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Il Disinformatico: complotti veri

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2019/09/21

N-1: i piani sovietici segreti per andare sulla Luna

Si parla tanto della “corsa alla Luna” degli anni Sessanta fra Stati Uniti e Unione Sovietica, ma una corsa presuppone corridori da entrambe le parti. Dove sono quelli russi, e soprattutto con che veicoli sarebbero arrivati sulla Luna? Dov’è l’equivalente sovietico del Saturn V, il gigantesco vettore americano capace di portare sulla Luna un equipaggio, di cui sappiamo tutto da sempre?

La risposta, paradossalmente, si trova in qualche ovile del Kazakistan, le cui tettoie e pareti, se esaminate con occhio attento, sono grandi grid fin (alette stabilizzatrici) e pezzi di giganteschi serbatoi in metalli altamente sofisticati.

La copertura di questo gazebo è il fondo di un razzo gigante N-1. Credit: Mark Wade.


Provengono dai resti saccheggiati di uno dei progetti più segreti e ambiziosi dell’epopea spaziale sovietica: l’N-1, il colossale razzo che secondo i piani sovietici avrebbe portato un cosmonauta sulla Luna prima dei rivali americani e, in versione nucleare, avrebbe consentito all’Unione Sovietica di dominare la Terra tramite stazioni spaziali militari, costruire basi permanenti sulla Luna ed esplorare con equipaggi i pianeti interni del Sistema Solare. Ma i suoi pezzi finirono per spargersi nelle immense distese del Kazakistan, all’epoca parte dell’Unione Sovietica, e sono ancora lì oggi, arrugginiti testimoni di un fallimento messo a tacere che cambiò comunque il corso della storia dell’astronautica.

Mentre gli Stati Uniti presentavano al pubblico ogni dettaglio dei propri tentativi spaziali civili, la Russia si isolava in un ossessivo silenzio. Le missioni venivano annunciate solo dopo il loro completamento. Le dirette TV dei lanci dal centro spaziale di Baikonur, che oggi sono normalissime, allora erano impensabili. Persino il nome del capo progettista del programma spaziale, Sergei Korolev, era un segreto di stato. Questo consentiva di nascondere i fallimenti, e nel caso dell’N-1 ci fu molto da nascondere. La sua storia è il vero complotto intorno agli sbarchi sulla Luna.


Trenta motori


Non disponendo di motori ultrapotenti come i cinque F-1 del primo stadio del Saturn V statunitense, i progettisti sovietici, guidati da Vasili Mishin (succeduto a Korolev, morto prematuramente nel 1966) ripiegarono sull’uso di ben trenta motori per il primo stadio dell’N-1: un incubo da coordinare, specialmente con i sistemi di controllo degli anni Sessanta. Solo il Falcon Heavy di SpaceX, nel 2018, si avvicinerà a un numero così elevato di propulsori, accendendone ben 27 al decollo. Questa scelta progettuale, combinata con la decisione di non effettuare collaudi statici a terra per ridurre i costi e accelerare i tempi, fu il tallone d’Achille del progetto N-1.

Confronto dimensionale fra Saturn V-Apollo (a sinistra) e vettore N1-L3 (a destra). La persona in basso è in scala. Credit: Ebs08, Wikimedia.


Un N-1 in allestimento. Alla base si notano, oltre alle persone, le grid fin simili a quelle usate oggi da SpaceX.


Il primo lancio di prova, senza equipaggio, avvenne il 21 febbraio 1969, dopo dieci anni di sviluppo azzoppato da rivalità fra progettisti e tagli ai finanziamenti, imposti dai militari: l’N-1, pesante circa 2760 tonnellate, alto 105 metri e largo 17 alla base, si staccò dalla rampa di lancio, ma i sistemi automatici di controllo rilevarono quasi subito l’incendio di un motore e diedero erroneamente il comando di spegnere tutti e trenta i motori 68.7 secondi dopo il decollo. I controllori del volo furono quindi costretti ad azionare il sistema di autodistruzione 1,3 secondi più tardi. Il grande vettore raggiunse la quota di circa 30.000 metri e poi i suoi frammenti ricaddero al suolo a una quarantina di chilometri di distanza dal punto di lancio.

