Il mio occhio operato, il giorno dopo l’intervento.
Pubblicazione iniziale: 2023/11/07 14:47. Ultimo aggiornamento: 2023/11/18.
Le altre parti di questa storia sono disponibili qui:
prima,
seconda,
terza.
Piccolo aggiornamento sulla mia vicenda di
body hacking (sostituzione dei cristallini a entrambi gli occhi):
stamattina ho sostituito anche il secondo cristallino.
La procedura è stata notevolmente più rapida e meno dolorosa della precedente;
ho fatto mettere una lente per visione ravvicinata (monofocale che mette a
fuoco gli oggetti vicini), diversa da quella installata nell’altro occhio (che
mette a fuoco gli oggetti lontani), con l’intento di avere una visione nitida
a qualunque distanza senza occhiali e con l’opzione di fare una leggera
correzione ulteriore per le sessioni di lettura o lavoro al computer.
Per ora l’occhio operato è coperto da una conchiglia e da una benda, che
toglierò domani. Sto bene e sono al lavoro, anche se avere il campo visivo
parzialmente oscurato mi rallenta un po’; nei prossimi giorni aggiornerò
questo post con i risultati.
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Una lente intraoculare simile alle mie. Fonte:
Wikipedia.
2023/11/08.
Stamattina ho tolto la benda e fatto il primo esame di controllo: tutto bene.
Posso tenere l’occhio operato scoperto durante il giorno, coprendolo solo di
notte (per proteggerlo da impatti o sfregamenti involontari nel sonno), e posso
già riprendere a guidare. Devo mettere delle gocce quattro volte al giorno e una
pomata di notte.
La lente nell’occhio appena operato (il destro) è gialla, come quella già
installata nell’altro occhio mesi fa, e il mio cervello non ha ancora imparato
a correggere la tinta; di conseguenza vedo tutto più scuro e giallognolo con
l’occhio destro e per ora sono in preda a un divertente
effetto Pulfrich,
per cui vedo gli oggetti con un effetto tridimensionale esagerato (anche nelle
immagini 2D in leggero movimento).
Anche nell’occhio appena operato, come nel precedente, ho al momento un
puntino colorato al centro del campo visivo; è un effetto simile a quello che
si prova quando si guarda il sole e poi si sposta lo sguardo. A differenza
dell’altro occhio, questo puntino non è stellato. Ho anche dei residui
fluttuanti nell’occhio, simili a filamenti (chiamate in gergo “mosche
volanti”), che dovrebbero riassorbirsi nei prossimi giorni, ma comunque ci
vedo più che a sufficienza da poter lavorare.
Ho provato oggi a guidare e non ho avuto assolutamente problemi; ho notato
solo che i fanali delle auto in galleria e le sorgenti luminose puntiformi
hanno delle punte di diffrazione (diffraction spike) molto pronunciate a ore 11 e a ore 5, come nell’altro occhio.
L’aspetto esteriore dell’occhio è molto meno pesto rispetto a quello che aveva
l’occhio precedentemente operato alla stessa distanza di tempo
dall’intervento: sembra che mi sia sfregato troppo l’occhio con le mani, ma
niente di più.
Ho un’altra visita di controllo domattina; aggiornerò ulteriormente questo
post se ci saranno novità.
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2023/11/14. Una settimana dopo l’intervento, non noto più alcuna
differenza di tinta delle immagini fra i due occhi. Il puntino centrale c’è
ancora, e per ora impedisce la lettura delle scritte più piccole, ma sta
scomparendo. Le punte di diffrazione sono scomparse. Giro ormai sempre senza
occhiali, perché vedo bene sia da vicino, sia da lontano (il cervello
seleziona automaticamente l’immagine più nitida).
Uso gli occhiali solo quando devo stare molto tempo a guardare oggetti vicini,
per esempio davanti allo schermo del computer. In questo caso indosso un paio
di quelli che avevo già per la lettura da vicino, al quale ho rimosso la lente
per l’occhio destro (che ha la lente intraoculare tarata per la vista da
vicino e quindi non ha bisogno di correzione; l’occhio sinistro sì). Direi che
la scelta leggermente insolita di installare due cristallini differenti è
andata benissimo.
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2023/11/18. Mi sono fatto dare i dati tecnici delle due lenti
intraoculari: sono delle
Hoya Vivinex iSert, modello XY1, asferiche e gialle, da +21.00D (occhio sinistro) e +22.00D (occhio destro),
con un diametro ottico di 6 millimetri.
Schema del posizionamento della lente nell’occhio.
Questo è un video che mostra l’inseritore e la procedura di inserimento di una di queste
lenti. Attenzione: nella seconda metà il video include immagini di chirurgia.
Piccolo aggiornamento sul mio body hacking (intervento di sostituzione
del cristallino): va tutto bene e finalmente posso andare al cinema a vedere
un film nitidamente (ho scelto
Indiana Jones e il Quadrante del Destino). I puntini scuri nel campo
visivo sono scomparsi, la guida notturna è tornata a essere un piacere e il
bagliore luminoso stellato al centro del campo visivo è diventato quasi
impercettibile.
La vista dell’occhio operato è decisamente migliore di quella dell’occhio non
ancora operato (per il quale l’intervento è previsto per i primi di
settembre). A parte una leggera striatura luminosa a ore 11 e a ore 5 quando
guardo oggetti luminosi su fondo scuro (fanali, lampioni, la Luna), la vista è
tornata com’era anni fa, prima che io iniziassi a mettere gli occhiali, che
ora indosso solo per il lavoro a distanza ravvicinata (per leggere o guardare
lo schermo del computer).
Adesso devo decidere cosa fare per il secondo occhio (il destro). La procedura
standard consisterebbe nell’installare anche lì un cristallino artificiale
dello stesso tipo già installato nel sinistro, ossia una lente che mette a
fuoco da circa un metro fino all’infinito (il cristallino artificiale non ha
accomodamenti come li ha invece il cristallino naturale), ma mi sto accorgendo
che l’occhio non operato vede sfuocato da lontano e a fuoco da vicino (almeno
di giorno) e che nonostante io abbia in questo momento due occhi che mettono a
fuoco a distanze differenti non ho alcun fastidio o disorientamento: anzi,
vedo bene sia gli oggetti lontani, sia quelli vicini. E quindi sto
considerando l’idea di installare un cristallino che metta a fuoco da vicino,
in modo da avere un occhio per la visione di oggetti lontani e l’altro per
quella degli oggetti vicini. In questo modo non dovrei indossare occhiali
praticamente mai.
Ho chiesto al medico che mi sta seguendo, e mi ha detto che sì, c’è gente che
lo fa; è solo questione di preferenze personali. Ma ovviamente non ci sono
garanzie su come il mio cervello elaborerà due immagini con focalizzazioni
così dissimili. Per ora se la sta cavando bene, tutto sommato, ma va detto che
il cristallino naturale che ho ancora è in grado di regolare la propria messa
a fuoco, mentre un cristallino artificiale non potrà farlo. Mal che vada,
comunque, metterei gli occhiali per correggere la “miopia” del secondo
cristallino. Chissà che effetto farebbe con i visori per realtà virtuale o con
gli occhialini per il cinema 3D. Ci devo pensare.
Nel frattempo è scomparso l’effetto Pulfrich (non vedo più in 3D le immagini
2D con movimenti da sinistra a destra) e ho notato una particolarità
dell’occhio operato: quando lo muovo di scatto, percepisco una leggera
oscillazione dell’immagine, che si stabilizza quasi subito. Anche questo, mi
dice il medico, è normale. L’effetto è molto insolito, non fastidioso, e ho
provato a documentarlo con un paio di video ripresi usando semplicemente una
webcam con una lente d’ingrandimento apposita. Se guardate bene, dovreste
intravedere il bordo della lente artificiale (un circolino più piccolo
rispetto alla pupilla) e l’oscillazione dell’umor acqueo sotto la cornea (una
sorta di “effetto budino di gelatina”).
