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Il Disinformatico: diritto d’autore

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2019/03/26

Passa la direttiva UE sul copyright. E adesso?

Ultimo aggiornamento: 2019/03/26 20:25.

Il Parlamento dell’Unione Europea ha approvato oggi il testo finale del progetto di direttiva sul diritto d’autore. Entrerà in vigore nell’UE dal 2021, se approvata dagli stati membri, e ha vari problemi.

  • La direttiva rischia di creare leggi differenti per ciascun paese UE.
  • È un salto nel buio, perché (come nota l’avvocato Guido Scorza su AgendaDigitale e sul Fatto Quotidiano) non è supportata da nessuno studio economico sul suo impatto, per cui non si sa quanto (e nemmeno se) i titolari dei diritti guadagneranno più soldi come promesso dai sostenitori della direttiva. Esperimenti analoghi in Germania non hanno ottenuto un soldo.
  • Il suo articolo 15 (ex articolo 11) crea in sostanza una sorta di tassa sulle citazioni: gli editori dovranno autorizzare espressamente ogni ripubblicazione delle loro notizie, salvo che si tratti di singole parole o “estratti molto brevi”. Quanto brevi? Non è specificato. Questo dovrà essere chiarito dalle norme più dettagliate basate sulla direttiva. Ma una norma dello stesso genere esiste già in Spagna e ha prodotto la concentrazione del traffico sui grandi editori, svantaggiando quelli piccoli. Piccoli come il blog che state leggendo, per esempio.
  • Il suo articolo 17 (ex articolo 13) impone che tutti i grandi siti che permettono agli utenti di caricare contenuti debbano ottenere una licenza su quei contenuti e debbano filtrare quelli che violano il diritto d’autore; inoltre saranno responsabili per i contenuti immessi dagli utenti. In pratica si tratta di un filtro preventivo sugli upload, ossia una soluzione tecnica irrealizzabile (come si filtra un modello per stampante 3D sotto copyright?), oltre che uno strumento di censura formidabile (se ne volete un assaggio, guardate come si comporta il ContentID di Youtube). Per non parlare dell’assurdità di procurarsi una licenza preventiva per ogni possibile contenuto coperto da copyright: non solo musica e film, ma libri, foto, video, software, disegni, testi. Chi potrà negoziare una licenza a tappeto del genere? Solo chi ha tanti soldi.
  • L’articolo 17 prevede alcune esenzioni per l’esercizio del diritto di critica, recensione, parodia e collage, per cui i memi dovrebbero essere salvi. Sono esentati anche i siti come Wikipedia (le enciclopedie online non a scopo di lucro), le piattaforme di sviluppo di software open source, i servizi cloud, i negozi online e i servizi di comunicazione.
In sintesi, la direttiva crea un pantano legale che solo chi ha stuoli di avvocati potrà permettersi di gestire e comporta il rischio serio di zittire le voci dei piccoli o dei singoli.

Per esempio, si chiede la BBC, cosa succederà a chi condivide le proprie sessioni di videogioco su Youtube o Twitch? Il video di una sessione è una nuova opera, i cui diritti spettano al giocatore, ma include opere di proprietà dell’azienda creatrice del gioco. Opere al plurale, perché un videogioco contiene grafica, musica, dialoghi e software, ciascuno vincolato da un diritto d’autore separato. Verrà filtrato automaticamente? Un video di una festa di compleanno che contiene una canzone in sottofondo verrà bloccato?

E cosa cambierà in questo blog, per esempio? Per ora nulla: io vivo e lavoro in Svizzera, per cui quello che scrivo non è toccato dalla direttiva, salvo che la Svizzera decida di adottare norme analoghe. Lo stesso vale anche per tutti i contenuti prodotti fuori dall’UE. Il risultato, insomma, è che chi sta nell’UE verrà penalizzato e chi ne sta fuori (Google o Facebook, per esempio) continuerà come prima e anzi starà meglio di prima, perché nessun europeo se la sentirà di costituire un’azienda concorrente.

Ma soprattutto mi sembra che i creatori di questa direttiva, e i politici che l’hanno approvata, non abbiano tenuto conto di una cosa fondamentale: non è che siccome adesso c'è la direttiva, allora i siti dei pirati audiovisivi che distribuiscono film, telefilm, musica e libri violando il diritto d’autore smetteranno improvvisamente di farlo.

Come andrà a finire non lo sa nessuno. Staremo a vedere. Ma se padri di Internet come Tim Berners-Lee e tanti altri sono contrari, forse dovremmo ascoltarli. Anche perché ci hanno detto più volte che quando la Rete trova un ostacolo, trova anche la maniera di aggirarlo.

Ma se volete una sintesi perfetta di cosa non va in questa direttiva, leggete cosa ha tweetato Luca Sofri in proposito:





Fonti aggiuntive: Cory Doctorow, Gizmodo, EFF, Torrentfreak. Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.

2017/09/28

Lo studio sulla pirateria insabbiato dalla Commissione Europea

Di solito mi capita di smentire le tesi di complotto e d’insabbiamento da parte dei governi, ma in questo caso faccio un’eccezione: una ricerca commissionata della Commissione Europea è stata davvero insabbiata.

Si tratta di uno studio, costato 360.000 euro e completato nel 2015, sugli effetti della pirateria sui contenuti vincolati dal diritto d’autore. Si intitola Estimating displacement rates of copyrighted content in the EU,  è lungo oltre 300 pagine e oggi è scaricabile qui, ma non era mai stato reso pubblico.

Sappiamo di questo studio non grazie alle indagini dei complottisti, ma alla tenacia di una parlamentare europea, la tedesca Julia Reda, che ha scoperto che esisteva questo rapporto grazie alla Regola dell’Informazione Laterale che cito spesso nelle tecniche d’indagine giornalistica digitale: per sapere se un dato è vero o falso conviene sempre cercare le informazioni di contorno a quel dato. Se un documento è stato omesso o segretato, può darsi che altrove ci siano informazioni amministrative che ne tengono traccia.

In questo caso, per esempio, la parlamentare si è accorta dell’esistenza di questo studio perché ha scoperto la relativa gara d’appalto, risalente al 2013, e a quel punto ha richiesto accesso al documento. La Commissione, racconta la Reda, non ha risposto in tempo alla richiesta ben due volte.

Come mai tanta riluttanza nel pubblicare uno studio costato fior di quattrini? Può darsi che sia colpa dei suoi risultati, che “non mostrano prove statistiche dello spostamento delle vendite da parte delle violazioni del coypright online” con l’eccezione dei film più popolari e recenti. Risultati che stridono con i vari provvedimenti governativi che mirano a sorvegliare il traffico dei file caricati su Internet di tutti gli utenti, indistintamente, con la giustificazione della tutela del diritto d’autore.

Sia come sia, è indubbio che servono prove robuste per legittimare un intervento del genere e che, come dice la parlamentare, “dati preziosi sia finanziariamente, sia in termini di applicabilità dovrebbero essere disponibili a tutti se sono finanziati dall’Unione Europea: non dovrebbero raccogliere polvere su uno scaffale fino a quando qualcuno li richiede attivamente”.


Fonti aggiuntive: Boingboing.

2017/09/20

La7 usa un mio video, poi contesta su Youtube che viola il suo copyright

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete farne una anche voi per incoraggiarmi a scrivere ancora. Ultimo aggiornamento: 2017/09/20 16:15.

Pochi giorni fa ho dato a La7 il permesso di usare per Bersaglio mobile il mio video di debunking del 2008 Misteri da vendere, dedicato alle tesi di complotto sull’11 settembre. Stamattina mi è arrivata la contestazione di La7 per violazione del diritto d’autore su Youtube: io avrei violato il loro copyright perché loro hanno usato il mio video del 2008 in un programma del 2017.

Naturalmente mi sono opposto sia via Youtube, sia rivolgendomi direttamente ai responsabili di Bersaglio mobile.

La contestazione, fra l’altro, riguarda in tutto trentaquattro secondi. So che molte contestazioni sono generate automaticamente, ma questo è un sistema automatico idiota.





2017/09/20 16:15


Ê arrivata pochi minuti fa la rinuncia alla contestazione:


After reviewing your dispute, La7 has decided to release their copyright claim on your YouTube video.

Video title: "Il foro nel Pentagono è davvero troppo piccolo?"

