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Il Disinformatico: copyright

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2022/05/11

Russi saccheggiano trattori ucraini, che vengono brickati da remoto. Ma c’è poco da ridere

Nel torrente di notizie sulla guerra in Ucraina è affiorata una piccola storia che però ha dei risvolti informatici importanti e inaspettati. Inaspettati perché è una storia che riguarda i trattori ucraini, che a prima vista non sembrano affatto un argomento informatico, e importanti perché quello che è successo a questi trattori ci riguarda tutti da vicino.

Secondo quanto riportato dalla CNN, dei soldati russi hanno aiutato a depredare un concessionario ucraino della John Deere a Melitopol, portando via una trentina di macchine agricole, principalmente trattori, che sono stati poi spediti in Cecenia. I veicoli hanno un valore complessivo di circa cinque milioni di dollari.

Ma al loro arrivo in Cecenia i saccheggiatori hanno scoperto che i trattori erano stati bloccati da remoto ed erano quindi inservibili e impossibili da smerciare. Erano stati, come si dice in gergo informatico, brickati. Si tratta infatti di macchine agricole molto sofisticate, dotate di sensori, di GPS e di un sistema di controllo remoto via Internet, installato in tutti i mezzi di questo tipo della John Deere.

I ladri, insomma, sono stati beffati, ma questa non è una storia a lieto fine.

L’informatico, scrittore e attivista Cory Doctorow ha infatti fatto notare che il controllo remoto di quei trattori non è stato introdotto per scoraggiare ladri o saccheggiatori, ma per ostacolare gli agricoltori. Quelli che comprano a caro prezzo questi trattori ma finiscono per non esserne realmente proprietari, perché John Deere installa in questi veicoli del software che li gestisce, e questo software è sotto copyright dell’azienda per 90 anni ed è concesso agli agricoltori soltanto in licenza temporanea. Così, perlomeno, ha dichiarato formalmente l’azienda, insieme a molte case automobilistiche (con l’eccezione di Tesla, come segnalato da Wired), davanti al Copyright Office statunitense nel 2015.

In questo modo gli agricoltori non possono riparare i propri veicoli, nemmeno con ricambi originali, senza ricevere un apposito codice di sblocco dal concessionario. Concessionario che in molti casi è a decine di chilometri di distanza e non può accorrere subito, con tutti i ritardi e danni che ne conseguono.

La giustificazione dell’azienda è che la riparazione non ufficiale potrebbe causare danni, ma di fatto questo crea un controllo monopolistico sulle riparazioni, e in molti paesi eludere questo controllo, per esempio usando del software modificato che ignori il codice di sblocco oppure lo generi senza l’autorizzazione del fabbricante, è punito dalla legge: dal Digital Millennium Copyright Act negli Stati Uniti e dalla Direttiva sul Copyright nell’Unione Europea, nota Cory Doctorow. Va detto che dal 2015 al 2018 il Copyright Office statunitense ha concesso un’eccezione temporanea, ma oggi è scaduta. In Svizzera, la Legge federale sul diritto d’autore prevede degli analoghi divieti di elusione, sia pure con alcune eccezioni da maneggiare con molta attenzione.

La presenza di questi controlli remoti o kill switch nei veicoli agricoli, insieme al sostanziale monopolio del mercato da parte delle poche aziende che fabbricano questi veicoli dedicati all’agricoltura di precisione, ha una conseguenza cruciale: chiunque riuscisse a compromettere la sicurezza di questi sistemi di controllo remoto metterebbe a serio rischio le forniture alimentari del mondo, brickando ovunque le macchine agricole. 

Non è uno scenario ipotetico: proprio il 5 maggio scorso AGCO, una multinazionale del settore delle macchine agricole che possiede marchi come Challenger, Fendt, Massey Ferguson e Valtra, ha dichiarato di aver subìto un attacco informatico di tipo ransomware che ha sostanzialmente paralizzato i suoi stabilimenti in Germania e Francia.

Anche John Deere sembra avere grossi problemi di sicurezza informatica, come ha dimostrato il gruppo di informatici SickCodes ad aprile del 2021, riuscendo in poco tempo a trovare il modo di trasmettere dati senza autorizzazione a questi trattori superconnessi.

SickCodes ha avvisato le autorità e l’azienda ha chiuso le falle segnalate, ma il problema rimane: fabbricare veicoli e macchinari intenzionalmente bloccabili da remoto, invece di farli robusti e resilienti, manutenibili e riparabili anche quando le normali filiere di fornitura e assistenza sono bloccate, come per esempio in guerra, è una pessima scelta strategica di sicurezza. Lo ha messo nero su bianco il Dipartimento per la Sicurezza Interna statunitense in un rapporto del 2018, scrivendo che “l’adozione di tecnologie agricole di precisione avanzate e di sistemi di gestione delle informazioni degli allevamenti [nei rispettivi settori] sta introducendo nuove vulnerabilità in un’industria che prima era altamente meccanica” [“adoption of advanced precision agriculture technology and farm information management systems in the crop and livestock sectors is introducing new vulnerabilities into an industry which had previously been highly mechanical in nature.”]

Non a caso, uno dei principali esportatori di software alternativo per i mezzi agricoli della John Deere, illegale ma ben più adatto alle esigenze pratiche degli agricoltori, è l’Ucraina.

2020/07/31

Star Trek, i filtri antipirateria della CBS bloccano lo streaming su Youtube. Quello ufficiale della CBS

C’è sempre chi propone di affidare il pattugliamento di Internet a sistemi automatici. Che ci vuole, dicono: basta impostare un filtro e i contenuti indesiderati spariscono.

Ma fra il dire e il fare, soprattutto in informatica, c’è un abisso: quello che sembra facile a parole diventa incredibilmente complicato quando bisogna mettersi a farlo concretamente.

Un esempio perfetto arriva dalla Comic-Con di San Diego, uno dei più grandi raduni di appassionati di fumetti, fantasy e fantascienza e grandissima vetrina per il marketing delle produzioni commerciali del settore dell’intrattenimento. Ma quest’anno il raduno si è svolto esclusivamente online per ovvie ragioni, e quindi gli abituali panel stracolmi di attori sono stati realizzati in videoconferenza e trasmessi in streaming su Youtube. O perlomeno questa era l’intenzione.

Infatti ci si sono messi di mezzo i filtri automatici di YouTube per il rispetto del copyright, voluti dai produttori di contenuti per impedire la diffusione abusiva di film e telefilm. Durante l’apparizione degli attori di Star Trek Discovery, la serie prodotta dalla CBS, è stato fatto un table read: gli attori hanno recitato dal vivo le proprie battute dell’episodio finale della seconda stagione, accompagnati da immagini, musiche ed effetti sonori. Tutto regolarmente autorizzato dalla CBS. Ma dopo una quindicina di minuti è scattato il filtro antipirateria di YouTube e lo streaming della CBS è stato oscurato e interrotto dalla dicitura “Video unavailable - This video contains content from CBS CID, who has blocked it on copyright grounds.” In altre parole, la CBS ha bloccato la CBS accusando se stessa di pirateria.

Lo stesso è successo anche a un altro streaming del Cartoon Network, di proprietà della Turner Broadcasting, che è stato rimosso in seguito a una segnalazione di violazione di copyright da parte della stessa Turner Broadcasting.

Ricordiamocelo la prossima volta che qualcuno propone di attivare filtri automatici.

Il table read integrale di Star Trek è ora disponibile, ma questo non cancella la figuraccia fatta in diretta.



Fonti: Deadline: BoingBoing, Gizmodo, Ars Technica.

2019/12/13

Magliette e vendette

Su Internet c’è un sottobosco molto intraprendente di venditori di T-shirt abusive, realizzate usando disegni o immagini piratate.

Quanto intraprendenti? Tanto da avere dei bot, ossia dei programmi automatici, che leggono tutte le conversazioni pubbliche sui social network, in particolare Twitter, alla ricerca di immagini accompagnate da frasi come “vorrei averne una T-shirt”.

Quando ne trovano una, generano automaticamente una bozza digitale della T-shirt con l’immagine e la pubblicano nel proprio catalogo online, sperando di attirare clienti offrendo le magliette più trendy del microsecondo.

Fortune e Gizmodo raccontano vari episodi di questo automatismo, che è diventato così diffuso che molti artisti digitali invitano esplicitamente i propri follower a non scrivere nei commenti o post frasi come “I want that on a shirt” e minacciano di bannarli o bloccarli.




