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Il Disinformatico: scienza incredibile

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2020/01/07

Piccolo promemoria per chi pensa che l’uomo sia l’essere “superiore”

Uno scimpanzé che non solo riconosce dieci simboli, ma li sa mettere in sequenza. E lo sa fare anche quando i simboli compaiono sullo schermo per un istante e poi vengono coperti. Voi come ve la cavereste?



Nel thread che accompagna il tweet che ho incorporato qui sopra viene spiegato che gli umani, con l’evoluzione, hanno perso questa spettacolare capacità di memoria fotografica a breve termine e in compenso hanno acquisito la capacità del linguaggio. Il cervello umano distribuisce le proprie risorse in maniera differente, non necessariamente migliore, e con l’addestramento un umano può raggiungere risultati paragonabili. Eppure c’è tanta gente che pensa che l’uomo sia divinamente superiore a ogni altra creatura e che questo gli dia il diritto di dominare il pianeta. Con i risultati che vediamo. Un po' di modestia, ogni tanto, non farebbe male.


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2017/05/26

Antibufala: l’immagine di tutta l’acqua sulla Terra raccolta in una “goccia” gigante

Credit: Howard Perlman, USGS; globe illustration
by Jack Cook, Woods Hole Oceanographic
Institution (©); Adam Nieman.
Su Internet capita spesso di imbattersi nell’immagine mostrata qui accanto: un globo terrestre nel quale tutta l’acqua, si dice, è stata raccolta in un’unica grande sfera. Che però stranamente occupa solo circa metà degli Stati Uniti. È facile pensare che si tratti di un’esagerazione o di una licenza poetica per sottolineare la necessità di gestire responsabilmente una risorsa limitata, ma non è così: non è una bufala. L’immagine, per quanto incredibile, rappresenta la realtà.

La fonte di quest’immagine, infatti, è l’autorevole USGS, che la pubblica e spiega in una pagina apposita insieme a molti altri dati e grafici. La sfera d’acqua misura circa 860 miglia (circa 1380 km di diametro). Il velo d’acqua che copre gran parte del pianeta, se radunato così, sembra davvero misero.

Ma la cosa più impressionante è che accanto a questa sfera grande ce ne sono due molto più piccole: quella intermedia misura circa 270 km di diametro e rappresenta tutta l’acqua dolce del mondo (presente nel sottosuolo, nei laghi, nelle paludi e nei fiumi): quella che possiamo usare per vivere e per coltivare e che ammonta a circa il 2,5% di tutta l’acqua del pianeta. La sfera più piccola delle tre, invece, rappresenta l’acqua dolce disponibile nei laghi e nei fiumi e ha un diametro di circa 56 km.

Quella pallina azzurra è tutta l’acqua che si contende l’umanità. Non conviene sprecarla.

2016/02/11

L’ultima prova di Albert Einstein

Ultimo aggiornamento: 2016/02/24.

Grande giornata per l’astronomia: l’annuncio della scoperta delle onde gravitazionali schiude orizzonti di ricerca inimmaginabilmente vasti. Per fare il punto della situazione con competenza, lascio la parola (e la tastiera) all’astronomo Paolo G. Calisse, che ho già ospitato con piacere in questo blog.
Paolo Attivissimo

L’ultimo atto della caccia alle onde gravitazionali, la cui esistenza venne teorizzata da Albert Einstein 100 anni fa, intorno al 1916, potrebbe concludersi proprio oggi.

La caccia cominciò alla fine degli anni '60, con alcuni esperimenti effettuati anche in Italia. Una Barra di Weber, l’antenna gravitazionale che si pensava fosse in grado di rivelare le onde gravitazionali, è visibile ancora oggi all’ingresso del dipartimento di Fisica dell’università di Roma La Sapienza.

In meno di un’ora, alle 15:30 GMT (16:30 ora italiana) di oggi, giovedì 11 febbraio, si terrà una conferenza stampa del LIGO, in cui potrebbe essere comunicata la rivelazione di un evento che confermi l’esistenza di queste onde.

Potete seguirla in diretta cliccando qui o qui (sperando che i server "reggano" la popolarità dell'evento).

Aggiungo i link in chiaro in caso di problemi:

https://www.webcaster4.com/Webcast/Page/219/13131

https://www.youtube.com/user/VideosatNSF/live

Ricordo che nella ricerca ha un ruolo importante anche l’Italia, con un rivelatore vicino a Pisa: VIRGO.

Scriverò se necessario, e se Paolo me lo permette, un articolo con qualche spiegazione del fenomeno e della sua storia, insieme ad un sommario della videoconferenza.

Paolo G. Calisse, 11 febbraio 2016


Prima pagina del lavoro originale di A. Einstein, 1916.


Aggiornamento alle ore 20:00 GMT


Dicono che sia pessimo giornalismo parlare di sè invece che dei fatti, ma questa volta ho la scusa perfetta: avrete letto senz’altro su tutti i giornali e i website cosa è accaduto: di come David Reitze, LIGO Executive Director (CalTech), abbia esordito nella conferenza stampa di oggi dicendo semplicemente, dopo un secondo di pausa, "We have detected gravitational waves!", "abbiamo rilevato le onde gravitazionali!", e di come il fenomeno sia la firma dell’amplesso finale di una coppia di buchi neri. Così come forse sapete che il fenomeno è avvenuto circa un miliardo di anni fa, in una regione di spazio nella direzione della Nube di Magellano, e si è svolto ad una velocità inaudita, pari a metà di quella della luce.

Probabilmente avrete anche sentito dire che la perturbazione del tessuto stesso dello spazio-tempo, un’increspatura infinitesimale di ampiezza pari ad un millesimo di nucleo atomico, sia l’effetto di un fenomeno che ha liberato in una frazione di secondo l'energia equivalente alla massa di 3 stelle come il Sole – anche qui, secondo la più famosa equazione einsteiniana: E = mc2, dove m è la massa e c = 300.000 km/s è la velocità della luce. Un’energia spaventosa, pari a cinquanta volte quella emessa da tutte le stelle dell’universo nello stesso intervallo di tempo.

Possiamo anche porci delle domande: cosa sarebbe accaduto se un fenomeno del genere fosse avvenuto, invece che ad 1 miliardo di anni luce di distanza, a 50.000 anni luce, dall’altro lato della nostra Galassia? Nonostante l’energia spaventosa liberata, probabilmente non molto, in quanto le onde gravitazionali non vengono assorbite facilmente dalla materia, e proprio per questo continuano a viaggiare indisturbate proprio come l’onda in una piscina. Non sappiamo però cosa si stesse svolgendo intorno alla danza dei due buchi neri. È probabile che un disco di accrescimento di materia venisse ingoiato dalla mostruosa coppia danzante, emettendo fiotti di radiazione mortale a tutte le frequenze. Ma di per sè, difficilmente le onde gravitazionali sono in grado di interagire con la materia corrente (la cosiddetta materia barionica, quella che siamo abituati a vedere con i nostri occhi).

Quello che vorrei provare a condividere è però come sia rimasta la comunità di scienziati in cui avevo la fortuna di trovarmi di fronte a questa scoperta, anche se separata dal centro dell'azione dall'Oceano Atlantico.

Sentii parlare la prima volta della rilevazione delle onde gravitazionali a causa di un esperimento in procinto di essere avviato, agli inizi degli anni settanta, nel dipartimento in cui ero studente. Un gruppo romano cercava di ripetere il successo (mai confermato) di un sistema costituito da una barra di metallo sospesa nel vuoto a temperature prossime allo zero assoluto (-273.14°C). L'idea era che se un gravitone lo avesse attraversato – ricordiamoci che ogni onda va anche pensata come particella secondo la meccanica quantitistica – la contrazione infinitesima dello spazio-tempo sarebbe stata rivelata da un interferometro posto vicino al sistema, che ne avrebbe misurata una microscopica variazione di lunghezza. Il sistema, chiamato Weber Bar dal nome del suo inventore, nonostante tutti gli sforzi per ridurre il rumore di fondo, non riuscì mai a rivelare alcunché.

