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Il Disinformatico

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2020/07/13

Secondo SkyTG24 ci sarà un’eclissi di Luna il 27 luglio. È falso

SkyTG24 ha pubblicato un articolo (copia su Archive.is) nel quale scrive che ci sarà un’eclissi di Luna il 27 luglio. È una balla.

Scrive SkyTG24 (evidenziazioni mie):

Il passaggio della cometa Neowise, proveniente dalle regioni più remote del nostro Sistema solare costituisce un fatto storico. È infatti dal 1997 che un evento astronomico di questo genere non è visibile a occhio nudo. Ma non sarà l’unico fenomeno astronomico spettacolare del mese di luglio 2020. Nella notte tra il 27 e il 28 luglio, infatti, è attesa la "Luna di Sangue", l'eclissi totale di luna più lunga del secolo. Inoltre, venerdì 31 gli astronomi potranno osservare Marte da un punto privilegiato.



Poi si contraddice, dicendo che sarà invece un’eclissi solare (evidenziazioni mie):

Il 27 luglio l’eclissi solare più lunga del secolo. L’ultimo giorno del mese si verificherà il passaggio di Marte più ravvicinato degli ultimi 15 anni



È probabilmente la ricopiatura di una notizia vecchia, viste le citazioni del passaggio ravvicinato di Marte. Di certo è una notizia scritta a cervello spento. Non perdete tempo a leggere notizie tecniche sulle testate generaliste: non hanno la minima idea di cosa scrivono.

Ho avvisato Skytg24 pubblicamente:






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2020/07/12

Unboxing di Spot, il robot quadrupede elettrico di Boston Dynamics, che ora è in libera vendita

I progressi di Spot, il robot sviluppato dalla Boston Dynamics, sono davvero impressionanti. Da un rumorosissimo, ingombrante e goffo mulo alimentato da un motore a scoppio siamo ora arrivati alla versione in libera vendita: elettrica, compatta, silenziosa e dannatamente abile nel risolvere i problemi di spostamento su terreni accidentati.

Questo video di unboxing è un po’ sopra le righe e gioca un po’ con il montaggio per rendere più sensazionali certi aspetti, ma quello che viene mostrato è comunque eloquente. Questo è il probabile futuro prossimo delle consegne, dei soccorsi, della sorveglianza, dell’esplorazione. E probabilmente anche della guerra, del crimine e del terrorismo. Per ora il fattore frenante principale è il costo: 75.000 dollari. Ma scenderà.


Notate come si comportano i bambini vedendo Spot: per loro è cool e normale. Gli adulti, invece, sono ancora basiti. Probabilmente è andata così anche quando sono comparse le prime rudimentali carrozze senza cavalli: quelle che oggi siamo abituati a chiamare “automobili” e ci sembrano così banali e normali.


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2020/07/11

Restauro digitale: a spasso in auto sulla Luna

Aprile 1972: sulla Luna ci sono due uomini che viaggiano in auto elettrica. John Young e Charlie Duke accendono la propria cinepresa 16 mm, caricata con pellicola a colori e fissata all’auto, e riprendono quello che vedono durante il percorso, un po’ come una dashcam di oggi.

Le immagini originali vengono riprese a soli 12 fotogrammi al secondo, per risparmiare pellicola e con l’intento di documentare gli spostamenti più che di ottenere una ripresa cinematografica vera e propria.

Ma la tecnologia digitale consente oggi di elaborare quelle immagini per creare, tramite interpolazione, i fotogrammi intermedi e quindi ottenere una ripresa più fluida.

Il risultato, abbinato con l’audio originale delle comunicazioni radio dei due astronauti tra loro e con la Terra, è davvero notevole, specialmente considerato che è stato ottenuto senza una scansione diretta delle pellicole originali ma partendo da una loro copia: il terreno lunare emerge in tutta la sua tridimensionalità accidentata.