I video sono stati girati rispettivamente 7 e 22 giorni dopo l’intervento.
Anche se vista da fuori l’oscillazione può sembrare impressionante, io in
realtà non la noto affatto, salvo in particolari condizioni di luce (per
esempio quando ho una luce laterale molto intensa), probabilmente per via
della cecità saccadica, ossia la breve interruzione della visione che
si ha normalmente ogni volta che si sposta lo sguardo.
2023/08/31. Piccolo aggiornamento all’aggiornamento: il secondo intervento è stato rinviato al 7 novembre su richiesta del chirurgo, per esigenze sue non legate al mio decorso. Non ho potuto scegliere una data più vicina a causa dei miei impegni già presi e non spostabili, come il CicapFest e varie conferenze alle quali non posso presentarmi con un occhio bendato.
2023/11/07. Intervento eseguito: i dettagli sono qui.
La prima parte di questa storia è disponibile
qui. Ultimo aggiornamento: 2023/06/20 10:45.
13 giugno. Stamattina ho installato il primo cristallino artificiale,
quello per l’occhio sinistro (foto qui accanto, fatta da me prima
dell’intervento usando la mia webcam e la luce di un telefonino). Scrivo
queste righe nel pomeriggio, mentre ho una conchiglia e una benda sull’occhio
operato che fa sembrare che io sia un esponente di una dimenticata e
trasgressiva banda di pirati che usavano reggiseni taglia zero al posto della
tradizionale benda nera. Sì, ci sono foto; no, non le pubblicherò. Il mondo
non è ancora pronto.
Se volete sapere com’è andata e come si svolge un intervento moderno di
sostituzione del cristallino, qui sotto trovate tutti i dettagli. Come ho già
scritto a proposito della prima parte, anche qui vale l’avviso che
questo articolo conterrà immagini e/o concetti che potranno creare ansia o
disgusto negli animi sensibili e che questo articolo non costituisce informazione medica ma è solo un
resoconto da nerd ed è possibile che io abbia interpretato e descritto
male le varie fasi dell’intervento.
Se non volete sapere altro, vi dico subito che a) sto bene, a parte una
sonnolenza epica alla quale ho ceduto con piacere dormendo quasi tutto il
pomeriggio; b) saprò i risultati dell’intervento nei prossimi giorni, visto
che devo tenere la benda fino a domani e ci vuole qualche giorno di
adattamento; c) sto continuando a lavorare usando l’occhio destro. Vedere il
mondo in 2D e con un campo visivo quasi dimezzato è fastidioso ma
sopportabile. Non avverto dolori ma solo un leggero fastidio all’occhio
operato.
Colgo l’occasione per ringraziarvi tutti per le vostre parole di
incoraggiamento e sostegno; fanno molto piacere.
Aggiungo infine un dettaglio da fan dello spazio: l’intervento di sostituzione
del cristallino con una lente artificiale intraoculare non squalifica dal volo
spaziale. Almeno un astronauta è andato nello spazio per una missione di lunga
durata dopo un intervento di cataratta e non ha avuto problemi. Pubblicherò i
dettagli in una prossima Storia di Scienza, ma intanto la cosa che
conta è che posso ancora sperare di andare nello spazio :-)
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Quattro giorni fa ho iniziato la preparazione, che è consistita semplicemente
nel mettere una goccia di antinfiammatorio (Nevanac) nell’occhio ogni sera. Stamattina (13 giugno) alle otto sono andato al
centro oculistico che ho scelto, a Lugano, accompagnato dalla Dama del
Maniero, a digiuno, e lì ho fatto gli ultimi esami agli occhi per confermare
tutta la situazione. Poi un’infermiera mi ha messo nell’occhio sinistro delle
gocce per dilatare l’iride e ho aspettato lungamente (almeno tre quarti d’ora
d’orologio) che facessero effetto. Lì ho deciso che per il secondo occhio mi
porterò un libro o qualcosa da fare per passare il tempo. La Dama, più saggia
di me, è sempre armata del suo libretto di sudoku ultra-difficili.
Finalmente l’occhio è risultato pronto e quindi sono andato a cambiarmi: tuta
da ginnastica, accappatoio, soprascarpe usa e getta sopra le calze (niente
scarpe o ciabatte) e cuffietta da pasticciere in testa per coprire i
capelli. No, non ci sono foto; lascio fare alla vostra perversa
fantasia (o a (Un)Stable Diffusion, if that is your kink).
Dopo i controlli di routine e la preparazione per la blanda sedazione in vena,
sdraiato su un lettino sagomato che tiene molto ferma la testa, sono stato
portato alla prima sala, dove una macchina della
Lensar (ho visto il logo sul display mentre
faceva reboot diverse volte) ha fatto qualcosa mentre i chirurghi mi
preparavano l’occhio, anestetizzandolo con un liquido, divaricando le palpebre
con un aggeggio in stile Arancia Meccanica (uno
speculum palpebrale) e appoggiando con forza sull’occhio quello che mi
è sembrato essere una sorta di cilindretto semitrasparente.
Me stamattina, nella mia immaginazione.
Questa è stata la parte più impegnativa e inaspettatamente dolorosa
dell’intervento: mi hanno spiegato che a causa delle mie orbite
particolarmente infossate (un modo garbato, sospetto, per dirmi che ho una
fisionomia da Neanderthal) è stato particolarmente difficile completare questa
fase preparatoria. Sono stati necessari vari tentativi, tutti svolti premendo
molto energicamente sull’occhio e sulla zona circostante, e tutti parecchio
dolorosi. Se immaginate il dolore di una seduta dal dentista quando
l’anestesia locale prende solo in parte, potete farvene un’idea. Sono contento
di dover rifare la stessa esperienza solo una volta, per l’altro occhio, e non
aspetto con entusiasmo il prossimo intervento (se tutto è andato bene, fra una
settimana).
Mi ci è voluta un bel po’ di concentrazione per stare rilassato e sopportare;
le mie pulsazioni sono rimaste comunque basse e l’anestesista ha osservato che
devo essere per natura “un tipo calmo” (non gli ho spiegato
l’addestramento intensivo che noi Rettiliani subiamo prima di entrare in
servizio sulla Terra). Avevo il viso coperto da un telino chirurgico con due
fessure per gli occhi e una cannula che alimentava ossigeno per consentirmi di
respirare agevolmente.
Per contro, la parte che mi immaginavo più impressionante, ossia la chirurgia
vera e propria, è stata praticamente inavvertibile. Sono stato portato sotto
un altro macchinario, che credo fosse il laser a femtosecondi vero e proprio,
ho tenuto lo sguardo fisso verso una luce molto intensa e fastidiosa, ho
sentito una serie di suoni molto brevi e rapidi (che presumo siano stati il
cicalino di avviso dell’attività del laser), ma non ho avvertito assolutamente
nulla a livello tattile o doloroso, né odori di bruciato come avviene con
altri trattamenti laser. Ho udito i chirurghi che parlavano di
“faco 1” e “faco 2”, probabilmente come abbreviazione di
facoemulsificazione, che è il processo di demolizione del cristallino naturale, affetto da
cataratta, ma non mi sono accorto né di questo processo né del successivo
procedimento di incisione laterale della cornea, di inserimento di un
aspiratore e di aspirazione dei frammenti di cristallino demoliti. Non ho
visto nessuno strumento chirurgico avvicinarsi all’occhio.
Un occhio umano in sezione, spiegato bene. Non mi aspettavo fosse scuro
internamente, ma in realtà è ovvio che sia così (per non creare riflessi
interni, proprio come una fotocamera).