Da allora si sono succeduti vari esperimenti sempre più complessi. Oggi LIGO è solo il precursore di quella che diventerà presto una sorta di rete di ascolto delle onde gravitazionali sparsa in tutto il mondo e per questo in grado di identificare molto meglio la direzione di provenienza delle eventuali sorgenti. Di questa rete faranno parte rivelatori analoghi situati in Europa come VIRGO – purtroppo ancora in costruzione – ma anche in Giappone, India, eccetera. Anche osservatori astronomici radio convenzionali come il nascente SKA (Square Kilometer Array) saranno un giorno in grado di rilevare onde gravitazionali, almeno quelle prodotte da meccanismi diversi che creano onde talmente lunghe da necessitare la misura del tempo con orologi in grado di non perdere più di un nanosecondo (un miliardesimo di secondo) in circa trent'anni. SKA sarà infatti in grado di misurare ritardi negli arrivi a destinazione del segnale perfettamente periodico generato da lontanissime pulsar, o stelle di neutroni.

Di onde gravitazionali se ne aspettano di tipi e origine diverse, come ha ricordato Reiner Weiss, dell’MIT e uno degli ormai anziani, ma attivissimi, co-fondatori di LIGO. Ci si aspettano onde prodotte durante le prime fasi di origine dell'universo, da sistemi di pulsar binarie, di buchi neri, eccetera. Onde con tempi caratteristiche di millisecondi, di ore, di giorni, di anni e anche decenni, ognuna essendo la firma univoca del fenomeno che le ha prodotte.

Ma soprattutto, da oggi sappiamo che l’essere umano si è dotato finalmente di un metodo completamente nuovo per guardarsi intorno. È come se avessimo abbattuto il diaframma che ci separava da una grotta gigantesca, grande come lo stesso universo, dalla quale ascoltare i suoni prodotti da specie e fenomeni completamente nuovi. E ogni volta che il rapporto tra segnale e rumore verrà raddoppiato, si potrà osservare una zona di universo otto volte più grande di quella, già immensa, a disposizione da oggi, aumentando geometricamente la probabilità di captare segnali generati da onde gravitazionali.

Bene ha fatto lo stesso Rietze a menzionare Galileo e il suo puntare al cielo, quattrocento anni fa, un telescopio in grado di mostrare un universo completamente diverso da quello che conoscevano tutti coloro arrivati prima di lui. Un universo imperfetto, come le gobbe della luna e le macchie solari. Ma l'aspetto che più ha stupito molti di noi, quasi tutti astronomi, è l'enormità del segnale, la pulizia dell'effetto registrato e la capacità di inferire direttamente il risultato, praticamente ad occhio nudo. In genere i risultati della Big Science odierna richiedono un’analisi statistica accurata, che può durare anni, per arrivare a scrivere numeri che abbiano un senso. È il caso dei grandi esperimenti di fisica delle particelle o di cosmologia, come i risultati di satelliti quali WMAP o Planck. In questo caso invece c’è perfetta correlazione con i modelli, comprensione quasi immediata della distanza alla quale è avvenuta la coalescenza dei due buchi neri attraverso la sua ampiezza, e della massa dei due buchi neri a partire dalla variazione della frequenza. La direzione può essere dedotta, sebbene ancora con grandi incertezze dato il numero limitato di antenne disponibili, attraverso il ritardo tra i due interferometri che fanno parte dell'esperimento LIGO.

Mostruoso.

Kip Thorne, figura leggendaria per tutti coloro che sono attivi nel campo, e autore fra l'altro insieme a John Wheeler e Charles Misner, del gigantesco volume intitolato Gravitation (1279 pagine di formule e grafici sulla teoria della gravitazione, con esempi ed esercizi, per lo più impossibili per la gran parte di noi studenti di allora, e che per lo più veniva usato come "pressa" per foglie, vista la mole), a 75 anni suonati ha saputo spiegare chiaramente in conferenza stampa la teoria dietro al fenomeno.

Nell’aula in cui eravamo raccolti ad ascoltare la videoconferenza non c’era molto rumore di fondo. Il mio vicino di banco editava in tempo reale la voce "Detection of Gravitational Waves" su Wikipedia.

Le equazioni di campo di Einstein, nella loro stesura originale.
Un monumento alla bellezza della matematica.
Ma è comprensibile. Tutti sappiamo che dietro a queste scoperte, l'idea stessa di vedere o comprendere qualcosa che, piccolo o grande che sia, nessuno ha mai visto o compreso prima di noi sia una delle gioie più grandi riservate a chi se l’è saputa conquistare lavorando duramente, spesso per decenni, come in questo caso. Credo anche che questo suggerisca qualcosa di essenziale sulla nostra natura di esseri umani. Sono convinto che la gran parte degli scienziati vorrebbe in fin dei conti che a tutti noi fosse riservata, almeno una volta, la gioia suprema della scoperta. Che si tratti della scoperta teorica, quella sulla carta, o di quella sperimentale, come nel caso di LIGO. Onestamente non credo che esista gioia maggiore di quella data dal successo della nostra creatività, e l’atmosfera che si respirava in questa videoconferenza, da parte di giovani, adulti ed anziani – soprattutto loro, visto il periodo di incubazione che l'esperimento ha richiesto: un quarto di secolo! – ne è la migliore dimostrazione.

Dev'essere stata questa stessa felicità quella che provò, più e più volte, il giovane Einstein, quando con veri e propri salti mortali mentali riuscì a  formalizzare la geometria dello spazio-tempo e ad incatenarla letteralmente alla massa che la occupa nei primi decenni dello scorso secolo. Il solo seguire l’itinerario della sua mente, la capacità di costruire quei 16 numeri che costituiscono i tensori che descrivono la geometria del nostro universo – un potente oggetto matematico di 4 colonne per 4 righe – attraverso le arcinote equazioni di campo partendo dalla conoscenza di uno solo di essi, non dev'essere stata diversa. E' da queste equazioni che discende l’ipotesi dell’esistenza delle onde gravitazionali insieme a tante altre previsioni e scoperte fondamentali.

100 anni esatti per provare, ancora una volta, che Albert Einstein aveva ragione.

Paolo G. Calisse, 11 febbraio 2016


Aggiornamento 24 Febbraio 2016


Vorrei invitare i più "ardimentosi" tra i lettori di questo blog ad andare a leggere come si arriva alla dimostrazione delle Equazioni di Campo di Einstein, una delle dirette conseguenze delle quali è l'esistenza delle onde gravitazionali.

A meno che non si abbia una buona preparazione in algebra tensoriale è praticamente impossibile seguire per filo e per segno i passaggi, ma anche semplicemente capire di cosa si parla. Comunque sia, visto che si tratta di un'applicazione cristallina di principi del tutto generali, quasi estetici e qualitativi, direi, si può avere un'idea di come questa dimostrazione proceda.

Una dimostrazione, che mi lasciò letteralmente senza fiato quando la vidi mentre ero uno studente di Fisica al III anno, è quella che si trova alle pagine 179-183 del documento pdf (151 del testo) del fondamentale volume Cosmology di Steven Weinberg.

A scando di equivoci, ripeto che è impossibile seguire i passaggi matematici senza una buona preparazione specifica, ma credo che si possa percepire una specie di "aura mistica" nel modo in cui viene effettuata la derivazione, di sottile equilibrio di ipotesi ("guess") su come "dovrebbero" essere fatte (i cinque punti nella figura qui accanto, a pagina 181 del pdf).  Non ci sono, come in altri casi nella storia della Fisica, i risultati di esperimenti fondamentali, solo un'applicazione geniale di principi del tutto generali.

Alcuni pagagrafi tratti dal volume "Cosmology",
di Steven Weinberg, con la derivazione delle Eq. di Campo.
Incredibile che una costruzione così apparentemente fragile sia in grado di fornire ancora oggi - vedi le recenti osservazioni di LIGO - risutati sperimentali corretti ed innovativi. Ovvero che si tratti di una teoria "forte", in grado di prevedere moltissimo a dispetto del fatto che parta da principi teorici tutto sommato abbastanza labili e da un insieme di dati decisamente scarso all'epoca, principalmente a causa del fatto che l'interazione gravitazionale è molto debole rispetto, per esempio, a quella elettromagnetica.

p.s. grazie a Paolo Attivissimo per le numerose correzioni e per l'ospitalità.