A dimostrazione di questo fenomeno e come sottile forma di vendetta, alcuni artisti hanno creato dei disegni intenzionalmente brutti e contenenti scritte come “Questo sito vende immagini RUBATE, non comperate da loro!”, li hanno postati e hanno invitato i propri fan a rispondere al post scrivendo che volevano quei disegni su una T-shirt.

Risultato: i siti dei magliettari pirati hanno pubblicato in catalogo una maglietta con il disegno e la dicitura.

Ma questo è stato solo l’inizio, perché a questo punto un utente ha suggerito un gesto più forte: postare un disegno che violava il copyright della Disney e recava la dicitura “Questa NON è una parodia. Abbiamo violato il copyright e vogliamo essere portati in causa dalla Disney.” E poi chiedere ai propri follower di commentare o rispondere con “la voglio su una T-shirt”.

Non si sa, per ora, se i siti dei pirati delle magliette sono stati colpiti da azioni legali, ma nell’attesa qualcuno ha fatto un passo ancora più vivace: visto che molti di questi pirati operano dalla Cina, hanno usato gli automatismi dei loro bot per indurre i siti dei pirati a ospitare magliette contenenti messaggi di protesta contro il governo cinese.


Usare le armi del nemico contro il nemico stesso è sempre un’arte che offre soddisfazioni.

2019/05/03

Trovare immagini liberamente usabili: CC Search

Vi servono immagini esenti da copyright? Ora c’è un motore di ricerca apposito: lo trovate presso
ccsearch.creativecommons.org e indicizza circa 300 milioni di immagini esenti da vincoli di diritto d’autore. Sono immagini utilizzabili senza corrispondere diritti o chiedere permessi perché sono state rilasciate sotto licenza Creative Commons. Ed è solo l’inizio, perché CCSearch vuole arrivare a quasi un miliardo e mezzo di immagini liberamente utilizzabili, come riferisce Lifehacker.com.

Nel catalogo ci sono anche varie collezioni d’arte (Metropolitan Museum of Art, Cleveland Museum of Art) oltre a Flickr e DeviantArt.

2019/04/06

Un diritto d’autore diverso si fa anche così: “Spring”, cartone animato digitale aperto e libero

Qualche anno fa avevo segnalato Sintel, un esempio di cartone animato digitale realizzato secondo i criteri dell’open source, nel quale tutti gli elementi sono liberi da vincoli di diritto d’autore e sono liberamente riutilizzabili (a patto che chi li usa a sua volta renda libere le proprie opere). Anche il software usato, Blender, è open source.

La tecnologia progredisce in fretta, e Spring è un nuovo cortometraggio che dimostra quanta strada è stata fatta. Tutti i suoi elementi sono scaricabili.


Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.

2019/03/26

Passa la direttiva UE sul copyright. E adesso?

Ultimo aggiornamento: 2019/03/26 20:25.

Il Parlamento dell’Unione Europea ha approvato oggi il testo finale del progetto di direttiva sul diritto d’autore. Entrerà in vigore nell’UE dal 2021, se approvata dagli stati membri, e ha vari problemi.

  • La direttiva rischia di creare leggi differenti per ciascun paese UE.
  • È un salto nel buio, perché (come nota l’avvocato Guido Scorza su AgendaDigitale e sul Fatto Quotidiano) non è supportata da nessuno studio economico sul suo impatto, per cui non si sa quanto (e nemmeno se) i titolari dei diritti guadagneranno più soldi come promesso dai sostenitori della direttiva. Esperimenti analoghi in Germania non hanno ottenuto un soldo.
  • Il suo articolo 15 (ex articolo 11) crea in sostanza una sorta di tassa sulle citazioni: gli editori dovranno autorizzare espressamente ogni ripubblicazione delle loro notizie, salvo che si tratti di singole parole o “estratti molto brevi”. Quanto brevi? Non è specificato. Questo dovrà essere chiarito dalle norme più dettagliate basate sulla direttiva. Ma una norma dello stesso genere esiste già in Spagna e ha prodotto la concentrazione del traffico sui grandi editori, svantaggiando quelli piccoli. Piccoli come il blog che state leggendo, per esempio.
  • Il suo articolo 17 (ex articolo 13) impone che tutti i grandi siti che permettono agli utenti di caricare contenuti debbano ottenere una licenza su quei contenuti e debbano filtrare quelli che violano il diritto d’autore; inoltre saranno responsabili per i contenuti immessi dagli utenti. In pratica si tratta di un filtro preventivo sugli upload, ossia una soluzione tecnica irrealizzabile (come si filtra un modello per stampante 3D sotto copyright?), oltre che uno strumento di censura formidabile (se ne volete un assaggio, guardate come si comporta il ContentID di Youtube). Per non parlare dell’assurdità di procurarsi una licenza preventiva per ogni possibile contenuto coperto da copyright: non solo musica e film, ma libri, foto, video, software, disegni, testi. Chi potrà negoziare una licenza a tappeto del genere? Solo chi ha tanti soldi.
  • L’articolo 17 prevede alcune esenzioni per l’esercizio del diritto di critica, recensione, parodia e collage, per cui i memi dovrebbero essere salvi. Sono esentati anche i siti come Wikipedia (le enciclopedie online non a scopo di lucro), le piattaforme di sviluppo di software open source, i servizi cloud, i negozi online e i servizi di comunicazione.
In sintesi, la direttiva crea un pantano legale che solo chi ha stuoli di avvocati potrà permettersi di gestire e comporta il rischio serio di zittire le voci dei piccoli o dei singoli.

Per esempio, si chiede la BBC, cosa succederà a chi condivide le proprie sessioni di videogioco su Youtube o Twitch? Il video di una sessione è una nuova opera, i cui diritti spettano al giocatore, ma include opere di proprietà dell’azienda creatrice del gioco. Opere al plurale, perché un videogioco contiene grafica, musica, dialoghi e software, ciascuno vincolato da un diritto d’autore separato. Verrà filtrato automaticamente? Un video di una festa di compleanno che contiene una canzone in sottofondo verrà bloccato?

E cosa cambierà in questo blog, per esempio? Per ora nulla: io vivo e lavoro in Svizzera, per cui quello che scrivo non è toccato dalla direttiva, salvo che la Svizzera decida di adottare norme analoghe. Lo stesso vale anche per tutti i contenuti prodotti fuori dall’UE. Il risultato, insomma, è che chi sta nell’UE verrà penalizzato e chi ne sta fuori (Google o Facebook, per esempio) continuerà come prima e anzi starà meglio di prima, perché nessun europeo se la sentirà di costituire un’azienda concorrente.

Ma soprattutto mi sembra che i creatori di questa direttiva, e i politici che l’hanno approvata, non abbiano tenuto conto di una cosa fondamentale: non è che siccome adesso c'è la direttiva, allora i siti dei pirati audiovisivi che distribuiscono film, telefilm, musica e libri violando il diritto d’autore smetteranno improvvisamente di farlo.

Come andrà a finire non lo sa nessuno. Staremo a vedere. Ma se padri di Internet come Tim Berners-Lee e tanti altri sono contrari, forse dovremmo ascoltarli. Anche perché ci hanno detto più volte che quando la Rete trova un ostacolo, trova anche la maniera di aggirarlo.

Ma se volete una sintesi perfetta di cosa non va in questa direttiva, leggete cosa ha tweetato Luca Sofri in proposito:





Fonti aggiuntive: Cory Doctorow, Gizmodo, EFF, Torrentfreak. Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.

2018/12/19

L’articolo 13 spiegato da un racconto di Cory Doctorow

Ultimo aggiornamento: 2018/12/19 23:50.

Traduco qui False Flag, un racconto di Cory Doctorow scritto per illustrare qual è, a suo parere, la posta in gioco qualora andasse in porto la proposta di direttiva sul copyright dell’Unione Europea di cui si discute tanto e che è osteggiata da grandi esperti come Vint Cerf, uno dei padri di Internet, e Tim Berners-Lee, co-creatore del Web, oltre che da quattro milioni di cittadini europei. La traduzione è realizzata e pubblicata con il permesso di Doctorow e del Green European Journal.

Quella che leggete è una mia prima traduzione veloce: se snidate refusi o avete suggerimenti per migliorarla, fatelo nei commenti. Buona lettura.

Nota di copyright: diversamente dal resto di questo blog, questa traduzione è soggetta alle regole di copyright definite da Green European Journal per l’originale di Cory Doctorow.

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Agata aveva sempre dato per scontato che la parte difficile sarebbe stata la cattura delle immagini. Ma per come andarono le cose, l’infiltrazione e l’estrazione segreta di un drone nel Mare del Nord furono la parte facile.