I chirurghi mi hanno parlato periodicamente durante l’intervento, sia per
aggiornarmi sulla situazione sia per controllare come stavo, e a un certo
punto mi hanno annunciato che stavano per inserire la lente artificiale. Tutto
quello che ho dovuto fare è stato guardare fisso verso il soffitto o seguire
la mano del chirurgo messa appositamente davanti a me. Non ho visto gli
strumenti e non ho percepito alcun dolore.
Una volta inserita la lente, mi è stato bendato l’occhio e sono stato lasciato
a riposare qualche minuto. Poi, con l’aiuto dell’anestesista e delle
infermiere, mi sono alzato dal lettino e sono stato accompagnato a sedermi su
una poltrona per qualche altro minuto di recupero. Superata anche questa
pausa, sono andato a rivestirmi, facendo attenzione a muovermi perché
ovviamente mi mancava la percezione stereoscopica delle distanze degli oggetti
e degli ostacoli. Alle 10.40 era tutto finito.
Due parole rapide con il chirurgo coordinatore dell’intervento per concordare
la visita di controllo di domattina e sull’antidolorifico da prendere in caso
di dolore, e poi via a fare finalmente colazione al bar con un caffé e uno
squisito tortino caldo al cioccolato. Da lì siamo tornati a casa, portati da
una nostra amica. Io mi sono buttato sul divano a dormire per riprendermi
dalla tensione dell’intervento e dopo pranzo me la sono presa comoda per un
po’ intanto che mi abituavo alla vista con un solo occhio, per poi mettermi a
scrivere questo articolo. Poi ho dormito di gusto ancora quasi tutto il
giorno, preso da una sonnolenza micidiale.
Ora non resta che scoprire, domani, come funziona il mio primo occhio bionico,
quando mi toglieranno la benda.
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14 giugno. Stamattina ho fatto la prima visita di controllo e ho tolto
la benda: la prima impressione è stata la forte differenza di colore fra
l’occhio operato, che vede tutto tinto di giallo, e quello non operato, che
vede i colori normali. Questo è un effetto previsto, perché la lente
intraoculare è gialla (come protezione UV, mi dicono) e nel giro di pochi
giorni il cervello correggerà automaticamente la colorazione.
La vista adesso è a 6/10, che secondo il medico è già un buon risultato a 24
ore dall’operazione e dovrebbe migliorare progressivamente nei prossimi giorni
man mano che la cornea riprende la propria forma naturale dopo il trauma del
taglio e dell’intrusione degli strumenti. Per ora vedo tutto molto sfuocato, a
parte delle particelle sospese dentro l’occhio operato: sembrano granellini o
bollicine e presumo che si trovino quindi davanti al cristallino artificiale.
Anche questa visione, che credo si chiami
miodesopsia
anche se riguarda l’umor acqueo
invece di quello vitreo, dovrebbe svanire nel giro di pochi giorni.
Di giorno tengo scoperto l’occhio, che è solo leggermente arrossato nella
sclera (il bianco degli occhi) e non mi fa male; lo devo coprire di
notte con una conchiglia rigida appoggiata sul viso, per proteggere l’occhio
contro sfregamenti involontari o impatti e pressioni durante il sonno. Devo
applicare gocce e pomate quattro volte al giorno per i prossimi giorni.
Sono già abilitato alla guida e oggi farò una breve prova nel vicinato. Domani
ho un’altra visita di controllo e poi si tratterà di decidere se fare
l’intervento all’altro occhio, che ora è previsto per il 20 giugno.
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15 giugno. La prova di guida (diurna) di ieri è andata bene: non ho
ancora la piena nitidezza nell’occhio operato, ma ci vedo comunque più che
abbastanza per percepire le distanze e guidare con tranquillità e senza
incertezze.
La visita di controllo di stamattina indica una progressiva guarigione, ma
come dicevo la vista non è ancora tornata a sufficienza da permettermi di
leggere e quindi di lavorare, per cui abbiamo deciso di rinviare l’intervento
al secondo occhio a settembre, per dare tutto il tempo a quello già operato di
riprendere la piena funzionalità.
Al momento il fastidio principale, oltre a una visione piuttosto sfocata che
sta diventando gradatamente più nitida, è la presenza di un piccolo bagliore
circolare con sei punte proprio al centro del campo visivo. Non c’è se tengo
l’occhio chiuso; compare solo quando guardo qualche oggetto illuminato (un
foglio di carta, un monitor) e poi sposto lo sguardo o sbatto le palpebre, e
ha lo stesso aspetto del bagliore che rimane temporaneamente dopo aver
guardato il sole, ma è più piccolo.
Inoltre nella zona centrale del campo visivo ho dei puntini scuri molto netti,
disposti in modo casuale ma fisso, che si spostano all’unisono insieme alla
direzione dello sguardo. Sono differenti dalle “mosche volanti” sfuocate che
si vedono normalmente: questi punti sono ben scontornati (immaginate dei
puntini fatti con una biro nera su un foglio) e alcuni sembrano anulari (hanno
il centro chiaro).
Per i prossimi giorni non mi resta che aspettare che la vista migliori e
mettere le gocce antibiotiche nell’occhio. Di notte tengo l’occhio coperto con
una conchiglia apposita, come ho già descritto. Aggiornerò questo articolo se
ci saranno novità.
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16 giugno. La vista dall’occhio operato è migliorata notevolmente: è
ancora velata, ma ora posso leggere anche caratteri piuttosto piccoli.
Leggerei anche meglio se non ci fosse, proprio al centro del mio campo visivo,
quel persistente bagliore a sei punte. I puntini neri sono diminuiti, ma ci
sono ancora.
La colorazione gialla dell’immagine è praticamente scomparsa: pur avendo
installato una lente decisamente gialla, il mio cervello ha imparato a
correggere la tinta nonostante sia presente in un occhio e non
nell’altro.
Questa differenza di colore è probabilmente alla base di un altro effetto
decisamente inaspettato e bizzarro: ieri ho “visto in 3D” un video 2D.
È arrivata fresca fresca la prima puntata della seconda stagione di
Star Trek - Strange New Worlds (che si conferma una gran bella serie),
e la Dama e io l’abbiamo guardata subito sul nostro monitor OLED 4K (la
puntata era comunque in 2K). A un certo punto ho avuto la nettissima,
disorientante sensazione che le scenografie e le astronavi fossero in 3D. Per
un istante ho proprio pensato “Wow, com’è naturale questo effetto 3D”,
e subito dopo mi sono reso conto che non stavo guardando un video
stereoscopico.
Una spiegazione possibile è l’effetto Pulfrich, che normalmente si ottiene mettendo un filtro scuro su un occhio. La
presenza del filtro genera un leggero ritardo nell’elaborazione dell’immagine
vista dall’occhio coperto dal filtro; se l’inquadratura si sposta
lateralmente, il cervello riceve contemporaneamente due fotogrammi differenti,
che in realtà sono leggermente sfalsati nel tempo, e questo produce
parallasse, che il cervello interpreta come tridimensionalità.
È una tecnica usata per certi effetti 3D cinematografici e televisivi,
soprattutto in passato, ma ha il limite di funzionare solo in scene che hanno
un movimento laterale continuo e pronunciato; non funziona se gli oggetti sono
statici o si muovono verticalmente. In effetti ho notato il fenomeno
specificamente nelle scene in cui l’inquadratura si spostava lateralmente o un
soggetto attraversava la scena da sinistra verso destra o viceversa.
Affascinante.
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20 giugno. Il mio cervello ha imparato a correggere la tinta gialla del
cristallino artificiale e ora vedo i colori allo stesso modo con entrambi gli
occhi. Addio effetto Pulfrich naturale, ma pazienza (posso sempre indurlo con
un filtro davanti a un occhio). Nel frattempo la nitidezza della vista è
aumentata notevolmente, i puntini neri sono quasi scomparsi (non so se per
adattamento automatico del cervello o se sono fisicamente stati riassorbiti) e
resta solo il piccolo bagliore circolare con sei punte al centro esatto del
campo visivo, che è un notevole fastidio per la lettura di precisione ma è
tollerabile per tutte le altre attività.