2016/01/14

Scoperte le onde gravitazionali? Andiamoci piano

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/02/11 22:10.

Probabilmente avete sentito in giro la “notizia” della presunta scoperta delle onde gravitazionali: le perturbazioni dello spaziotempo che secondo la teoria della relatività generale verrebbero prodotte quando due corpi celesti di grandissima massa, per esempio due stelle di neutroni, si avvicinano ed entrano in collisione. È una previsione di Einstein ancora da confermare e come tale un’eventuale conferma sarebbe roba da Nobel garantito.

Ora si è diffusa la voce che un esperimento, il LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory), abbia rilevato queste onde. Ma è soltanto una voce: specificamente, tutto si basa su due tweet del fisico Lawrence Krauss, che ha detto di aver avuto un’indiscrezione anticipata sui risultati del LIGO che confermerebbe l’osservazione delle onde. Krauss stesso ha precisato che è un rumor, ossia una voce, e poi ha aggiunto che la voce è confermata ma che non ha parlato con nessuno dei ricercatori del LIGO.

In altre parole, la credibilità scientifica della “notizia” per ora è zero. Se le onde gravitazionali sono state davvero osservate, lo sapremo per certo quando i ricercatori pubblicheranno un articolo scientifico. Fino a quel momento abbiamo a che fare semplicemente con aria fritta e con l’entusiasmo prematuro di un fisico. Se volete tutti i dettagli, Science ha pubblicato un buon sunto della situazione.


Aggiornamento (2016/02/11 22:10): L’articolo scientifico è finalmente uscito e quindi ora non si tratta più di una semplice voce non confermata, ma di una grande notizia. È il momento di stappare una buona birra alla salute di Einstein e dei ricercatori ai quali dobbiamo questa nuova finestra sull’Universo.


2016/01/12

La retina che fotografa l’assassino? Ne ho scritto su Le Scienze

Fonte: Wikimedia Commons
C'è un mito popolare secondo il quale la retina registrerebbe l’ultima cosa vista prima di morire: l’idea compare per esempio nei film 4 mosche di velluto grigio (1971), Horror Express (1972) e Wild Wild West (1999), nei telefilm Fringe (The Same Old Story, 2008) e Doctor Who (The Ark in Space, 1975, e The Crimson Horror, 2013), e anche ne I Fratelli Kip (1902) di Giulio Verne.

Nel numero de Le Scienze di dicembre scorso c’era un mio articolo dedicato a quest’argomento leggermente macabro. Nel prepararlo ho scoperto cose sorprendenti, che racconto appunto nell’articolo: per esempio, l’immagine qui accanto mostra proprio una di queste “registrazioni” o optografie. È la sagoma di una finestra, impressa sulla retina di un coniglio sacrificato per studiare il fenomeno. Allora il fenomeno è reale? Non proprio, ma per ora non posso fare spoiler.

Oltre a quello che ho scritto nell’articolo c’era parecchio materiale che ho dovuto escludere per ragioni di spazio: se volete approfondire la questione, ecco le principali fonti che ho utilizzato per la ricerca.

– Kühne W, 1878, On the Photochemistry of the Retina and on Visual Purple (trans. by Michael Foster), MacMillan, London.

– Kühne W, 1881, Beobachtungen zur Anatomie und Physiologie der Retina, Heidelberg.

The last image: On the history of optography. Gerstmeyer, Ogbourne, Scholtz. Acta Ophthalmologica 2012 pag. 58; Milan 2012Nok 2012.

Optograms and criminology: science, news reporting, and fanciful novels. Lanska DJ. Prog Brain Res. 2013;205:55-84. doi: 10.1016/B978-0-444-63273-9.00004-6.

Optometry and optograms. The College of Optometrists.

Dead Men’s Eyes: A History of Optography. The Chirurgeon’s Apprendice.

Optograms and Fiction: Photo in a Dead Man’s Eye, di Arthur B. Evans, in Science-Fiction Studies, XX:3 #61, (Nov. 1993): 341-61 (altra versione qui).

C'è anche una discussione interessante delle citazioni letterarie e cinematografiche degli optogrammi su The Straight Dope. Infine segnalo che esiste un sito dedicato all’optografia: il Museum of Optography di Derek Ogbourne, che raccoglie una testimonianza video particolarmente interessante in questa pagina. Buona lettura, se non siete impressionabili.

2015/03/15

Cent’anni di relatività: Samantha Cristoforetti viaggia anche nel tempo, Buzz Aldrin incontra Stephen Hawking

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alla gentile donazione di “claudio.gue*” e “scotino*”. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora.

Per l'anniversario della nascita di Albert Einstein (nato il 14 marzo 1879) e per il centesimo anniversario della sua teoria della relatività generale (pubblicata nel 1915), ieri Samantha Cristoforetti ha postato due dei suoi tweet più geek:

AstroSamantha
Happy birthday #Einstein and happy 100th birthday general relativity! However I've asked a physicist friend: according to @MatthiasSperl...
14/03/15 20:07

AstroSamantha
...here on #ISS special relativity wins: after 6 months I will be younger than if I had never left... by 7.8 milliseconds ;-)
14/03/15 20:11

Secondo i calcoli del fisico Matthias Sperl, la relatività speciale impone che Sam, alla fine della propria permanenza sulla Stazione Spaziale a 28.000 km/h per sei mesi, sarà invecchiata di 7,8 millisecondi in meno rispetto a noi terrestri. Più si viaggia velocemente e ci si allontana dalla Terra, infatti, e più il tempo rallenta dal punto di vista di chi non si sposta (in questo caso noi sulla Terra), anche se chi viaggia non percepisce alcun rallentamento. Questo qualifica Sam formalmente come viaggiatrice nel tempo, come del resto tutti gli astronauti che l'hanno preceduta. I calcoli sono su Quora.

Il detentore del record per il viaggio nel tempo più lungo dovrebbe essere l'astronauta o cosmonauta che ha trascorso più tempo viaggiando ad alta velocità nello spazio, ossia Sergey Krikalev (23 millisecondi, ossia circa un cinquantesimo di secondo, in 803 giorni complessivi), che ha tolto il primato a Sergey Avdeyev (20 millisecondi, in 787 giorni cumulativi).

Per chi obietta che queste teorie sono troppo astratte per essere di alcuna utilità pratica, ricordo che il GPS che tutti usiamo nei nostri navigatori e telefonini fornisce risultati precisi perché tiene conto della relatività generale e speciale nei propri calcoli.

Se non vi basta come dose quotidiana di scienza, ieri era il Pi Day, ossia la data che richiama i valori di pi greco secondo la grafia americana che antepone il mese al giorno (3/14). Il resto del mondo si accoda a questa data, anche perché festeggiare il Giorno del pi greco il 31 aprile è difficile. Per l'occasione Buzz Aldrin, uno dei primi due uomini a camminare sulla Luna (e per questo “ringiovanito” anche lui dalla relatività speciale, ma meno), è andato a trovare il fisico Stephen Hawking e ha postato questa foto.


Spero che quest'overdose di geekitudine sazi la vostra sete di scientifichicche.


2014/12/16

Marte produce metano variabile, possibile indizio di vita

Il veicolo robotico Curiosity ha trovato su Marte emissioni variabili di metano nell'atmosfera. La percentuale di questo gas nell'atmosfera ogni tanto diventa brevemente ben dieci volte maggiore del normale (che è 0,7 parti per miliardo in volume) e poi cala. Il fenomeno è stato rilevato quattro volte in un periodo di due mesi, tra fine novembre 2013 e fine gennaio 2014, e l'emissione sembrava provenire da nord, dal ciglio del grande cratere Gale nel quale si trova Curiosity. Da allora il fenomeno non si è più ripetuto.

Qualcosa ha rilasciato metano, insomma: la domanda che tutti si pongono è se quel qualcosa è una forma di vita o se c'è qualche altra spiegazione.

I dati sono stati presentati oggi in una conferenza stampa e in un articolo pubblicato sulla rivista Science e indicano che Marte è un pianeta attivo. Le misurazioni di Curiosity confermano quelle fatte dai telescopi sulla Terra e dalle sonde orbitanti intorno a Marte (come l'europea Mars Express).

