Collegarsi a una videoconferenza e accorgersi troppo tardi che chi ha usato il
computer prima di noi ha lasciato attivi i filtri che aggiungono baffi o
orecchie da coniglietto può capitare, ma stavolta è capitato in un contesto
particolarmente comico.
L‘avvocato texano Rod Ponton ha cercato di collegarsi su Zoom con il tribunale
per un‘udienza e si è reso conto che il suo volto veniva sostituito
digitalmente da un filtro, diventando quello di un gattino che ne seguiva i
movimenti e le espressioni, muovendo la bocca quando l‘avvocato parlava.
Lo spezzone di video dell’incidente ha fatto subito il
giro di tutta Internet, non solo per le espressioni ridicole del gattino ma anche per la serietà e
l’aplomb con il quale tutti hanno gestito la situazione, specialmente
quando l’avvocato ha detto al giudice, Roy B. Ferguson, che non riusciva a
disattivare il filtro e che era disposto a proseguire l’udienza in quelle
condizioni, dichiarando solennemente di essere presente e di non essere un
gatto. "I'm here live; I'm not a cat".
L‘avvocato Ponton è diventato immediatamente una celebrità mondiale grazie al
fatto che il giudice ha
pubblicato
lo spezzone su Twitter, usandolo per diffondere un avviso:
“CONSIGLIO IMPORTANTE PER ZOOM: se un bambino ha usato il vostro computer,
prima di collegarvi a un’udienza virtuale controllate le Opzioni Video di
Zoom per assicurarvi che i filtri siano disattivati. Questo gattino ha
appena rilasciato una dichiarazione formale in un caso presso il 349°
[tribunale distrettuale]”.
Il giudice ha lodato l’impegno e la professionalità di tutti i partecipanti e
ha chiarito che il momentaneo inconveniente è stato risolto e l’udienza è
proseguita regolarmente. L’avvocato, da parte sua, ha
spiegato
che ha usato il computer della sua segretaria, sul quale era attivo quel filtro
per ragioni non meglio chiarite.
Succedeva anche agli antichi egizi.
Ma a questo punto, finite le risate, all’informatico viene spontanea e
irresistibile una domanda: come si fa, di preciso, ad attivare in Zoom il
filtro testa di gatto? Non c’è. I filtri disponibili Zoom aggiungono
barba e/o baffi, occhiali, cappelli, orecchie o antenne e poco altro. Non c’è
traccia di gattini. Allora da dove arriva il gattino animato dell’avvocato
texano?
Secondo
LifeHacker
e la BBC, quello
specifico gattino così comicamente animato esiste soltanto in Live Cam
Avatar della Reallusion, un vecchio software per webcam della Dell che risale
al
2010 circa.
Se però vi accontentate di un filtro che ottenga un effetto analogo anche se
non identico, potete usare
Snap Camera, per
Windows 10 o macOS 10.13 o successivi. Dopo averlo installato, cercate uno dei
suoi filtri felini, attivatelo e poi lanciate Zoom o Teams o qualunque altro
software di videoconferenza, avendo cura di scegliere come webcam non quella
integrata nel computer ma quella virtuale creata da Snap Camera.
Per disattivare questo filtro è sufficiente riselezionare la webcam normale.
La domanda finale, però, arriva dall’account Twitter di
Larry the Cat, il gatto del numero 10 di Downing Street:
“Esiste un filtro per Zoom che trasforma i gatti in avvocati?”
C’è parecchio clamore intorno alla notizia che aggressori informatici ignoti sono entrati via Internet nei sistemi di controllo di un impianto di trattamento delle acque a Oldsmar, in Florida, e ne hanno alterato i valori delle sostanze chimiche immesse per la depurazione, con conseguente rischio di avvelenamento della popolazione servita dall’impianto (circa 15.000 residenti).
Il Tampa Bay Times riferisce che uno degli addetti all’impianto stava monitorando i sistemi quando ha visto che il cursore del mouse si stava muovendo da solo e che qualcuno lo stava usando per cambiare la quantità di idrossido di sodio (soda caustica) da 100 parti per milione a 11.100 parti per milione. L’operatore ha subito ripristinato il valore originale. La vicenda viene ora investigata dall’FBI oltre che dalle autorità locali.
