Un blog di Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale
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2019/12/17
Google Maps indica le colonnine per auto elettriche, con filtri sul tipo
Da qualche tempo Google Maps permette di cercare colonnine di ricarica per auto elettriche immettendo ev charging station o simile nella casella di ricerca. Ora permette anche di filtrare l’elencazione delle colonnine in base alla pertinenza o distanza e/o in base allo stato di apertura/chiusura.
Se specificate il tipo di connettore, inoltre, Maps elenca le colonnine dotate di quel tipo e anche il loro stato occupato/libero, come nello screenshot qui accanto, che ho fatto poco fa. Non è una mappa completissima, e non rimpiazza Nextcharge, Plugshare, Lemnet o Chargemap, ma è comunque un ausilio in più e un modo pratico per mostrare ai neofiti o ai curiosi come si fa a trovare un punto di ricarica.
Ma Android Police indica che esiste o è in arrivo la possibilità di filtrare in base al tipo di connettore direttamente nel menu delle impostazioni: si toccano le tre linee orizzontali e poi si sceglie Impostazioni, dove secondo AP c’è una voce nuova fra Cronologia di Maps e Account collegati, dedicata ai veicoli elettrici. Nella versione inglese è Electric vehicle settings; nella mia versione di Maps, la 10.31.2 appena aggiornata, la voce non c’è.
Sbaglio qualcosa?
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.
Se specificate il tipo di connettore, inoltre, Maps elenca le colonnine dotate di quel tipo e anche il loro stato occupato/libero, come nello screenshot qui accanto, che ho fatto poco fa. Non è una mappa completissima, e non rimpiazza Nextcharge, Plugshare, Lemnet o Chargemap, ma è comunque un ausilio in più e un modo pratico per mostrare ai neofiti o ai curiosi come si fa a trovare un punto di ricarica.
Ma Android Police indica che esiste o è in arrivo la possibilità di filtrare in base al tipo di connettore direttamente nel menu delle impostazioni: si toccano le tre linee orizzontali e poi si sceglie Impostazioni, dove secondo AP c’è una voce nuova fra Cronologia di Maps e Account collegati, dedicata ai veicoli elettrici. Nella versione inglese è Electric vehicle settings; nella mia versione di Maps, la 10.31.2 appena aggiornata, la voce non c’è.
Sbaglio qualcosa?
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2019/12/15
Ci vediamo il 16 dicembre a Cassino per parlare di gabinetti nello spazio?
Come preannunciato nel mio calendario pubblico, domattina (16 dicembre) alle 10 sarò all’Aula Magna della Facoltà di Ingegneria, in via Gaetano di Biasio 43 a Cassino (Frosinone).
Grazie al CICAP Lazio, sarò ospite di Last Hero - L’ultimo uomo sulla Luna, ciclo di eventi a tema spaziale organizzato da ANTICOntemporaneo, e terrò una conferenza-spettacolo, aperta al pubblico, su un tema delicato ma spesso dimenticato: come si gestiscono i rifiuti biologici nello spazio? Imbarazzi a parte, avere un gabinetto che funziona è un problema fondamentale se vogliamo tornare sulla Luna o andare su Marte.
La conferenza affronta l’argomento in tono informale ma esauriente e con una ricca documentazione visiva dei dettagli tecnici e fisici, presentando con candore la storia delle toilette spaziali dalle origini ai giorni nostri, per conoscere un aspetto poco conosciuto ma molto eroico dell’esplorazione del cosmo.
Visto l’argomento, la conferenza è sconsigliata alle persone sensibili ma fortemente consigliata ai bambini.
Nella stessa giornata ci saranno molti altri appuntamenti spaziali, illustrati nel programma della manifestazione (screenshot qui sotto), e alle 18 ci sarà un collegamento video con l‘astronauta lunare Harrison Schmitt.
2019/12/17: È stato pubblicato il video del collegamento con Schmitt.