Ho fatto vari controlli presso il centro oculistico dove sono stato operato e
mi dicono che tutto procede bene e che il bagliore dovrebbe svanire man mano.
Ho fatto un test di guida notturna e la vista complessiva è
molto migliore rispetto a prima dell’intervento (e di notte il bagliore
non c’è o perlomeno non lo noto). Ora ho una cognizione molto chiara delle
distanze e le luci delle auto non creano più confusione e aloni. Però l’occhio
non operato sta ancora facendo molto supporto a quello operato e quindi credo
di aver fatto bene a rinviare il secondo intervento.
Adesso guido senza occhiali da vista e indosso gli occhiali solo per la
lettura di caratteri piccoli a distanza ravvicinata (per esempio quando lavoro
al computer). Rispetto alla situazione di qualche giorno fa è tutto molto più
rassicurante. Ora devo solo continuare con gocce antibiotiche e pomate
notturne per qualche giorno, a scalare, ma a parte questo sono tornato alla
normalità.
Qualche mese fa mi è stata diagnosticata una cataratta nucleare a entrambi gli
occhi; a giugno installerò cristallini artificiali per risolverla. Da
appassionato di informatica, non so resistere all’idea di considerare la cosa
come un caso di body hacking interessante da raccontare. Ma confesso
che quest’idea mi serve anche per esorcizzare la fifa blu di farmi perforare
gli occhi come Jean-Luc Picard in Star Trek: Primo Contatto. Beh, non proprio allo stesso modo, però...
È quasi comico che nel ventunesimo secolo abbiamo una tecnologia superiore a quella dei Borg di Star Trek. E meno male.
Prima di tutto, vorrei sdrammatizzare la situazione. Sto bene, tutto sommato,
e mi rendo perfettamente conto che c’è tanta gente che sta infinitamente
peggio di me e non ha accesso al livello di cure mediche al quale ho il
privilegio di accedere io.
La mia condizione attuale è che la cataratta mi vela la vista di notte o al buio e crea aloni intorno alle luci, riducendo
la nitidezza e il contrasto, per cui andare al cinema è uno strazio (soprattutto per un appassionato di alta definizione come me), le luci laterali mi abbagliano (lavorare negli studi TV è una faticaccia) e per maggiore sicurezza ho deciso di smettere di guidare quando
c’è buio (gli aloni intorno ai fanali sono un fastidio fortissimo e rendono molto più faticosa la percezione delle distanze).
Di giorno, invece, vedo benissimo, anzi
paradossalmente meglio di qualche anno fa, tanto che ho smesso di portare gli
occhiali. Questa “seconda vista” è un fenomeno frequente in queste condizioni
ed è una delle crudeli ironie della natura: proprio quando devi trovare il
coraggio di farti mettere delle lame negli occhi ci vedi meglio. Ma razionalmente so
che è un miglioramento che passerà in fretta se non faccio un upgrade. Me ne sono reso conto, in particolare, qualche mese fa, quando ho indicato alla Dama del Maniero un bellissimo arcobaleno circolare intorno alla Luna piena e lei mi ha chiesto perplessa “Quale arcobaleno?”.
Detto questo, avviso subito che
questo articolo conterrà immagini e concetti che potranno creare ansia o
disgusto negli animi sensibili.
In fin dei conti, si tratta di un intervento chirurgico agli occhi. Se questo
pensiero vi crea agitazione, non leggete oltre. Ne riparleremo tra qualche
settimana.
Aggiungo infine che
questo articolo non costituisce informazione medica. È solo uno
spiegone da nerd. Se avete bisogno di informazioni mediche, consultate
un medico (non Google).
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Cominciamo dalle basi: la cataratta nucleare è un graduale offuscamento della
parte centrale (nucleo) del cristallino, che è la lente naturale che mette a
fuoco le immagini sulla retina (fonte:
Manuale MSD). Speravo che c’entrasse qualcosa l’energia atomica, ma no.
Nell’illustrazione qui sotto, che mostra schematicamente un occhio umano in
sezione, il cristallino è l’ovale al centro.
Per risolvere la cataratta, il cristallino va rimosso e sostituito con una
lente artificiale. Ma farlo senza danneggiare l’occhio non è banale: è
necessario praticare due piccoli tagli laterali nell’occhio, raggiungere il
cristallino attraverso quei tagli, all’interno della capsula che lo contiene,
farlo a pezzi e poi estrarre i pezzi con un aspiratore, inserendo infine appunto una lente sintetica. Questo intervento
viene fatto da svegli, sotto anestesia locale e lieve sedazione, e ovviamente
si vede tutto. Almeno fino al momento in cui viene distrutto il
cristallino. Brrr.
Fare a pezzi un cristallino significa usare un emettitore di ultrasuoni che lo
sbriciolano, cosa piuttosto traumatica per l’occhio ma comunque gestibile,
oppure usare un laser per tagliare il cristallino a dadini. Il vantaggio del
laser è che agisce dall’esterno, attraverso la parte trasparente frontale
dell’occhio, è meno traumatico per l’occhio rispetto agli ultrasuoni ed evita il rischio di tagli posteriori alla capsula prodotti dagli strumenti chirurgici. Questo laser emette
impulsi che durano femtosecondi (milionesimi di miliardesimi di
secondo) e sono posizionati e orientati usando un sistema in realtà aumentata
che pianifica tutti i puntamenti del raggio che trapassano progressivamente il
cristallino fino a sezionarlo. Ho scelto la soluzione laser.
Una volta aspirati i dadini di cristallino (attraverso uno dei piccoli tagli laterali praticati dal chirurgo), viene inserita la lente
sostitutiva, passando attraverso i piccoli tagli laterali già praticati per
inserire gli strumenti precedenti. La lente è flessibile e viene inserita
arrotolata, dispiegandosi all’interno dell’occhio, dentro la parte rimanente della capsula, e poi viene posizionata dal
chirurgo e agganciata con due bracci o uncini morbidi.
Esistono vari tipi di lente intraoculare, anche con focali multiple che permettono di vedere a fuoco sia da vicino sia da lontano, ma le loro prestazioni sono un compromesso, per cui ho scelto una lente monofocale che mi dovrebbe dare una messa a fuoco perfetta, anche di notte, da circa un metro di distanza fino all’infinito. Per le distanze inferiori userò gli occhiali, come prima.
La lente artificiale ha una messa a fuoco fissa, a differenza del cristallino, la cui forma viene modificata dai muscoli intraoculari per mettere a fuoco a distanze differenti. Con la lente sostitutiva si perde la possibilità di mettere a fuoco, ma non è un grosso problema, dato che la forma della lente mette a fuoco tutto sempre (entro la gamma di distanze scelta).
Il video seguente, già posizionato al punto giusto, mostra in dettaglio la procedura di eliminazione della cataratta. Su YouTube trovate anche le riprese delle operazioni, che sono un po’ più splatter di queste animazioni pulitine e rassicuranti.
Quest’altro video mostra una procedura leggermente differente ma chiarisce bene le varie fasi:
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L’operazione in sé è piuttosto breve; si torna subito a casa e nel giro di qualche ora si può usare l’occhio operato senza problemi. Le uniche precauzioni sono di non guidare subito (per via della sedazione e del riadattamento del cervello alla nuova visione), indossare occhiali scuri per qualche ora, mettere regolarmente gocce disinfettanti, e non fare sforzi o assumere posizioni che possano aumentare la pressione intraoculare, perché questo potrebbe far riaprire i tagli laterali (che normalmente si rimarginano da soli). Vi risparmio l’elenco delle posizioni e soprattutto degli, uhm, sforzi, che è particolarmente pittoresco. Ovviamente vanno evitate per qualche giorno anche le nuotate e gli ambienti polverosi.