I servizi di spionaggio britannici rilevarono il tentativo di lancio, mentre quelli statunitensi, i cui satelliti avevano avvistato l’N-1 in allestimento sulla rampa, non se ne accorsero e anzi per anni negarono che il lancio fosse avvenuto.

Un vettore N-1 sulla rampa di lancio, fotografato da un satellite spia statunitense KH-8 il 19 settembre 1968. Credit: USAF.


L’N-1 fu modificato estesamente per evitare il malfunzionamento che aveva portato al disastro, ma fu chiaro sin da subito che le speranze sovietiche di arrivare sulla Luna prima degli americani erano minime: solo un fallimento analogo di una delle rapide tappe del programma Apollo, che a dicembre 1968 aveva già portato un equipaggio intorno alla Luna (Apollo 8) e si apprestava a collaudare il modulo lunare in orbita terrestre (Apollo 9, 3-13 marzo 1969), avrebbe rimesso in gioco il programma spaziale russo.

In una classica manovra di disinformazione, a maggio del 1969 il fisico russo Mstislav Keldysh approfittò di una conferenza stampa dedicata all’atterraggio su Venere della sonda Venera 5 per annunciare la nuova versione ufficiale sovietica, ossia che la Russia aveva scelto di usare soltanto veicoli robotici per l’esplorazione della Luna perché preferiva non rischiare vite umane in quest’impresa. Ma in realtà il lavoro per portare un cosmonauta intorno alla Luna (con una capsula Soyuz lanciata da un vettore Proton-K) e poi sul suolo selenico (con l’N-1) proseguiva alacremente.

Il 3 luglio 1969 fu effettuato un nuovo tentativo di lancio di un N-1 aggiornato, sempre senza cosmonauti a bordo, che si sollevò dalla rampa regolarmente. Ma un quarto di secondo più tardi esplose una pompa in uno dei trenta motori, innescando un incendio. In rapida successione, i motori restanti si spensero automaticamente e il razzo, stracarico di propellente, iniziò a ricadere, inclinato a 45 gradi, ed esplose all’impatto con la rampa di lancio, distruggendola completamente nella più grande esplosione della storia dell’astronautica e ponendo fine a ogni residua speranza sovietica di primato lunare.

La rampa di lancio distrutta.


Questa volta i satelliti spia americani fotografarono la devastazione causata dall’esplosione. Ma l’opinione pubblica mondiale rimase all’oscuro di tutto: il governo statunitense non rivelò le proprie scoperte, sia per non far sapere all’avversario sovietico quanto fossero dettagliate le immagini dei suoi satelliti spia, sia per mantenere una motivazione politica per la corsa alla Luna (che con il ritiro del rivale sarebbe venuta a mancare).

Il Cremlino, da parte sua, mantenne segreto tutto quello che riguardava l’N-1. Il progetto continuò in segreto anche dopo il primo allunaggio di un equipaggio americano, che avvenne a luglio del 1969 con Neil Armstrong e Buzz Aldrin: vi furono altri due lanci del vettore sovietico, ancora una volta senza equipaggio ed entrambi fallimentari.

Il 26 giugno 1971 un rollio incontrollabile portò alla distruzione del vettore dopo circa 50 secondi di volo; il 23 novembre 1972, il razzo funzionò regolarmente fino a 40 chilometri di quota, ma quando mancavano sette secondi allo spegnimento del primo stadio iniziò a subire delle sollecitazioni che portarono alla rottura di alcune linee di alimentazione del propellente e all’esplosione di un motore, che sfociò nella disintegrazione del vettore gigante.

Il modulo lunare russo, il Lunniy Korabl, volò segretamente nello spazio, in orbita intorno alla Terra, quattro volte fra novembre del 1970 e agosto del 1971, con i nomi di copertura Kosmos 379, Kosmos 382, Kosmos 398 e Kosmos 434, lanciato da un vettore Soyuz, e fu considerato pronto per l’uso. L’N-1 fu dotato di motori NK-33 più potenti ed efficienti. I cosmonauti russi continuarono ad addestrarsi per le missioni lunari fino a ottobre del 1973 e il candidato più probabile per l’onore di diventare il primo russo sulla Luna fu il veterano Alexei Leonov, anche se il gruppo di cosmonauti selezionati per la Luna includeva anche Bykovsky, Voronov, Khrunov, Yeliseyev, Makarov, Rukavishnikov e Patsayev. Ma alla fine il programma N-1 fu chiuso formalmente il 2 maggio 1974, senza mai essere stato reso pubblico, e i due vettori già costruiti e non ancora lanciati, insieme a quattro altri esemplari incompleti, furono demoliti.