Agata e la sua cellula avevano trascorso mesi a pianificare l’operazione nel Mare del Nord, lavorando con una fredda alacrità che bilanciava la possibilità che arrivassero troppo tardi contro la possibilità che sarebbero stati scoperti ed esposti. Ma quella mattina, mentre saltava le creste delle onde sul piccolo gommone capitanato da Oxana, che nel suo passamontagna pareva una Pussy Riot, Agata sapeva che sarebbe andata bene. Tirò fuori il suo Toughbook, attivò i droni, ciascuno grande come una lucciola, e li spedì ad effettuare una ricognizione del peschereccio usando radar e telecamere per catturare le reti sottomarine e seguirle in tutti i loro venticinque chilometri di estensione. Era incredibile da vedere, ed era terribile: una vasta malignità che avrebbe reso sterile il mare mentre veniva trascinata dietro il peschereccio, che batteva bandiera panamense.

I droni avevano energia appena sufficiente a fare una visita veloce alla nave, acquisendone i dati di registro navale e le bandiere e scattando immagini zoomate automaticamente dei volti dei marinai prima che si esaurissero le batterie. Agata aveva valutato l’idea di far cadere i droni in mare, ma l’ironia di gettare in mare dei rifiuti elettronici in un progetto concepito per lanciare l’allerta sulla pesca eccessiva illegale era davvero troppa. Aveva invece limato via accuratamente tutti i numeri di serie dei droni, in modo che potessero essere abbandonati anonimamente a bordo del peschereccio.

Incapparono in venti contrari sulla via del ritorno alla loro nave appoggio, che doveva riportarle a Thyborøn. Il gommone quasi si rovesciò due volte; alla seconda, Agata riuscì per un pelo ad agguantare il Toughbook che rimbalzava e saltellava verso i bordi dell’imbarcazione, rimanendo con una mano a tenerlo stretto e l’altra mano ad aggrapparsi alla barca, intanto che una foschia ghiacciata e pungente la martellava senza tregua. Erano fradicie ed esauste quando raggiunsero la nave appoggio. Le gambe di Agata tremavano mentre saliva a bordo, con le nocche bianche da quanto stringeva forte il Toughbook. Riuscì a collegare il telefono satellitare e a iniziare l’upload delle sue riprese prima di vomitare.

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Ma ottenere le immagini fu la parte facile.

Agata e la sua crew [si chiamano così in gergo i gruppi di hacker, N.d.T.] fecero l’upload sia delle riprese grezze, sia di un bel montaggio con voce narrante che spiegava in dettaglio le tante leggi violate dal peschereccio, usava fonti pubbliche e dati trafugati per decifrare una piccola parte della struttura dell’azienda che formalmente era proprietaria del peschereccio, scopriva quali grossisti compravano il pescato; un pacchetto completo. Era il loro mestiere: inquinatori, pescatori illegali, scaricatori abusivi di rifiuti, condizioni di lavoro insicure. Lavoravano senza un nome o un marchio, perché le organizzazioni che hanno un nome sono vulnerabili alle ritorsioni. La gente che era disposta a trascinare reti da pesca di venticinque chilometri o di mandare lavoratori migranti a togliere isolamenti d’amianto da un futuro loft industriale indossando solo una mascherina da verniciatore era, a volte, anche disposta a fare cose davvero deplorevoli e dolorose agli attivisti che li intralciavano. Agata e la crew preferivano restare invisibili a tutti: erano i video e gli archivi che li accompagnavano a raccontare la storia, loro erano soltanto le persone che facevano quella storia. Non facevano parte della storia.

Usarono dei bot per caricare le immagini ovunque e contemporaneamente, applicandovi hashtag esistenti (#fishpocalypse, #NorthSeaDieOff) e nuovi che avevano creato per quest’operazione: #NorthSeaKiller. Nessuno dei membri della crew avrebbe dato un like o un upvote a questa roba, ovviamente: essere i primi a mettere un like a qualcosa era praticamente come dire “Questo l’ho fatto io!”. Invece aspettarono che gli attivisti che seguivano i tag esistenti si accorgessero degli upload e iniziassero a spargere la voce. Seguirono i tag man mano che diventavano virali, guardarono i ministeri della pesca danesi e scozzesi mentre venivano bombardati di domande, videro gli inviti a boicottare il grossista del peschereccio che emergevano spontaneamente, e sorrisero all’idea di qualcuno, in una pescheria, che cercava affannosamente di capire che diavolo stesse succedendo, se doveva semplicemente smettere di comprare dal #NorthSeaKiller. Tutto stava andando bene — fino al momento in cui non andò più.

I grafici delle analytics per le mention e i like e le condivisioni e i download non avevano fatto altro che aumentare, e la curva era diventata sempre più ripida, quasi verticale, nelle ore da quando avevano iniziato la disseminazione. Ora era caduta di colpo a quasi zero.

Nella chat di gruppo, Agata vide la crew postare catture delle schermate dei loro sinottici delle analytics, poi passò ad altre schede del browser, entrando in una serie di social network e cercò di caricare i post iniziali per ricontrollarne le statistiche.

> POST NON DISPONIBILE

> QUESTO CONTENUTO È STATO RIMOSSO PER VIOLAZIONI DEL COPYRIGHT AI SENSI DELL’ARTICOLO 13 DELLA DIRETTIVA SUL COPYRIGHT NEL MERCATO UNICO (2019)

La crew ne aveva sentito parlare. Non erano l’unica crew, dopotutto, e avevano amici che avevano amici nelle altre crew, e circolavano mormorii su contromisure inarrestabili messe in campo da società di “gestione della reputazione” e di “comunicazione di crisi” che vendevano una suite di servizi molto esclusiva e molto costosa a clienti veramente disperati tipo, per esempio, una società di pesca illegale che stava per finire malissimo.

Funzionava così: in base all’Articolo 13, le piattaforme erano responsabili se consentivano, anche brevemente, la disponibilità senza permesso di qualunque opera protetta dal copyright. Ma naturalmente le piattaforme non erano in grado di sapere cosa fosse o non fosse un’opera vincolata dal copyright, e così, in un compromesso che solo un eurocrate avrebbe potuto amare, l’UE aveva detto che i detentori dei diritti erano obbligati a registrare i propri copyright presso le piattaforme, caricandoli su questi database spalancati, prodotti in crowdsourcing, di contenuti banditi. Una volta che un video, una foto, un blocco di testo o una clip audio erano nel database di una piattaforma, nessuno poteva postare su quella piattaforma nulla che corrispondesse in tutto o in parte a quel file.

Cosa anche peggiore, l’Articolo 13 non prevedeva un modo per punire le persone che rivendicavano per errore il copyright su opere che non erano loro, e men che meno i ripulitori di reputazione ostili e occulti che usavano l’Articolo 13 per censurare i video che minacciavano i bilanci contabili dei loro clienti. In teoria una piattaforma poteva scegliere di ignorare questa gente, escluderli dai database di blacklist, ma i truffatori avrebbero sempre avuto la rivincita, perché a quel punto avrebbero avuto il diritto di far causa e lasciare in mutande la piattaforma qualora un’opera sotto il loro copyright fosse comparsa online, anche solo per un giorno.

#

La viralità arrivò e se ne andò. Con i video ora offline, cominciò a serpeggiare online una nuova storia: “fonti vicine alla questione” giuravano che loschi figuri (forse dei troll russi che cercavano di seminare disinformazione?) avevano messo online dei fake astuti che facevano sembrare che un peschereccio perfettamente innocente avesse calato delle reti a strascico illegali nelle fragili riserve di pesca del merluzzo del Mare del Nord. I video sembravano veri a prima vista, ma chiunque li esaminasse con attenzione notava immediatamente le falsificazioni.

La crew era inerme, furibonda. Si ricordavano di quando c’erano piattaforme più piccole, basate in Europa, che potevano usare per ospitare i video. Quelle piccole aziende erano scomparse da tempo: già per loro era dura competere con la Big Tech americana, ma dopo che la Direttiva sul Copyright aveva decretato che avrebbero dovuto trovare mezzo miliardo di euro per comprare tecnologie di filtraggio nel momento in cui si trasformavano da “microimprese” in potenziali concorrenti di Google e Facebook, avevano tutte chiuso i battenti.