I medici che mi stanno seguendo sanno che lavoro faccio e quindi hanno prevenuto subito la “sindrome del dottor Google” dandomi loro le parole chiave da cercare online per conoscere meglio la procedura medica: femto cataract lensar (da usare anche su YouTube). Lensar è il nome della ditta che produce questi apparecchi medicali laser. Mi hanno ovviamente spiegato personalmente in dettaglio tutta la procedura e tutti i pro e contro delle varie opzioni.
Da fuori non si nota nulla a occhio nudo (salvo forse in certe condizioni di luce, nelle quali si vede un riflesso come quello degli occhi dei gatti, dice Francesco via Twitter). Purtroppo l’intervento non sembra conferire superpoteri o un miglioramento dello spettro visibile. I Rettiliani mi dicono che i miei impianti bioplasmatici non verranno influenzati.
Ho già fatto tutti gli esami medici preliminari e non ci sono complicazioni. Il 13 giugno farò il primo intervento; se tutto va bene, il 20 giugno farò il secondo. Nel frattempo, farfalle nello stomaco a parte, tutto va avanti come prima.
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Venerdì 9 giugno. Ho fatto un ultimo controllo agli occhi e ho scelto da quale occhio iniziare: quello sinistro (nessun motivo particolare, è stata una scelta mia del tutto casuale). Iniziano i preliminari: una goccia di soluzione oftalmologica antinfiammatoria (Nevanac) al giorno. Nessun fastidio.
Sabato 10 giugno. Una goccia, come sopra.
Domenica 11 giugno. Altra goccia, come sopra. Mi sforzo di memorizzare come ci vedo adesso con l’occhio sinistro, per poter poi fare il confronto.
Lunedì 12 giugno. Ultima goccia di antinfiammatorio, ultima cena pre-intervento (ci si deve presentare a digiuno). L’intervento è domattina.
Martedì 13 giugno, 6:00. Sveglia alle sei, senza colazione, poi doccia e preparativi: mi è stato chiesto di portare un pigiama o una tuta in cui cambiarmi per l’intervento. Un’amica porterà la Dama e me al luogo dell’intervento, a Lugano (dopo l’intervento non si può guidare, perché un occhio è coperto e la sedazione leggera potrebbe causare problemi, come dicevo), alle 8 del mattino. Chicca: oggi è il nostro anniversario di matrimonio. È un modo bizzarro di festeggiarlo, ma non c’erano altre date libere e quindi abbiamo deciso di chiudere un occhio.
Martedì 13 giugno, 12:25. Rieccomi al Maniero, dopo una dormita per recuperare lo stress dell’intervento, che è stato un pochino più impegnativo del normale ma sembra essere andato bene. Cose che capitano a noi Rettiliani. Racconto tutti i dettagli nella seconda parte di questa storia.
Siamo tutti un po’ fermi, tappati in casa, inquietati dalla pioggia di disdette di eventi e incontri (a proposito: la mia conferenza a Bologna del 7 marzo è stata annullata), incerti su cosa fare per questo coronavirus. L’unico beneficio di questa situazione è che gli antivaccinisti stanno spettacolarmente zitti. Ma che strano: così baldanzosi nel negare la scienza eppure così rapidi nel rifugiarsi sotto le sue sottane al primo allarme.
Per fortuna ci sono persone che usano la scienza, non la pancia, per ragionare sul problema.
Nino Cartabellotta, medico chirurgo specializzato in gastroenterologia e in medicina interna della Fondazione GIMBE (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze), sta monitorando la situazione sulla base dei dati disponibili e ha pubblicato questo modello predittivo che sembra dare una speranza e una scadenza. Se stiamo tranquilli e fermi il più possibile, potremmo rallentare la diffusione e trovarci presto liberi da quest’inquietudine.
Pubblicherò gli aggiornamenti man mano che verranno rilasciati.
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Spero di fare un po’ di prevenzione antibufala, così magari si evita che arrivi anche nei media di lingua italiana la “notizia” secondo la quale l’uso intensivo di smartphone e tablet, che inducono l’utente a tenere la testa chinata per lunghi periodi, starebbe inducendo la crescita di “corna”, o meglio di protuberanze ossee sulla nuca.
Tutto nasce da un articolo medico pubblicato nel 2018 su una rivista di settore e recentemente citato dalla BBC in un suo articolo dedicato allle trasformazioni dello scheletro indotte dallo stile di vita odierno.
Io il debunking preventivo l’ho fatto. Ma temo che la tentazione di parlare di corna, con un doppio senso tutto italiano che non esiste in inglese, sarà irresistibile per molti giornalisti in cerca di clic facili.
Chi soffre di apnea ostruttiva nel sonno dipende da speciali macchine, denominate CPAP (Continuous Positive Airway Pressure), che vanno regolate con precisione per non causare danni.
Secondo quanto riferisce Motherboard, una delle aziende che fabbrica queste macchine e le vende in tutto il mondo si chiama Resmed. L’azienda cifra i dati generati dalle proprie macchine e si aspetta che i pazienti portino questi dati a mano ai propri medici su schedine di memoria SD e che i medici leggano questi dati per calibrare le macchine usando un programma speciale, ResScan, che i pazienti non possono acquistare: un procedimento assurdamente lento e complicato, che anche i medici hanno pochissimo tempo di eseguire.
Ma Mark Watkins, uno sviluppatore australiano affetto da quest’apnea, ha scritto un software, Sleepyhead, che decodifica i dati cifrati e permette ai pazienti di fornirli ai propri medici oppure di interpretarli ed effettuare piccole regolazioni degli apparecchi senza doversi sottoporre a queste trafile.
Piccolo problema: distribuire Sleepyhead è probabilmente illegale in molti paesi, perché le macchine di CPAP della Resmed usano una cifratura anticopia (DRM, Digital Rights Management) per proteggere l’accesso al proprio funzionamento, come tanti altri dispositivi per uso medico, e disseminare strumenti che scavalchino queste protezioni è spesso una violazione delle leggi sulla pirateria informatica. Usare questi strumenti è legale, ma diffonderli non lo è. Un amico che ne fornisce una copia a un malato commette un reato.
Ovviamente questo fai-da-te è rischioso anche dal punto di vista medico oltre che da quello legale, ma per molti pazienti l’alternativa è aspettare mesi per una regolazione professionale che consenta loro di dormire adeguatamente, e quest’attesa può essere devastante per la salute, per i rapporti sociali e per il lavoro.
Non è l’unico caso di hacking da parte di utenti per riprendere il controllo dei propri dispositivi, perché usare il copyright e i meccanismi anticopia per controllare l’uso delle macchine o degli elettrodomestici acquistati dagli utenti è una prassi diffusissima. Ci sono agricoltori che lo fanno per poter riparare i propri trattori della John Deere. Esistono persino macchine per il caffé della Keurig che usano la legge e i sistemi antipirateria per vietare agli utenti di adoperare cialde di altri produttori. Se non siamo padroni dei nostri dispositivi, non siamo utenti: siamo schiavi digitali.
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/06/02 16:50.
La magistratura è stata spesso criticata per le sue ingerenze in una questione schiettamente scientifica come il presunto (e smentitissimo) legame fra vaccini e autismo, rivelatosi poi una truffa. Molti genitori, comprensibilmente preoccupati, hanno considerato alcune sentenze come prove inoppugnabili di questo legame, dimenticando che i criteri giuridici di assegnazione di una pena o di un risarcimento sono molto diversi da quelli dei risultati scientifici. In particolare è stato dato peso alla sentenza del Tribunale di Rimini del 2012, poi ribaltata in appello.
Ora arriva la notizia che la Procura di Trani ha concluso che “non sussiste alcuna relazione tra vaccinazione e insorgenza della malattia” nell'ambito di un’indagine partita in seguito alla denuncia di una coppia di genitori, secondo i quali l'autismo che ha colpito i loro due figli sarebbe stato causato dalla vaccinazione trivalente contro morbillo, parotite e rosolia.