A prima vista sembrerebbe un attacco molto sofisticato, opera di terroristi o altri grandi malfattori. Ma leggendo il resoconto ufficiale delle autorità emerge un quadro ben diverso: gli intrusi sono entrati facilmente perché la gestione remota dell’impianto usava un semplice TeamViewer che permetteva di accedere a tutti i computer usando la stessa password di accesso remoto, e i computer erano collegati direttamente a Internet senza alcuna protezione (firewall o simili). Inoltre tutti i computer erano connessi al sistema SCADA di gestione dell’impianto e usavano ancora Windows 7.
Come se non bastasse, l’impianto aveva smesso di usare TeamViewer sei mesi fa, ma l’aveva lasciato installato.
Insomma, un disastro annunciato. Probabilmente si tratta di un ex dipendente oppure di qualcuno che pigramente ha usato i motori di ricerca che trovano gli impianti lasciati aperti online, come Shodan, e fra i tanti honeypot (trappole) ha trovato quel bersaglio assurdamente facile.
Se avete impianti di qualunque tipo comandabili da remoto, pensate alla sicurezza; aggiornateli, usate password robuste e differenti, e non lasciate tutto spalancato sperando che nessuno vi trovi. Esistono motori di ricerca appositi: vi troveranno. Non fate come quell’impianto idrico italiano che è rimasto aperto e visibile per mesi nonostante le mie segnalazioni.
Uno studente di Modena, dove sono stato a far lezione
qualche tempo fa, mi segnala una tecnica molto particolare usata dai truffatori online per
tentare di ingannarlo: un allarme che è comparso sul suo iPhone e lo avvisa che
il dispositivo “è gravemente danneggiato da (4)”. Quattro cosa, non si
sa.
L’avviso prosegue dicendo che
“Senza una protezione adeguata, la tua identità e altri dati importanti
possono essere facilmente sottratti. L’applicazione consigliata da iOS
evitare
[sic]
che ciò accada in modo efficace. Clicca qui sotto per avvalerti della
necessaria protezione.”
che non visualizza nulla in Browserling.com (emulando Android o Windows 7), ma
il sito Load03[.]biz è
segnalato come
diffusore di truffe basate su falsi allarmi antivirus.
Infatti questo avviso è in realtà un innocuo evento del Calendario,
confezionato in modo da sembrare un allarme. I truffatori iniettano l’evento
nel Calendario della vittima sfruttando la funzione di invito, che consente di
aggiungere eventi a un Calendario altrui semplicemente conoscendone
l’indirizzo di mail.
Gli utenti non particolarmente esperti, presi dall’ansia, spesso non si
accorgono che si tratta semplicemente di un evento del Calendario e cadono
nella trappola.
L’allarme va ignorato, nel senso che non bisogna seguire le sue istruzioni, ma
è meglio eliminarlo cancellando il calendario-truffa che lo contiene. Niente
paura, non occorre cancellare il vostro calendario, ma soltanto quello
al quale il truffatore vi ha iscritto: nell’esempio qui sopra, il calendario
Events (nome scelto intenzionalmente per confondere la vittima).
Per prevenire il ripetersi di questo genere di attacco si può andare nelle
impostazioni del Calendario (accedendo a iCloud con un browser, se necessario) e chiedere che gli inviti arrivino come mail
invece che come notifiche in-app.
Sono lo scrittore Valerio Massimo Manfredi e la moglie le due persone
trasportate in ospedale per aver esalato un gas, molto probabilmente monossido
di carbonio, nel loro appartamento di via dei Vascellari, a Roma.
Come è possibile arrivare a lavorare in una redazione d’agenzia, o di un
canale nazionale, e non sapere la differenza fra inalare ed
esalare?
Copia permanente per gli increduli:
ADNKronos,
Rainews. Allego, sconsolatamente,
relativi screenshot.