If you earned any money during the dispute, you should receive that money as part of your next YouTube payment.

- The YouTube Team

2017/07/14

Dopo la fake news, la fake music? Gli inganni su Spotify


Spotify, il servizio di musica e video in streaming, ha oltre 140 milioni di utenti attivi e circa 50 milioni di abbonati paganti. Ma è anche un servizio che consente a molti truffatori o personaggi senza scrupoli di fare soldi alle spalle degl onesti.

Un recente articolo di Vulture.com ha fatto il punto di un giro di denaro basato sull’inganno citando per esempio il caso di Humble, la canzone di Kendrick Lamar che ha raggiunto il primo posto nella classifica di streaming di Billboard ed è stata ascoltata quasi 300 milioni di volte su Spotify. Accanto alla versione originale, però, su Spotify c’è anche Sit Down, Be Humble di un certo King Stitch, che si è aggiudicata oltre 300.000 visualizzazioni (con relativi incassi) solo per il fatto di imitare (anche nel titolo) l’originale di Lamar. Basta che un utente ascolti il brano per trenta secondi e Spotify paga.

Non è l’unico genere di trucco per fare soldi: su Spotify ci sono “artisti” come Happy Birthday Library, che offrono versioni personalizzate di Tanti auguri a te e così hanno incassato più di un milione di ascolti. C’è Chris Brown, che ha partorito un album, Heartbreak on Full Moon, che contiene ben quaranta canzoni. Non perché ha una vena musicale inesauribile, ma perché ha capito che più canzoni mette in un album più aumentano le possibilità che qualcuno le ascolti e quindi porti il suo album in cima alla classifica.

Prendete per esempio i Toilet Bowl Cleaners, la cui The Poop Song è stata ascoltata 400.000 volte. Dietro questa “band” c'è un uomo di nome Matt Farley, che ha al proprio attivo oltre 18.500 canzoni pubblicate su Spotify con questo e molti altri pseudonimi, come Guy Who Sings Songs About Cities and Towns, Wedding Proposal Music Song Band, Guy Who Sings Your Name Over and Over, Papa Razzi and the Photogs. È sempre lui, e tutte queste  “band” cantano solo canzoni a tema: Papa Razzi, per esempio, canta solo di celebrità. Indovinate che cosa canta Guy Who Sings Your Name Over and Over. Diciottomilacinquecento canzoni non sono musica: sono spam.

E c’è di peggio: Sir Juan Mutant ha pubblicato 64 album, ciascuno con una cinquantina di brani. Ma molte canzoni sono ripetute usando però titoli differenti e sono poco più che strimpellamenti. Non mancano impostori come Bob Segar, che fa cover di Bob Seger e ha 1,2 milioni di ascolti di Turn the Page; come Brooks Stars Garth, che ha vari milioni di ascolti delle sue cover delle canzoni di Garth Brooks; come la band Imagine Demons, che ha 1,7 milioni di ascolti di Demons (come il brano degli Imagine Dragons).

L’articolo di Vulture.com porta molti altri esempi di come il sistema della musica a pagamento in streaming venga manipolato e fa un’osservazione deprimente: in tutto questo giro di soldi, alla fine, l’unico che ci perde è l’utente.

2016/01/04

Startrekitalia.it copia abusivamente un mio articolo: quello sui copyright violati di Star Trek

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/01/04 16:00.

Qualche giorno fa ho pubblicato un articolo sull’accusa di violazione di copyright fatta da CBS e Paramount contro il fanfilm Axanar e l’ho intitolato CBS e Paramount fanno causa ad “Axanar”, fanfilm di Star Trek: è troppo ben fatto. Il giorno dopo, il sito Startrekitalia.it ha pubblicato un articolo a firma di “Redazione” intitolato, guarda che coincidenza, Star Trek Axanar, CBS e Paramount fanno causa al fanfilm: troppo ben fatto.

Per una coincidenza ancora più stupefacente, il testo dell’articolo di Startrekitalia.it è incredibilmente simile al mio. Considerate i primi tre paragrafi, per esempio.

Il mio originale del 31/12/2015

Senza la minima parvenza d’autoironia, l’atto legale di accusa della Paramount e della CBS nei confronti del fanfilm Axanar dice una cosa profondamente imbarazzante: le due case di produzione hanno fatto causa ai creatori di Axanar perché ha “l’aspetto e la consistenza di un vero film di Star Trek” (“look and feel like a true Star Trek movie”). A differenza di quelle stupidaggini fracassone dirette da J. J. Abrams. Quelle dove Spock risolve i problemi a suon di cazzotti.

Da decenni, ormai, i fan di Star Trek autoproducono storie, fumetti e video basati sui personaggi e gli ambienti della serie e finora CBS e Paramount, attuali titolari dei diritti, non hanno mai avuto problemi, a patto che si trattasse di produzioni amatoriali e senza scopo di lucro.

La serie di telefilm autoprodotti Star Trek Continues, per esempio, è davvero notevole, con interni curatissimi, fotografia identica all'originale e tanti cameo di attori ospiti della serie originale e non solo) e soprattutto delle belle storie che compensano il montaggio e la recitazione non sempre sublimi; altre autoproduzioni, come Renegades o Of Gods and Men, hanno addirittura impiegato gli attori principali delle varie serie “ufficiali” di Star Trek (Walter Koenig, Tim Russ, Robert Picardo, Aron Eisenberg, Nichelle Nichols, Terry Farrell, J. G. Hertzler, Chase Masterson, Gary Graham, Ethan Phillips, Cirroc Lofton, Grace Lee Whitney, Robert Beltran e tanti altri), spesso chiamandoli a interpretare gli stessi personaggi che interpretavano in Star Trek. E anche qui Paramount e CBS non hanno fatto una piega.


L’articolo di Startrekitalia.it dell’1/1/2016

Senza la minima parvenza d’autoironia, l’atto legale di accusa della Paramount e della CBS nei confronti del fanfilm Axanar dice una cosa profondamente imbarazzante: le due case di produzione hanno fatto causa ai creatori di Axanar perché ha “l’aspetto e la consistenza di un vero film di Star Trek” (“look and feel like a true Star Trek movie”).
A differenza di quelle stupidaggini fracassone dirette da J. J. Abrams. Quelle dove Spock risolve i problemi a suon di cazzotti.

Da decenni, ormai, i fan di Star Trek autoproducono storie, fumetti e video basati sui personaggi e gli ambienti della serie e finora CBS e Paramount, attuali titolari dei diritti, non hanno mai avuto problemi, a patto che si trattasse di produzioni amatoriali e senza scopo di lucro.

La serie di telefilm autoprodotti Star Trek Continues, per esempio, è davvero notevole, con interni curatissimi, fotografia identica all’originale e tanti cameo di attori ospiti della serie originale e non solo) e soprattutto delle belle storie che compensano il montaggio e la recitazione non sempre sublimi; altre autoproduzioni, come Renegades o Of Gods and Men, hanno addirittura impiegato gli attori principali delle varie serie “ufficiali” di Star Trek (Walter Koenig, Tim Russ, Robert Picardo, Aron Eisenberg, Nichelle Nichols, Terry Farrell, J. G. Hertzler, Chase Masterson, Gary Graham, Ethan Phillips, Cirroc Lofton, Grace Lee Whitney, Robert Beltran e tanti altri), spesso chiamandoli a interpretare gli stessi personaggi che interpretavano in Star Trek. E anche qui Paramount e CBS non hanno fatto una piega.

Il resto ha lo stesso andazzo. Questo, a casa mia, si chiama copiare. Che poi la copia abusiva riguardi proprio un articolo che parla di abuso del diritto d’autore è non solo spettacolarmente ironico: è profondamente stupido, perché a Startrekitalia.it bastava rispettare le mie semplici regole per la ripubblicazione dei miei articoli. In pratica, bastava linkare l’originale e includere il mio nome come autore. Macché.

Ho provato subito a contattare i responsabili del sito attraverso l’apposito form, ma non è servito a nulla. Ho scritto questo:


Questo:

http://www.startrekitalia.it/star-trek-axanar-cbs-e-paramount-fanno-causa-al-fanfilm-troppo-ben-fatto/

è copiato da questo mio articolo:

http://attivissimo.blogspot.ch/2015/12/cbs-e-paramount-fanno-causa-ad-axanar.html

Ma voi lo attribuite a "Redazione".