Non voglio assolutamente mettere in secondo piano la sofferenza della famiglia o mettere in dubbio la sua buona fede: capisco benissimo che di fronte a una situazione drammatica, circondati da un bombardamento mediatico disinformante, dei genitori possano volere una spiegazione e cercare un colpevole.
Ma questa ricerca di una giustificazione e di un colpevole sta causando danni seri. Il rifiuto delle vaccinazioni, istigato da dicerie che non hanno alcuna prova oggettiva, sta facendo riemergere malattie quasi dimenticate e sta causando sofferenze e morti. Sì, morti: se non ci si vaccina, di morbillo si può morire: ci sono stati 114.900 morti nel mondo nel 2014, secondo i dati dell'OMS. Prima delle vaccinazioni di massa erano due milioni e seicentomila l’anno.
Che cosa è successo alla Procura di Trani? Molto semplicemente, la Procura ha incaricato degli esperti (un neurologo, un medico legale, un pediatra, un cardiologo e il direttore del dipartimento di malattie infettive, parassitarie e immunomediate dell’Istituto Superiore di Sanità) e li ha ascoltati. Quello che in teoria dovrebbe succedere sempre. Questi esperti hanno portato una montagna di prove: in positivo, ricordando che il legame vaccini-autismo è una truffa architettata da un ex medico britannico, Andrew Wakefield: e in negativo, presentando gli studi scientifici che hanno cercato in mille modi qualche traccia di correlazione e non l’hanno trovata.
L’autismo, insomma, ha altre cause: quali siano non si sa ancora, ma è ora di piantarla di sprecare tempo e soldi cercandole dove sappiamo benissimo che non ci sono. Ed è ora che chi dissemina la balla del legame vaccini-autismo si renda conto che sta aiutando un truffatore, Wakefield, che s’è intascato mezzo milione di euro fregandosene delle vite dei bambini che metteva a rischio ed è ancora in giro a far danni. Io non sono un medico, ma conosco le truffe. Ed è ora di dire chiaro e tondo che chi fa antivaccinismo spalleggia un truffatore.
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Per quanto riguarda le critiche degli esperti della Procura di Trani alle linee guida dell’OMS sulle vaccinazioni e la loro proposta di “eseguire alcuni esami ematochimici nei soggetti a rischio e, in particolare, nei bambini piccoli” per “avere qualche elemento in più per capire se sono nella condizione di sopportare lo stress immunitario delle vaccinazioni senza rischi gravi per la salute”, va sottolineato che le linee guida sono calibrate sulle condizioni sanitarie di tutti i paesi del mondo. Ci dimentichiamo spesso che gran parte dell’umanità non ha acqua potabile, ha disperato bisogno dei vaccini per evitare decine di migliaia di morti l’anno e non può permettersi il nostro lusso di chiedere esami su esami nella remota ipotesi che ci sia un eccessivo stress immunitario. Questi sono atteggiamenti da primo mondo.
In questo senso sono chiare le parole di Alberto Villani, vicepresidente della Società italiana di Pediatria: “Le linee guida dell’Oms sui vaccini sono elaborate per tutto il mondo, e vanno poi adattate ai singoli paesi... tengono conto della situazione di tutti, poi sta al singolo stato adattarsi”. Sullo “stress immunitario” la sua risposta è altrettanto chiara: “Un banale raffreddore determina in un organismo una risposta anticorpale equivalente ad eseguire più di mille vaccinazioni”. Quindi l’idea che la vaccinazione trivalente causi uno stress eccessivo è una bufala. E il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi, ha rincarato la dose: “Non c'è alcun test del sangue da fare prima delle vaccinazioni per indicare il rischio di eventuali effetti collaterali... sarebbe inaccettabile, sia dal punto di vista etico che scientifico, sottoporre bambini piccolissimi a test invasivi, inutili e costosi”.
Infine va chiarito, giusto per scrupolo, che questi ipotetici “esami ematochimici” non avrebbero assolutamente lo scopo di rivelare eventuali sintomi di autismo.
Oggi dalle 18:30 sarò a Milano per partecipare a Social Health – Quando la rete e i social media sono un’opportunità per la Salute, un incontro organizzato da Assosalute (Associazione nazionale per i farmaci di automedicazione) e riservato ai rappresentanti delle aziende farmaceutiche associate, ai medici e farmacisti, a associazioni di consumatori, ai partner di business dell'associazione e ai giornalisti che si occupano di salute.
Sarà l'occasione per presentare SemplicementeSalute.it, il sito di Assosalute che intende offrire informazioni affidabili sui farmaci di automedicazione e contenere i danni causati dalle bufale mediche veicolate dai Internet ma anche da chi fa giornalismo poco responsabile (e qui racconterò ai colleghi alcuni esempi egregi di cosa non fare nella comunicazione medica). L’incontro ha l’appoggio strategico di Wired.it e con me ci sarà anche Marco Massarotto (@marcomassarotto) per parlare di come i social network influenzano le nostre decisioni di salute.
L'articolo è stato aggiornato estesamente dopo la pubblicazione iniziale.
La notizia di questi giorni secondo la quale un uomo paralizzato, Darek Fidyka, avrebbe ripreso a camminare dopo un trapianto di cellule dai bulbi olfattivi del cervello non ha le caratteristiche tipiche di una bufala, ma mi sembra presentata da varie testate generaliste in modo ingannevole. Provo a fare un po' di chiarezza e vi chiedo di darmi una mano attraverso i commenti.
A favore della credibilità c'è il fatto che la sperimentazione, svolta da un gruppo di medici principalmente polacchi, è stata pubblicata da una rivista scientifica (Cell Transplantation) ed è il traguardo di un lungo e cauto percorso ben documentato. L'articolo è intitolato Functional regeneration of supraspinal connections in a patient with transected spinal cord following transplantation of bulbar olfactory ensheathing cells with peripheral nerve bridging ed è reperibile qui.
C'è anche la relativa limitatezza dei risultati raggiunti fin qui: non è vero che l'uomo ha ripreso a camminare in modo del tutto autonomo, come possono dare a intendere alcuni titoli di notizie: ha ampio bisogno di supporti e di un tutore. Non si tratta di un recupero miracoloso. Tuttavia le sue condizioni sembrano nettamente migliori rispetto a uno stato di paralisi totale e quindi i risultati, se confermati, sarebbero importantissimi per chiunque sia colpito da paralisi traumatica: secondo l'abstract della pubblicazione, il paziente ha beneficiato di un “parziale recupero dei movimenti volontari degli arti inferiori... e di un parziale recupero della sensazione superficiale e profonda”.
Un altro aspetto che distingue questa procedura da quelle dei ciarlatani è che i medici non hanno invocato segreti da custodire o altre scuse: hanno pubblicato tutti i dettagli della sperimentazione.
Aggiungo, infine, che la BBC sta seguendo e documentando il caso e di solito la BBC lavora con molto rigore. Non è Raidue con la redazione di Voyager, per intenderci. L'emittente britannica ha trasmesso un'inchiesta la sera del 21 ottobre nel programma Panorama.
Cauto ottimismo, quindi: bisogna attendere che l'operazione venga ripetuta su altri pazienti per verificare che la ripresa parziale della sensibilità e della parziale capacità di camminare non sia dovuta a guarigione spontanea e sia realmente un effetto ripetibile dell'operazione.
Questo articolo vi arriva grazie alla gentile donazione di “robertotom*”.
Le case farmaceutiche truccano i risultati dei test dei propri farmaci, usando metodi paradossalmente legali per farli sembrare ben più efficaci e necessari di quel che sono in realtà. No, non avete sbagliato blog. Non siete finiti per errore su Luogocomune o qualche altra bettola di complottisti.