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“Questa volta è accaduto a Ca’ de Caroli di Scandiano, al bar Jolly di
via Ubersetto. Ieri mattina alle 6,30 il titolare ha dato l’allarme ai
carabinieri. I carabinieri sono entrati dopo aver forzato la porta sul
retro e, una volta all’interno, hanno fatto razzia dei tagliandi della
lotteria istantanea Gratta e Vinci e hanno preso circa 100 euro presenti
in cassa.”
18.00. Dopo la segnalazione su Twitter, il testo è stato corretto.
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Il Corriere della sera di oggi, nell’edizione cartacea, a pagina 13, ha scritto che
“ieri 7 italiani su 10 hanno pranzato al ristorante”. L’articolo è a firma di Rinaldo Frignani.
La stessa idiozia è stata ripetuta al TG1 della RAI oggi alle 13.30.
Nessuno, ma proprio nessuno, che si sia chiesto come sarebbe stato possibile per quarantadue milioni di italiani recarsi contemporaneamente a pranzo al ristorante e come avrebbero fatto i ristoratori a sfamarli tutti di colpo.
C’è poi il problema degli incassi: se a Roma si fossero davvero incassati 5 milioni di euro su 2 milioni di pasti (il 70% di 2,9 milioni di abitanti), vorrebbe dire che ogni pasto è stato pagato un paio di euro e spiccioli.
Non c’è niente da fare: la discalculia impera e i giornalisti non sanno resistere al fascino dei numeri e delle pseudostatistiche.
La probabile origine di questa scemenza è spiegata da Giornalettismo: un comunicato stampa di Coldiretti, che titola “Covid: 7 italiani su 10 a pranzo fuori nel week end” ma nel testo dice che quei 7 su 10 erano gli italiani che pranzavano fuori almeno un sabato o una domenica al mese.
Se l’ipotesi è corretta, allora alcuni giornalisti hanno anche difficoltà a capire quello che leggono. Il Post fa bene il punto sulla desolante consuetudine del giornalismo basato su comunicati stampa letti male e mai verificati. E l’Ordine dei Giornalisti pare troppo impegnato a pettinare lampadine. Siamo in buone mani.
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Scrive così Maria Rosaria Spadaccino sul Corriere della sera il 5 febbraio 2021: “Napoleone non venne mai a Roma, ma la desiderò molto. A lei si ispirò e
ai suoi imperatori Augusto, Alessandro Magno, ma anche a Giulio Cesare”.
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Questa è Repubblica. Il giornale cartaceo. Quello che si paga per avere
informazioni corrette. Ma il 6 febbraio 2021, ieri, Piero Melati su quel
giornale cartaceo ha scritto che la Stazione Spaziale Internazionale orbita
intorno alla Luna.
“I primi pionieri sono pronti a partire. Da Hollywood, naturalmente. Tom
Cruise ha annunciato che il suo prossimo set saranno le stelle. In ottobre
decollerà insieme al regista Doug Liman a bordo di uno space shuttle, per
raggiungere la Stazione spaziale internazionale che orbita intorno alla
Luna.”
No, Melati: la Stazione orbita intorno alla Terra, a 400 chilometri di quota, non
intorno alla Luna, che sta a quattrocentomila chilometri. Il volo di
Tom Cruise è stato rinviato di uno o due anni. E l’attore non prenderà uno Shuttle, visto che lo
Shuttle ha smesso di volare dieci anni fa. Volerà su una capsula
Dragon.
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Quando un lettore paga il Corriere della sera per leggere un articolo
firmato da Carlo Lucarelli, si aspetta che l’articolo sia scritto da Carlo
Lucarelli. Immagino che anche i lettori di Repubblica si aspettino che
se un articolo porta la firma di Alessandro Baricco sia scritto appunto da
Alessandro Baricco. Ma sembra che anche queste ormai siano pretese eccessive:
il giornalismo italiano sa raggiungere vette sempre nuove di cialtroneria e di
presa in giro dei suoi lettori.
