artificiale senza dirlo apertamente ai propri lettori e licenziano i redattori.

L’intelligenza artificiale offre anche un altro tipo di supporto positivo al giornalismo e a molti altri settori della comunicazione: la trascrizione automatica del parlato. Se frequentate YouTube, per esempio, avrete notato i sottotitoli generati automaticamente, a volte con risultati involontariamente comici. Ma ci sono software specialistici, come per esempio Whisper di OpenAI (la stessa azienda che ha creato ChatGPT), che sono in grado di trascrivere quasi perfettamente il parlato, e di farlo in moltissime lingue, con tanto di punteggiatura corretta e riconoscimento dei nomi propri e del contesto.

Invece di spendere ore a trascrivere manualmente un’intervista, chi fa giornalismo può affidare la prima stesura della trascrizione all’intelligenza artificiale e poi limitarsi a sistemarne i pochi errori [l’ho fatto proprio ieri per sbobinare un’intervista di ben 35 minuti di parlato che spero di poter pubblicare presto]. Gli atti dei convegni, che prima richiedevano mesi o spesso non esistevano affatto perché erano un costo insostenibile, ora sono molto più fattibili. Milioni di ore di interviste e di parlato di programmi radiofonici e televisivi storici oggi sono recuperabili dall’oblio, e una volta che ne esiste una trascrizione diventano consultabili tramite ricerca di testo, e diventano accessibili anche a chi ha difficoltà di udito, tanto che a New York un’emittente pubblica, WNYC, ha creato un prototipo di radio per i sordi, in cui le dirette radiofoniche vengono trascritte in tempo reale dal software addestrato appositamente. Tutte “cose che prima non si potevano fare”, per citare di nuovo il criterio del professor Russell, o che si potevano fare solo con costi spesso insostenibili.

E poi c’è tutto il mondo della traduzione e della programmazione. Software di intelligenza artificiale specializzati, come Trados o DeepL o Github Copilot, non sostituiscono la persona competente che traduce o scrive codice, ma la assistono nella parte tediosa e meccanica del lavoro, per esempio proponendo frasi o funzioni già incontrate in passato o segnalando potenziali errori di sintassi, grammatica e coerenza. Ma la decisione e il controllo finale devono restare saldamente nelle mani della persona esperta, altrimenti l’errore di programmazione imbarazzante sarà inevitabile e la città di Brindisi rischierà di diventare Toast, come è successo sul sito della recente campagna Open to Meraviglia del Ministero del Turismo italiano.

Produttività e accessibilità

Google ha presentato pochi giorni fa uno studio sull’impatto economico dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro. È dedicato al Regno Unito, ma contiene alcuni princìpi applicabili a qualunque economia di dimensioni analoghe.

  • Il primo principio è che l’uso dell’intelligenza artificiale può far risparmiare oltre 100 ore di lavoro ogni anno al lavoratore medio, e questo costituirebbe il maggior aumento di produttività da quando fu introdotta la ricerca in Google.

  • Il secondo principio è che l’intelligenza artificiale può far risparmiare a medici e docenti oltre 700.000 ore l’anno di tedioso lavoro amministrativo in un’economia come quella britannica. Anche cose a prima vista banali, come la composizione di una dettagliata mail di richiesta di rimborso, portano via tempo e risorse mentali, se bisogna farle tante volte al giorno, e strumenti come Workspace Labs di Google permettono di offrire assistenza in questi compiti.

  • Il terzo principio, forse il più significativo, è che questa tecnologia, se usata in forma assistiva, permetterebbe a oltre un milione di persone con disabilità di lavorare, di riconquistare la propria indipendenza e di restare connesse al mondo che le circonda.

L’intelligenza artificiale consente anche di analizzare ed elaborare enormi quantità di dati riguardanti la protezione dell’ambiente, che sarebbero altrimenti impossibili da acquisire e gestire. L’azienda britannica Greyparrot, per esempio, usa l’intelligenza artificiale per riconoscere in tempo reale i tipi di rifiuti conferiti in una cinquantina di siti di riciclaggio sparsi in tutta Europa, tracciando circa 32 miliardi di oggetti e usando questi dati per permettere alle pubbliche amministrazioni di sapere quali rifiuti sono più problematici e consentire alle aziende di migliorare l’impatto ambientale delle proprie confezioni.

Passando a esempi più frivoli ma comunque utili a modo loro, l’intelligenza artificiale è uno strumento potente, e anche divertente, contro la piaga delle telefonate indesiderate di telemarketing e dei truffatori. La Jolly Roger Telephone Company è una piccola ditta californiana che permette ai suoi utenti di rispondere automaticamente a queste chiamate con voci sintetiche, pilotate da ChatGPT [CLIP in sottofondo: chiamata fra truffatore che crede di parlare con una persona anziana con difficoltà di attenzione e paranoia e per un quarto d’ora cerca di farsi dare i dati della sua carta di credito]. Tengono impegnati i televenditori e gli imbroglioni con conversazioni molto realistiche e basate sul contesto, rispondendo a tono ma senza mai dare informazioni personali.