Rivelazioni


I servizi segreti e i livelli più alti del governo statunitense erano al corrente del progetto N-1 e dei suoi fallimenti, ma decisero di non renderli pubblici. Alcune indiscrezioni trapelarono sui giornali occidentali nel 1969, quando un esperto scientifico britannico, Peter Fairley, diede la notizia di un’esplosione di un vettore gigante sovietico sulla rampa di lancio, notando che un satellite spia americano aveva fotografato i segni della distruzione che ne era conseguita, ma la storia fu considerata come una delle tante dicerie non confermate che circondavano il programma spaziale sovietico e la vita in Unione Sovietica in generale.

Un articolo del quotidiano Il Giorno del 21 novembre 1969 parla di vettori giganti sovietici esplosi. Credit: Gianluca Atti, sua collezione personale.


La rivelazione formale del progetto lunare russo arrivò solo nel 1989, quando i censori sovietici diedero per la prima volta il permesso di parlare pubblicamente del progetto N-1 in una serie di articoli su Izvestiya, Pravda e altre testate.

Oggi l’impresa lunare sovietica è estesamente raccontata da numerosi documentari e da libri riccamente documentati e illustrati, come Pourquoi nous ne sommes pas allés sur la lune, di Vasily Mishin, il quarto volume della monumentale monografia di Boris Chertok Rockets and People e N-1: For the Moon and Mars di Matthew Johnson e Nick Stevens. Dagli archivi, inoltre, sono emersi filmati e fotografie un tempo top secret.

Oltre ai resti degli N-1 disseminati per il Kazakistan e ridotti a un’ingloriosa fine come parti di ovili, di questo coraggioso tentativo di raggiungere la Luna restano ben conservati alcuni esemplari dei moduli lunari sovietici, visitabili nei musei russi e occasionalmente presentati in mostre itineranti in tutto il mondo.

Un modulo di allunaggio sovietico al Science Museum di Londra (2016). Credit: Andrew Gray/Wikipedia


E c’è un’altra, sorprendente reliquia dell’N-1 che ne testimonia la sorprendente modernità.


L’eredità dell’N-1


Il governo sovietico diede l’ordine di distruggere tutti i materiali del progetto N-1, ma dopo il crollo dell’URSS si venne a sapere che una partita di sessanta motori NK-33, che avrebbero dovuto equipaggiare i futuri esemplari dell’N-1, era stata conservata di nascosto.

Questi motori, esaminati dagli esperti statunitensi, risultarono essere straordinari nelle loro soluzioni tecniche (ciclo chiuso) e nelle prestazioni (il più alto rapporto spinta/peso in assoluto per la loro epoca), tanto che furono utilizzati nel 2013, 40 anni dopo la fabbricazione, nei vettori statunitensi Antares della Orbital Sciences, destinati al rifornimento della Stazione Spaziale Internazionale, e poi sviluppati in versioni ancora più efficienti.

E così, alla fine, una parte del sogno infranto russo di arrivare sulla Luna riuscì a contribuire alla storia dell’esplorazione spaziale.


Fonti: Astronautix (1, 2, 3); CIA.gov; Wikipedia.


Questo mio articolo è stato pubblicato per la prima volta su carta nel numero 1/2018 della rivista Spazio Magazine dell'Associazione ADAA e vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori di questo blog. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.

2017/10/09

Su Le Scienze parlo del più grande avvelenatore di tutti i tempi

Ultimo aggiornamento: 2018/05/06 14:20.

Nel numero 590 di Le Scienze attualmente in edicola trovate un mio articolo che racconta la storia incredibile dell’introduzione del piombo tetraetile nella benzina: uno dei casi di avvelenamento di massa più sconcertanti che io abbia mai studiato. Il colpevole principale è un uomo dal nome apparentemente innocuo, Thomas Midgley, che ha letteralmente avvelenato il pianeta intero non una, ma due volte.