Questo è Carlo Lucarelli sul Corriere della sera di sabato 6 febbraio
2021. O almeno così sarebbe portato a credere il lettore, vista la firma:
Come spiega
Giornalettismo, le due recensioni sono identiche, ma non si tratta di plagio da parte di
Lucarelli o Baricco: Repubblica ha pubblicato, al posto della sintesi
dell’intervento video di Baricco, un testo di Lucarelli inviato da Einaudi.
Lucarelli ha spiegato pubblicamente la situazione: “Ragazzi, non so che dirvi. Ho scritto la mia recensione molto tempo fa,
non conoscevo quella di Baricco e sono sicuro che lui non aveva letto la
mia. Che ribadisco sincera e sinceramente mia”.
In altre parole, l’ennesimo esempio di metodo redazionale colabrodo. Però le
fake news, signora mia, son colpa di Internet.
Come al solito arriveranno quelli che diranno
“Eh, dai, non è morto nessuno, gli errori possono capitare, te la prendi
troppo”. Ma a furia di commettere un errore oggi, un errore domani, un errore tutti i giorni, la fiducia del lettore crolla. E non si rialza più.
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L’uomo che vedete nella foto si chiamava Alan Shepard. È morto nel 1998, a 74 anni. È la prima e finora unica
persona, nella storia dell’umanità, ad aver mai giocato a golf sulla Luna.
Questo evento bizzarro accadde proprio cinquant’anni fa, il 6 febbraio 1971,
durante la missione
Apollo 14.Shepard, appassionato giocatore di golf oltre che
astronauta celeberrimo (fu il primo americano a volare nello spazio, nel
1961), era sulla Luna insieme al collega Ed Mitchell, e alla fine della loro
estenuante escursione sulla superficie lunare estrasse da una tasca della sua
tuta spaziale una testa di bastone da golf, la agganciò al manico di uno degli
strumenti scientifici usati per la raccolta dei campioni e la usò per
lanciare alcune palline da golf che aveva portato con sé nella stessa tasca.
L’evento fu trasmesso in diretta TV, e rimase celebre la frase che Shepard usò
per descrivere il risultato dei suoi tiri, effettuati nonostante l’impaccio della
rigidissima tuta spaziale ma con il vantaggio della ridotta gravità lunare (un
sesto di quella terrestre) e dell’assenza di resistenza aerodinamica (non
essendoci un’atmosfera).
“Miles and miles and miles!”, disse scherzosamente Shepard. Miglia e
miglia e miglia. Durante il viaggio di ritorno, riferì via radio che stimava che una pallina avesse percorso circa duecento metri e l’altra ne avesse coperti circa quattrocento. Ma come andarono realmente le cose? Era chiaro sin da subito
che quelle miglia erano un’esagerazione, viste le condizioni difficilissime
del tiro, ma oggi sappiamo con precisione quanta strada fecero quelle palline
grazie alle ricerche degli esperti e al restauro digitale delle immagini
scattate all’epoca sulla Luna.
Le palline da golf tirate da Shepard e le posizioni di tiro sono state infatti
localizzate nelle fotografie, come mostrato qui sotto (divot è il
termine inglese usato per indicare un incavo nel terreno prodotto dal bastone
da golf nel colpire la pallina):
L’immagine qui sopra è una composizione digitale di varie fotografie scattate
dall’interno del Modulo Lunare (il veicolo che aveva portato sulla Luna i due
astronauti).
Il restauratore di fotografie Andy Saunders ha recuperato le immagini migliori
disponibili della missione e ha prodotto questi ingrandimenti delle zone
intorno alle due palline da golf (l’asta nella prima foto proviene da un
esperimento per il vento solare e fu lanciata dal collega Ed Mitchell come se
fosse un giavellotto):
Sì, sulla Luna ci sono due palline da golf, ripetutamente cotte e congelate da cinquant’anni
di esposizione al calore del sole e al gelo della notte lunare (un “giorno”
lunare dura circa 29 giorni terrestri). E ora sappiamo anche a che distanza si
trovano dal punto di tiro.