Per un paio di dollari al mese, argomenta il creatore del servizio, Roger Anderson, si può impedire a questi scocciatori di importunare altre persone e colpire nel portafogli i criminali che tentano truffe e le aziende che fanno telemarketing spietato, e come bonus si ottengono registrazioni esilaranti delle chiamate, che rivelano chiaramente che spesso chi chiama crede di parlare con una persona vulnerabile e la tratta come un pollo da spennare senza pietà. Lo so, prima o poi anche chi fa truffe e vendite telefoniche si armerà di queste voci sintetiche, e a quel punto il cerchio si chiuderà.

Google, invece, ha presentato la funzione Try On, che permette a una persona di provare virtualmente un capo di vestiario visto online: parte da una singola immagine del capo e la manipola con un modello basato sull’intelligenza artificiale per applicarla a un corpo virtuale simile a quello dell’utente, mostrando fedelmente come l’indumento cade, si piega e aderisce al corpo. In questo modo permette di ridurre i dubbi e le incertezze tipiche di quando si compra vestiario online.

L’intelligenza artificiale, insomma, è utile quando non viene usata come sostituto delle persone, ma lavora come assistente di quelle persone per potenziarle, e va adoperata in modo consapevole, senza considerarla una divinità infallibile alla quale prostrarsi, come propongono per esempio -- non si sa quanto seriamente -- gli artisti del collettivo Theta Noir o vari altri gruppi di tecnomisticismo online.

Ma misticismi salvifici a parte, c’è un problema molto concreto che mina alla base tutte queste promesse dell’intelligenza artificiale.

La spada di Damocle

Ai primi di luglio l’attrice comica e scrittrice statunitense Sarah Silverman, insieme ad altri due autori, ha avviato una class action contro OpenAI e Meta, argomentando che i loro servizi di intelligenza artificiale violano il copyright a un livello molto fondamentale, perché includono tutto il testo dei libri di questi autori e dell’attrice, e di circa 290.000 altri libri, senza aver pagato diritti e senza autorizzazione.

Questi servizi si basano sulla lettura ed elaborazione di enormi quantità di testi di vario genere. OpenAI e Meta non hanno reso pubblico l’elenco completo dei testi usati, ma gli autori hanno notato che ChatGPT è in grado di riassumere il contenuto di molti libri con notevole precisione e quindi questo vuol dire che li ha letti. Il problema è che secondo l’accusa li ha letti prendendoli da archivi piratati. In parole povere, queste aziende starebbero realizzando un prodotto da vendere usando il lavoro intellettuale altrui senza averlo pagato [BBC; Ars Technica].

La presenza di opere protette dal copyright all’interno dei software di intelligenza artificiale sembra confermata anche da un’altra osservazione piuttosto tecnica. Molto spesso si pensa che i generatori di immagini sintetiche, come DALL-E 2 o Stable Diffusion, creino immagini originali ispirandosi allo stile delle tante immagini che hanno acquisito, ma senza copiarle pari pari: nella loro acquisizione avrebbero per così dire riassunto l’essenza di ciascuna immagine, un po’ come un artista umano si ispira legittimamente a tutte le immagini che ha visto nel corso della propria vita senza necessariamente copiarle.

Ma un recente articolo scientifico intitolato Extracting Training Data from Diffusion Models, dimostra che in realtà è possibile riestrarre quasi perfettamente le immagini originali da questi software. Questo significa che se un generatore è stato addestrato usando immagini di persone, magari di tipo medico o comunque personale o privato, è possibile recuperare quelle immagini, violando la privacy e il diritto d’autore [Quintarellli.it].

I ricercatori sottolineano che il problema riguarda uno specifico tipo di generatore, quello basato sul principio chiamato diffusion, che è il più popolare ed efficace; altri tipi [i GAN, per esempio] non hanno questa caratteristica. Se il fenomeno fosse confermato, la scala della violazione del copyright da parte delle intelligenze artificiali sarebbe colossale e porrebbe un freno drastico al loro sviluppo esplosivo commerciale. Per ora, però, questo sviluppo continua, e al galoppo: Elon Musk ha appena annunciato x.AI, una nuova azienda di intelligenza artificiale il cui obiettivo leggermente ambizioso è (cito) “comprendere la vera natura dell’universo”.

La questione di dove ci sta portando questo sviluppo poggia insomma su due pilastri: uno è il modo in cui scegliamo di usare queste intelligenze artificiali, per fornire nuove opportunità creative e di lavoro o per sopprimerle; e l’altro è il modo in cui vengono generate queste intelligenze, usando dati pubblicamente disponibili e non privati oppure attingendo ad archivi di provenienza illegittima stracolmi di informazioni sensibili. Forse, prima di tentare di comprendere la vera natura dell’universo, dovremmo concentrarci su questi concetti più semplici.

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