Il metano potrebbe provenire dall'impatto di comete o da processi geologici sotterranei (reazioni chimiche fra vari tipi di rocce), ma potrebbe anche derivare dall'attività di batteri attuali o passati. Sulla Terra, per esempio, il 95% del metano presente nell'atmosfera è prodotto da forme viventi. Il prossimo passo è cercare di analizzare il metano durante uno di questi picchi e determinare il rapporto fra isotopi dell'atomo di carbonio presente nel metano, perché un rapporto elevato fra C-12 e C-13, come quello trovato sulla Terra, è considerato un forte indicatore di attività biologica.

Le trapanazioni delle rocce marziane effettuate da Curiosity hanno anche trovato molecole organiche, ossia contenenti carbonio, che sono gli elementi costitutivi della vita sulla Terra ma possono anche scaturire da fenomeni non biologici.

Gli autori dell'articolo scientifico si sono guardati bene dal parlare di forme di vita: semplicemente, questi dati indicano che c'è su Marte una fonte sconosciuta di emissioni di metano. Non so voi, ma io sarei contentissimo di scoprire che Curiosity ha sniffato le scoregge dei marziani.

Fonti: Nature, BBC, NBC News, NASA.

2011/11/20

L’astronave atomica del dottor Dyson

Ho già parlato in passato del progetto Orion, quello che nei primi anni Sessanta proponeva di portare nello spazio enormi veicoli grazie alla detonazione di bombe nucleari dietro un grosso ammortizzatore.

Non era uno scherzo: era un'idea alla quale avevano lavorato seriamente nomi come Freeman Dyson. Furono condotti dei test dimostrativi usando esplosivi convenzionali e si capì che per quanto istintivamente sembrasse una follia, l'idea di portare centomila o più tonnellate nello spazio facendo scoppiare un migliaio di bombe atomiche in rapida successione era praticabile.

Cosa più importante, se oggi ci accorgessimo in ritardo di un grosso asteroide in rotta di collisione con la Terra, la tecnologia di Orion sarebbe probabilmente l'unica in grado di salvare il mondo.

Parti del progetto sono ancora segrete oggi, ma un po' di documentazione pubblica c'è. La BBC ha intervistato i protagonisti del progetto e raccolto i filmati sconcertanti dei test di quest'idea straordinaria, irripetibile figlia di un periodo in cui si pensava in grande e si glissava sulle conseguenze, e qualche tempo fa ha creato in proposito un documentario intitolato To Mars by A-Bomb, una cui versione forse leggermente rimaneggiata è consultabile su Youtube in inglese (uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette). Grazie all'amico Stefano per la segnalazione.

2011/10/20

Levitazione quantistica

“Qualunque tecnologia sufficientemente progredita è indistinguibile dalla magia” – Arthur C. Clarke



Un blocco di zaffiro rivestito di ossido di ittrio bario e rame (YBa2Cu3O7) fortemente raffreddato fluttua e rimane bloccato in posizione grazie al quantum locking (spiegato qui). Io, quando sono fortemente raffreddato, riesco solo a starnutire. Fantastico. Adoro la scienza che diventa magia.

2011/10/13

Rigenerare gli arti, primi passi concreti

Far ricrescere falangi e muscoli non è più fantascienza


Recentemente Discover Magazine ha pubblicato un articolo affascinante sulla rigenerazione dei tessuti umani che sembra attingere a piene mani alla fantascienza di Doctor Who pur essendo molto reale (anche se alcuni aspetti sono controversi). Ho chiesto a Elena Albertini, whoviana DOC, di raccontarlo per il Disinformatico. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Per favore, leggete l'intero articolo e gli aggiornamenti prima di giudicare.



Si sa che del maiale non si butta via niente, ma da qui a pensare che ci potrebbe trasformare tutti in novelli Jack Harkness o Dottori di Doctor Who ce ne passa. Eppure il maiale è fondamentale per una nuova tecnica di rigenerazione dei tessuti che permetterebbe di ricostruire parti mancanti complesse, come un dito o addirittura un arto completo.

Non si tratta quindi di rigenerare solo un tipo di tessuto, per esempio il tessuto muscolare asportato per un incidente o per un tumore, ma anche ossa, cartilagine e quant'altro. Fantascienza?

Nel 2007 Discovery Channel trasmise un documentario nel quale narrava la storia di un veterano di guerra, Lee Spievack, che aveva perso una porzione della prima falange di un dito, recisagli da una pala di un modellino di aeroplano. Il fratello di Spievack, chirurgo a Boston, gli aveva inviato una polvere “magica”, dicendogli di spargerla sulla ferita, avvolgere la mano con della plastica e applicare la polvere un giorno sì e uno no fino a quando non avesse terminato la quantità che gli aveva mandato. Dopo quattro mesi la falange di Lee si era rigenerata: unghia, osso, muscolo... tutto quanto, come si vede qui accanto. Evito di mostrarvi immagini della falange prima della rigenerazione; le trovate in Rete.

Agli appassionati di fantascienza non può che venire in mente il caro dottor McCoy che con due semplici pastiglie fa ricrescere un rene a una paziente in attesa della dialisi nel film Star Trek IV, oppure la mano amputata al Dottore e rigenerata in pochi minuti nel episodio The Christmas Invasion di Doctor Who, appunto. Eppure non si tratta di fantascienza, ma scienza vera e propria.

Questa “polvere magica” è composta da una parte della vescica di maiale conosciuta come matrice extracellulare o MEC, una sostanza fibrosa che occupa gli spazi tra le cellule. Un tempo si pensava fosse semplicemente materiale che teneva insieme le cellule; ora invece si sa che contiene proteine molto interessanti (laminina, collagene e fibronectina) che possono risvegliare le capacità latenti del corpo di rigenerare i tessuti.

Un altro caso è quello del caporale americano Isais Hernandez. In un'esplosione aveva perduto il 70% del muscolo della coscia destra ed era stato sottoposto a un intervento nel quale una parte di un muscolo della schiena gli era stato trapiantato nella coscia. Il risultato non era affatto soddisfacente, ma era l'unica alternativa all'amputazione.

Sfortunatamente, se buona parte del muscolo di un arto viene rimosso è molto facile perdere completamente la funzionalità dell'arto e le probabilità di rigenerazione del muscolo sono molto remote. Il corpo, infatti, entra in modalità di sopravvivenza e cerca di chiudere la ferita il più in fretta possibile per evitare infezioni, utilizzando tessuto cicatriziale, che però indebolisce l'arto, lasciandolo storpio.

Dopo tre anni di fisioterapia faticosa e dolorosissima, la gamba di Hernandez non presentava miglioramenti di sorta. Si rivolse quindi al dottor Wolf, che inserì nella gamba uno strato sottile della stessa sostanza usata per la “polvere magica”. I risultati furono sorprendenti: il muscolo ricominciò a crescere e dopo sei mesi la forza nella gamba era aumentata dell'80%. Oggi Hernandez ha ritrovato la completa funzionalità della gamba destra.

Adesso la sfida è riprodurre il successo di Hernandez in altri pazienti. Una squadra di scienziati all'Università di Pittsburgh, nel McGowan Institute for Regenerative Medicine, ha iniziato una sperimentazione su ottanta pazienti sottoposti al trattamento con MEC in cinque diversi istituti. Gli scienziati cercheranno di usare il materiale per rigenerare i muscoli di pazienti che hanno perso almeno il 40% della massa muscolare, cosa che solitamente spinge i medici a effettuare amputazioni.

Per molti medici, l'idea di usare parti di maiale per rigenerare tessuti umani è considerato alquanto bizzarra, per usare un eufemismo. Per questo Stephen Badylak, il dottore che scoprì questa tecnica negli anni '80, fu riluttante a parlarne apertamente per anni. Neanche lui, ammette, credeva ai propri risultati: ora è a capo della sperimentazione al McGowan Insitute.

Già il fatto che tessuti provenienti da un'altra specie non provochino una forte risposta immunitaria nel corpo umano sembra impossibile, ma non basta: questo materiale può trasformarsi in pochi mesi in qualsiasi tipo di tessuto che sia stato danneggiato. Muscolo, pelle o vaso sanguigno.