Avrei potuto scriverne per decine di pagine, perché è una storia piena di colpi di scena e di assurdità che lasciano davvero l’amaro in bocca ma che dovrebbero essere raccontate per spiegare quali e quanti crimini sono stati commessi dall’industria petrolifera in nome del profitto e poi insabbiati. È da vicende oscene come questa che viene la mia grande voglia di fare a meno, il più presto possibile, di avere un’auto che rigurgita veleni. E sono questi i complotti reali di cui i complottisti dovrebbero occuparsi se avessero un minimo di capacità e coscienza.

Thomas Midgley. Fonte: Wikipedia.


Se volete saperne di più, oltre a leggere il mio articolo su Le Scienze, vi consiglio il rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente intitolato Late lessons from early warnings II, la cui sezione Lessons from Health Hazards racconta (da pagina 46 a pagina 72) tutta la vicenda in inglese.


Fonti aggiuntive: Wikimedia, Mnn.com, Thenation.com, Knowledgenuts.com.

2017/09/28

Lo studio sulla pirateria insabbiato dalla Commissione Europea

Di solito mi capita di smentire le tesi di complotto e d’insabbiamento da parte dei governi, ma in questo caso faccio un’eccezione: una ricerca commissionata della Commissione Europea è stata davvero insabbiata.

Si tratta di uno studio, costato 360.000 euro e completato nel 2015, sugli effetti della pirateria sui contenuti vincolati dal diritto d’autore. Si intitola Estimating displacement rates of copyrighted content in the EU,  è lungo oltre 300 pagine e oggi è scaricabile qui, ma non era mai stato reso pubblico.

Sappiamo di questo studio non grazie alle indagini dei complottisti, ma alla tenacia di una parlamentare europea, la tedesca Julia Reda, che ha scoperto che esisteva questo rapporto grazie alla Regola dell’Informazione Laterale che cito spesso nelle tecniche d’indagine giornalistica digitale: per sapere se un dato è vero o falso conviene sempre cercare le informazioni di contorno a quel dato. Se un documento è stato omesso o segretato, può darsi che altrove ci siano informazioni amministrative che ne tengono traccia.

In questo caso, per esempio, la parlamentare si è accorta dell’esistenza di questo studio perché ha scoperto la relativa gara d’appalto, risalente al 2013, e a quel punto ha richiesto accesso al documento. La Commissione, racconta la Reda, non ha risposto in tempo alla richiesta ben due volte.

Come mai tanta riluttanza nel pubblicare uno studio costato fior di quattrini? Può darsi che sia colpa dei suoi risultati, che “non mostrano prove statistiche dello spostamento delle vendite da parte delle violazioni del coypright online” con l’eccezione dei film più popolari e recenti. Risultati che stridono con i vari provvedimenti governativi che mirano a sorvegliare il traffico dei file caricati su Internet di tutti gli utenti, indistintamente, con la giustificazione della tutela del diritto d’autore.

Sia come sia, è indubbio che servono prove robuste per legittimare un intervento del genere e che, come dice la parlamentare, “dati preziosi sia finanziariamente, sia in termini di applicabilità dovrebbero essere disponibili a tutti se sono finanziati dall’Unione Europea: non dovrebbero raccogliere polvere su uno scaffale fino a quando qualcuno li richiede attivamente”.


Fonti aggiuntive: Boingboing.

2017/03/27

11/9, perché i dirottatori non furono fermati negli Stati Uniti? La spiegazione sferzante di un ex agente FBI

Nella cortina fumogena delle tesi di complotto strampalate intorno agli attentati dell’11 settembre si perde spesso di vista il fatto che esistono davvero degli aspetti poco chiari degli eventi.

Per esempio, non c’è bisogno di essere sostenitori di improbabili demolizioni controllate o di aerei fantasma al Pentagono per notare la stranezza che almeno due dei dirottatori, cittadini sauditi, soggiornarono a lungo negli Stati Uniti ed erano attivamente sorvegliati dalla CIA e dall’NSA. Le due agenzie, inoltre, sapevano dei loro legami al terrorismo internazionale.

Questa non è una fantasia complottista: è quanto risulta agli atti pubblici delle inchieste effettuate dopo l’11/9.