L'accusa non è un delirio campato per aria, ma è il documentatissimo risultato dell'indagine di uno dei più popolari debunker britannici, Ben Goldacre, che dopo aver messo in luce con Bad Science gli inganni usati dai ciarlatani e dai giornalisti cialtroni per sdoganare le pseudoscienze si è ora dedicato, con gli stessi strumenti inesorabili, a chiarire come funziona la ricerca farmaceutica moderna. Risultato: funziona male, inganna i medici e danneggia i pazienti.
Goldacre ha scritto un libro, Bad Pharma, che invito tutti a leggere (spero ne esca presto una buona traduzione in italiano), specialmente i complottisti, per capire come si fa a fare e presentare la vera ricerca e come si distingue una tesi di complotto farlocca da un'accusa seria. La differenza sta in una singola parola: fatti.
Goldacre esamina anche il caso Tamiflu, emblematico di un modo di procedere in cui i test vengono svolti dalle case farmaceutiche, che poi pubblicano soltanto quelli favorevoli e insabbiano gli altri. È lo stesso metodo dei cartomanti e dei sensitivi: mettere in evidenza i successi e seppellire i fallimenti, per sembrare straordinari. Non è il solo trucchetto che viene usato, ma il resto va letto nel libro.
A differenza di tante tesi di complotto che lanciano accuse generiche, qui ci sono nomi e cognomi e ci sono anche soluzioni, come per esempio rendere obbligatoria la pubblicazione di tutti i metodi e risultati di tutti i test. La campagna di Goldacre sta già ottenendo risultati: la pressione dell'opinione pubblica ha già convinto GSK (GlaxoSmithKline) a promettere la pubblicazione integrale dei test, e la petizione su Alltrials.net (traduzione italiana qui) sta già riscuotendo successo in termini di pubblico e di politica.
Se vi interessa saperne di più, il CICAP ha pubblicato una serie di articoli su Bad Pharma. Sì, il CICAP, quello accusato di essere al soldo delle case farmaceutiche, va contro le case farmaceutiche. Perché i fatti e il metodo d'indagine scientifico non guardano in faccia nessuno.
Sia ben chiaro: tutto questo non vuol dire che la medicina e i farmaci non funzionano e che è meglio tornare agli stregoni o alla pranoterapia o ai sassolini magici. I rimedi alternativi non funzionano per niente (salvo un congruo effetto placebo): le medicine, invece, di solito funzionano. Ma per farle funzionare meglio e non farsi imbrogliare bisogna controllare e sorvegliare chi le fa e chi le vende. Senza eccezioni.
Far ricrescere falangi e muscoli non è più fantascienza
Recentemente Discover Magazine ha pubblicato un articolo affascinante sulla rigenerazione dei tessuti umani che sembra attingere a piene mani alla fantascienza di Doctor Who pur essendo molto reale (anche se alcuni aspetti sono controversi). Ho chiesto a Elena Albertini, whoviana DOC, di raccontarlo per il Disinformatico. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Per favore, leggete l'intero articolo e gli aggiornamenti prima di giudicare.
Si sa che del maiale non si butta via niente, ma da qui a pensare che ci potrebbe trasformare tutti in novelli Jack Harkness o Dottori di Doctor Who ce ne passa. Eppure il maiale è fondamentale per una nuova tecnica di rigenerazione dei tessuti che permetterebbe di ricostruire parti mancanti complesse, come un dito o addirittura un arto completo.
Non si tratta quindi di rigenerare solo un tipo di tessuto, per esempio il tessuto muscolare asportato per un incidente o per un tumore, ma anche ossa, cartilagine e quant'altro. Fantascienza?
Nel 2007 Discovery Channel trasmise un documentario nel quale narrava la storia di un veterano di guerra, Lee Spievack, che aveva perso una porzione della prima falange di un dito, recisagli da una pala di un modellino di aeroplano. Il fratello di Spievack, chirurgo a Boston, gli aveva inviato una polvere “magica”, dicendogli di spargerla sulla ferita, avvolgere la mano con della plastica e applicare la polvere un giorno sì e uno no fino a quando non avesse terminato la quantità che gli aveva mandato. Dopo quattro mesi la falange di Lee si era rigenerata: unghia, osso, muscolo... tutto quanto, come si vede qui accanto. Evito di mostrarvi immagini della falange prima della rigenerazione; le trovate in Rete.
Agli appassionati di fantascienza non può che venire in mente il caro dottor McCoy che con due semplici pastiglie fa ricrescere un rene a una paziente in attesa della dialisi nel film Star Trek IV, oppure la mano amputata al Dottore e rigenerata in pochi minuti nel episodio The Christmas Invasion di Doctor Who, appunto. Eppure non si tratta di fantascienza, ma scienza vera e propria.
Questa “polvere magica” è composta da una parte della vescica di maiale conosciuta come matrice extracellulare o MEC, una sostanza fibrosa che occupa gli spazi tra le cellule. Un tempo si pensava fosse semplicemente materiale che teneva insieme le cellule; ora invece si sa che contiene proteine molto interessanti (laminina, collagene e fibronectina) che possono risvegliare le capacità latenti del corpo di rigenerare i tessuti.
Un altro caso è quello del caporale americano Isais Hernandez. In un'esplosione aveva perduto il 70% del muscolo della coscia destra ed era stato sottoposto a un intervento nel quale una parte di un muscolo della schiena gli era stato trapiantato nella coscia. Il risultato non era affatto soddisfacente, ma era l'unica alternativa all'amputazione.
Sfortunatamente, se buona parte del muscolo di un arto viene rimosso è molto facile perdere completamente la funzionalità dell'arto e le probabilità di rigenerazione del muscolo sono molto remote. Il corpo, infatti, entra in modalità di sopravvivenza e cerca di chiudere la ferita il più in fretta possibile per evitare infezioni, utilizzando tessuto cicatriziale, che però indebolisce l'arto, lasciandolo storpio.
Dopo tre anni di fisioterapia faticosa e dolorosissima, la gamba di Hernandez non presentava miglioramenti di sorta. Si rivolse quindi al dottor Wolf, che inserì nella gamba uno strato sottile della stessa sostanza usata per la “polvere magica”. I risultati furono sorprendenti: il muscolo ricominciò a crescere e dopo sei mesi la forza nella gamba era aumentata dell'80%. Oggi Hernandez ha ritrovato la completa funzionalità della gamba destra.
Adesso la sfida è riprodurre il successo di Hernandez in altri pazienti. Una squadra di scienziati all'Università di Pittsburgh, nel McGowan Institute for Regenerative Medicine, ha iniziato una sperimentazione su ottanta pazienti sottoposti al trattamento con MEC in cinque diversi istituti. Gli scienziati cercheranno di usare il materiale per rigenerare i muscoli di pazienti che hanno perso almeno il 40% della massa muscolare, cosa che solitamente spinge i medici a effettuare amputazioni.
Per molti medici, l'idea di usare parti di maiale per rigenerare tessuti umani è considerato alquanto bizzarra, per usare un eufemismo. Per questo Stephen Badylak, il dottore che scoprì questa tecnica negli anni '80, fu riluttante a parlarne apertamente per anni. Neanche lui, ammette, credeva ai propri risultati: ora è a capo della sperimentazione al McGowan Insitute.
Già il fatto che tessuti provenienti da un'altra specie non provochino una forte risposta immunitaria nel corpo umano sembra impossibile, ma non basta: questo materiale può trasformarsi in pochi mesi in qualsiasi tipo di tessuto che sia stato danneggiato. Muscolo, pelle o vaso sanguigno.
Quando Badylak pubblicò per la prima volta le proprie scoperte nel 1989, il campo della medicina rigenerativa era inesistente. Oggi gli sforzi più conosciuti in questo settore si concentrano sulla crescita di tessuti al di fuori del corpo umano dentro speciali “bioreattori”. Le tecniche di Badylak, invece, stimolano l'esercito di cellule staminali presenti nel corpo per guarire senza l'uso di strutture esterne.