Infatti Saunders ha elaborato digitalmente tramite stacking i
fotogrammi della ripresa del decollo dalla Luna, fatta dall’interno del Modulo
Lunare usando pellicola cinematografica nel formato 16 mm, e ha ottenuto
quest’immagine della zona di decollo, nella quale si possono scorgere le due
palline e il “giavellotto”.
Quest’immagine, però, è inclinata, per cui è difficile usarla per determinare
le distanze esatte. Ma dal 2009 la sonda Lunar Reconnaissance Orbiter
fotografa l’intera superficie lunare da una quota di circa 100 chilometri, con
occasionali discese a quote più basse, e nel 2011 ha scattato un’immagine
della zona di allunaggio di Apollo 14 che è una veduta sostanzialmente
verticale della zona e come tale non è affetta da distorsioni di prospettiva.
Saunders l’ha elaborata per ottenere questo risultato: 22 metri per il primo
tiro e 36,5 metri per il secondo.
Il bastone da golf usato sulla Luna fu riportato sulla Terra e ora è presso il
museo della USGA, che
racconta in dettaglio
tutta la vicenda, spiegando che la testa è una Wilson Staff Dyna-Power da
ferro 6 (credo che si dica così nel gergo del golf italiano) e mostrando anche
le foto di una delle fosse e delle impronte lasciate nella polvere lunare da
Shepard quando si posizionò per uno dei tiri. L’astronauta non rivelò mai la marca delle palline usate, per evitare pubblicità, anche se ci sono alcuni indizi in proposito: gli furono donate da un professionista del golf, Jack Harden, presso il River Oaks Country Club di Houston.
Questa è una foto di Shepard, scattata qualche anno dopo, che mostra bene l’attacco della testa e le dimensioni molto compatte del manico ripiegabile.
Il gesto di Alan Shepard fu un momento di umanità in una serie di missioni a volte caratterizzate da un eccesso di tecnologica freddezza, ma ebbe anche un valore simbolico. Il golf divenne il
primo sport giocato su un altro corpo celeste e gli Stati Uniti dimostrarono anche in questo modo
la loro maestria nel campo spaziale rispetto ai sovietici, che non riuscivano
neppure a far arrivare sulla Luna un cosmonauta mentre gli americani si permettevano persino di giocare. Non va dimenticato che le missioni Apollo erano un esercizio di propaganda politica nel quale la scienza era secondaria.
Fra l’altro, inizialmente la NASA si era opposta all’idea di Shepard. L’astronauta spiegò che il bastone e le due palline non sarebbero costate nulla al contribuente americano e che li avrebbe usati soltanto se la missione avesse avuto successo e soltanto al termine di tutte le attività pianificate. In un’intervista nel 1998, Shepard raccontò di aver detto molto chiaramente a Bob Gilruth, direttore del Manned Spaceflight Center che era contrario alla proposta, queste parole: “Non sarò così frivolo. Voglio aspettare la fine della missione, mettermi davanti alla telecamera, dare una botta a queste palline con questo bastone improvvisato, ripiegarlo, mettermelo in tasca, risalire la scaletta, chiudere la porta e andare.”
In ogni caso, quei due tiri di Alan Shepard
costituirono un esperimento di fisica non banale. L’idea di giocare a golf sulla Luna era stata lanciata per scherzo dal popolarissimo comico statunitense Bob Hope durante una sua visita alla NASA e Shepard notò che sarebbe stato un ottimo modo per mostrare agli spettatori della missione la differenza della gravità lunare. Nessuno aveva mai tirato una
pallina da golf nel vuoto, dove non c’è l’effetto Magnus
prodotto dall’interazione delle fossette della pallina con l’aria. Inoltre il fatto
stesso di riuscire a centrare le palline con la testa del bastone, nonostante
la limitatissima visibilità verso il basso offerta dalla tuta e la rigidità
delle articolazioni delle braccia della tuta, fu una testimonianza dell’abilità
e della determinazione di Alan Shepard.
Quelle palline sono ancora là, piccole testimoni di un’avventura incredibile
di mezzo secolo fa, in attesa che qualcuno ritorni a visitare quei luoghi
alieni e silenti.
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