Questo vuol dire che la CIA e l’NSA hanno lasciato che l’11/9 accadesse? Non proprio: la realtà raramente è così netta e chiara come nei film. Per fare chiarezza, Hammer, uno degli autori del gruppo Undicisettembre, ha intervistato in proposito un testimone d’eccezione: l’ex agente dell'FBI Mark Rossini, direttamente coinvolto nelle indagini sull’11/9. Rossini ha scritto un lungo testo su come sarebbe stato possibile evitare l’11/9 e sulle pressioni politiche, dettate dalla volontà di non creare tensioni tra gli USA e l'Arabia Saudita, che bloccarono lo scambio di informazioni tra CIA ed FBI e agevolarono i dirottamenti di quattro aerei di linea, tre dei quali si schiantarono contro i propri obiettivi (le Torri Gemelle di New York e il Pentagono), mentre il quarto precipitò in Pennsylvania in seguito alla reazione dei passeggeri.

La sua ricostruzione degli eventi che permisero l’11 settembre non risparmia nessuno ed è meticolosa e dettagliata: preparatevi dunque a una lettura lunga e paziente che rivela uno scenario intricato e tristemente politicizzato. Undicisettembre vi propone sia l’originale in inglese, sia la traduzione in italiano.


Avvertenza: eventuali commenti a sostegno di deliri complottisti (Torri Gemelle demolite, aerei inesistenti al Pentagono, passeggeri finti, ecc.) verranno cestinati. Prima di fare domande, consiglio di leggere attentamente le FAQ di Undicisettembre (colonna di destra del blog), che contengono già le risposte tecniche a queste fantasie e alla maggior parte degli aspetti poco chiari degli attentati. Sono invece benvenuti dubbi, riflessioni e domande sulla ricostruzione fatta da Mark Rossini.

2016/11/02

Arecibo, il radiotelescopio che non dovrebbe esistere: ne parlo su Le Scienze

I complottisti mi fanno sorridere: pensano di aver scoperto chissà quali complotti immaginari mentre quelli reali passano sotto il loro naso senza che se ne accorgano. Per il numero 579 di Le Scienze ora in edicola ho scritto un articolo che racconta proprio di uno di questi complotti reali.

Avete presente il radiotelescopio di Arecibo? Quel gigante di 300 metri di diametro che per decenni è stato di gran lunga l’osservatorio di radioastronomia più grande del mondo? Mi affascina sin da bambino, non solo per le sue linee eleganti e le sue dimensioni colossali e l’invio del messaggio radio lanciato verso eventuali civiltà extraterrestri in ascolto, ma perché non dovrebbe esistere.

Infatti non ha senso che negli anni Sessanta, quando la radioastronomia era in fasce, il governo degli Stati Uniti abbia costruito a tempo di record un radiotelescopio così colossale. Come si poteva giustificare la spesa in un settore così lontano da qualunque ritorno pratico?

Arecibo mi ha sempre lasciato perplesso, ma qualche tempo fa ho scoperto perché esiste. Se la cosa vi interessa, leggete il mio articolo su Le Scienze oppure procuratevi questi riferimenti tecnici (in inglese):

SIGINT in Space.

Soldiers, Spies and the Moon.

DARPA paves the way for U.S. Efforts in Ballistic Missile Defense.

Genesis of the 1000-foot Arecibo dish, Marshall H. Cohen, Journal of Astronomical History and Heritage.

The Wizards of Langley: Inside the CIA's Directorate of Science and Technology, Jeffrey T. Richelso.

To See the Unseen, NASA.

Arecibo Observatory presso DARPA.mil.

2016/01/17

Complotti veri: il disastro sfiorato e taciuto della Soyuz 5

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/01/23 19:00.

Si parla tanto di fantasiosi e improbabili complotti americani per simulare lo sbarco sulla Luna, ma ci si dimentica spesso dei veri complotti: quelli per insabbiare i fallimenti e i dettagli imbarazzanti delle missioni spaziali, specialmente (ma non solo) da parte russa. Questa è la storia di uno di questi complotti reali, tratta dal mio e-book Almanacco dello Spazio, di cui ho pubblicato stamattina un aggiornamento scaricabile gratuitamente.


Il 16 gennaio 1969, con la gara sovietica e americana per raggiungere la Luna nel massimo fermento, l’Unione Sovietica mette a segno una missione congiunta spettacolare. Nei giorni precedenti ha lanciato in orbita intorno alla Terra due veicoli con equipaggio, la Soyuz 4 (con a bordo un solo cosmonauta, Vladimir Shatalov) e la Soyuz 5 (che trasporta Boris Volynov, Aleksei Yeliseyev e Yevgeny Khrunov), e ora la Soyuz 4 attracca alla Soyuz 5 con una manovra inizialmente automatica e successivamente manuale.