Lo stesso restauratore, Dutchsteammachine, ha creato e pubblicato altre rielaborazioni delle riprese effettuate durante le missioni lunari. Questa, per esempio, è la ripartenza dalla Luna di Dave Scott e Jim Irwin durante la missione Apollo 15, a luglio del 1971, ripresa con una cinepresa analoga montata all’interno del Modulo Lunare.


Confrontate questo restauro con un riversamento digitale non elaborato della medesima ripresa:



Fra l’altro, di questo decollo esiste anche un’altra ripresa, fatta con una telecamera anziché con una cinepresa, e trasmessa in diretta televisiva in quasi tutto il mondo. All’epoca le telecamere erano qualitativamente molto inferiori alle cineprese.



Chicca: la musica che si sente durante il decollo è The Air Force Song: la suonò via radio Al Worden, pilota del Modulo di Comando che aspettava i suoi colleghi nel veicolo principale in orbita lunare. Pensava di trasmetterla soltanto ai controllori di volo a Houston, ma per un errore dei controllori il suo segnale fu inviato anche al Modulo Lunare, per cui Scott e Irwin sentirono in cuffia questa musica inattesa e non furono in grado di comunicare con Houston proprio in un momento così cruciale della missione.


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2020/07/10

Puntata del Disinformatico RSI del 2020/07/10

È disponibile la puntata di stamattina del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, condotta da me insieme a Christian Testoni. Noterete che facciamo il sommario due volte (all’inizio e poi di nuovo a 9:00) perché un problema tecnico ha impedito la messa in onda del primo sommario. La fuga a 6:00 è perché per un momento si pensava di dover cambiare studio per poter andare in onda. Il bello della diretta :-)

Verso la fine della puntata ho scommesso con il co-conduttore che se l’app SwissCovid raggiungerà l’obiettivo di due milioni di attivazioni, ci depileremo le gambe in diretta streaming (ognuno le sue, in ossequio al distanziamento sociale). Per ora l’app è a poco più di un milione di attivazioni. Datevi da fare!

Podcast solo audio: link diretto alla puntata.

Argomenti trattati:

Podcast audio precedenti: archivio sul sito RSI, archivio su iTunes e archivio su TuneIn, archivio su Spotify.

App RSI (iOS/Android): qui.

Video (con musica): è qui sotto.

Archivio dei video precedenti: La radio da guardare sul sito della RSI.

Buona visione e buon ascolto!


Due chiacchiere sul contact tracing e sulla nuova privacy digitale alla RSI

Pochi giorni fa ho partecipato in studio a una puntata di Parliamone alla Rete Uno della Radiotelevisione Svizzera dedicata alle app di contact tracing (o, più propriamente, di tracciamento di prossimità) e al ruolo delle grandi aziende digitali (Google, Apple, Amazon, Facebook) nella nuova privacy dei dati insieme a Nicola Colotti e Alessandro Longo. La presentazione della puntata è qui; il video è incorporato qui sotto.

Il Wi-Fi come forma di umorismo

Le password utilizzate per proteggere le connessioni Wi-Fi possono far ridere? Il comico Naveen Richard ci prova, con delle password che scoraggiano, a suo dire, quelli che ti chiedono di usare il tuo Wi-Fi e poi si lamentano che è lento.


I suoi suggerimenti come password: Giveme500Bucks, NOOOOOOOOOO!!!! e 12345678SorrySorry123456. In italiano diventerebbero rispettivamente Dammi500Euro, NOOOOOOOOOO!!!! e 12345678ScusaScusa123456.

Immaginatele dette in risposta alla domanda ”Mi dai la password del tuo Wi-Fi?” e capirete perché le considera sadicamente divertenti.

Se avete altri suggerimenti, magari presi da casi di vita vissuta, segnalateli nei commenti e ne parlerò nella puntata del Disinformatico radiofonico di oggi. Sospetto che siano molti quelli che usano password volgari o offensive senza pensare che potrebbe capitare prima o poi di doverle dire ad alta voce.

Si può fare qualcosa del genere anche con gli SSID, i nomi degli hotspot Wi-Fi. Dalle parti del Maniero Digitale ce n’è uno che si chiama 5G-SWISSCOM-TEST42. Chissà di chi sarà.