La crew non poteva neanche fornire i propri video a dei giornalisti amici per smentire le asserzioni dei grandi giornali di proprietà delle società. Anche solo linkare un giornale importante richiedeva una licenza a pagamento, e mentre i giornali si concedevano licenze a vicenda in modo da poter citare articoli nelle pubblicazioni concorrenti, le testate dissidenti e indipendenti che un tempo commentavano e analizzavano quello che faceva notizia e quello che non lo faceva erano tutte svanite quando le grandi società di news avevano rifiutato di concedere loro la licenza di linkarle.

Agata parlò con un avvocato di sua conoscenza, usando cauti giri di parole e forme ipotetiche. L’avvocato le confermò quello che aveva già intuito.

“La tua amica immaginaria non ha speranze. Dovrebbero identificarsi per inoltrare un’opposizione, dire a tutti la loro vera identità e rivelare che sono loro gli artefici del video. Anche così, ci vorrebbero sei mesi per far sì che le piattaforme esaminassero l’opposizione, e a quel punto tutta la notizia sarebbe svanita dall’opinione pubblica. E se miracolosamente riuscissero a destare di nuovo l’attenzione dellla gente? Beh, i falsificatori farebbero semplicemente rimuovere di nuovo il video. Basta un istante a un bot per inoltrare una rivendicazione di copyright fasulla. Ci vogliono mesi prima che degli umani riescano ad annullare la rivendicazione. È una guerra asimmetrica e voi sarete sempre fra quelli che la perdono.”

#

La crew aveva una dozzina di altre operazioni che erano arrivate a vari livelli di pianificazione, ma #NorthSeaKiller uccise le loro speranze. Vedevano quanto sarebbe stato facile ripetere il trucchetto, e senza Internet la crew era inerme.

Cosa sarebbe successo se qualcuno avesse organizzato un raduno d’indignazione virale e non si fosse presentato nessuno?

Agata non era più una ragazza. Si ricordava, a malapena, di quando Internet non era composta da quattro megasocietà nelle quali la gente postava screenshot tratti dalle altre tre. Ma anche l’Internet accentrata e commerciale aveva la sua utilità, come luogo nel quale i potenti potevano essere chiamati a rendere conto e ad essere esaminati. Era rischioso, ma il rischio aveva le proprie ricompense.

Non più.

Aveva tanti messaggi in attesa dai membri della crew, ma non riuscì a trovare la forza di rispondere neanche a uno di essi. Andò a letto.

2018/07/06

Respinta (per ora) la direttiva europea sul copyright

Fonte: Julia Reda
(il refuso “Digitial” non è suo)
Ultimo aggiornamento: 2018/07/10 18:40.

La direttiva europea per l’aggiornamento delle norme sul copyright è stata bocciata dal Parlamento Europeo, come racconta in dettaglio Il Post, e verrà ridiscussa a settembre.

La questione è complicata e controversa, ma la contesa riguardava principalmente due articoli di questa direttiva: uno (l’articolo 11) rischiava di creare ostacoli insormontabili nel linkare opere vincolate dal diritto d’autore, in particolare le notizie dei giornali; il secondo (l’articolo 13) avrebbe regolamentato le citazioni di opere vincolate dal diritto d’autore in un modo che secondo i critici avrebbe reso praticamente impossibile mettere online anche un minuscolo frammento di un articolo di giornale, del testo di un libro, o un fotogramma tratto da un film e avrebbe comportato il rischio di incappare negli errori grossolani dei filtri automatici che si renderebbero necessari per pattugliare la Rete, come ho raccontato qui.

A favore della direttiva si sono schierati gli editori di giornali e molti musicisti, compresi David Guetta, Annie Lennox, Placido Domingo e Paul McCartney, che vogliono comprensibilmente vedere riconosciuto il proprio lavoro quando viene usato da terzi. Contro questa regolamentazione si sono levate invece le voci di Jimmy Wales (con l’auto-oscuramento di Wikipedia in italiano) e di padri di Internet come Vint Cerf, Brewster Kahle, Bruce Schneier, Mitch Kapor, Tim Berners-Lee e decine di altri, che hanno riassunto la propria posizione in una lettera aperta al presidente del Parlamento Europeo per dirgli, in sintesi, che una regolamentazione aggiornata del settore è necessaria e benvenuta, ma non è così che va fatta.

La BBC ha riassunto bene la vicenda in questo articolo e in quest’altro; una spiegazione molto dettagliata è stata pubblicata dalla parlamentare europea Julia Reda.


Se ne riparlerà di nuovo a settembre, con eventuali modifiche al testo; se passerà, dovrà essere sottoposto al Consiglio Europeo e, se approvata anche dal Consiglio, dovrà essere recepita in ogni singolo paese dell’Unione. Staremo a vedere.

Youtuber denunciato per violazione di copyright. Sulla propria canzone

Il copyright e i controlli online contro le sue violazioni sono di attualità in seguito alla recente polemica sulla proposta di direttiva europea sul diritto d’autore.

Chi usa Youtube sa bene che questi controlli sono a dir poco imprecisi. Io stesso ho ricevuto varie contestazioni da Youtube per presunta violazione del copyright perché avevo pubblicato un video contenente i dialoghi degli astronauti sulla Luna, che come materiale NASA sono di dominio pubblico.

Ma ci sono casi ancora più bizzarri, come quello dello Youtuber Paul Davids, che nei propri video insegna a suonare la chitarra. Youtube gli ha segnalato che un suo video sta violando il copyright per un brano che è suo.

Qualcuno, infatti, ha preso un suo brano, gli ha aggiunto una voce e lo ha messo su Youtube. E Youtube ha accusato Davids di aver copiato. Come se non bastasse, la monetizzazione del video di Davids finisce in tasca al pirata.

Il comportamento assurdo dei sistemi di controllo dei contenuti, come il Content ID di Youtube, ha già fatto pasticci in passato. Nel 2010 Youtube ha vietato per qualche tempo a Justin Bieber di pubblicare sulla piattaforma video la propria nuova canzone perché qualcun altro l’aveva caricata prima di lui.


Fonte: BBC.

2018/01/09

Youtube accusa un utente di violazione del copyright: ha pubblicato un fruscio

Se vi capita di pubblicare video su Youtube, magari con un brano musicale in sottofondo di cui non vi eravate accorti, probabilmente vi siete imbattuti nella temutissima notifica di violazione del diritto d’autore. Succede quando il sistema antipirateria automatico di Youtube, denominato ContentID, rileva all’interno di un video un contenuto visivo o sonoro che secondo lui appartiene a qualcun altro.

Purtroppo questo sistema automatico ha, come dire, qualche problema di eccesso di zelo. Ne sa qualcosa il professor Sebastian Tomczak, tecnologo musicale, che è stato accusato da Youtube di aver violato il copyright ben cinque volte nella colonna sonora di un singolo video.




Il bello è che il video contestato è semplicemente un fruscio, quello che in gergo tecnico si chiama rumore bianco, simile a quello che facevano una volta i televisori quando non erano sintonizzati su un canale; un video che Tomczak ha pubblicato per un esperimento scientifico.


Non è finita: i presunti autori che rivendicano diritti non hanno chiesto di rimuovere il video di Tomczak, ma ne hanno chiesto la rimonetizzazione, ossia hanno ottenuto da Youtube che i guadagni sulle visualizzazioni finissero nelle loro tasche invece che in quelle del creatore del video. Anche se può sembrare strano che ci sia un mercato per quelli che in sostanza sono video di fruscio, esistono su Youtube milioni di video di questo genere, alcuni dei quali hanno milioni di visualizzazioni. Tomczak dice che c’è chi li usa per esempio per addormentarsi meglio o per distrarsi da un rumore fastidioso.

Naturalmente Youtube offre una procedura di opposizione, ma è piuttosto tediosa, specialmente se occorre farla ripetutamente, e comporta che un video possa restare in sospeso fino a un mese. Cosa più importante, a differenza del rilevamento delle presunte violazioni, che è automatico, l’opposizione va effettuata a mano ogni volta. Questo squilibrio è così marcato che è nata una vera e propria industria delle contestazioni di copyright fasulle su Youtube, che monetizzano il lavoro altrui.

Insomma, se voi (o magari i vostri figli) siete Youtuber assidui e quindi pubblicate molti video, l’unico modo per evitare queste scocciature al limite della vessazione è fare molta attenzione a non includere nei vostri video qualcosa che possa portare a una contestazione: per esempio canzoni o spezzoni di programmi televisivi provenienti da una TV accesa nel luogo in cui avete girato il video, anche se il televisore non è inquadrato. Se vi capita di includerli, cercate di fare in modo che siano spezzoni molto brevi, di un decina di secondi o poco più, perché sembra essere questa la soglia di durata oltre la quale il sistema ContentID entra in azione e fa partire la contestazione automatica.