Credit: Gianluca Atti
I due veicoli spaziali vengono interconnessi con alimentazione, comunicazioni e comandi e formano per quattro ore e mezza quello che la stampa sovietica definisce un po’ iperbolicamente “la prima stazione cosmica sperimentale al mondo”. Come vedete dall’immagine qui accanto, anche la stampa italiana (perlomeno quella comunista) non si discosta molto da questa descrizione epica, anche perché non ci sono altre fonti d’informazione a parte quelle sovietiche, controllatissime e censuratissime.

Retorica a parte, è comunque il primo attracco fra due veicoli spaziali entrambi dotati di equipaggio nella storia dell’astronautica. C’erano stati attracchi precedenti, ma soltanto fra veicoli senza equipaggio oppure fra uno con equipaggio e uno senza.

Dopo l’attracco, due dei cosmonauti della Soyuz 5, Yevgeny Khrunov e Alexei Yeliseyev, si trasferiscono alla Soyuz 4 effettuando una passeggiata spaziale, che viene registrata dalle telecamere di bordo: è il primo trasferimento extraveicolare di un equipaggio da un veicolo spaziale a un altro. Un altro primato, insomma, conquistato dai russi. Queste manovre servono a collaudare le tecniche di attracco e trasbordo che verranno usate per lo sbarco sulla Luna che i sovietici, in gran segreto, stanno tentando di realizzare.

La Soyuz 4 rientra a terra senza problemi il 17 gennaio con Shatalov, Khrunov e Yeliseyev (immagine qui accanto, tratta da Spacefacts). La Soyuz 5 resta in orbita fino al giorno successivo, pilotata dal trentaquattrenne Boris Volynov.

Fin qui tutto bene, insomma. Ma al momento del rientro della Soyuz 5 succede di tutto.

Il modulo di servizio, che sta sul retro del veicolo di Volynov, non si sgancia correttamente dalla capsula di rientro dopo l’inizio della manovra di discesa. Rimane attaccato alla capsula, e siccome è la parte del veicolo che offre la maggiore resistenza aerodinamica si dispone spontaneamente dietro, mettendo la capsula e Boris Volynov davanti. Il problema è che questo assetto è il contrario di quello necessario per sopravvivere al rientro, perché la Soyuz a questo punto ha lo scudo termico dietro anziché davanti.

Il calore del rientro agisce quindi sulla parte meno protetta della capsula: Volynov, invece di essere schiacciato contro il proprio sedile dalla decelerazione, viene spinto in senso contrario, contro le cinture di sicurezza che lo trattengono, e assiste impotente alla progressiva combustione delle guarnizioni del portello, che riempiono di fumo la capsula. Il cosmonauta, oltretutto, non ha una tuta pressurizzata che lo protegga.

I tecnici al Controllo Missione russo, informati via radio da Volynov della situazione, hanno già capito che non c’è nulla da fare e uno di loro si toglie il cappello, vi mette dentro tre rubli e lo passa agli altri per iniziare la colletta per l’imminente vedova.

Fortunatamente il calore esterno fonde i collegamenti fra il modulo di servizio e la capsula di rientro poco prima che ceda il portello e quindi il modulo di servizio si sgancia violentemente, permettendo alla capsula di riprendere il proprio assetto normale: il suo scudo termico, finalmente in posizione corretta, assorbe il calore prodotto dall’attraversamento dell’atmosfera e la capsula decelera, ma lo fa brutalmente, sottoponendo Volynov a ben 9 g, perché i razzi di manovra, che normalmente dovrebbero ridurre la decelerazione imponendo un assetto che genera portanza e quindi produce una planata, non funzionano: il loro propellente è stato esaurito dal computer di bordo nel vano tentativo di orientare correttamente la capsula mentre era ancora vincolata al modulo di servizio.

Boris Volynov
Non è finita: i cavi del paracadute della capsula si ingarbugliano parzialmente e i razzi che servono per la frenata finale sono danneggiati dal rientro e non funzionano, per cui l’impatto con il suolo è durissimo, anche se la neve lo smorza lievemente: Volynov viene sbalzato dal proprio sedile e si spezza alcuni denti. Oltretutto la capsula è atterrata nei monti Urali, a centinaia di chilometri dal punto previsto in Kazakistan, per cui i soccorsi non possono arrivare prontamente. Fuori la temperatura è -38°C e nella capsula non c’è riscaldamento, ma Volynov viene raggiunto dai soccorritori circa un’ora dopo il suo fortunoso atterraggio. Il disastro sfiorato verrà tenuto segreto dalle autorità sovietiche fino al 1997.