La scoperta che ha portato a questo approccio inconsueto è nata quasi per caso. Tutto è iniziato con un'idea balzana e un bastardino di nome Rocky. Badylak era rimasto affascinato dalla tecnica sperimentale della cardiomioplastica, che prevede di avvolgere un muscolo, solitamente preso dal dorso del paziente, intorno al cuore e di farlo contrarre attraverso un pacemaker per aiutare il cuore a pompare sangue. Uno dei problemi di questa tecnica è che per sostituire l'aorta viene usato un tubo sintetico che spesso causa infiammazioni ed emboli.
Badylak era convinto che se avesse trovato un sostituto per il vaso sanguigno all'interno del corpo del paziente avrebbe impedito l'insorgere di infiammazioni. Così un pomeriggio, dopo aver sedato un cagnolino di nome Rocky, Badylak procedette ad asportargli l'aorta e a sostituirla con un pezzo del suo intestino tenue. Non pensava che l'animale avrebbe superato la notte, ma perlomeno, se non fosse morto dissanguato, avrebbe dimostrato che l'intestino era abbastanza resistente da farvi scorrere il sangue, cosa che avrebbe permesso ulteriori studi.
Per chi, come me, sta sentendo un brivido gelido dietro la schiena, dico subito che il cagnolino è sopravvissuto e il giorno dopo era in piedi, scodinzolante, in attesa della colazione. Non solo, ma ha vissuto per altri otto anni.
Badylak ripeté la procedura su altri quattordici cani con successo. Sei mesi più tardi operò uno di questi cani per capire come mai erano sopravvissuti. Ed è qui che le cose incominciarono a diventare ancora più strane: Badylak non riuscì a trovare l'intestino trapiantato.
Dopo aver controllato e ricontrollato che fosse l'animale giusto, prelevò un pezzo di tessuto della zona del trapianto e la osservò al microscopio. Rimase allibito. “Stavo guardando qualcosa che non sarebbe dovuto succedere” dice Badylak. “Andava contro tutto quello che mi era stato insegnato.” Poteva vedere i segni delle suture, ma il tessuto intestinale era sparito e al suo posto era ricresciuta l'aorta.
Nessuno confonderebbe mai un intestino con un'aorta; sono tessuti completamente diversi. Dopo aver controllato anche gli altri cani e aver riscontrato gli stessi risultati, incominciò a sospettare che l'intestino fosse in grado di sopprimere le infiammazioni e allo stesso tempo promuovere la rigenerazione dei tessuti.
Si ricordò di una scoperta bizzarra a proposito del fegato: se si ingerisce del veleno che distrugge tutte le cellule del fegato, l'organo si può rigenerare se lo scaffold di supporto, la sua “impalcatura”, rimane intatto. Forse lo scaffold era la chiave.
Il passo successivo fu quindi di togliere gli strati dell'intestino fino ad arrivare a un sottile strato di tessuto connettivo chiamato appunto matrice extracellulare: la magica MEC. Con questo “nuovo” materiale Badylak eseguì altri trapianti con successo. Provò allora a utilizzare la MEC proveniente dall'intestino di un gatto e trapiantarlo in un cane, certo che quest'ultimo lo avrebbe rigettato, non certo solo per la nota antipatia tra le due razze. E invece, ancora una volta, con sua grande sorpresa, non ci fu alcun rigetto.
Rendendosi conto che avrebbe dovuto utilizzare un bel po' di intestino tenue per i suoi esperimenti, decise di rivolgersi a uno dei tanti macelli di maiali presenti in Indiana. Oltre all'intestino tenue incominciò a usare anche la vescica, che offriva le stesse caratteristiche. I suoi esperimenti continuarono, passando dalle arterie principali alle vene e alle arterie secondarie fino alla rigenerazione del tendine d'Achille. Grazie a quest'ultima scoperta, la società DePuy di Warsaw, in Indiana, sovvenzionò ulteriori ricerche nel campo ortopedico; con il suo aiuto, nel 1999 la FDA (Agenzia per gli alimenti e i medicinali degli Stati Uniti) ne approvò l'utilizzo sugli esseri umani.
I chirurghi incominciarono quindi a utilizzare la MEC per riparare la cuffia dei rotatori della spalla, le ernie addominali e i danni da reflusso esofageo e per la ricrescita delle meningi del cervello. Ma fu solo grazie al chirurgo John Itamura che Badylak scoprì finalmente il vero punto di forza della MEC.
Itamura aveva impiantato uno scaffold di MEC nella spalla di un paziente, che otto settimane più tardi era tornato per un'altra operazione che non aveva alcun collegamento con quella precedente. Questo permise al dottore di ottenere un raro campione umano prelevato dalla zona d'intervento alla spalla. La biopsia mostrò che lo scaffold era sparito, come ci si aspettava, ma c'era una sorpresa: al microscopio si poteva vedere che la zona dell'operazione pullulava di attività. Non si trattava di una reazione infiammatoria anche se vi assomigliava molto. In realtà, con la scomparsa dello scaffold erano state rilasciate delle molecole chiamate peptidi criptici, che potrebbero spiegare il fenomeno particolare della MEC.
Queste molecole hanno un ruolo di reclutamento delle cellule, e ben presto Badylak capì che a essere reclutate erano le cellule staminali, quelle che possono trasformarsi in qualsiasi tipo di tessuto.
Siamo quindi a una svolta che ha dell'incredibile: poter rigenerare i tessuti danneggiati o distrutti. Ma la ricerca non si ferma qui. Lo staff di Badylak adesso sta lavorando alla possibilità di far ricrescere gli arti di un mammifero, come se fosse una salamandra, in una sorta di manica con una riserva di liquido che avviluppa un dito amputato di un topo e permette ai ricercatori di controllare l'ambiente di guarigione. Aggiungendo fattori di crescita come acqua e fluido amniotico e variando la corrente elettrica si ricreano le condizioni che esistono in un embrione umano: un ambiente perfetto per aiutare la trasformazione delle cellule staminali nei vari tessuti che compongono un corpo.
L'idea di ricreare un ambiente embrionale alla fine di un arto di un mammifero per farlo ricrescere è considerata troppo fantascientifica da molti critici. Il progetto è ancora senza fondi, ma Badylak non si dà certo per vinto.
Ancora una volta la scienza raggiunge la fantascienza, e se in un prossimo futuro oltre a far ricrescere i muscoli in braccia e gambe per evitare l'amputazione sarà anche possibile rigenerare l'arto completo allora potremmo avvicinarci sempre di più al sogno dell'eterna giovinezza e forse anche dell'immortalità. Ma proprio Torchwood, in Miracle Day, insegna che l'immortalità generalizzata sarebbe una catastrofe sociale più che una benedizione.
Aggiornamenti
Ben Goldacre, medico e noto debunker, è molto scettico sulla storia della falange ricresciuta. La sua indagine su questo aspetto, pubblicata dal Guardian nel 2008, si concentra principalmente sulle esagerazioni pubblicate dai media, secondo i quali sarebbe ricresciuto l'intero dito di Lee Spievack. In realtà la parte mozzata misurerebbe circa un centimetro e il letto dell'unghia sarebbe rimasto intatto, e a volte lesioni di questo genere si riparano bene anche da sole. Goldacre ne parla anche qui su Badscience.net; i commenti contengono moltissime considerazioni e link interessanti.
A prescindere dal singolo caso, il concetto di rigenerazione come terapia non è fantascienza: un rapporto stilato dall'NIH statunitense nel 2006 fa il punto sull'argomento; Scientific American ha dedicato un intero numero allo stato dell'arte. Ma come sempre, asserzioni straordinarie richiedono prove straordinarie. –– Paolo