Ufologia: l’incidente di Roswell del 1947 spiegato da uno storico

Ai primi di luglio del 1947 accadde a Roswell, in New Mexico, un incidente di cui si parla ancora oggi, soprattutto in questi giorni in cui ricorre l’anniversario della vicenda.

Non capita tutti i giorni, infatti, che un giornale titoli che l’aviazione militare ha catturato un disco volante (“RAAF”, nell’immagine qui accanto, sta per Roswell Army Air Field).

Nel 2011 lo storico Roger Launius ha ripercorso la vicenda per il museo Smithsonian in una conferenza in cui ha mostrato foto molto rare dei controversi “rottami alieni” e spiegato come la documentazione indica chiaramente che la notizia del “disco volante” nacque come invenzione giornalistica e che i militari decisero di approfittarne per distrarre l’opinione pubblica dal fatto che i “rottami alieni” provenivano in realtà da un progetto top secret di monitoraggio dei test nucleari sovietici (non c’erano ancora i satelliti spia, a quell’epoca).

Oggi il progetto, denominato Mogul, non è più segreto, e Launius ne ha mostrato i piani e i dettagli, segnalando che esiste un libro monumentale, pubblicato negli anni Novanta, che raccoglie tutta la documentazione sul caso Roswell: si intitola The Roswell Report - Fact versus Fiction in the New Mexico Desert. Oggi è acquistabile online, sia in forma cartacea sia in formato digitale, ed è anche scaricabile gratuitamente come PDF.

Da questa pubblicazione segnalo alcune delle tante foto:

Schema dei riflettori radio dei palloni-spia del Progetto MOGUL.
I riflettori radio in volo.

I “rottami alieni”.

Un pallone della serie MOGUL in preparazione per il volo.

“Wind of Change” degli Scorpions fu scritta dalla CIA? Spoiler: no

Questa è sicuramente una delle tesi di complotto più bizzarre che mi sia capitato di indagare: Wind of Change, il successo mondiale della band tedesca degli Scorpions (14 milioni di copie vendute), sarebbe stata scritta dalla CIA come strumento di propaganda per contribuire al crollo dell’Unione Sovietica.


Perlomeno questo è quello che viene fuori se scrivete il titolo della canzone in Google. Di certo Wind of Change è uscita nel momento giusto, ossia nel 1991, poco dopo la caduta del Muro di Berlino (novembre 1989) e poco prima del fallito colpo di stato che portò poi allo scioglimento dell’Unione Sovietica; parla della fine della Guerra Fredda e, appunto, dei “venti di cambiamento” che soffiavano in quel periodo. Il suo testo, inoltre, cita espressamente Mosca (“I follow the Moskva / Down to Gorky Park”).

La tesi del coinvolgimento della CIA è nata di recente e arriva da un giornalista statunitense, Patrick Radden Keefe, che ha pubblicato a maggio 2020 una serie di podcast intitolata appunto Wind of Change nella quale viene citata una dichiarazione di un ex dipendente della CIA che racconta di aver sentito da un collega che la canzone era nata da una collaborazione tra la band e l’agenzia di intelligence: in altre parole, solo una diceria, senza nessun documento a supporto.

La band ha smentito in maniera molto divertita questa tesi di complotto per bocca del suo cantante Klaus Meine: “È un’idea intrigante, divertente, ma non è vera per niente”. Inoltre il giornalista stesso ha dichiarato di non ritenere “che la CIA abbia confezionato i sentimenti di Wind of Change”.

Però sappiamo di episodi reali in cui la CIA si è infiltrata nel mondo dello spettacolo o lo ha usato come copertura, come nel caso della finta troupe cinematografica usata nel 1979 per far uscire dall’Iran alcuni ostaggi statunitensi (una storia riassunta dal film Argo nel 2012). Negli anni Cinquanta artisti come Louis Armstrong, Dave Brubeck e Dizzy Gillespie viaggiarono per il mondo, e in particolare nei paesi dei blocco sovietico, a spese del Dipartimento di Stato statunitense come “ambasciatori culturali” a scopo di propaganda.