Le peripezie di Volynov non sono ancora finite: pochi giorni dopo, il 22 gennaio, sarà coinvolto in un attentato al premier sovietico Brezhnev. Ma questa è un’altra storia, che trovate nell’Almanacco dello Spazio.


2016/01/17 19:00. Dai commenti sono emerse versioni contraddittorie sulle fasi finali della disavventura di Volynov, in particolare sulla sua permanenza o meno nella capsula dopo l’atterraggio. Io qui ho pubblicato inizialmente quella presentata dalle fonti più affidabili, ma datemi un po’ di tempo per fare ulteriori controlli incrociati e riepilogare le varie fonti.


2016/01/20 00:05. Sto raccogliendo altri dati; intanto ho corretto la parte finale per tenere conto delle due versioni degli eventi.


2016/01/23 19:00. Ho riscritto la parte finale dell’articolo per tenere conto delle nuove informazioni e in particolare della rettifica pubblicata da James Oberg e delle dichiarazioni più recenti di Volynov. Ho anche corretto l’Almanacco dello Spazio. Tutte le fonti e i dettagli del mio approfondimento sono qui su Complotti Lunari. Un grazie speciale a Giovanni Pracanica per l’abile caccia alle informazioni che mi hanno permesso di correggere il finale della disavventura di Volynov.

2010/12/21

Le cose che non colsi - 2010/12/21

L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Supersquali a Liverpool. Repubblica annuncia la scoperta di uno squalo elefante che si aggira nel porto di Liverpool: scoperta fatta da un residente non certo andando sul posto, che è così fuori moda, ma facendo una ricerca in Google Earth. Indovinate come va a finire. Ne ho scritto un articolo per Wired.it.


Le foto di Paolo Nespoli dalla Stazione Spaziale Internazionale. Immagini splendide ed emozionanti inviate dall'astronauta italiano e pubblicate al volo (questa risale a nove ore fa) su Flickr qui. Date anche un'occhiata a Visual Sat-Flare Tracker 3D, di Simone Corbellini, un software di simulazione che permette di ricreare le vedute della ISS (o, se non credete ai viaggi spaziali, permette di verificare che le foto di Nespoli sono vere).


Complotti veri. Un rapporto consegnato al Congresso USA e basato su documenti CIA desegretati da poco mostra la vera portata dell'utilizzo e della protezione data dall'intelligence statunitense agli ex nazisti durante la Guerra Fredda. Erano troppo preziosi per contrastare l'Unione Sovietica, e non ci si fece troppi scrupoli. Chissà se c'è qualcosa su Wernher Von Braun, padre dei missili Saturn che portarono l'uomo sulla Luna. Il rapporto s'intitola “Hitler's Shadow: Nazi War Criminals, U.S. Intelligence and the Cold War” ed è disponibile insieme a molto altro materiale nei National Archives (Yahoo News).


Password di Gawker, DeviantArt e Twitter rubate, attenzione. Un attacco al sito di gossip Gawker.com ha consentito agli aggressori di rubare 1,3 milioni di password degli account usati per partecipare al sito. Il file con le password è stato poi pubblicato online, e siccome molti utenti usano la stessa password e lo stesso nome utente per più di un sito, le password rubate di Gawker hanno permesso di prendere il controllo di account Twitter (BBC). Anche DeviantART è stato oggetto di furto di password e si pone quindi lo stesso problema (Siamogeek). Se siete utenti di questi siti, cambiate password immediatamente.