Da Trekker a Trekker: non è un bel modo di fare. Bastava chiedere. E bastava rispettare le semplici regole che trovate qui, fatte apposta per consentire la ripubblicazione dei miei articoli:

http://attivissimo.blogspot.ch/p/copyright.html

Rettificate, per favore.

Live long and prosper. But don’t steal.

Visto che ormai sono passati alcuni giorni e non è successo nulla, credo che sia venuto il momento di svergognare pubblicamente chi è così meschino da prendere abusivamente quello che potrebbe avere liberamente. Secondo Domaintools e Nic.it, il titolare di Startrekitalia.it è Andrea Ferraro (dato pubblico liberamente accessibile). Se volete fargli sapere educatamente cosa pensate di chi copia un articolo e si spaccia per suo autore, il modulo per i contatti è qui.

Un altro aspetto interessante di questa vicenda è che secondo Alexa e Instra, rispettivamente, i dati del Contact di Startrekitalia.it sono “Paramount Pictures Corporation Srl, Egidio Pusateri, Viale del Ghisallo 20, 20142 Milano” e che i dati dell’Owner sono “Paramount Pictures Corporation Srl”.

Secondo le mie ricerche, in Viale del Ghisallo 20, a Milano, c'è la sede della Paramount Home Entertainment (Italy) SRL (nome diverso rispetto a Paramount Pictures Corporation Srl). Non riesco a contattare telefonicamente nessuno alla sede milanese della PHE(I), nonostante ripetuti tentativi: la ragione, mi scrive Gabriella Cordone Lisiero (fonte molto bene informata sul mondo Trek italiano e non solo), è che “l’ufficio è stato chiuso da CBS Paramount passando l’home video a Universal Picture[s] Italia”. Ho contattato via mail la UPI per sapere se è collegata a Startrekitalia.it, ma finora non ho avuto risposta.

Qualcuno sta abusando del nome della Paramount e di Pusateri (che secondo LinkedIn non è più alla Paramount dal maggio del 2001)? Vorrei sperare di sì, perché l’alternativa sarebbe davvero impagabile: la Paramount che viola il mio diritto d’autore per un articolo che parla della violazione del suo diritto d’autore. Staremo a vedere. Se scoprite qualcosa, fatemelo sapere.


2016/01/04 16:00


L’articolo di Startrekitalia.it è stato rimosso senza una rettifica e senza una parola di scuse.

Morale della storia: certa gente, se sei disponibile e gentile e chiedi cortesemente che i tuoi diritti vengano rispettati, se ne strafotte; si sveglia soltanto se la sputtani pubblicamente. La prossima volta non perderò tempo a essere gentile.

2015/12/31

CBS e Paramount fanno causa ad “Axanar”, fanfilm di Star Trek: è troppo ben fatto

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/01/04 7:15.

Senza la minima parvenza d’autoironia, l’atto legale di accusa della Paramount e della CBS nei confronti del fanfilm Axanar dice una cosa profondamente imbarazzante: le due case di produzione hanno fatto causa ai creatori di Axanar perché ha “l’aspetto e la consistenza di un vero film di Star Trek” (“look and feel like a true Star Trek movie”). A differenza di quelle stupidaggini fracassone dirette da J. J. Abrams. Quelle dove Spock risolve i problemi a suon di cazzotti.

Da decenni, ormai, i fan di Star Trek autoproducono storie, fumetti e video basati sui personaggi e gli ambienti della serie e finora CBS e Paramount, attuali titolari dei diritti, non hanno mai avuto problemi, a patto che si trattasse di produzioni amatoriali e senza scopo di lucro.

La serie di telefilm autoprodotti Star Trek Continues, per esempio, è davvero notevole, con interni curatissimi, fotografia identica all'originale e tanti cameo di attori ospiti della serie originale e non solo) e soprattutto delle belle storie che compensano il montaggio e la recitazione non sempre sublimi; altre autoproduzioni, come Renegades o Of Gods and Men, hanno addirittura impiegato gli attori principali delle varie serie “ufficiali” di Star Trek (Walter Koenig, Tim Russ, Robert Picardo, Aron Eisenberg, Nichelle Nichols, Terry Farrell, J. G. Hertzler, Chase Masterson, Gary Graham, Ethan Phillips, Cirroc Lofton, Grace Lee Whitney, Robert Beltran e tanti altri), spesso chiamandoli a interpretare gli stessi personaggi che interpretavano in Star Trek. E anche qui Paramount e CBS non hanno fatto una piega.

Allora come mai stavolta è diverso? La spiegazione arriva sempre dall’atto d’accusa: Axanar ha raccolto fondi per oltre un milione di dollari e si propone come un prodotto con “professionisti che lavorano davanti e dietro la macchina da presa, con una troupe interamente composta da professionisti – molti dei quali hanno lavorato a Star Trek – che garantiscono che Axanar avrà la qualità di Star Trek che tutti i fan vogliono vedere”.

In effetti il trailer conferma questo intento professionale e qualitativo:


Anche il prequel, intitolato Prelude to Axanar, è dello stesso livello (sono disponibili i sottotitoli in italiano), e le immagini che avete visto qui sopra non sono tratte dai film di Abrams ma da Axanar:


C'è anche un altro aspetto significativo: adesso CBS e Paramount hanno in cantiere una propria serie televisiva di Star Trek, e c'è in lavorazione il terzo film della serie “reboot”, intitolato Beyond, che è talmente lontano dagli ideali e dalle situazioni di Star Trek che si vanta addirittura di avere come regista quello di Fast and Furious, ha la colonna sonora dei Beastie Boys (Sabotage, se non erro) ed è una serie ininterrotta di scazzottate e salti con motociclette.

Il trailer di Beyond ha fatto infuriare i fan, tanto da indurre il regista a giustificarsi (idem Simon Pegg, co-sceneggiatore), per cui trovarsi confrontati con un prodotto amatoriale che i fan invece adorano, come Axanar, tanto da finanziarlo per un milione di dollari, non solo rischia di mettere in ombra le produzioni “ufficiali”, ma probabilmente causa un gran rosicamento ai pezzi grossi di Hollywood, che ancora non hanno capito cosa vogliono i fan di Star Trek (aiutino: azione, avventura, ma anche rispetto per i personaggi originali e una storia che faccia pensare).

I produttori di Axanar si erano incontrati con la CBS, secondo quanto riferisce uno di loro, Alec Peters, e ne avevano ottenuto una risposta di tolleranza a patto che Axanar non guadagnasse nulla: infatti verrà distribuito gratuitamente. Questo, insieme agli anni di dimostrata accettazione dei fanfilm precedenti, aveva fatto pensare che anche Axanar sarebbe stato tollerato. Ma ora CBS e Paramount chiedono un’inibitoria alla distribuzione di Axanar e anche centinaia di migliaia di dollari di danni per le violazioni del diritto d’autore. I produttori di Axanar hanno risposto su Facebook dicendo che “a quanto pare la CBS sa che Axanar è esattamente quello che vogliono i fan, perché stanno cercando di farci chiudere” e che risponderanno a breve ma non mollano. Staremo a vedere.

Sembra proprio, insomma, che finché si tratta di fanfilm così così, a Paramount e CBS va bene che i fan usino i loro marchi, perché in fin dei conti contribuiscono (gratis) a mantenere popolari quegli stessi marchi; ma se un fanfilm rischia di essere migliore delle loro produzioni, allora cala la scure della legge. Per carità, CBS e Paramount non fanno altro che far valere i propri diritti sanciti dalla legge, ma usare così palesemente due pesi e due misure non sembra essere il modo migliore per farsi amare dai fan. Che, vorrei ricordare, già negli anni Sessanta seppero organizzare una campagna di protesta sufficiente a far rinnovare la Serie (oggi) Classica di Star Trek per una terza stagione nonostante la rete televisiva volesse chiuderla.

Star Trek esiste da sempre grazie ai fan, ma i bottegai di Hollywood non l’hanno ancora capito.

Adesso ho un motivo in più per non andare a vedere Beyond.