Naturalmente c’è sempre l’alternativa drastica, che è quella di pubblicare video su altri siti, come Vimeo o Dailymotion, che non usano automatismi antipirateria così imprecisi e manipolabili come quello di Youtube. Ma questo significherebbe abbandonare uno dei siti di video più frequentati del mondo e dire addio ai sogni di fama che albergano in ogni Youtuber. Buona fortuna.


Questo articolo è il testo preparato per il mio servizio La Rete in 3 minuti per Radio Inblu del 9 gennaio 2018. Fonti: Gizmodo, Torrentfreak.

2017/11/27

Twitter segnala il Disinformatico come blog “pericoloso”


Da ieri il mio articolo sul manuale della Tesla Model 3 viene bloccato e segnalato da Twitter con l’avviso (copia su Archive.is) che “Il link al quale stai cercando di accedere è stato identificato da Twitter o dai nostri partner come potenzialmente pericoloso o associato a una violazione dei Termini di servizio di Twitter”. Cliccando su Continua si viene comunque portati all’articolo.

Twitter non mi ha mandato neanche una riga di spiegazioni, che magari sarebbero state utili per capire la causa del blocco. Una fonte tecnica esterna, solitamente attendibile, mi ha detto che il link a una copia non ufficiale del manuale di Tesla che c’è nel mio articolo è oggetto di una segnalazione secondo la DMCA, la normativa statunitense per la gestione delle violazioni di copyright. Sembra quindi che non ci sia nessun pericolo a visitare il mio articolo, ma che ci sia di mezzo una presunta violazione del diritto d’autore.

Ho sostituito il link con un altro che porta a un articolo che parla del manuale in questione: vediamo che succede.


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2017/09/28

Lo studio sulla pirateria insabbiato dalla Commissione Europea

Di solito mi capita di smentire le tesi di complotto e d’insabbiamento da parte dei governi, ma in questo caso faccio un’eccezione: una ricerca commissionata della Commissione Europea è stata davvero insabbiata.

Si tratta di uno studio, costato 360.000 euro e completato nel 2015, sugli effetti della pirateria sui contenuti vincolati dal diritto d’autore. Si intitola Estimating displacement rates of copyrighted content in the EU,  è lungo oltre 300 pagine e oggi è scaricabile qui, ma non era mai stato reso pubblico.

Sappiamo di questo studio non grazie alle indagini dei complottisti, ma alla tenacia di una parlamentare europea, la tedesca Julia Reda, che ha scoperto che esisteva questo rapporto grazie alla Regola dell’Informazione Laterale che cito spesso nelle tecniche d’indagine giornalistica digitale: per sapere se un dato è vero o falso conviene sempre cercare le informazioni di contorno a quel dato. Se un documento è stato omesso o segretato, può darsi che altrove ci siano informazioni amministrative che ne tengono traccia.

In questo caso, per esempio, la parlamentare si è accorta dell’esistenza di questo studio perché ha scoperto la relativa gara d’appalto, risalente al 2013, e a quel punto ha richiesto accesso al documento. La Commissione, racconta la Reda, non ha risposto in tempo alla richiesta ben due volte.

Come mai tanta riluttanza nel pubblicare uno studio costato fior di quattrini? Può darsi che sia colpa dei suoi risultati, che “non mostrano prove statistiche dello spostamento delle vendite da parte delle violazioni del coypright online” con l’eccezione dei film più popolari e recenti. Risultati che stridono con i vari provvedimenti governativi che mirano a sorvegliare il traffico dei file caricati su Internet di tutti gli utenti, indistintamente, con la giustificazione della tutela del diritto d’autore.

Sia come sia, è indubbio che servono prove robuste per legittimare un intervento del genere e che, come dice la parlamentare, “dati preziosi sia finanziariamente, sia in termini di applicabilità dovrebbero essere disponibili a tutti se sono finanziati dall’Unione Europea: non dovrebbero raccogliere polvere su uno scaffale fino a quando qualcuno li richiede attivamente”.


Fonti aggiuntive: Boingboing.

2017/09/20

La7 usa un mio video, poi contesta su Youtube che viola il suo copyright

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete farne una anche voi per incoraggiarmi a scrivere ancora. Ultimo aggiornamento: 2017/09/20 16:15.

Pochi giorni fa ho dato a La7 il permesso di usare per Bersaglio mobile il mio video di debunking del 2008 Misteri da vendere, dedicato alle tesi di complotto sull’11 settembre. Stamattina mi è arrivata la contestazione di La7 per violazione del diritto d’autore su Youtube: io avrei violato il loro copyright perché loro hanno usato il mio video del 2008 in un programma del 2017.

Naturalmente mi sono opposto sia via Youtube, sia rivolgendomi direttamente ai responsabili di Bersaglio mobile.

La contestazione, fra l’altro, riguarda in tutto trentaquattro secondi. So che molte contestazioni sono generate automaticamente, ma questo è un sistema automatico idiota.





2017/09/20 16:15


Ê arrivata pochi minuti fa la rinuncia alla contestazione:


After reviewing your dispute, La7 has decided to release their copyright claim on your YouTube video.

Video title: "Il foro nel Pentagono è davvero troppo piccolo?"

If you earned any money during the dispute, you should receive that money as part of your next YouTube payment.

- The YouTube Team

2017/06/23

Dove vanno a finire le foto mandate tramite WhatsApp?

Rispondo pubblicamente a una domanda che arriva da Mariana, una docente di scuola media: ci sono informazioni ufficiali e dettagliate su dove vanno a finire le foto che ci si manda tramite WhatsApp?

Sì, ci sono: l'informativa sulla privacy di WhatsApp parla molto chiaro.

WhatsApp non archivia i messaggi dell'utente durante la normale prestazione dei Servizi. Una volta consegnati, i messaggi (compresi chat, foto, video, messaggi vocali, file, e informazioni sulla posizione condivise) vengono eliminati dai nostri server. I messaggi dell'utente vengono archiviati sul suo dispositivo. Se non è possibile consegnare immediatamente un messaggio (ad esempio se l'utente è offline), lo archivieremo nei nostri server fino a 30 giorni nel tentativo di consegnarlo. Se dopo 30 giorni il messaggio non è stato ancora consegnato, verrà eliminato. Per migliorare le prestazioni e consegnare i messaggi con contenuti multimediali in modo più efficiente, ad esempio quando molte persone condividono una foto o un video famoso, archivieremo tale contenuto nei nostri server per un periodo più lungo.

...La crittografia end-to-end significa che i messaggi degli utenti sono criptati per essere protetti dall'essere letti da WhatsApp e da terze parti.

Inoltre le informazioni sulla crittografia di WhatsApp dichiarano che sono criptati messaggi, foto, video, messaggi vocali, documenti, aggiornamenti di stato e chiamate:

When end-to-end encrypted, your messages, photos, videos, voice messages, documents, status updates and calls are secured from falling into the wrong hands.

In altre parole, una foto mandata via WhatsApp rimane sui computer di WhatsApp solo fino a che arriva sullo smartphone dell'ultimo dei destinatari; poi viene cancellata, e in ogni caso WhatsApp dichiara di non poterla vedere.

Tuttavia il prezzo per questa protezione è indicato nell'informativa sulla privacy:

L'utente accetta di fornirci regolarmente i numeri di telefono dei contatti presenti nella rubrica del suo dispositivo mobile, compresi quelli degli utenti dei nostri Servizi e degli altri contatti. L'utente conferma di essere autorizzato a fornirci tali numeri.

Se usate WhatsApp, insomma, date a WhatsApp (e quindi a Facebook e a terzi) il permesso di leggersi tutti i numeri di telefono che avete in rubrica, compresi quelli che vi sono stati affidati con la preghiera di tenerli riservati.

Sul fronte del diritto d'autore, infine, non è vero che le foto diventano proprietà di WhatsApp o di Facebook: l'informativa legale dice chiaramente:

WhatsApp non rivendica la proprietà delle informazioni inviate dall'utente in relazione all'account WhatsApp.

e che

Allo scopo di consentirci di rendere disponibili e fornire i nostri Servizi, l'utente concede a WhatsApp una licenza globale, non esclusiva, senza royalty, che può essere concessa come sub-licenza e trasferibile per utilizzare, riprodurre, distribuire, creare lavori derivativi, visualizzare ed eseguire le informazioni (compresi i contenuti) che carica, invia, memorizza o riceve sui nostri Servizi o tramite essi. I diritti concessi nella presente licenza sono destinati esclusivamente a rendere disponibili e fornire i nostri Servizi (ad esempio al fine di mostrare l'immagine del profilo e il messaggio di stato, trasmettere i messaggi, archiviare i messaggi non consegnati nei nostri server fino a 30 giorni durante i quali tenteremo di consegnarli e secondo le altre modalità descritte nella nostra Informativa sulla privacy)."