La storia della banda tedesca è insomma l’aggancio perfetto per vendere un podcast: accattivante e plausibile anche se non basata sui fatti. 


Fonti aggiuntive: Blabbermouth, Rolling Stone, The Nation, DW, New York Times.

No, non serve il 60% per rendere utili le app anti-coronavirus

Ultimo aggiornamento: 2020/10/04 17:00. 

SwissCovid, l’app di aiuto alla lotta contro il coronavirus realizzata dall’Ufficio Federale della Sanità Pubblica svizzero, è installata e attivata da poco più di un milione di utenti (1.017.504), secondo i dati dell’Ufficio Federale di Statistica aggiornati all‘8 luglio (RSI), e ha già consentito di allertare numerose persone grazie a una trentina di utenti risultati positivi ai test medici che hanno poi usato l’app per segnalare anonimamente il rischio di contagio, secondo i dati forniti da Sang-Il Kim, capo della Divisione Trasformazione digitale dell’UFSP e riportati a 5:34 in questo servizio della RSI.

2020/10/04: Il paper Early Evidence of Effectiveness of Digital Contact Tracing for SARS-CoV-2 in Switzerland indica quasi 900 chiamate alla hotline derivanti dall’immissione di codici di annuncio di esposizione (“the entered Covidcodes triggered 874 phone calls to the SwissCovid hotline, thus providing evidence for actions undertaken by notified contacts”).


Ma un milione di installazioni è ben lontano dal 60% della popolazione che è stato citato moltissimo in questi mesi come percentuale da raggiungere affinché l’app sia efficace. Non va meglio in altri paesi: Germania 18%, Francia 2,7%, Italia 6,8%, secondo dati citati dal Corriere del Ticino). Inoltre un sondaggio indica che quasi il 60% della popolazione svizzera invece non intende installarla, perché non crede alla sua utilità e teme una violazione della propria privacy.

Paradossalmente, l’86% di quelli che non intendono installare SwissCovid usa WhatsApp almeno una volta la settimana: in altre parole, tanta gente rifiuta un’app svizzera, sviluppata dai politecnici federali con tutte le garanzie di legge e verificata indipendentemente da esperti informatici internazionali, ma regala con entusiasmo i propri fatti personali (la rubrica dei numeri di telefono e data, ora, nome e durata di ogni chat, per esempio) a una società straniera, Facebook, che è proprietaria di WhatsApp e che vive dichiaratamente della vendita dei dati personali.

Se il 60% della popolazione si rifiuta, il traguardo del 60% di installazioni sembra ovviamente impossibile e questo comprensibilmente può far venire voglia a chi ha già installato SwissCovid di rimuoverla e magari fa passare la voglia di installarla a chi non l’ha ancora fatto. Sembra insomma tutto inutile. 

Ma c’è un equivoco di fondo da chiarire: non è affatto vero che l’app funziona soltanto se viene installata dal 60% della popolazione.

Questo numero magico proviene da uno studio dell’Università di Oxford pubblicato ad aprile scorso. Ma gli autori dello studio dicono che il loro lavoro è stato riassunto maldestramente da molte testate giornalistiche. In realtà hanno scritto sin da subito che il 60%, o più precisamente il 56%, è la percentuale di installazioni necessaria per sopprimere completamente la pandemia se si isolano le persone oltre i 70 anni e non si fa nient’altro.

Se l’app viene usata in combinazione con altre misure, come il distanziamento sociale, la percentuale necessaria scende. Anche una percentuale bassa è comunque utile, perché rallenta il ritorno dei picchi di contagio. Lo studio di Oxford dice che “l’app ha effetto a tutti i livelli di adozione”, come mostra questo grafico. Già al 28% abbassa drasticamente la curva dei contagi.



In sintesi: non è vero che o si raggiunge il 60% o è fatica sprecata. Qualunque livello di adozione può aiutare a salvare vite. Pensateci.

2020/07/09

Avventurette in auto elettrica: quando non vai in officina ma l’officina viene da te

Ultimo aggiornamento: 2020/08/12.