2015/12/31 13:20. Alec Peters, uno dei principali artefici di Axanar, ha raccontato la propria versione dei fatti e ha detto di essere stato in contatto con “una delle principali società di consulenza sulla proprietà intellettuale negli Stati Uniti” con l’ipotesi di fornire una difesa legale pro bono. La società, dice Peters, “era molto interessata a rappresentarci dato che era al corrente dell’azione legale e aveva già deciso che questo sarebbe stato un caso di altissimo profilo che potrebbe definire la legge sulla proprietà intellettuale per l’industria dell’intrattenimento”. Se ci saranno sviluppi concreti ve li segnalerò.


2016/01/01 12:30. Nei giorni scorsi Alec Peters ha pubblicato altri dettagli qui, dicendo di aver appreso dell’azione legale dalla stampa prima ancora che dai canali ufficiali.


2016/01/04 7:20. Sono interessanti i punti di vista di Luigi Rosa su Siamogeek e di Gabriella Cordone Lisiero (due che vivono di pane e Star Trek molto più di me): alcuni fatti indicano che la raccolta di fondi incentrata su Axanar non ha le connotazioni giuste per essere considerata senza scopo di lucro. Sia come sia, l’esito di questa lite legale sarà molto significativo per tutto il mondo delle produzioni amatoriali basate su format sotto copyright.


Fonti: Hollywood Reporter, Ars Technica, Variety, TrekNews.

2015/09/25

“Tanti auguri a te”, negato il copyright preteso per decenni dalla Warner

Sapevate che Tanti Auguri a Te non è una canzone tradizionale libera, ma è soggetta al diritto d'autore della Warner/Chappell Music? Lo è, o perlomeno lo è stata per decenni fino a pochi giorni fa, quando una sentenza di un giudice federale statunitense ha stabilito che la Warner non detiene i diritti sulla canzone e che quindi i pagamenti richiesti per il suo uso (circa 2 milioni di dollari l'anno) non sono legittimi.

Specificamente la Warner affermava di avere i diritti sul testo di Tanti Auguri a Te fino al 2030, ma la sentenza stabilisce che il diritto riguarda soltanto specifici arrangiamenti della melodia, composta dalle sorelle Patty e Mildred Hill nel 1893 (o perlomeno attribuita a loro; ci sono dubbi sull'origine del brano). Secondo alcune stime, è il brano che vanta i maggiori incassi nella storia della musica: circa 50 milioni di dollari.

La vicenda è emersa grazie alla documentarista Jennifer Nelson, che ha fatto un film dedicato alla storia di questa canzone popolarissima: ha indagato sulle vere origini del brano e ha fatto causa sulla base di quello che ha scoperto. Dopo due anni di azione legale è arrivata questa sentenza. È probabile che la Warner ricorrerà in appello.


Fonti: Ars Technica, BoingBoing.

2015/07/24

La Universal Pictures denuncia la pirateria di un film. All’indirizzo 127.0.0.1

Figuraccia per la filiale francese della Universal Pictures: nell'ambito della propria lotta alla pirateria audiovisiva ha dato incarico a una società, la Trident Media Guard, di pattugliare Internet alla ricerca di violazioni del diritto d'autore e di denunciare gli indirizzi IP dei pirati per farli oscurare. Solo che fra gli indirizzi IP denunciati a Google, specificamente per aver piratato il film Jurassic World, c'è anche il 127.0.0.1.

Sì, avete capito bene: la TMG ha denunciato l'indirizzo IP del proprio computer, sul quale evidentemente c'era una copia (si spera legittima) del popolarissimo film. 127.0.0.1 è infatti per convenzione l'indirizzo locale di ogni dispositivo.

Il pasticcio ha naturalmente scatenato l'ilarità degli internauti ed è stato immortalato dal sito Chilling Effects, che si occupa della tutela degli internauti dalle denunce false o vessatorie. La domanda che molti si pongono, di fronte a incidenti come questo, è che se il sistema antipirateria della Universal è così impreciso da segnalare come pirata il computer sul quale lavora, quanti altri utenti denuncia e assilla senza reale motivo? Tanti, a quanto pare, perché fra i siti “pirata” denunciati da TMG c'è persino l'Internet Movie Database, un sito popolarissimo che cataloga i film ma non li offre per lo scaricamento.

2015/01/15

Adesso chi è il pirata? Il Corriere della Sera pubblica le vignette altrui senza pagare i diritti

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alla gentile donazione di “m.fattic*” e “xxy*”. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora.

Il Corriere della Sera ha pubblicato un libro di vignette realizzate da vari vignettisti in risposta all'attentato a Charlie Hebdo. Solo che l'ha pubblicato e messo in vendita senza pagare i diritti ai disegnatori. Persino un tipo pacato come Leo Ortolani (Rat-Man) s'è incazzato.

Leo_Ortolani
Tanto per essere chiari e non confondere libertà di espressione con "brigittebbardò-bardò". http://t.co/ZLrSRbUBxQ
15/01/15 11:06

Altri vignettisti piratati dal Corriere hanno risposto ancora più vivacemente, come vedete qui accanto: “Cari ‘amici’ del Corriere... se volete ci mettiamo pure una ramazza in culo e vi puliamo la stanza!” scrive Rrobe qui. Wired.it ha pubblicato un elenco dei vignettisti coinvolti e ha raccolto le loro reazioni di disgusto.

Complimenti al Corriere, che come tanti giornali si erge a paladino del diritto d'autore e minaccia punizioni severe a chi osasse copiare uno dei suoi articoli, ma si sente in diritto di prendere le opere altrui e pubblicarle senza pagarle e senza neppure avere la cortesia di chiedere il permesso.

Giusto per chiarire un equivoco che confonde parecchia gente: il fatto di pubblicare su Facebook o Twitter una vignetta non significa rinunciare ai propri diritti d'autore. Le condizioni di contratto di questi social network concedono una licenza di pubblicazione al social network stesso. Non danno il permesso ad altri di rubare. Citare, sì; fare embedding, anche; ma non di prendere, stampare e vendere come ha fatto il Corriere della Sera.

Come se non bastasse, il Corriere pubblica a scrocco le vignette altrui in un libro “in difesa della libertà di stampa” ma censura le vignette che a suo parere possono offendere perché, dice, ci sono “sensibilità che vanno rispettate”. Fra queste, a quanto pare, non ci sono quelle dei vignettisti. Forse perché i vignettisti non irrompono nelle redazioni con la mitragliatrice in mano.

Non è finita. Il Corriere, di fronte alle proteste per questo suo atto di violazione del diritto d'autore, si difende scrivendo che “Aspettare di avere l’assenso formale di tutti gli autori, a nostro giudizio, avrebbe rallentato in maniera sensibile l’operazione”. Si vede che al Corriere usano ancora i piccioni viaggiatori e ignorano che esistono il telefono e le mail che permettono di contattare subito gli autori, come fanno nelle redazioni degli altri giornali all'estero.

E così viene distribuito nelle edicole d'Italia un libro pirata. Quale sarà la durissima reazione della SIAE di fronte a questo palese e sfrontato atto di violazione del copyright?

2014/03/07

Getty Images apre i propri archivi d’immagini all’uso gratuito non commerciale

Chi vuole aggiungere immagini al proprio sito o blog spesso ricorre a immagini prese da Internet, senza riconoscerne la paternità e violando solitamente il diritto d'autore. I più diligenti e onesti ricorrono alle immagini di Wikipedia, liberamente usabili se se ne cita la fonte. Le foto di grande impatto, quelle usate commercialmente, finora erano troppo costose per un sito amatoriale.

Pochi giorni fa le cose sono cambiate: Getty Images ha deciso di concedere l'incorporamento gratuito, senza watermark, di una buona porzione del proprio vasto catalogo. Le regole dicono che le immagini non possono essere utilizzate “per qualsiasi scopo commerciale”, per cui un sito amatoriale che non generi introiti e non contenga pubblicità sulla quale guadagna l'utente dovrebbe essere libero di usare l'offerta di Getty Images. Le immagini concesse con questa licenza sono pubblicabili anche su Twitter e Tumblr.

In concreto, per usare una foto di Getty Images si procede andando alla pagina di ricerca e immettendo i criteri di ricerca (anche in italiano). Nella pagina dei risultati si lascia un istante il mouse sull'immagine che interessa: se compare l'icona dell'HTML (simbolo di minore, trattino, simbolo di maggiore), l'immagine può essere incorporata liberamente inserendo il codice nella pagina del blog o sito.