Quando Badylak pubblicò per la prima volta le proprie scoperte nel 1989, il campo della medicina rigenerativa era inesistente. Oggi gli sforzi più conosciuti in questo settore si concentrano sulla crescita di tessuti al di fuori del corpo umano dentro speciali “bioreattori”. Le tecniche di Badylak, invece, stimolano l'esercito di cellule staminali presenti nel corpo per guarire senza l'uso di strutture esterne.

La scoperta che ha portato a questo approccio inconsueto è nata quasi per caso. Tutto è iniziato con un'idea balzana e un bastardino di nome Rocky. Badylak era rimasto affascinato dalla tecnica sperimentale della cardiomioplastica, che prevede di avvolgere un muscolo, solitamente preso dal dorso del paziente, intorno al cuore e di farlo contrarre attraverso un pacemaker per aiutare il cuore a pompare sangue. Uno dei problemi di questa tecnica è che per sostituire l'aorta viene usato un tubo sintetico che spesso causa infiammazioni ed emboli.

Badylak era convinto che se avesse trovato un sostituto per il vaso sanguigno all'interno del corpo del paziente avrebbe impedito l'insorgere di infiammazioni. Così un pomeriggio, dopo aver sedato un cagnolino di nome Rocky, Badylak procedette ad asportargli l'aorta e a sostituirla con un pezzo del suo intestino tenue. Non pensava che l'animale avrebbe superato la notte, ma perlomeno, se non fosse morto dissanguato, avrebbe dimostrato che l'intestino era abbastanza resistente da farvi scorrere il sangue, cosa che avrebbe permesso ulteriori studi.

Per chi, come me, sta sentendo un brivido gelido dietro la schiena, dico subito che il cagnolino è sopravvissuto e il giorno dopo era in piedi, scodinzolante, in attesa della colazione. Non solo, ma ha vissuto per altri otto anni.

Badylak ripeté la procedura su altri quattordici cani con successo. Sei mesi più tardi operò uno di questi cani per capire come mai erano sopravvissuti. Ed è qui che le cose incominciarono a diventare ancora più strane: Badylak non riuscì a trovare l'intestino trapiantato.

Dopo aver controllato e ricontrollato che fosse l'animale giusto, prelevò un pezzo di tessuto della zona del trapianto e la osservò al microscopio. Rimase allibito. “Stavo guardando qualcosa che non sarebbe dovuto succedere” dice Badylak. “Andava contro tutto quello che mi era stato insegnato.” Poteva vedere i segni delle suture, ma il tessuto intestinale era sparito e al suo posto era ricresciuta l'aorta.

Nessuno confonderebbe mai un intestino con un'aorta; sono tessuti completamente diversi. Dopo aver controllato anche gli altri cani e aver riscontrato gli stessi risultati, incominciò a sospettare che l'intestino fosse in grado di sopprimere le infiammazioni e allo stesso tempo promuovere la rigenerazione dei tessuti.

Si ricordò di una scoperta bizzarra a proposito del fegato: se si ingerisce del veleno che distrugge tutte le cellule del fegato, l'organo si può rigenerare se lo scaffold di supporto, la sua “impalcatura”, rimane intatto. Forse lo scaffold era la chiave.

Il passo successivo fu quindi di togliere gli strati dell'intestino fino ad arrivare a un sottile strato di tessuto connettivo chiamato appunto matrice extracellulare: la magica MEC. Con questo “nuovo” materiale Badylak eseguì altri trapianti con successo. Provò allora a utilizzare la MEC proveniente dall'intestino di un gatto e trapiantarlo in un cane, certo che quest'ultimo lo avrebbe rigettato, non certo solo per la nota antipatia tra le due razze. E invece, ancora una volta, con sua grande sorpresa, non ci fu alcun rigetto.

Rendendosi conto che avrebbe dovuto utilizzare un bel po' di intestino tenue per i suoi esperimenti, decise di rivolgersi a uno dei tanti macelli di maiali presenti in Indiana. Oltre all'intestino tenue incominciò a usare anche la vescica, che offriva le stesse caratteristiche. I suoi esperimenti continuarono, passando dalle arterie principali alle vene e alle arterie secondarie fino alla rigenerazione del tendine d'Achille. Grazie a quest'ultima scoperta, la società DePuy di Warsaw, in Indiana, sovvenzionò ulteriori ricerche nel campo ortopedico; con il suo aiuto, nel 1999 la FDA (Agenzia per gli alimenti e i medicinali degli Stati Uniti) ne approvò l'utilizzo sugli esseri umani.

I chirurghi incominciarono quindi a utilizzare la MEC per riparare la cuffia dei rotatori della spalla, le ernie addominali e i danni da reflusso esofageo e per la ricrescita delle meningi del cervello. Ma fu solo grazie al chirurgo John Itamura che Badylak scoprì finalmente il vero punto di forza della MEC.

Itamura aveva impiantato uno scaffold di MEC nella spalla di un paziente, che otto settimane più tardi era tornato per un'altra operazione che non aveva alcun collegamento con quella precedente. Questo permise al dottore di ottenere un raro campione umano prelevato dalla zona d'intervento alla spalla. La biopsia mostrò che lo scaffold era sparito, come ci si aspettava, ma c'era una sorpresa: al microscopio si poteva vedere che la zona dell'operazione pullulava di attività. Non si trattava di una reazione infiammatoria anche se vi assomigliava molto. In realtà, con la scomparsa dello scaffold erano state rilasciate delle molecole chiamate peptidi criptici, che potrebbero spiegare il fenomeno particolare della MEC.

Queste molecole hanno un ruolo di reclutamento delle cellule, e ben presto Badylak capì che a essere reclutate erano le cellule staminali, quelle che possono trasformarsi in qualsiasi tipo di tessuto.

Siamo quindi a una svolta che ha dell'incredibile: poter rigenerare i tessuti danneggiati o distrutti. Ma la ricerca non si ferma qui. Lo staff di Badylak adesso sta lavorando alla possibilità di far ricrescere gli arti di un mammifero, come se fosse una salamandra, in una sorta di manica con una riserva di liquido che avviluppa un dito amputato di un topo e permette ai ricercatori di controllare l'ambiente di guarigione. Aggiungendo fattori di crescita come acqua e fluido amniotico e variando la corrente elettrica si ricreano le condizioni che esistono in un embrione umano: un ambiente perfetto per aiutare la trasformazione delle cellule staminali nei vari tessuti che compongono un corpo.

L'idea di ricreare un ambiente embrionale alla fine di un arto di un mammifero per farlo ricrescere è considerata troppo fantascientifica da molti critici. Il progetto è ancora senza fondi, ma Badylak non si dà certo per vinto.

Ancora una volta la scienza raggiunge la fantascienza, e se in un prossimo futuro oltre a far ricrescere i muscoli in braccia e gambe per evitare l'amputazione sarà anche possibile rigenerare l'arto completo allora potremmo avvicinarci sempre di più al sogno dell'eterna giovinezza e forse anche dell'immortalità. Ma proprio Torchwood, in Miracle Day, insegna che l'immortalità generalizzata sarebbe una catastrofe sociale più che una benedizione.


Aggiornamenti


Ben Goldacre, medico e noto debunker, è molto scettico sulla storia della falange ricresciuta. La sua indagine su questo aspetto, pubblicata dal Guardian nel 2008, si concentra principalmente sulle esagerazioni pubblicate dai media, secondo i quali sarebbe ricresciuto l'intero dito di Lee Spievack. In realtà la parte mozzata misurerebbe circa un centimetro e il letto dell'unghia sarebbe rimasto intatto, e a volte lesioni di questo genere si riparano bene anche da sole. Goldacre ne parla anche qui su Badscience.net; i commenti contengono moltissime considerazioni e link interessanti.

Ho trovato varie pubblicazioni scientifiche di Badylak sull'argomento: The extracellular matrix as a scaffold for tissue reconstruction (2002), Vascular Endothelial Growth Factor in Porcine-Derived Extracellular Matrix (2001); molti altri si trovano tramite Google Scholar cercando il nome dell'autore insieme alle parole “porcine” ed “extracellular matrix”. Il suo esperimento sui cani sembra essere quello descritto in Small intestinal submucosa as a large diameter vascular graft in the dog (1988). L'articolo di Discover Magazine cita anche una pubblicazione di Badylak del 2011 nella quale si descrive la rigenerazione di parti dell'esofago.