Quindi WhatsApp ha solo un diritto temporaneo d'uso, oltretutto limitato all'uso per fornire i servizi di WhatsApp.

2016/11/04

Smascherato un circuito di pirati cinematografici: gli addetti ai lavori di Hollywood


Ultimo aggiornamento: 2016/11/15 23:50.

Vi siete mai chiesti da dove arrivano le copie pirata perfette dei film appena usciti al cinema? E cosa vogliono dire le strane diciture inglesi “For your consideration” (“Per la vostra valutazione”) che ci sono spesso in queste copie?

Ce lo spiega la Warner Bros, che di recente ha portato in tribunale un’agguerritissima organizzazione dedita alla pirateria cinematografica ai più alti livelli. Quest’organizzazione metteva su Google Drive, a disposizione dei propri clienti, copie perfette di film di prima visione o che addirittura non erano ancora usciti al cinema.

Piccolo particolare importante e sorprendente: l’organizzazione piratesca era un’agenzia di talenti cinematografici che opera a Santa Monica, in California. Gente, insomma, che vive di cinema e la cui esistenza dipende dal rispetto del diritto d’autore.

Secondo i documenti della causa, si tratta della Innovative Artists, accusata dalla Warner di aver violato il diritto d’autore mettendo online numerosi film di prima visione, compresi i cosiddetti screener DVD, ossia i DVD ufficiali dei film non ancora usciti, che vengono distribuiti regolarmente dalla Warner per consentire agli operatori di settore di valutarli (vengono inviati per esempio ai giurati che scelgono gli Oscar). Ecco il perché della dicitura “Per la vostra valutazione”.

La Innovative Artists, dice la Warner, riceveva questi DVD e doveva semplicemente inoltrarli ai propri clienti, ma invece li copiava, togliendo loro le protezioni anticopia (Patronus e CSS) e metteva online le copie, rendendole accessibili anche a familiari e amici al di fuori dell’agenzia. Da qui copie abusive di film come Creed - Nato per combattere e In the Heart of the Sea - Le origini di Moby Dick finivano anche nei circuiti di scambio pubblici di Internet, dove venivano duplicate in massa.

La Warner ha identificato la provenienza di quete copie pirata grazie al fatto che i suoi DVD contengono non solo dei sistemi antiduplicazione ma anche dei watermark (codici identificativi individuali) che l’operazione di copia abusiva non rimuoveva. Ora la casa cinematografica sta chiedendo fino a 150.000 dollari di risarcimento per ciascuna violazione del suo diritto d’autore.

La Innovative Artists ha chiesto pubblicamente scusa, ma ha anche sottolineato che “la Warner è ben consapevole... che la condivisione degli screener per le premiazioni è la norma all’interno della comunità di Hollywood.” In altre parole, si parla tanto di utenti pirati, ma stavolta gli utenti non c’entrano. Chi è senza peccato scagli la prima pellicola.

2016/06/23

Ora è ufficiale: Star Trek è morto. Ucciso da Paramount e CBS. AGGIORNAMENTO: Forse no

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Pubblicazione iniziale: 2016/06/23. Ultimo aggiornamento: 2016/07/25 17:50.

Avvertenza: state per leggere il grido rabbioso di un Trekker d’annata. Uno che è cresciuto a pane e Star Trek e che deve alle idee di Star Trek gran parte di quello che è diventato. Uno per il quale Star Trek non è un film/telefilm di gente che scorrazza con le astronavi e risolve i conflitti a cazzotti in tutine attillate, ma è una tela sulla quale sono stati rappresentati in modo accattivante ideali di uguaglianza, razionalità, speranza per il futuro. Ha creato personaggi dei quali mi sono innamorato. Mi ha fatto innamorare della scienza: mi ha fatto crescere e capire. Per me Star Trek è una filosofia di vita. Ridete pure: non pretendo che condividiate quello che sto per scrivere.


Oggi CBS e Paramount hanno pubblicato le loro linee guida per la produzione di fan film di Star Trek, accompagnate da una simpatica letterina. Non ho tempo di tradurle per intero, anche perché leggerle mi fa venire un travaso di bile. Ma segnalo giusto un paio di perle:

– Il fanfilm non può durare più di 15 minuti per ogni singola storia autoconclusiva o comunque non può essere composto da più di due parti o episodi, che non possono durare più di 30 minuti in tutto, senza aggiunte di puntate, stagioni, parti, sequel o remake.

– Il fanfilm non può essere distribuito in formato fisico, come per esempio su DVD o Blu-ray.

– Non sono ammessi attori o tecnici che facciano parte, o abbiano fatto parte, delle produzioni ufficiali di Star Trek.

Trovate su FoCoComicCon un’analisi più dettagliata, scritta da un tecnico del settore (ringrazio Chiara per la segnalazione).

Queste condizioni capestro equivalgono a uccidere le produzioni dei fan, che ancora tenevano in vita, con risultati alterni, le idee e gli ideali che erano la vera base di Star Trek e lo distinguevano da tante altre serie svolazza-e-spara. Niente più Star Trek Renegades, Star Trek HorizonThe New Voyages/Phase II, niente più Star Trek Continues, con i loro meravigliosi cameo di tecnici e attori delle serie “ufficiali”, niente di niente. In quindici minuti è impossibile costruire un personaggio che abbia spessore come Spock o Kirk o McCoy. E scordiamoci del tutto produzioni (semi)professionali come Axanar.

A proposito di Axanar: è uscito proprio oggi un suo nuovo teasermentre la lite legale prosegue e salta fuori che le parole concilianti di JJ Abrams (“it will be announced this is going away, and that fans would be able to continue working on their project”) erano un’improvvisazione non autorizzata – in altre parole, aria fritta.

No, CBS e Paramount hanno deciso che Star Trek deve essere soltanto un branco di bellocci che fanno salti in motocicletta e si menano in continuazione. A sostegno di quello che dico, vi infliggo il trailer del prossimo film, Star Trek Beyond. Perdonatemi.


In altre parole, Star Trek è morto. Riposi in pace. E possano i dirigenti ottusi di CBS e Paramount ritrovarsi tutti a Gre’thor.


Aggiornamento (2016/06/30): Quando pensi che non possa andare peggio, va peggio. Il 27 giugno 2016 è stata aggiunta alla campagna promozionale di Star Trek Beyond una canzone di Rihanna. Non sto scherzando. Non ho niente contro Rihanna, intendiamoci: ma che c’entra con Star Trek? C’entra solo se si vuole confezionare un prodotto ancora più commerciale a impegno zero. Mi arrendo.


Aggiornamento (2016/07/25): Mi devo ricredere. Star Trek Beyond si è rivelato un gran bel film, in pieno spirito Trekkiano. Lo recensisco qui senza spoiler. Evidentemente la campagna promozionale era completamente incoerente rispetto al contenuto del film (tant’è vero che uno dei colpi di scena principali di Beyond è stato rivelato per errore in uno dei trailer televisivi). La critica nei confronti delle norme capestro resta valida, ma perlomeno Star Trek non è morto.

2016/01/04

Startrekitalia.it copia abusivamente un mio articolo: quello sui copyright violati di Star Trek

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/01/04 16:00.

Qualche giorno fa ho pubblicato un articolo sull’accusa di violazione di copyright fatta da CBS e Paramount contro il fanfilm Axanar e l’ho intitolato CBS e Paramount fanno causa ad “Axanar”, fanfilm di Star Trek: è troppo ben fatto. Il giorno dopo, il sito Startrekitalia.it ha pubblicato un articolo a firma di “Redazione” intitolato, guarda che coincidenza, Star Trek Axanar, CBS e Paramount fanno causa al fanfilm: troppo ben fatto.

Per una coincidenza ancora più stupefacente, il testo dell’articolo di Startrekitalia.it è incredibilmente simile al mio. Considerate i primi tre paragrafi, per esempio.