Le dimensioni dell'immagine incorporata possono essere modificate a piacimento e il codice include automaticamente una dicitura che evidenzia l'uso di Getty Images e indica l'autore dell'immagine. Cliccando su di essa si viene portati alla sua pagina nel sito di Getty Images, dove è possibile acquistarla per altri usi oppure pubblicarla su Tumblr o Twitter cliccando sulle rispettive icone.

Sembra insomma una soluzione vincente per tutti: gli utenti possono abbellire le proprie pagine senza violare il copyright, mentre Getty Images e i suoi fotografi guadagnano visibilità (e presumibilmente attirano acquirenti). L'unico neo del servizio è che al momento non è possibile chiedere di visualizzare soltanto le immagini incorporabili.

2014/01/11

Oggi alle 15 sarò a Lugano per discutere di democrazia digitale

Oggi alle 15 a Lugano, presso la Libreria al Centro (ex Melisa), in via Vegezzi 4, parteciperò al dibattito eDem-Democrazia Digitale e partecipazione Online, strumenti e progetti, organizzato dall'Associazione Partito Pirata del Ticino. Nel dibattito interverranno anche Carlo Brancati (collaboratore a piattaforme di e-democracy), Lorenzo Losa (Wikimedia Foundation Italia), Ilario Valdelli (Community Manager Wikimedia Svizzera). È prevista la presenza di Alexis Roussel, Presidente del PPS. La pagina Facebook dell'evento è questa: l'incontro potrà essere seguito in diretta streaming su Youtube.

2012/09/18

Il Corriere colto a violare il copyright: due pesi, due misure

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Internet è il covo dei pirati; i giornali sono santi, puri e casti, ligi alle leggi e alle regole. Mai e poi mai i Ggiornalisti si abbasserebbero a violare il diritto d'autore, come fanno invece quei pezzenti dei blogger. Nooo. I Ggiornali ospitano strali delle varie case discografiche e cinematografiche che piangono perché Internet ha rubato loro foto, film e musica. Lo chiamano proprio così: rubare (c'è persino lo spot apposito, fatto – sublime ipocrisia – con musica di un artista olandese, usata senza il suo permesso). Internet, sei brutta e cattiva: vai dietro la lavagna.

Poi capita di aprire un quotidiano e scoprire perle come questa, a pagina 18 del Corriere di oggi (grazie a Luigi per la segnalazione e lo screenshot):


La mappa è stata “rubata” (il termine è quello che usano i discocinematografici) al suo autore, Vincenzo Cosenza, che l'ha pubblicata qui nel proprio sito:

Stessa idea, stessa scelta di colori (non sempre legata al colore del social network, come nel caso di Cloob e Qzone). Il Corriere non indica la fonte dalla quale ha prelevato i dati e non indica come li ha elaborati: Vincenzo sì, e contesta la copiatura, segnalando che non è la prima volta.

Ho chiesto a Vincenzo se per caso il Corriere aveva il suo permesso di pubblicazione. Mi ha detto di no. In altre parole, il Corriere ha violato il diritto d'autore. Forza, SIAE e altri numi tutelari, così pronti a intervenire e rovinar famiglie quando la violazione la commette un privato cittadino: fate vedere che le leggi valgono per tutti, anche per la redazione del Corriere, e fate notare che il Ggiornalismo copia e ruba. Fate risarcire Vincenzo per la violazione dei suoi diritti (il diritto d'autore è un diritto automatico), esattamente come chiedete a chi scarica o imita una canzone di risarcire il suo autore. Le regole son regole, giusto?

Altrimenti tutti i vostri discorsi sul diritto d'autore sono aria fritta; le prediche, quando vengono da un pulpito che razzola male, fanno solo scappare i fedeli. La chiesa è già quasi vuota. Vedete voi.

Aggiornamento (15:40): su Twitter sono comparse le scuse di Daniele Manca del Corriere: “@vincos @elvira_serra Ciao! Scusa per l'uso del grafico! Vorrei far mettere una precisaZione come posso scrivere come credito? scusa ancora”.

2012/01/18

24 ore di oscuramento di Wikipedia e altri siti chiave

Wikipedia, Wordpress e altri siti si auto-oscurano per protesta contro leggi USA liberticide


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Per ventiquattro ore, Wikipedia, Wordpress, Reddit, BoingBoing e altri siti chiave di Internet saranno oscurati. Lo scopo del blackout è attirare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla stupidità delle leggi SOPA e PIPA che gli Stati Uniti stanno valutando: secondo il parere di molti tecnici, queste leggi – concepite per contrastare la pirateria audiovisiva – sarebbero in realtà del tutto inefficaci e avrebbero invece effetti collaterali devastanti sulla libera circolazione del sapere e delle idee.

Non è un problema che riguarda solo gli Stati Uniti, perché gli effetti di queste leggi si sentirebbero in tutto il pianeta. Già adesso un cittadino britannico, Richard O'Dwyer, "rischia l'estradizione negli USA per aver commesso presunte violazioni del diritto d'autore USA, nonostante viva nel Regno Unito e tutto quello che ha fatto sia avvenuto su server situati nel Regno Unito", come segnala Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia. Una casa cinematografica USA avrebbe il potere di far chiudere o togliere dai motori di ricerca qualunque sito accusato di ospitare qualunque contenuto che (a giudizio della casa cinematografica stessa) viola il diritto d'autore. Secondo BoingBoing, per finire oscurati sarebbe sufficiente linkare un qualunque sito accusato di violazione del copyright. In altre parole, la semplice menzione dell'esistenza di Isohunt.com che state leggendo in questo momento comporterebbe il blackout forzato del Disinformatico.

Non si tratta di una protesta in difesa della pirateria, ma di richiesta di combattere la pirateria usando metodi che funzionano invece di provvedimenti dettati dal panico e dall'incompetenza tecnica. Matt Mullenweg, cofondatore di WordPress, lo dice chiaro e tondo: “gli autori di queste leggi sembrano non capire veramente come funziona Internet. La definizione di sito domestico rispetto a sito estero dimostra una deplorevole mancanza di comprensione del modo in cui si usano i domini e del modo in cui si muove il traffico su Internet.” Mancanza di comprensione talmente alta che persino l'estensore di SOPA, il membro del Congresso USA Lamar Smith, viola il copyright sul suo stesso sito, che con SOPA verrebbe quindi oscurato.

Maggiori dettagli su queste leggi sono nelle pagine apposite di Wikipedia (che restano accessibili). Il comunicato di Reddit è qui. Anche Google è contro queste proposte di legge, come lo sono Facebook, EOL, eBay, Twitter, LinkedIn e molti altri nomi fondamentali di Internet. Anche la Casa Bianca si oppone, temendo che venga minata alla base la libertà d'espressione. La MPAA liquida la protesta definendola una “sceneggiata pericolosa” e dicendo che sono in pericolo dei posti di lavoro americani. La BBC ha una rassegna delle pagine oscurate di molti siti, da Mozilla a Greenpeace.

Per quel che mi riguarda, la scelta è semplice: non è accettabile che si reprima un diritto fondamentale di tutti per salvaguardare il diritto di pochi. Se mi si costringe (senza motivo) a scegliere fra libertà d'espressione e tutela di Twilight, non faccio fatica a scegliere la prima. E lo dico come autore e creatore di contenuti. Tutto quello che si chiede al legislatore è di ascoltare le idee degli esperti invece dei piagnistei dei magnati di Hollywood. Perché è solo ai big del copyright che SOPA e PIPA danno un vantaggio: i pesci piccoli, i musicisti emergenti, gli artisti che vogliono crescere restano comunque, all'atto pratico, privi di qualunque tutela, perché non possono pagarsi eserciti di avvocati.

2011/10/29

SIAE: pagare per mostrare le pubblicità dei film

C'è la cretinaggine. C'è la demenza. C'è l'idiozia. Poi c'è la SIAE: 1800 euro per pubblicare nei siti gli spot dei film


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Forse alla SIAE c'è qualcuno che pensa che i siti Internet siano pieni di soldi e facciano profitti da capogiro. Forse alla SIAE c'è qualcuno che non ha ancora capito che la stragrande maggioranza dei siti della Rete si regge sul volontariato e sulle notti insonni degli appassionati, che attraverso i propri sforzi fanno conoscere al pubblico i film.