Scanner aeroportuali facili da beffare. Basta applicarsi addosso l'esplosivo dandogli forme piatte che seguano l'anatomia. Il rapporto del Journal of Transportation Security è qui (PDF). Intanto un ragazzo è riuscito tragicamente a nascondersi nel vano del carrello di un Boeing 737 della US Airways negli Stati Uniti (è morto: il suo corpo è precipitato dal cielo nella zona di Boston). E all'aeroporto George Bush di Houston i controlli non rilevano una pistola carica nel bagaglio portato in cabina (ABC13.com). Bruce Schneier parla di “pensiero magico” che guida le decisioni dei responsabili dell'antiterrorismo e dice che “è un gioco stupido e dovremmo smettere di giocarlo” (New York Times). Siamo al teatrino della sicurezza. Invece della sicurezza che fallisce ma fa scena, possiamo avere della sicurezza che funziona senza farsi notare? Eh già, ma poi come fanno i politici come Michael Chertoff a lucrare sulla vendita dei costosi scanner (CNN/BoingBoing) o gli addetti alle ispezioni a rubare laptop con precisione (CBS Philadelphia)?


Skimmer per bancomat, demo e tecniche a nudo. Avete certamente sentito parlare degli aggeggi che i malviventi applicano ai bancomat per rubare i PIN delle tessere, ma magari vi chiedete chi li fabbrica, come funzionano e dove li trovano. Nuova frontiera: lo skimmer usa e getta, che manda i dati rubati in tempo reale via GSM e quindi non richiede di essere raccolto dal criminale, rendendo inutili gli appostamenti della polizia. Con foto e demo video (Brian Krebs).


Ci sono altri universi? Forse sì. E non è una fantasia: ci sono in gioco nomi di spicco come Roger Penrose, che insieme ad altri colleghi astronomi ha annunciato di aver trovato degli anelli concentrici nella radiazione di fondo cosmica che dimostrerebbero che l'universo è ciclico: prima del Big Bang ce n'è stato un altro, e così via, e gli universi precedenti sarebbero contenuti in quello corrente. Non solo: l'universo (nel senso di “tutte le stelle e le galassie che conosciamo”) sarebbe una sorta di bolla nel cosmo che ogni tanto tocca altre bolle analoghe, che possono avere leggi fisiche differenti dalle nostre e che in caso di collisione lasciano nel nostro universo delle tracce che sarebbero rilevabili oggi dagli strumenti. Errore di analisi dei dati, pareidolia astrofisico-matematica, o realtà? Le sonde spaziali, in particolare la sonda Planck, dovrebbero chiarire il dubbio. Intanto possiamo contemplare con meraviglia l'immensità e la sorprendente capacità di capirlo che noi scimmie sveglie stiamo dimostrando (BBC, Io9, Technology Review, con link agli articoli degli astronomi).


Facebook, mezz'ora di blackout. Un membro del personale di Facebook ha pubblicato per errore dei prototipi di prodotti interni ed è stato quindi necessario chiudere il social network per “20-30 minuti” per mettere le cose a posto. La vostra privacy è in buone mani (BBC).


Wikileaks. Attacco per errore a EasyDNS, provider accusato ingiustamente di aver tolto il servizio a Wikileaks (era stato in realtà EveryDNS e qualche giornalista ha fatto confusione), che adesso per tutta risposta supporta attivamente Wikileaks (Wired). Hillary Clinton, segretario di stato USA, a gennaio 2010 diceva che il governo USA stava “fornendo assistenza nello sviluppo di nuovi strumenti che permettano ai cittadini di esercitare i loro diritti di libertà d'espressione aggirando la censura motivata politicamente”. Adesso il governo USA censura Internet per bloccare la libera espressione di Wikileaks. Ironico (BoingBoing). I giornali pakistani abboccano ai falsi documenti anti-indiani (BBC). C'è anche chi fa un rickroll di Wikileaks.


Julian Assange. Tengo separato l'affare Wikileaks dai fatti di Assange perché temo che si voglia tirare fango sul personaggio per imbrattare l'organizzazione, ma segnalo un paio di notizie che sono una forma di contrappasso che fa riflettere. Anche Assange ha dei documenti imbarazzanti nel proprio passato come donnaiolo e stalker, con mail in cui dimostra come insegue con tecniche poco ortodosse una giovane ragazza (Gawker). Intanto il Guardian ha pubblicato tutti i dettagli delle accuse di “stupro” fatte ad Assange e il Daily Mail ha altri dettagli poco edificanti delle sue abitudini personali e redazionali.


Nuovi iPad in arrivo. Voci sul futuro iPad lo vogliono mini e con videocamera anteriore e posteriore; previsto per aprile, giusto in tempo per far diventare obsoleto l'iPad regalato a Natale (Zeus News).
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