A prescindere dal singolo caso, il concetto di rigenerazione come terapia non è fantascienza: un rapporto stilato dall'NIH statunitense nel 2006 fa il punto sull'argomento; Scientific American ha dedicato un intero numero allo stato dell'arte. Ma come sempre, asserzioni straordinarie richiedono prove straordinarie. –– Paolo

2011/09/27

Quei neutrini velocisti? Forse al Fermilab già visti

Non è la prima volta che i neutrini vengono (forse) colti a correre troppo


La notizia dei neutrini forse più veloci della luce ha comprensibilmente suscitato scalpore e attesa intorno a eventuali conferme o smentite dei risultati sorprendenti dei ricercatori del CERN e dell'INFN. Prima di precipitarsi a parlare di “vittoria” o caduta della relatività di Einstein bisogna verificare tutto con pazienza.

Quest'attesa, in un senso o nell'altro, potrebbe essere più breve di quello che verrebbe spontaneo pensare: TalkingPointsMemo segnala infatti che risultati analoghi erano già stati segnalati nel 2007 negli Stati Uniti ma erano stati trascurati perché rientravano nei margini d'errore.

L'esperimento MINOS del Fermilab a Soudan, nel Minnesota, forse aveva rilevato neutrini superluminali quattro anni fa e ne aveva scritto in questo articolo. Ma i margini d'errore, molto maggiori di quelli dell'esperimento CERN-Gran Sasso, non permettevano certezze. Ora MINOS verrà ripetuto in forma migliorata, con maggiore precisione e più dati. La raccolta dati è già stata fatta e si tratta di misurare con maggiore attenzione i vari ritardi del sistema di rilevamento. I risultati dovrebbero arrivare in “4-6 mesi”, secondo il portavoce di MINOS. Fino a quel momento la prudenza resta d'obbligo.

Questo articolo vi arriva grazie alla gentile donazione di “fabiomalf”.

2011/09/23

Più veloci della luce?

Esperimento CERN contraddice Einstein? Fermi


L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Adoro quando la scienza si mette in gioco come sta facendo in queste ore: mette in luce la differenza fra i ciarlatani delle pseudoscienze, quelli che annunciano risultati miracolosi con poca fatica ma non vogliono far esaminare le loro invenzioni e cure portentose, e chi studia per anni e lavora per altri anni prima di annunciare che, semplicemente, qualcosa non gli torna, per cui pubblica i risultati e invita tutti a farli a pezzi. Una magnifica lezione di umiltà e trasparenza.

Come avrete letto (Repubblica; Reuters; BBC; Sciencemag; Science 2.0), un gruppo di ricercatori del CERN e dell'INFN avrebbe rilevato dei neutrini che viaggiavano a velocità superiori a quelle della luce: una contraddizione radicale della fisica da Einstein in poi, che poggia sull'idea che la velocità della luce sia un limite invalicabile. I ricercatori non sanno spiegarsi questo fatto e ritengono di aver tenuto conto di tutti i possibili errori di misurazione; così pubblicano i propri dati affinché tutti i colleghi possano esaminarli e vedere se c'è un errore sistematico particolarmente subdolo o se siamo di fronte a una scoperta di quelle che sovvertono la scienza.

Provo a riassumere, da semplice appassionato di fisica, quanto sto leggendo nei siti specialistici. Secondo i ricercatori, i neutrini hanno attraversato i 730 chilometri di roccia dal CERN di Ginevra fino al laboratorio sotterraneo del Gran Sasso, in Italia, arrivando in media con 60 nanosecondi di anticipo rispetto al tempo che ci vuole per coprire la tratta alla velocità della luce. I neutrini sarebbero quindi più veloci della luce: cosa che attualmente si ritiene impossibile. Affascinante.

Il problema è che 60 nanosecondi alla velocità della luce sono circa 18 metri, se i miei conticini e Wolfram Alpha non m'ingannano. Quindi, osserva per esempio l'astronomo Phil Plait, basta che la distanza effettiva fra la fonte dei neutrini a Ginevra e il rivelatore al Gran Sasso sia più corta di soli 18 metri (su 730 chilometri) rispetto a quella calcolata e l'anticipo rivoluzionario va a farsi benedire. O magari gli orologi del CERN e del Gran Sasso non sono sincronizzati più che perfettamente. Ma può anche darsi che il fenomeno sia reale: stiamo parlando di fisici, non di teleimbonitori. Di fisici che si guardano bene dal dire che la relatività è sbagliata e che anche Galileo fu deriso ma poi gli diedero ragione.

Chiunque si occupi di scienza sarebbe contentissimo di veder confermata la realtà della scoperta, ma bisogna essere prudenti. Anche qui, come per i fenomeni paranormali, affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie. Oggi alle 16 i ricercatori presenteranno i propri risultati in una conferenza al CERN (webcast.cern.ch): vedremo cosa ci diranno.

Intanto i ricercatori hanno pubblicato un prudentissimo paper presso Arxiv. È ampiamente al di sopra delle mie competenze, ma segnalo che parla di una distanza di 730,534 chilometri e 61 centimetri, misurata con una precisione di 20 centimetri, e di una sincronizzazione delle basi di tempi pari a 2,3 +/- 0.9 nanosecondi. Già questo livello di finezza mi affascina e stordisce; il grafico in cui si tiene conto dello spostamento dovuto al terremoto dell'Aquila m'inquieta.

2011/08/27

Non crederete ai vostri occhi (di nuovo)

Per chi dubitava dell'illusione della scacchiera


L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2011/08/28.

Ci sono stati parecchi increduli di fronte al video della scacchiera: molti hanno sospettato manipolazioni video o digitali di qualche genere. Così ho chiesto a mia figlia Linda di creare con Photoshop una scacchiera che riproducesse il fenomeno. Confesso che anch'io non ho creduto ai miei occhi: l'illusione è perfetta e funziona anche conoscendone il meccanismo percettivo.

Ecco il video spiccio e sporco del mio piccolo esperimento in famiglia, fatto senza alcuna elaborazione digitale:


Se qualcuno non si fida della mia parola, posso pubblicare la spiegazione e le istruzioni per ripetere l'esperimento.


Aggiornamento (2011/08/28)


Come alcuni lettori hanno indovinato, l'ombra sulla scacchiera è disegnata sulla scacchiera e non è prodotta dal cilindro nero. È calibrata in modo da scurire i quadrati chiari rendendoli uguali a quelli scuri. Il cervello interpreta il contesto dell'immagine e si convince che si tratti di un'ombra; non è un errore, ma è la scelta più sensata, perché normalmente quando una zona di una forma ripetitiva e regolare è più scura è perché è in ombra.

Ecco la scacchiera fotografata senza cilindro:

Questa è l'immagine creata da mia figlia con Photoshop: scaricatela, stampatela, procuratevi un oggetto cilindrico e stupite i vostri amici, colleghi e studenti con il potere della scienza!

2011/08/17

Non crederete ai vostri occhi

Un'illusione classica diventa realtà


L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2011/08/27.

L'illusione della scacchiera e dell'ombra è un classico, eppure vederla in azione è sempre spettacolare. Però di solito la si presenta disegnata. Stavolta, invece, si tratta di un modello fisico, reale, tridimensionale. State a guardare questo video, segnalato da Bad Astronomy di Phil Plait.


No, non è un effetto digitale. Se non ci credete, provate voi stessi a confrontare i colori isolandoli dal contesto, per esempio mascherando il resto dell'immagine. È una delle più belle dimostrazioni di come il cervello non vede affatto come una macchina fotografica, ma interpreta la realtà sulla base di alcuni assunti. Di solito la interpreta egregiamente, ma quando questi assunti vengono meno, il sistema d'interpretazione va in tilt. E questi sono i risultati. Ricordatelo, la prossima volta che qualche diversamente furbo strilla che non c'è bisogno di fare un'indagine scientifica ma basta guardare.


Aggiornamento


Vista l'incredulità di molti, ho realizzato personalmente (con l'aiuto di mia figlia) un modello che ricrea il fenomeno. Il video è qui.