Forse alla SIAE c'è qualcuno che non ha ancora capito che chiedere 1800 euro a chi pubblica su Internet gli spot che promuovono i film è un'imbecillità assoluta. La legge lo consente, a quanto pare, ed è quello che sta succedendo adesso. Ma è una legge idiota che, come tutte le leggi idiote, il buon senso dovrebbe sopprimere anziché applicare. E se non basta il buon senso, almeno s'invochi la decenza umana, per evitare di multare i bambini di Chernobyl perché cantano una canzone.

Molti siti italiani si sono visti recapitare dalla SIAE una richiesta di pagamento di 1800 euro l'anno per avere la licenza di pubblicare i trailer cinematografici. La motivazione, secondo la spiegazione della SIAE, è che i trailer contengono musica e “se una musica viene utilizzata l'autore di quella musica ha diritto ad un compenso”. Perché, si sa, gli autori delle musiche dei film non vengono già pagati da chi produce il film.

Fra l'altro, la SIAE dice che “I produttori dell’ANICA, che sono i proprietari dei trailer, pagano alla SIAE i compensi per l’uso della musica”. Quindi gli autori delle musiche già ricevono compensi attraverso la SIAE. Almeno in teoria, visti i bilanci della Società (2007) e l'allarme degli stessi autori che temono “il rischio che i diritti già raccolti dall’ente, anziché essere redistribuiti tra i soci, vengano utilizzati per coprire i costi e le perdite di gestione” (Rockol 2010; grazie a Luigi per le info).

Milleottocento euro per poter ospitare i trailer – che sono uno spot pubblicitario per un prodotto commerciale – sono una cifra insostenibile non solo per qualunque blogger appassionato di cinema che voglia promuovere un film semplicemente perché gli è piaciuto, ma anche per molti siti professionali o semiprofessionali. Per cui siti come Fantascienza.com, Frenckcinema e Leganerd.com hanno rimosso tutti i trailer e li hanno sostituiti con diciture come questa (tratta da Fantascienza.com):

“i trailer cinematografici e assimilati come le clip promozionali... che venivano forniti dalle agenzie di stampa come materiale di libera pubblicazione, tale non erano secondo la SIAE. Che ora esige il pagamento di costose licenze per la pubblicazione di questi video. Siamo convinti che pagare 1800 euro all'anno per avere il privilegio di fare pubblicità gratuita ai clienti della SIAE non abbia nessuna logica né nessuna possibile utilità.”

Volendo essere complottisti, ha tutta l'aria di una mossa pensata appositamente per consentire solo a chi il portafogli bello gonfio di continuare a pubblicare trailer. In altre parole, quei 1800 euro di balzello SIAE servono a centralizzare il controllo della distribuzione dei trailer. Sarebbe un bell'esempio di come il legislatore troglodita non ha ancora capito che esiste Internet, che il mondo è cambiato e che le oligarchie dei danarosi sono castelli di fango sui quali sta piovendo. Adattarsi o perire. Ma non sono un complottista.

Non posso che fare i complimenti alle case cinematografiche per questo strepitoso autogol, ispirato da quest'idea geniale partorita con AGIS, secondo Punto Informatico. Ora centinaia di siti che promuovevano i vostri prodotti non lo potranno più fare. Datevi una pacca sulla spalla. Preferibilmente con un coltello in mano.

La SIAE ha dichiarato che “I compensi sono parametrati sui siti commerciali, che vendono pubblicità e fanno business sui contenuti. Ed è a queste imprese che la SIAE si è rivolta per chiedere il rispetto del diritto d’autore”. Sarà. Ma chi decide cosa s'intende per “sito commerciale”? Se un blogger ospita qualche Adsense o se il provider che gli ospita il blog inserisce un banner pubblicitario, diventa un “sito commerciale” che “fa business sui contenuti”?

A quanto pare è solo la musica ad attirare l'attenzione pecuniaria della SIAE: “L'unico diritto da pagare è quello per le colonne sonore”, scrive infatti la Società Italiana degli Autori ed Editori. Se è così, si potrebbero pubblicare i trailer muti, come suggerisce Cinematech.it. Magari con una bella scritta in sovrimpressione che faccia capire al lettore chi è il vampiro rimbambito della situazione: “Non siete sordi. Questo trailer pubblicitario è muto perché la SIAE ci chiede 1800 euro l'anno per farne sentire la colonna sonora. Prendetevela con la SIAE.”

Ma sarebbe un compromesso all'italiana, valido solo come goliardata temporanea. È molto più dignitosa ed efficace la serrata fatta dai siti: obbliga i produttori a scontare le conseguenze delle loro pretese medievali.

Fonti aggiuntive: Ilpost, Corriere.it.

2011/06/29

Bavaglio italiano al Web dal 6 luglio?

Muore il Web italiano? Esagerati. Ma è ora di imparare a usare davvero Internet


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Leggo e ricevo vari allarmi su una presunta morte del Web italiano a causa di una delibera dell'Agcom, l'autorità garante delle comunicazioni italiana, che viene presentata come tutela del diritto d'autore su Internet e darebbe all'Agcom stessa il potere di ordinare l'oscuramento in Italia di qualunque sito o blog accusato di violazione del diritto d'autore.

Alessandro Longo, su L'Espresso, parla nel sommario di “diritto arbitrario di oscurare siti senza un processo” sotto il titolo drammatico “6 luglio, muore il web italiano” (Longo ci tiene a precisare che titolo e sommario dell'articolo non sono opera sua). Anonymous si è lanciata ieri in un denial of service contro il sito dell'Agcom (info su Oversecurity.net). La vicenda deriva subito verso la politica, con grida di complotto ordito da Berlusconi e Mediaset per sabotare Internet, che è vista come una “minaccia al loro business” (così dice, nel già citato articolo di Longo, Luca Nicotra, segretario di Agorà Digitale, promotore di una protesta coordinata ricca di link utili). Meno politicizzati e più concreti Juan Carlos De Martin (Creative Commons) su La Stampa (qui e qui) e Punto Informatico (qui e qui).

Sapete bene che quando si tira in ballo la politica italiana mi vengono i conati di repulsione, per cui la faccio breve, come si addice alle incursioni nei postriboli dei bassifondi.

Parliamoci chiaro: questo dell'Agcom, come ogni altro tentativo di imbavagliare la Rete, è destinato a fallire per motivi assolutamente fisiologici. Non ci riescono i cinesi, figuriamoci se ci riusciranno le sciacquette dei burocrati italiani. Buttarla in politica e accusare una sola fazione di essere colpevole d'ogni nefandezza non fa altro che distrarre da questo concetto fondamentale e svilire la questione. Come il DDOS contro Agcom, non fa altro che regalare comode munizioni a chi vuole trasformare in rissa una questione seria e a chi brama di accusare di apologia della pirateria gli onesti che vogliono difendere non solo il diritto d'autore ma anche quello del fruitore.

Sarà facile zittire le iniziative sensate, come il Creative Commons e il fair use, etichettandole come pro-pirateria, sovversive, anarco-insurrezionaliste, antiberlusconiane e quant'altro, senza bisogno di dimostrare che lo stato delle cose attuale causi danni ad autori e artisti. Senza fermarsi a chiedere quanta pubblicità gratuita ha avuto Lady Gaga da Internet o come mai, se siamo tutti così pirati, Avatar o Il Signore degli Anelli incassano miliardi di euro. Verrà dimostrata invece una sola cosa: che i governi (e, in misura minore, i grandi editori) non hanno la più pallida idea di come funzioni Internet e sono mentalmente fermi all'Ottocento sia con il loro modello di governo, sia con il loro modello di business. Ne pagheranno le conseguenze.

A mio avviso ci sono due modi per far fallire in modo elegante e civile quest'ennesimo giro di giostra. Il primo è sommergere l'Agcom di segnalazioni di presunte violazioni. Noi siamo in tanti; loro sono in pochi. Basta qualche decina di migliaia di segnalazioni per mandare in tilt il sistema e ricordare a questi asini digitali che stanno cercando di vietare al vento di soffiare e stanno ragionando ancora in termini di piombo in tipografia anziché di bit nella Rete. Qualcuno si ricorda, per esempio, l'obbligo di mandare una copia di ogni pubblicazione agli Archivi Nazionali e tutto il panico che fu diffuso quando parve che l'obbligo si dovesse estendere a ogni sito Web? Appunto.