Il mio primo mese completamente senza auto a pistoni è stato assolutamente normale: soltanto 1300 chilometri complessivi, a causa della pandemia che ha ridotto moltissimo gli spostamenti di lavoro. Circa 400 li ho percorsi localmente, con ELSA (la piccola Peugeot iOn usata che ho da due anni), e gli altri 900 li ho fatti con TESS (la Tesla Model S 70 di seconda mano acquistata un mese fa).

Nessuna ansia da autonomia; vado e torno, ricaricando sempre sulla mia presa in garage, perché nessuno dei miei spostamenti supera l’autonomia del veicolo fra andata e ritorno. I benzinai, che già frequentavo poco prima, stanno diventando un ricordo confuso, quasi irreale. Mi sa che dovrò fare un video in stile Alberto Angela per spiegare alle giovanissime generazioni che cos’era un “distributore di carburante” e perché esisteva in passato questa bizzarra abitudine di andare periodicamente a un luogo che erogava sostanze infiammabili e cancerogene, che ci veniva chiesto di maneggiare personalmente senza protezioni e che dovevamo pagare a carissimo prezzo per poi buttar via come calore il 70% del loro contenuto energetico. E per questa roba tossica combattevamo persino delle guerre. Sarà come spiegare che una volta Berlino era divisa in due da un muro e ti sparavano se cercavi di valicarlo: crederanno che li stiamo prendendo in giro.

Ovviamente questa situazione implica che la Dama del Maniero ed io non stiamo facendo avventurette elettriche nel senso abituale. Abbiamo in programma i primi viaggi oltre l’autonomia di TESS per la fine di questo mese, e sarà mia premura raccontarveli, ma nel frattempo ho da presentarvi un’avventuretta, come dire, a chilometri zero: come si fa l’upgrade di una Tesla. Upgrade dell’hardware, intendo. Senza andare in officina.

---

Come probabilmente sapete, TESS è un esemplare del 2016. Ha un connettore di ricarica Tipo 2 che le permette di caricare lentamente (a 11 kW) in corrente alternata a qualunque colonnina Tipo 2 e di caricare rapidamente (a 70 kW) in corrente continua presso i Supercharger della rete Tesla. Questo connettore sta nascosto dietro uno sportellino nel fanale posteriore sinistro.



TESS in carica gratuita a 11 kW all’IKEA vicino al Maniero (colonnina Tipo 2, cavo mio). Prometto che la prossima volta parcheggerò meglio.

Le Model 3 europee, invece, vengono fornite di serie con il connettore CCS Combo 2, che è quello che si sta diffondendo maggiormente in Europa per la ricarica rapida (per esempio tramite Enel-X o Ionity).

Un connettore CCS su una Tesla Model 3 (fonte: Driving Electric).

Benvenuti nella giungla dei connettori per le auto elettriche: una delle croci di chiunque si avvicini a questo mondo. Oltre a quello Tesla, al Tipo 2 e al CCS, ce ne sono anche altri, ovviamente incompatibili (per esempio il Tipo 1 o il CHAdeMO, che ho su ELSA, giusto per citarne un paio), perché avere uno standard unico sin da subito pareva troppo intelligente.

Avrete notato che il connettore CCS ha la forma di un connettore Tipo 2 con due grossi contatti in più, e in effetti il CCS funziona sia per la ricarica rapida in corrente continua (usando anche i due contatti aggiuntivi), sia per la ricarica lenta in corrente alternata (usando solo i contatti della parte superiore). Questo significa che un singolo connettore copre due degli standard più diffusi in Europa e che una Tesla Model 3 può ricaricarsi rapidamente usando sia le colonnine CCS, sia quelle Tesla.

Ma come fanno gli altri modelli di Tesla, che non hanno i contatti aggiuntivi?