2011/06/13

Un anno di Query

Query, i primi dodici mesi di debunking e scienza


La rivista Query compie un anno: un piccolo passo per una rivista, un grande balzo per il debunking e la divulgazione in italiano. Il trimestrale è una fatica del CICAP (di cui sono socio) mirata a raccontare non solo le indagini sui presunti fenomeni misteriosi spesso sbandierati da TV e giornali ma anche i misteri veri della scienza.

Se solo si facesse la fatica di studiare un momento prima di abbandonarsi languidamente fra le braccia di Giacobbo, si scoprirebbe che la scienza non è un ottuso monolite refrattario al cambiamento, ma è una creatura vispa che si nutre proprio di cambiamenti, di scoperte, di curiosità e di critica costruttiva e rigorosa a ciò che si ritiene assodato. E si scoprirebbe che la scienza sa essere molto più affascinante di qualunque trita storia di rapimenti alieni, catastrofi, medicine magiche o poteri paranormali.

Query è una delle poche riviste in lingua italiana che fa divulgazione scientifica e indaga sulle bufale. Se volete sostenerla, potete abbonarvi oppure acquistarla presso le librerie del gruppo Feltrinelli. Se v'incuriosisce, date un assaggio al sito Internet della rivista, Queryonline.it. Così scoprirete la storia della donna da 47 orgasmi al giorno, lo stato delle verifiche sul presunto reattore nucleare E-Cat e tante altre questioni delle quali vorrei occuparmi ma non riesco per ovvi limiti di tempo. Mi conforta sapere che c'è chi se ne occupa egregiamente. Buona lettura, e buon compleanno a tutti gli autori di Query!

2010/09/19

Reattori nucleari fossili? Non è una bufala

Che ci fa un reattore nucleare sepolto due miliardi di anni fa in Africa?


Nel 1972 furono scoperti in Africa dei reattori nucleari fossili, risalenti a due miliardi di anni fa. Detta così, sembra una storiella da Voyager e il pensiero corre subito ad Atlantide, Mu, Lemuria e a tutta la collezione di civiltà perdute proposte dalla cosiddetta "archeologia alternativa". Ma non è una bufala: è scienza.

Due miliardi di anni fa ad Oklo, nel Gabon, avvenivano reazioni nucleari di fissione, proprio come nelle nostre centrali, ma non perché gli alieni o razze terrestri intelligenti dimenticate avessero edificato delle centrali energetiche. Lo aveva fatto la natura.

Sì: un reattore nucleare può formarsi spontaneamente. È facile pensare che non esista nulla di più avulso dalla natura di una reazione atomica, ma in realtà il nucleare fa parte del repertorio di sorprese che ci riserva l'universo se ci diamo la pena di esplorarlo.

Due miliardi di anni fa, la crosta terrestre era molto più ricca di oggi di una variante (più propriamente, un isotopo) dell'uranio, di nome uranio 235, che a differenza dell'uranio "normale" (uranio 238) è in grado di sostenere una reazione nucleare di fissione.

In particolari condizioni geologiche, la concentrazione di questo isotopo produceva calore, esattamente come all'interno di un reattore nucleare. Serviva una configurazione geologica che avesse una bassa concentrazione di elementi come il cadmio, che assorbe i neutroni che consentono la reazione nucleare, e un'alta concentrazione di sostanze come acqua o carbonio, che agiscono da moderatore della reazione. Quando la miscela geologica era giusta, si innescava la reazione nucleare, che durava circa un milione di anni.

Oggi queste condizioni non si possono verificare più perché non ci sono più concentrazioni sufficienti naturali di uranio 235, ma è affascinante pensare che mamma Natura ci ha battuto sul tempo di un paio di miliardi di anni. La foto qui sopra mostra il reattore fossile numero 15 presso Oklo: le chiazze gialle sono residui di ossido di uranio.

Se vi interessano i dettagli di questa scoperta, avvenuta nel 1972 ma poco conosciuta al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, li trovate presso il sito della Curtin University dedicato ai reattori nucleari fossili.

Fonti: APOD, Gizmodo.

2010/07/14

Bombe H nello spazio!

Questo articolo vi arriva grazie alle gentili donazioni di "diegobar*" e "belmerlo".

"L'esplosione nucleare di stasera potrebbe essere abbagliante: probabile ottima visibilità". Così titolava l'Honolulu Advertiser nel 1962 in occasione di Starfish Prime: che non era il titolo di un film di fantascienza, ma il nome dato al progetto statunitense – assolutamente, incredibilmente, follemente reale – di far esplodere nello spazio una bomba termonucleare mille volte più potente di quella di Hiroshima, per vedere cosa sarebbe successo.

L'esperimento fu effettivamente realizzato il 9 luglio di quell'anno, caricando una bomba all'idrogeno da 1,4 megatoni su un missile che la portò a 400 chilometri di quota sopra l'Oceano Pacifico. Sono state da poco rese pubbliche molte immagini e riprese inedite dell'esplosione, finora tenute segrete.

È difficile, oggi, immedesimarsi nello stato d'animo di allora. C'era la Guerra Fredda: l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti si puntavano addosso a vicenda migliaia di testate nucleari, sufficienti a distruggere la razza umana più volte, e studiavano metodi sempre più efficaci e letali per compiere questa distruzione reciproca assicurata.

Nel 1958, l'astrofisico James Van Allen aveva annunciato la scoperta delle fasce di particelle energetiche (protoni ed elettroni) che circondano la Terra e che oggi portano il suo nome. Lo stesso giorno in cui fece l'annuncio, Van Allen si mise d'accordo con i militari per una serie di lanci di bombe atomiche allo scopo di vedere se erano in grado di distruggere queste fasce.

Questi esperimenti avevano anche obiettivi militari: per esempio, scoprire se le radiazioni di una detonazione nucleare avrebbero reso più difficile localizzare missili nemici in arrivo o se li avrebbero invece distrutti, se l'esplosione avrebbe spinto fino a terra le letali fasce di particelle in corrispondenza di un bersaglio (per esempio Mosca) e se avrebbe interferito con le comunicazioni militari.

La disinvoltura nucleare di quegli anni è incredibile, se vista con gli occhi di oggi. Vari lanci fallirono e fu necessario distruggere i missili mediante l'apposito comando radio, disperdendo frammenti radioattivi su una vasta zona. In un caso (Bluegill Prime), il missile fu distrutto sulla rampa di lancio, contaminando l'area della torre di lancio di plutonio e con i residui chimici del carburante.

L'esplosione di Starfish Prime, la bomba lanciata da Johnston Island su un missile Thor, fu visibile dalle Hawaii alla Nuova Zelanda. A Honolulu, negli alberghi si tennero "Feste della Bomba Arcobaleno" ("Rainbow Bomb Parties") con il naso all'insù. La detonazione nucleare, infatti, produsse aurore artificiali e lampi multicolore dovuti all'interazione fra le radiazioni emesse dalla bomba e l'atmosfera.

Ma gli effetti della bomba all'idrogeno furono molto più significativi di semplici lampi giganti policromi. L'impulso elettromagnetico prodotto dalla bomba fu di gran lunga superiore al previsto e causò blackout elettrici alle Hawaii, a circa 1450 chilometri dal punto di detonazione, fece saltare circa 300 lampioni e almeno un collegamento telefonico in microonde. Tre satelliti artificiali furono resi permanentemente inservibili e le radiazioni emesse causarono il progressivo danneggiamento di un terzo di tutti i satelliti in orbita bassa. Una delle vittime di Starfish Prime fu il primissimo satellite commerciale per telecomunicazioni, Telstar.

Qui su Youtube potete vedere uno dei documentari recentemente pubblicati che mostrano i dettagli dell'esperimento, presentati con un tono che sembra tratto, non a caso, dal Dottor Stranamore di Stanley Kubrick.

Se volete saperne di più, potete consultare un documentario, Nukes in Space, narrato da William Shatner (il capitano Kirk di Star Trek), un dettagliato articolo di NPR.org e i video presentati da Make a History.com.

La prossima volta che qualcuno si lamenta che i giovani d'oggi sono irresponsabili, provate a ricordare che i loro nonni facevano scoppiare bombe atomiche nello spazio per fare fuochi d'artificio, senza pensare alle conseguenze.