Il secondo è che è ora di studiare invece di strillare. I vari tentativi di censura e oscuramento funzionano soltanto con chi non sa usare Internet e non ha voglia di imparare a usarla come si deve, però poi si lamenta. La resistenza civile ai tentativi di imporre leggi idiote non passa solo dai canali politici e dalla scheda elettorale: passa dal filo dell'ADSL che abbiamo in casa. L'HADOPI francese non è fallita perché i francesi si sono dedicati al denial of service contro i siti delle autorità (come stanno facendo in maniera davvero infantile in queste ore LulzSecItaly e AnonItaly). È stata ridicolizzata perché gli internauti francesi hanno capito che il peer-to-peer è vulnerabile (nel senso che consente un facile monitoraggio) e sono passati ad altri sistemi (come i download diretti tramite Rapidshare, Megaupload, Fileserve, eccetera). È ora di spegnere il teleschermo e di accendere il cervello; di smettere di comprare giornali-spazzatura e diventare tutti hacker.

Ah, già, ma stasera c'è la partita su Inediaset Premium Plus Ultra 3D 4x4 Dolby Surround Ritardante per Lui Stimolante per Lei. Non si può rinviare la rivoluzione di qualche ora?

2010/06/06

Pirateria e gestori dei media, adattarsi o perire

Copyright, è ora di rendersi conto che i buoi sono scappati. E hanno vinto


J.K. Rowling, l'autrice della fantastilionaria saga di Harry Potter, ha avuto l'illuminazione: rifiutarsi di produrre una versione digitale legale dei suoi libri non ha impedito che i lettori se ne creassero una propria. Che scoperta.

Ieri sera sulla BBC è andata in onda una nuova, magnifica puntata di Doctor Who (Vincent and the Doctor). Neanche due ore più tardi, era già su Rapidshare, in qualità perfetta, da dove l'ho scaricata ad altissima velocità: ci ho messo meno della durata della puntata stessa. E me la sono vista insieme alla mia famiglia.

Sono impazzito e mi sto autodenunciando pubblicamente per pirateria? No. Qui al Maniero Digitale ricevo legalmente la BBC. Pago un canone a una società di telecomunicazioni (Cablecom) per poterlo fare, e il canone include anche i diritti d'autore: sto quindi scaricando un'opera che ho comunque il diritto di vedere. E la legge svizzera (articolo 19 della Legge federale sul diritto d'autore e sui diritti di protezione affini) permette il download puro delle opere vincolate da copyright (ma non la loro condivisione indiscriminata). Quindi scaricare Doctor Who da Rapidshare è legale, perché è un semplice scaricamento senza condivisione. A differenza di eMule e affini, dove chi scarica condivide.

Perché lo faccio? Perché per ragioni inconoscibili, da mesi il segnale della BBC via cavo fa schifo ed è spesso inguardabile. Quando è guardabile, è spesso compresso a livelli indecenti che riportano la televisione ai tempi delle gemelle Kessler. E comunque anche quando il segnale è pulito, registro la puntata e la digitalizzo per conservarla in un formato standard e senza DRM, così potrò riguardarmela quando voglio e sul dispositivo che voglio, e le mie figlie potranno fare altrettanto (e le loro figlie pure). Scaricandola da Rapidshare è già perfetta, pulita e in formato digitale, pronta per la visione e l'archiviazione.

In altre parole, il download "pirata" è più efficiente del servizio ufficiale. Non è questione di costi, perché tanto i diritti li pago lo stesso. Non sono uno scroccone. Sono un cliente disposto a pagare una cifra ragionevole per avere un prodotto che apprezza e che vuole sostenere economicamente. E come me ce ne sono molti.

Titolari dei diritti, rassegnatevi. Avete perso e noi abbiamo vinto. Se non offrite il download immediato, efficiente e senza inutili e costosi lucchetti digitali dei vostri prodotti, non farete altro che perdere un'occasione di fare soldi. Perché se vendete un download legale, liberamente fruibile senza acrobazie e senza vincoli a uno specifico dispositivo di lettura, ci saranno tante persone che lo compreranno perché hanno capito che produrre un fumetto, un libro, un film o un telefilm costa tempo e denaro e che gli autori non vivono d'aria. Persone che capiscono che se vogliono nuove puntate del programma che amano, devono mettere una piccola mano al portafogli. Certo, ci saranno anche gli scrocconi: ma ci sono già adesso. Fatevene una ragione.

Se non vendete un'edizione digitale scaricabile, non illudetevi che questo metta freno alla pirateria e che possiate abolire la distribuzione alternativa a colpi di leggine: non fa altro che inimicarvi i potenziali clienti e non è altro che un'occasione di vendita perduta.

Lasciamo perdere i massimi sistemi e la filosofia del diritto d'autore e guardiamo in faccia la realtà: la tecnologia ha ormai messo in mano a chiunque i dispositivi che permettono la duplicazione di qualunque vostra opera, e indietro non si torna, salvo che vogliate mettere una guardia a sorvegliare ogni fotocopiatrice e introdurre il permesso di stato per i masterizzatori. Parliamo di una cosa che capite. Soldi. Che state perdendo. Volete continuare a farlo? Continuate così.

2010/03/24

ACTA su Pirate Bay

Il testo dell'accordo segreto sul copyright non è più segreto


Se state seguendo la vicenda dell'ACTA (Anti-Counterfeiting Trade Agreement), il nuovo accordo internazionale che è così delicato che è vietato parlarne e non è permesso conoscerne il testo ma mira (fra le altre cose) a rendere illegale ogni tentativo di eludere un lucchetto digitale (DRM) e a trasformare i provider in poliziotti della Rete, è scaricabile tramite The Pirate Bay. A questo serve il peer-to-peer: a evitare che i governi abusino dei propri poteri e decidano scavalcando il cittadino.

Maggiori info su ACTA sono su Ars Technica, La Quadrature du Net (che ne offre un PDF parziale), Electronic Frontier Foundation e New York Times.

2009/12/11

Canada, i pirati stavolta sono i discografici

Artisti derubati dalla pirateria musicale: quella dei discografici


Per oltre vent'anni hanno piratato le canzoni degli artisti musicali più noti, da Beyonce a Bruce Springsteen passando per il grande jazzista Chet Baker, lucrando sul loro lavoro senza corrispondere un soldo dei diritti d'autore dovuti. La banda dei cospiratori ha già ammesso la propria colpevolezza, e in tribunale rischia una condanna che prevede un risarcimento minimo di 48 milioni di franchi (32 milioni di euro) ma potrebbe arrivare a 5,8 miliardi di franchi (3,8 miliardi di euro).

Posso farvi i nomi di questi pirati: Sony BMG, EMI Music, Universal Music e Warner Music, nelle rispettive filiali canadesi.

Sì, stavolta i ladri sono proprio le case discografiche, quelle che ci hanno rimbambito di slogan sul non rubare la musica altrui, quelle che hanno lucchettato le canzoni con i sistemi anticopia (DRM) e punito gli acquirenti onesti, quelle che non hanno esitato nel 2006 a infettare i computer dei clienti pur di difendere i propri diritti (usando un rootkit, installato dal sistema anticopia XCP).

In Canada, infatti, dalla fine degli anni Ottanta le case discografiche in questione hanno adottato la prassi di pubblicare, sfruttare e vendere brani musicali senza ottenere preventivamente la specifica licenza e autorizzazione del titolare dei diritti, e senza quindi pagare nulla all'artista, semplicemente promettendo di farlo in seguito. Sì, avete capito bene. Dichiaravano di non essere in grado di individuare il titolare, e i brani orfani venivano messi così in una pending list, una "lista dei sospesi".

Se in alcuni casi era effettivamente difficile rintracciare i titolari dei diritti, asserire di non essere riusciti a individuare Chet Baker o Bruce Springsteen dopo vent'anni pare invece piuttosto surreale. La lista dei sospesi ha continuato a crescere disinvoltamente negli anni e ora include circa 300.000 canzoni di migliaia di artisti canadesi ed esteri, sui quali Sony, EMI, Universal e Warner hanno lucrato per oltre vent'anni senza corrispondere un soldo.