Le Model S e X prodotte dopo il primo maggio 2019 sono dotate di serie di un adattatore esterno e di un componente interno, che consentono di usare il loro connettore per la ricarica rapida sulle colonnine che usano lo standard CCS Combo 2. Ma TESS è del 2016, e quindi non ha questi componenti: niente carica rapida alle colonnine non Tesla. La rete di colonnine di Tesla è piuttosto capillare, ma mi potrebbe capitare di trovarmi in un posto in cui c’è una colonnina rapida CCS e non c’è quella di Tesla.

Per fortuna Tesla offre un retrofit, ossia un aggiornamento hardware interno che costa 570 CHF, incluso il costo dell’adattatore esterno CCS Combo 2 (che costa 194 CHF se acquistato separatamente), come spiegato qui sul sito Tesla. Il manuale di questo adattatore esterno è qui. Installare questo retrofit mi darebbe molta più flessibilità di pianificazione nei viaggi lunghi: ho quindi deciso di farmelo installare, tenendo conto oltretutto del fatto che ho già l’adattatore esterno, che mi è stato dato insieme all’auto al momento dell’acquisto.

L’adattatore da CCS a Tipo 2.


Le differenze operative di Tesla rispetto alle altre case automobilistiche si sono fatte notare subito: il sito Tesla dice che non si deve chiamare l’officina ma si deve usare l’app per prenotare l’aggiornamento. Cosa che ho fatto: ho lanciato l’app Tesla, sono andato in Assistenza, ho scelto Accessori e poi Upgrade e installazioni e ho specificato che vorrei far installare il retrofit CCS.

In base alla mia localizzazione, l’app mi ha proposto come prima opzione il servizio di assistenza mobile a domicilio, proponendomi l’8 luglio, e come seconda opzione un intervento a Milano Linate il 10 luglio, con vari orari a mia scelta. Ho scelto la prima: per interventi come questi, con Tesla c’è infatti la possibilità di far venire l’officina a casa invece di dover portare l’auto all’officina.

L’app mi ha detto “a breve inizieremo a verificare i dati” e ha indicato che i passi successivi sono il preventivo, la riparazione e (ovviamente) il pagamento.

Mi è poi arrivata una mail (in tedesco) di conferma dell’appuntamento fra le 8:30 e le 10:30 al mio indirizzo, con la precisazione che si sarebbe trattato di (traduco) “servizio mobile senza contatto (senza contatto interpersonale)” e la richiesta di “parcheggiare il veicolo in un luogo accessibile. Sarete avvisati non appena il vostro tecnico mobile arriverà sul posto e inizierà a lavorare. Se desiderate parlare con il nostro team di assistenza, vi preghiamo di notare che ci teniamo a distanza, oltre alle altre misure di protezione consigliate per limitare il rischio di infezione.”

Una telefonata da parte di Tesla (in italiano) mi ha ribadito che l’intervento sarebbe costato 570 CHF, e questo nonostante il fatto che io avessi già l’adattatore (consegnatomi bizzarramente insieme all’auto al momento del ritiro). Ho confermato che accettavo questo importo.

Ma poi è arrivato il preventivo, naturalmente tramite l’app:




Zero. Ovviamente ho approvato il preventivo :-)

L’8 luglio (ieri) ho parcheggiato l’auto nel parcheggio della residenza dove abito e ho aspettato l’arrivo del Tesla Ranger (sì, si chiama proprio così) intanto che TESS scaricava automaticamente l’aggiornamento software che serviva per renderla compatibile con l’imminente aggiornamento hardware. Trovarsi a “scaricare i driver” per un’auto è davvero insolito.




Il Ranger è arrivato su una Model S convertita in officina mobile. Questa è l’unica foto che ho fatto, perché mi ha chiesto di non riprendere i lavori, come se fossimo in officina. Non ha avuto nessuna obiezione, però, a lasciarmi assistere e scambiare due chiacchiere. Ho cercato di memorizzare la procedura per potervela descrivere: eventuali errori o omissioni sono solo colpa mia.



L’installazione del retrofit ha richiesto la rimozione della seduta del sedile posteriore, che ha esposto la gabbia metallica tubolare che regge la seduta e i suoi sensori di peso. L’immagine qui sotto è tratta da questo video di Steven Peeters.