2010/05/09

Idrofobia al rallentatore

Acqua + superficie idrofobica = scienza magica


Sarà capitato sicuramente anche a voi di essere assillati dalla domanda "che cosa succede se una goccia d'acqua cade su una superficie superidrofoba?". Ecco l'ipnotica risposta. I dettagli sono nel video su Youtube.

2009/12/09

Mistero nei cieli norvegesi

L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale: grazie a tutti i lettori che hanno segnalato dettagli e aggiornamenti. Ultimo aggiornamento: 2009/12/10 18:30.

Niente panico. Non sono alieni, non è un portale interdimensionale dal quale sbucherà Xenu, non sono gli esperimenti dell'LHC che hanno aperto uno strappo nella trama dell'universo e non sono neanche trucchi digitali. Le fotografie e i video di una misteriosa spirale apparsa nel cielo della Norvegia che stanno circolando in Rete mostrano un fenomeno reale e spettacolare.


Al momento la spiegazione più plausibile è che si tratti degli effetti di un lancio missilistico russo fallito. A prima vista sembra impossibile, ma quando si esaminano anche le foto precedenti e successive alla comparsa della spirale e si considera che la grande altezza del fenomeno confonde totalmente la prospettiva, la cosa comincia ad avere senso.

Sto investigando e facendo alcune verifiche: butto giù queste righe di corsa giusto per frenare l'entusiasmo di chi pensa subito che si tratti di cose che la scienza non sa spiegare o che si tratti di visitatori dallo spazio profondo. In questo caso ci sono dati concreti e foto provenienti da fonti e direzioni differenti sulle quali ragionare e fare deduzioni. Link e dettagli arriveranno fra breve.


I dati


Qualunque cosa sia, il fenomeno è stato visto e documentato da più fonti indipendenti, cosa che esclude trucchi fotografici, e da osservatori situati a notevole distanza l'uno dall'altro, cosa che esclude fenomeni locali come proiezioni con laser da discoteca e simili.

L'utente Charlie Freak su Fark.com ha correlato alcune delle fotografie pubblicate da Itromso.no con le rispettive località in Google Earth e ne ha ricavato delle direzioni approssimative del fenomeno. Le foto permettono anche di apprezzare l'evolversi dell'apparizione misteriosa.


Tromso


Lysnes


Breivika


Stima delle direzioni visuali delle foto precedenti
(credit: Charlie Freak su Fark.com)

Sempre Google Earth permette di determinare che fra Tromso e Lysnes ci sono, in linea d'aria, circa 45 chilometri, per cui non può trattarsi di un evento locale: anzi, il fatto che le fotografie in entrambi i luoghi mostrino una forma azzurra di dimensioni apparenti molto simili suggerisce che il fenomeno deve essersi verificato a grandissima distanza, in modo da rendere trascurabile la differenza di punto di vista.


Le fotografie, inoltre, sono state scattate con un tempo di posa piuttosto lungo (trattandosi di un oggetto nel cielo notturno), per cui distorcono la percezione del fenomeno. I video (uno e due) chiariscono meglio la dinamica:





Nel primo video si nota un effetto a girandola, molto simile a quello di alcuni fuochi d'artificio. Nel secondo video si vede che si forma una sorta di "buco" nel chiarore. Ma soprattutto è evidente che le fotografie sono ingannevoli.

Nei video e nelle foto pubblicati da Nrk.no si apprezza la rapidità con la quale si forma e si dissolve la spirale, e in particolare c'è una fotografia che mostra cosa c'era all'orizzonte oltre la scia azzurra:


Confrontate quest'immagine con le seguenti, che non si riferiscono al fenomeno norvegese ma mostrano lanci di missili a lunga gittata negli Stati Uniti:




La somiglianza è decisamente interessante. Diventa ancora più interessante quando si considera questa simulazione fisica resa in video, fatta da Doug Ellison di UnmannedSpaceflight.com, di un missile che gira su se stesso emettendo carburante inutilizzato in due direzioni, visto da una direzione grosso modo frontale:


C'è tutto: la formazione della spirale ampia e di quella più stretta e la generazione del "buco" quando il carburante finisce. Se il carburante fosse stato illuminato dal sole basso (infatti era mattina presto, le 7:50, in Norvegia), si sarebbe stagliato contro il cielo scuro.

Dalla Cina, inoltre, arriva questo video che mostra un fenomeno analogo. Non è la prima volta, insomma, che si osserva questo genere di effetto.



A questo quadro si aggiunge un'avviso ai naviganti diramato via Navtex che annuncia un lancio missilistico e delimita un'area del Mar Bianco in cui è interdetta la navigazione:

ZCZC FA79
031230 UTC DEC 09
COASTAL WARNING ARKHANGELSK 94
SOUTHERN PART WHITE SEA
1.ROCKET LAUNCHING 2300 07 DEC TO 0600 08 DEC
09 DC 0200 TO 0900 10 DEC 0100 TO 0900
NAVIGATION PROHIBITED IN AREA
65-12.6N 036-37.0E 65-37.2N 036-26.0E
66-12.3N 037-19.0E 66-04.0N 037-47.0E
66-03.0N 038-38.0E 66-06.5N 038-55.0E
65-11.0N 037-28.0E 65-12.1N 036-49.5E
THEN COASTAL LINE 65-12.2N 036-47.6E
2. CANCEL THIS MESSAGE 101000 DEC=
NNNN


E per chi si chiede come possa un missile impazzito formare una spirale così regolare, segnalo questa foto di un Trident in crisi: pur essendo bassissimo e quindi a bassa velocità, produce una spirale notevole:



La probabile spiegazione


Lo scenario che si prospetta, insomma, è che si tratti di un lancio missilistico annunciato che è andato storto: il missile, dopo aver raggiunto una quota molto elevata (tanto da permettere di vederne la scia da luoghi molto distanti fra loro), ha iniziato un avvitamento inatteso su se stesso (la parte azzurra della scia), simile a quello dei razzi dei fuochi d'artificio (nei quali però è intenzionale). La rotazione ha causato sollecitazioni violente della struttura, che a un certo punto ha ceduto. Il missile, o quel che ne restava, ha iniziato a ruotare fortemente su se stesso. Il carburante emesso è stato scagliato circolarmente ed è stato illuminato dal sole radente del mattino, formando la spirale bianca. Le immagini riprendono il fenomeno grosso modo frontalmente grazie alla direzione e alla grande distanza alla quale si verifica rispetto agli osservatori.

La forma regolare della spirale non è disturbata dalla gravità o dall'atmosfera perché il carburante viaggia alla stessa velocità del missile e ne segue quindi la medesima traiettoria balistica ad arco, e si sta disperdendo nell'alta atmosfera, che è molto tenue ed esercita quindi un effetto frenante trascurabile. Questo, insieme alla grande distanza rispetto agli osservatori, spiegherebbe anche l'assenza di boati o altri rumori.

La rotazione solida della spirale è soltanto un effetto ottico: in realtà il getto di carburante si disperde man mano che si allontana e resta visibile soltanto la parte relativamente densa del getto stesso, che si riforma in continuazione. Ad un certo punto il carburante finisce, ma il suo moto centrifugo continua, producendo quindi il "buco".

Le prime voci non confermate indicano che si sarebbe trattato del lancio fallito di un missile Bulava da parte di un sommergibile russo.

Mistero risolto, dunque, ma le foto restano bellissime.


Epilogo: spiegazione confermata


La BBC riferisce che "una dichiarazione da Mosca ha successivamente confermato che le luci erano state provocate da un lancio fallito di un missile da un sottomarino russo" ("a statement from Moscow later confirmed that the lights had been caused by a failed missile launch from a Russian submarine").

È arrivata anche la conferma del quotidiano russo Vedomosti, secondo Repubblica. In serata la BBC ha pubblicato un approfondimento, nel quale emerge che il Ministero della Difesa russo ha detto all'agenzia Itar-Tass che si è trattato appunto di un missile balistico Bulava, lanciato senza successo da un sottomarino, il Dmitry Donskoi, nel Mar Bianco.

O almeno questo è quello che vogliono farci credere.

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