Ma nel 2008 gli eredi di Chet Baker hanno avviato una causa presso i tribunali dell'Ontario (potete leggerne gli atti), e gli altri artisti si sono associati all'azione legale, instaurando una class action. Le case discografiche stesse hanno già ammesso che la lista dei sospesi indica pagamenti inevasi che secondo loro ammontano ad almeno 50 milioni di dollari canadesi (48 milioni di franchi, 32 milioni di euro). C'è poco da cavillare: l'esistenza della lista di sospesi è di per sé un'ammissione del reato.

A questo importo si aggiungono i risarcimenti previsti dalla legge a carico di chi viola il diritto d'autore, che potrebbero arrivare a 20.000 dollari a canzone violata, per un totale di 6 miliardi di dollari canadesi (5,8 miliardi di franchi, 3,8 miliardi di euro). Cifre enormi, che ironicamente nascono dalle stesse regole usate dalle case discografiche per chiedere milioni di risarcimento dai privati cittadini colti a violare il diritto d'autore usando i circuiti peer to peer. Chi di spada ferisce...

2009/06/21

Debutto come editore di me stesso

C'è ancora bisogno delle case editrici?


Oggi ho completato un esperimento durato parecchi mesi: scrivere e pubblicare un libro senza ricorrere a una casa editrice. Non che io abbia qualcosa contro le case editrici in quanto tali, per carità. Hanno un ruolo fondamentale nel distribuire i libri e far conoscere i loro autori.

Però mi hanno sfiancato i loro tempi tecnici lunghissimi, le sofferte reimpaginazioni malfatte, le revisioni arbitrarie (non dimenticherò mai la mia citazione di Neuromancer che divenne New Romancer, manco avessi scritto un libro sulla musica anni 80) e le modifiche scriteriate dettate dall'ufficio marketing. E' (anche) per questo che non pubblico più libri da tempo.

Così ho cercato una soluzione che mi permettesse di riprendere il controllo completo del processo di produzione, dall'impaginazione (fattibile anche con OpenOffice.org) alla grafica alla tiratura alla scelta del formato, e di evitare che altri mettessero mano al mio testo senza chiedermelo. Non che io sia infallibile, ma visto che il nome in copertina è il mio, se ci devono essere errori, che siano almeno colpa mia. Ho cercato anche una soluzione rapida, adatta ai tempi di oggi, del tipo "io ti mando il PDF e tu entro una settimana mi mandi il libro stampato".

Dopo aver esaminato vari siti di editoria istantanea o self-publishing, fra cui il popolare Lulu.com, ho scelto Ilmiolibro.it, presso il quale ho messo in vendita (a prezzo di costo, 9,30 euro) Zerobubbole Pocket, il libro che ho scritto con il Gruppo Undicisettembre per segnalare gli oltre 110 errori del video Zero di Giulietto Chiesa e Franco Fracassi: quello che sostiene una contraddittoria miscela di teorie di complotto intorno agli attentati dell'11 settembre 2001.

Mi serviva un testo pronto, non troppo lungo, con un po' d'immagini e di formattazione complessa, e avevo pronto quello, così l'ho reimpaginato per il formato pocket, ho generato il PDF, e in un battibaleno ho ottenuto il libro: un oggetto tangibile, a colori e in un pratico formato tascabile, che si può ordinare online e arriva per posta comodamente a casa. Dopo tanti PDF e blog, la sensazione tattile di vedersi fra le mani il frutto delle proprie fatiche letterarie diventa straordinariamente appagante. O forse sono io che sono feticista.

Il testo del libro è comunque disponibile in formato PDF gratuito, con licenza Creative Commons, per chi preferisce risparmiare e rinunciare alla comodità e al piacere di sfogliare la carta o vuole effettuare ricerche nel testo, ed è sfogliabile direttamente qui sotto grazie a Scribd.

Se l'esperimento piacerà a voi quanto è piaciuto a me, riprenderò a scrivere e pubblicare libri sui vari argomenti che ho seguito in questi anni: dai diritti digitali all'obsolescenza dei formati alle nuove tecniche di giornalismo online alle bufale grandi e piccole. I prossimi progetti, già in cantiere, riguardano lo sbarco sulla Luna e le famigerate "scie chimiche". Fatemi sapere.



Di Zerobubbole Pocket esiste anche una traduzione francese, Zéro Pointé, liberamente scaricabile e realizzata dai colleghi Jérôme Quirant e Rudy Reichstadt dei siti francesi di debunking Conspiracywatch.info e Bastison.net, dato che il video di Chiesa e Fracassi è stato presentato anche in Francia.


Self-publishing all'atto pratico


Iscriversi a Ilmiolibro.it è gratuito. Si crea un account e si caricano i propri testi (come PDF, se volete il controllo totale dell'impaginazione, o in altri formati, compreso Word). La copertina va caricata separatamente come immagine grafica, se ne volete una personalizzata; altrimenti potete scegliere dai modelli predefiniti offerti dal sito. Si possono scegliere vari formati, immagini a colori o in bianco e nero, e copertine rigide o morbide. Soprattutto, trattandosi di un servizio di stampa, non c'è alcuna cessione di diritti: quello che scrivete resta vostro, e vi limitate a dare a Ilmiolibro.it il permesso di stampare e vendere il vostro testo.

Vendere, appunto: bisogna quindi dare le coordinate bancarie del conto sul quale si vogliono ricevere i guadagni delle (eventuali) vendite. Potete scegliere un prezzo a piacere, purché sia pari o superiore al prezzo minimo di produzione definito dal sito. Un libro pocket di 88 pagine con illustrazioni a colori, come ho scelto io, viene a costare appunto 9,26 euro (che ho portato a 9,30 per far cifra tonda) oppure circa 5 euro in bianco e nero. Ilmiolibro.it offre un pratico servizio di preventivazione online automatico.

Tutto molto bello, ma i problemi ci sono. La formula d'acquisto è un po' disincentivante, perché per comperare bisogna creare un account: lo fanno molti siti, ma è ridicolo. E' come se andassi in libreria e mi chiedessero la carta d'identità per comperare un libro.

Poi c'è il costo di spedizione. Si va a peso, per cui si pagano 5,95 euro più IVA per le spedizioni fino a un chilo. Questo significa che una singola copia di un libro come Zerobubbole Pocket, spedita a casa, passa da 9,30 a circa 15 euro. E' vero che il costo di spedizione può essere spalmato su più libri, come si fa per gli acquisti presso Amazon e simili, e c'è la comodità di non dover uscire a cercare nelle librerie, ma è comunque un discreto ostacolo. Per un aspirante editore di se stesso conviene forse farsi spedire a casa un certo numero di copie e poi venderle in occasione di apparizioni pubbliche.

L'interfaccia di Ilmiolibro.it è un po' complessa e inflessibile: soprattutto non consente ripensamenti una volta che si è cliccato su "visto si stampi" (etichetta ingannevole, dato che in realtà non viene stampato nulla ma semplicemente si fissa il contenuto del libro). A differenza di Scribd, Ilmiolibro.it non consente di caricare una versione aggiornata o corretta del testo: occorre creare da capo una nuova edizione. Questo può falsare le classifiche di vendita.

Un altro aspetto curioso è che quando qualcuno effettua un acquisto, i suoi dati (nome, cognome, indirizzo e codice fiscale) vengono comunicati all'autore. Non capisco quale sia l'utilità di questa misura piuttosto invadente.

Funzionerà il self-publishing, o è solo un esercizio di vanità? Non lo so: molti servizi online sono nati come sfoghi di vanità personali e poi sono maturati diventando qualcosa di diverso. E' anche per questo che sto facendo l'esperimento. E' sicuramente un canale di comunicazione in più, che permette di raggiungere chi è refrattario ai lettori digitali di libri e in generale alla lettura online. Un libro di carta si porta in spiaggia senza problemi, un Kindle meno. E' un servizio molto comodo per piccole tirature di manualistica da realizzare in tempi stretti.

Di certo, però, non risolve il problema fondamentale di ogni autore: farsi conoscere. Ed è questo, probabilmente, il ruolo che avranno in futuro gli editori, non più consumatori di carta, ma selezionatori e promotori di talenti. A patto di sapersi adeguare ai tempi che cambiano.
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