Gli scatolini bianchi sono i sensori di peso dei passeggeri. I cavi arancioni sono quelli di alimentazione ad alta tensione. I componenti scatolari metallici sono parti del caricatore della batteria e del suo sistema di gestione, ma non so altro.


Il Ranger ha agito anche sotto il cofano di TESS, presumo staccando completamente l’alimentazione, compresa la batteria a 12 V tradizionale.

Sotto i sedili posteriori ha installato una scatoletta di plastica bianca, che probabilmente contiene un circuito stampato e dei componenti elettronici: a differenza di quello che si vede nel video di Peeters, non l’ha agganciata al telaio, ma l’ha serrata tramite i due bulloni che fissano il componente scatolare metallico più grande che sta sotto il sedile centrale.

Da questa scatoletta esce un cavetto molto sottile, che va verso il lato sinistro e si collega mediante due connettori ai grossi componenti che stanno sotto la seduta. Non so di preciso cosa siano questi componenti, anche se dalla loro forma e posizione, e dal fatto che vi fanno capo dei cavi arancioni davvero massicci, è chiaro che fanno parte del sistema di carica e di gestione della batteria. Posso solo aggiungere che su TESS sono disposti molto più simmetricamente e ordinatamente rispetto ai video di teardown che ho trovato online.

Dopo aver ricollegato l’alimentazione a TESS, il Ranger ha collegato il suo computer alla presa tecnica situata sotto e dietro il tablet centrale, ha fatto alcune operazioni tramite il suo computer, ed è partita l’installazione di un aggiornamento software, che è durata almeno venti minuti. Poi TESS è tornata pronta per l’uso. Fine del lavoro. Il Ranger mi ha chiesto se volevo pagare subito per l’installazione, e gli ho fatto notare che l’app mi diceva che il preventivo era zero, così ha delegato la questione all’ufficio centrale di Tesla. Poco dopo è ripartito.

Sono andato a una colonnina CCS vicina al Maniero (quella della rete GOFAST) a provare la carica, e tutto ha funzionato correttamente. TESS carica sul CCS grosso modo alla stessa velocità alla quale carica ai Supercharger (al 30% di carica, un breve picco iniziale a 66 kW e poi una carica continua a circa 55 kW).

I primi secondi di carica sono a 66 kW, ma poi si scende rapidamente.

Spina CCS inserita nell’adattatore, a sua volta inserito nella presa di TESS.

Ora posso caricare rapidamente anche qui (costa molto più di una carica su una colonnina Tesla, ma in emergenza so che ne ho una vicinissima a casa).


Mi è poi arrivata la fattura, sempre tramite l’app di Tesla, e l'importo è zero ed è pure segnato come pagato. Pare che io sia uno dei pochi fortunati, perché nei forum degli utenti Tesla gli altri dicono di aver pagato. Forse mi è successo perché l‘auto è ancora in garanzia, oppure perché le nuove installazioni di colonnine Tesla ultrarapide, le V3, a quanto pare (Autocar; Electrive) montano soltanto il connettore CCS (quelle attuali montano entrambi i connettori, quello Tesla/Tipo 2 e il CCS).

Ma io preferisco pensare che far parte del Nuovo Ordine Mondiale abbia i suoi privilegi.


2020/07/15


È stato bello finché è durato: Tesla mi ha contattato scusandosi per il disguido di fatturazione e mi ha inviato una nuova fattura per 570 CHF tutto compreso, che ho pagato.

Colgo l’occasione per pubblicare la descrizione della fattura:

Retrofit Charging System ECU And Harness

KIT,RETROFIT,PLCRLY,MDLS,PRE-REFRESH(1489302-00-B) 1.0
A-PILLAR UPPER STANDOFF, FOAM NEOPRENE (1020856-00-A) 1.0
SEAT BACK GROMMET, LARGE(1016824-00-A)
RETROFIT, CCS COMBO II, MS(1516761-00-A)


2020/08/12


Il prezzo del retrofit è stato ridotto oggi a 300 CHF incluso l’adattatore CCS Combo 2.


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