Il mio originale del 31/12/2015

Senza la minima parvenza d’autoironia, l’atto legale di accusa della Paramount e della CBS nei confronti del fanfilm Axanar dice una cosa profondamente imbarazzante: le due case di produzione hanno fatto causa ai creatori di Axanar perché ha “l’aspetto e la consistenza di un vero film di Star Trek” (“look and feel like a true Star Trek movie”). A differenza di quelle stupidaggini fracassone dirette da J. J. Abrams. Quelle dove Spock risolve i problemi a suon di cazzotti.

Da decenni, ormai, i fan di Star Trek autoproducono storie, fumetti e video basati sui personaggi e gli ambienti della serie e finora CBS e Paramount, attuali titolari dei diritti, non hanno mai avuto problemi, a patto che si trattasse di produzioni amatoriali e senza scopo di lucro.

La serie di telefilm autoprodotti Star Trek Continues, per esempio, è davvero notevole, con interni curatissimi, fotografia identica all'originale e tanti cameo di attori ospiti della serie originale e non solo) e soprattutto delle belle storie che compensano il montaggio e la recitazione non sempre sublimi; altre autoproduzioni, come Renegades o Of Gods and Men, hanno addirittura impiegato gli attori principali delle varie serie “ufficiali” di Star Trek (Walter Koenig, Tim Russ, Robert Picardo, Aron Eisenberg, Nichelle Nichols, Terry Farrell, J. G. Hertzler, Chase Masterson, Gary Graham, Ethan Phillips, Cirroc Lofton, Grace Lee Whitney, Robert Beltran e tanti altri), spesso chiamandoli a interpretare gli stessi personaggi che interpretavano in Star Trek. E anche qui Paramount e CBS non hanno fatto una piega.


L’articolo di Startrekitalia.it dell’1/1/2016

Senza la minima parvenza d’autoironia, l’atto legale di accusa della Paramount e della CBS nei confronti del fanfilm Axanar dice una cosa profondamente imbarazzante: le due case di produzione hanno fatto causa ai creatori di Axanar perché ha “l’aspetto e la consistenza di un vero film di Star Trek” (“look and feel like a true Star Trek movie”).
A differenza di quelle stupidaggini fracassone dirette da J. J. Abrams. Quelle dove Spock risolve i problemi a suon di cazzotti.

Da decenni, ormai, i fan di Star Trek autoproducono storie, fumetti e video basati sui personaggi e gli ambienti della serie e finora CBS e Paramount, attuali titolari dei diritti, non hanno mai avuto problemi, a patto che si trattasse di produzioni amatoriali e senza scopo di lucro.

La serie di telefilm autoprodotti Star Trek Continues, per esempio, è davvero notevole, con interni curatissimi, fotografia identica all’originale e tanti cameo di attori ospiti della serie originale e non solo) e soprattutto delle belle storie che compensano il montaggio e la recitazione non sempre sublimi; altre autoproduzioni, come Renegades o Of Gods and Men, hanno addirittura impiegato gli attori principali delle varie serie “ufficiali” di Star Trek (Walter Koenig, Tim Russ, Robert Picardo, Aron Eisenberg, Nichelle Nichols, Terry Farrell, J. G. Hertzler, Chase Masterson, Gary Graham, Ethan Phillips, Cirroc Lofton, Grace Lee Whitney, Robert Beltran e tanti altri), spesso chiamandoli a interpretare gli stessi personaggi che interpretavano in Star Trek. E anche qui Paramount e CBS non hanno fatto una piega.

Il resto ha lo stesso andazzo. Questo, a casa mia, si chiama copiare. Che poi la copia abusiva riguardi proprio un articolo che parla di abuso del diritto d’autore è non solo spettacolarmente ironico: è profondamente stupido, perché a Startrekitalia.it bastava rispettare le mie semplici regole per la ripubblicazione dei miei articoli. In pratica, bastava linkare l’originale e includere il mio nome come autore. Macché.

Ho provato subito a contattare i responsabili del sito attraverso l’apposito form, ma non è servito a nulla. Ho scritto questo:


Questo:

http://www.startrekitalia.it/star-trek-axanar-cbs-e-paramount-fanno-causa-al-fanfilm-troppo-ben-fatto/

è copiato da questo mio articolo:

http://attivissimo.blogspot.ch/2015/12/cbs-e-paramount-fanno-causa-ad-axanar.html

Ma voi lo attribuite a "Redazione".

Da Trekker a Trekker: non è un bel modo di fare. Bastava chiedere. E bastava rispettare le semplici regole che trovate qui, fatte apposta per consentire la ripubblicazione dei miei articoli:

http://attivissimo.blogspot.ch/p/copyright.html

Rettificate, per favore.

Live long and prosper. But don’t steal.

Visto che ormai sono passati alcuni giorni e non è successo nulla, credo che sia venuto il momento di svergognare pubblicamente chi è così meschino da prendere abusivamente quello che potrebbe avere liberamente. Secondo Domaintools e Nic.it, il titolare di Startrekitalia.it è Andrea Ferraro (dato pubblico liberamente accessibile). Se volete fargli sapere educatamente cosa pensate di chi copia un articolo e si spaccia per suo autore, il modulo per i contatti è qui.

Un altro aspetto interessante di questa vicenda è che secondo Alexa e Instra, rispettivamente, i dati del Contact di Startrekitalia.it sono “Paramount Pictures Corporation Srl, Egidio Pusateri, Viale del Ghisallo 20, 20142 Milano” e che i dati dell’Owner sono “Paramount Pictures Corporation Srl”.

Secondo le mie ricerche, in Viale del Ghisallo 20, a Milano, c'è la sede della Paramount Home Entertainment (Italy) SRL (nome diverso rispetto a Paramount Pictures Corporation Srl). Non riesco a contattare telefonicamente nessuno alla sede milanese della PHE(I), nonostante ripetuti tentativi: la ragione, mi scrive Gabriella Cordone Lisiero (fonte molto bene informata sul mondo Trek italiano e non solo), è che “l’ufficio è stato chiuso da CBS Paramount passando l’home video a Universal Picture[s] Italia”. Ho contattato via mail la UPI per sapere se è collegata a Startrekitalia.it, ma finora non ho avuto risposta.

Qualcuno sta abusando del nome della Paramount e di Pusateri (che secondo LinkedIn non è più alla Paramount dal maggio del 2001)? Vorrei sperare di sì, perché l’alternativa sarebbe davvero impagabile: la Paramount che viola il mio diritto d’autore per un articolo che parla della violazione del suo diritto d’autore. Staremo a vedere. Se scoprite qualcosa, fatemelo sapere.


2016/01/04 16:00


L’articolo di Startrekitalia.it è stato rimosso senza una rettifica e senza una parola di scuse.

Morale della storia: certa gente, se sei disponibile e gentile e chiedi cortesemente che i tuoi diritti vengano rispettati, se ne strafotte; si sveglia soltanto se la sputtani pubblicamente. La prossima volta non perderò tempo a essere gentile.

2015/12/31

CBS e Paramount fanno causa ad “Axanar”, fanfilm di Star Trek: è troppo ben fatto

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/01/04 7:15.

Senza la minima parvenza d’autoironia, l’atto legale di accusa della Paramount e della CBS nei confronti del fanfilm Axanar dice una cosa profondamente imbarazzante: le due case di produzione hanno fatto causa ai creatori di Axanar perché ha “l’aspetto e la consistenza di un vero film di Star Trek” (“look and feel like a true Star Trek movie”). A differenza di quelle stupidaggini fracassone dirette da J. J. Abrams. Quelle dove Spock risolve i problemi a suon di cazzotti.

Da decenni, ormai, i fan di Star Trek autoproducono storie, fumetti e video basati sui personaggi e gli ambienti della serie e finora CBS e Paramount, attuali titolari dei diritti, non hanno mai avuto problemi, a patto che si trattasse di produzioni amatoriali e senza scopo di lucro.

La serie di telefilm autoprodotti Star Trek Continues, per esempio, è davvero notevole, con interni curatissimi, fotografia identica all'originale e tanti cameo di attori ospiti della serie originale e non solo) e soprattutto delle belle storie che compensano il montaggio e la recitazione non sempre sublimi; altre autoproduzioni, come Renegades o Of Gods and Men, hanno addirittura impiegato gli attori principali delle varie serie “ufficiali” di Star Trek (Walter Koenig, Tim Russ, Robert Picardo, Aron Eisenberg, Nichelle Nichols, Terry Farrell, J. G. Hertzler, Chase Masterson, Gary Graham, Ethan Phillips, Cirroc Lofton, Grace Lee Whitney, Robert Beltran e tanti altri), spesso chiamandoli a interpretare gli stessi personaggi che interpretavano in Star Trek. E anche qui Paramount e CBS non hanno fatto una piega.

Allora come mai stavolta è diverso? La spiegazione arriva sempre dall’atto d’accusa: Axanar ha raccolto fondi per oltre un milione di dollari e si propone come un prodotto con “professionisti che lavorano davanti e dietro la macchina da presa, con una troupe interamente composta da professionisti – molti dei quali hanno lavorato a Star Trek – che garantiscono che Axanar avrà la qualità di Star Trek che tutti i fan vogliono vedere”.

In effetti il trailer conferma questo intento professionale e qualitativo:


Anche il prequel, intitolato Prelude to Axanar, è dello stesso livello (sono disponibili i sottotitoli in italiano), e le immagini che avete visto qui sopra non sono tratte dai film di Abrams ma da Axanar:


C'è anche un altro aspetto significativo: adesso CBS e Paramount hanno in cantiere una propria serie televisiva di Star Trek, e c'è in lavorazione il terzo film della serie “reboot”, intitolato Beyond, che è talmente lontano dagli ideali e dalle situazioni di Star Trek che si vanta addirittura di avere come regista quello di Fast and Furious, ha la colonna sonora dei Beastie Boys (Sabotage, se non erro) ed è una serie ininterrotta di scazzottate e salti con motociclette.

Il trailer di Beyond ha fatto infuriare i fan, tanto da indurre il regista a giustificarsi (idem Simon Pegg, co-sceneggiatore), per cui trovarsi confrontati con un prodotto amatoriale che i fan invece adorano, come Axanar, tanto da finanziarlo per un milione di dollari, non solo rischia di mettere in ombra le produzioni “ufficiali”, ma probabilmente causa un gran rosicamento ai pezzi grossi di Hollywood, che ancora non hanno capito cosa vogliono i fan di Star Trek (aiutino: azione, avventura, ma anche rispetto per i personaggi originali e una storia che faccia pensare).

I produttori di Axanar si erano incontrati con la CBS, secondo quanto riferisce uno di loro, Alec Peters, e ne avevano ottenuto una risposta di tolleranza a patto che Axanar non guadagnasse nulla: infatti verrà distribuito gratuitamente. Questo, insieme agli anni di dimostrata accettazione dei fanfilm precedenti, aveva fatto pensare che anche Axanar sarebbe stato tollerato. Ma ora CBS e Paramount chiedono un’inibitoria alla distribuzione di Axanar e anche centinaia di migliaia di dollari di danni per le violazioni del diritto d’autore. I produttori di Axanar hanno risposto su Facebook dicendo che “a quanto pare la CBS sa che Axanar è esattamente quello che vogliono i fan, perché stanno cercando di farci chiudere” e che risponderanno a breve ma non mollano. Staremo a vedere.

Sembra proprio, insomma, che finché si tratta di fanfilm così così, a Paramount e CBS va bene che i fan usino i loro marchi, perché in fin dei conti contribuiscono (gratis) a mantenere popolari quegli stessi marchi; ma se un fanfilm rischia di essere migliore delle loro produzioni, allora cala la scure della legge. Per carità, CBS e Paramount non fanno altro che far valere i propri diritti sanciti dalla legge, ma usare così palesemente due pesi e due misure non sembra essere il modo migliore per farsi amare dai fan. Che, vorrei ricordare, già negli anni Sessanta seppero organizzare una campagna di protesta sufficiente a far rinnovare la Serie (oggi) Classica di Star Trek per una terza stagione nonostante la rete televisiva volesse chiuderla.

Star Trek esiste da sempre grazie ai fan, ma i bottegai di Hollywood non l’hanno ancora capito.

Adesso ho un motivo in più per non andare a vedere Beyond.


2015/12/31 13:20. Alec Peters, uno dei principali artefici di Axanar, ha raccontato la propria versione dei fatti e ha detto di essere stato in contatto con “una delle principali società di consulenza sulla proprietà intellettuale negli Stati Uniti” con l’ipotesi di fornire una difesa legale pro bono. La società, dice Peters, “era molto interessata a rappresentarci dato che era al corrente dell’azione legale e aveva già deciso che questo sarebbe stato un caso di altissimo profilo che potrebbe definire la legge sulla proprietà intellettuale per l’industria dell’intrattenimento”. Se ci saranno sviluppi concreti ve li segnalerò.


2016/01/01 12:30. Nei giorni scorsi Alec Peters ha pubblicato altri dettagli qui, dicendo di aver appreso dell’azione legale dalla stampa prima ancora che dai canali ufficiali.


2016/01/04 7:20. Sono interessanti i punti di vista di Luigi Rosa su Siamogeek e di Gabriella Cordone Lisiero (due che vivono di pane e Star Trek molto più di me): alcuni fatti indicano che la raccolta di fondi incentrata su Axanar non ha le connotazioni giuste per essere considerata senza scopo di lucro. Sia come sia, l’esito di questa lite legale sarà molto significativo per tutto il mondo delle produzioni amatoriali basate su format sotto copyright.


Fonti: Hollywood Reporter, Ars Technica, Variety, TrekNews.

2015/12/30

“Soft Kitty” di Big Bang Theory, accuse di copyright violato

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Se seguite Big Bang Theory conoscete senz’altro la ninna nanna Soft kitty che Sheldon chiede spesso a Penny nei momenti di sconforto. Intorno alla canzoncina è nato un vivace mercato di merchandising. Magari pensavate, come me, che fosse stata inventata per la serie TV, ma invece è una canzoncina che ha quasi cent’anni sulle spalle. E ora è anche oggetto di una lite di copyright.

Le parole furono scritte e pubblicate nel 1937 da Edith Newlin, insegnante d’asilo nel New Hampshire, morta nel 2004. Le figlie hanno ora fatto causa alla CBS e ad altre case produttrici che collaborano alla produzione di Big Bang Theory, accusandole di aver usato il testo senza acquisirne i diritti.

Queste case produttrici hanno infatti chiesto il permesso d’uso del testo alla Willis Music, un’azienda del Kentucky che le aveva pubblicate in un libro di canzoncine per gli asili. Ma secondo le figlie della Newlin, CBS e soci avrebbero dovuto chiedere il permesso a loro, che dichiarano di essere le eredi e titolari dei diritti sul testo.

La notizia in sé è banale, ma mette in luce una delle assurdità delle attuali leggi sul copyright. Non va dimenticato, infatti, che il diritto d’autore nacque allo scopo di tutelare legalmente gli autori e di incentivarli a produrre altre opere dando loro un monopolio automatico temporaneo sulle proprie creazioni. Ma chiaramente è difficile produrre altre opere se si è morti, per cui l’attuale estensione del copyright per settant’anni dopo la morte dell’autore (e in alcuni casi anche oltre) tradisce l’intento originale della legge e non fa altro che creare un pantano legale che porta alla paralisi creativa e portare soldi nelle tasche di chi non ha creato un bel niente: in questo caso, le figlie dell’autrice, ma più in generale le case discografiche, editrici e cinematografiche.


Fonti: BBC, Time.


2017/04/03 14:45. La BBC riferisce che l’azione legale è stata respinta da un giudice.

2015/09/25

“Tanti auguri a te”, negato il copyright preteso per decenni dalla Warner

Sapevate che Tanti Auguri a Te non è una canzone tradizionale libera, ma è soggetta al diritto d'autore della Warner/Chappell Music? Lo è, o perlomeno lo è stata per decenni fino a pochi giorni fa, quando una sentenza di un giudice federale statunitense ha stabilito che la Warner non detiene i diritti sulla canzone e che quindi i pagamenti richiesti per il suo uso (circa 2 milioni di dollari l'anno) non sono legittimi.

Specificamente la Warner affermava di avere i diritti sul testo di Tanti Auguri a Te fino al 2030, ma la sentenza stabilisce che il diritto riguarda soltanto specifici arrangiamenti della melodia, composta dalle sorelle Patty e Mildred Hill nel 1893 (o perlomeno attribuita a loro; ci sono dubbi sull'origine del brano). Secondo alcune stime, è il brano che vanta i maggiori incassi nella storia della musica: circa 50 milioni di dollari.

La vicenda è emersa grazie alla documentarista Jennifer Nelson, che ha fatto un film dedicato alla storia di questa canzone popolarissima: ha indagato sulle vere origini del brano e ha fatto causa sulla base di quello che ha scoperto. Dopo due anni di azione legale è arrivata questa sentenza. È probabile che la Warner ricorrerà in appello.


Fonti: Ars Technica, BoingBoing.
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