Grazie al CICAP Lazio, sarò ospite di Last Hero - L’ultimo uomo sulla Luna, ciclo di eventi a tema spaziale organizzato da ANTICOntemporaneo, e terrò una conferenza-spettacolo, aperta al pubblico, su un tema delicato ma spesso dimenticato: come si gestiscono i rifiuti biologici nello spazio? Imbarazzi a parte, avere un gabinetto che funziona è un problema fondamentale se vogliamo tornare sulla Luna o andare su Marte.
La conferenza affronta l’argomento in tono informale ma esauriente e con una ricca documentazione visiva dei dettagli tecnici e fisici, presentando con candore la storia delle toilette spaziali dalle origini ai giorni nostri, per conoscere un aspetto poco conosciuto ma molto eroico dell’esplorazione del cosmo.
Visto l’argomento, la conferenza è sconsigliata alle persone sensibili ma fortemente consigliata ai bambini.
2019/12/17: È stato pubblicato il video del collegamento con Schmitt.
2019/12/13
Puntata del Disinformatico RSI del 2019/12/13
È disponibile la puntata di oggi del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, condotta da me insieme a DJ Sterky.
Podcast solo audio: link diretto alla puntata.
Argomenti trattati: link diretto.
Podcast audio precedenti: archivio sul sito RSI, archivio su iTunes e archivio su TuneIn, archivio su Spotify.
App RSI (iOS/Android): qui.
Video: lo trovate qui sotto.
Archivio dei video precedenti: La radio da guardare sul sito della RSI.
Buona visione e buon ascolto!
Podcast solo audio: link diretto alla puntata.
Argomenti trattati: link diretto.
Podcast audio precedenti: archivio sul sito RSI, archivio su iTunes e archivio su TuneIn, archivio su Spotify.
App RSI (iOS/Android): qui.
Video: lo trovate qui sotto.
Archivio dei video precedenti: La radio da guardare sul sito della RSI.
Buona visione e buon ascolto!
Quando cambiate password, CAMBIATELA
Metà delle persone, quando cambia una propria password, la sostituisce con un’altra quasi uguale, rendendo molto più facile il lavoro dei cacciatori di password e ladri di account.
Secondo un sondaggio su un campione di 200 persone, svolto dalla società di sicurezza HYPR, il 49% dei lavoratori, quando viene obbligato ad aggiornare una password, si limita a riutilizzare quella esistente con una piccolissima modifica. Da mario a mario1, per intenderci.
I ladri di password ne sono entusiasti, perché così riducono enormemente il numero di varianti che devono tentare per scoprire una password e prendere il possesso di un account. Essendo professionisti, questi tentativi sono automatizzati e svolti in massa, per cui ne possono fare molti con poca fatica, pescando rapidamente gli utenti che usano password banali o uguali dappertutto.
Lo stesso sondaggio indica che il 72% degli interpellati ammette di usare le password di lavoro anche nella vita privata. Molti di loro, inoltre, usano la propria memoria per gestire le password (42% in ufficio e 35% in privato).
Cosa peggiore, il 78% delle persone coinvolte nel sondaggio dice di aver dovuto ripristinare almeno una password privata negli ultimi 90 giorni perché se l’era dimenticata; la percentuale scende al 57% sul posto di lavoro.
La conclusione sembra inequivocabile: la memoria non basta, forzare il cambio di password periodico serve a poco e la pigrizia impera. L’unica soluzione praticabile, a questo punto, è un password manager che ricordi per noi password lunghe, differenti e complesse.
Fonte: Graham Cluley.
Secondo un sondaggio su un campione di 200 persone, svolto dalla società di sicurezza HYPR, il 49% dei lavoratori, quando viene obbligato ad aggiornare una password, si limita a riutilizzare quella esistente con una piccolissima modifica. Da mario a mario1, per intenderci.
I ladri di password ne sono entusiasti, perché così riducono enormemente il numero di varianti che devono tentare per scoprire una password e prendere il possesso di un account. Essendo professionisti, questi tentativi sono automatizzati e svolti in massa, per cui ne possono fare molti con poca fatica, pescando rapidamente gli utenti che usano password banali o uguali dappertutto.
Lo stesso sondaggio indica che il 72% degli interpellati ammette di usare le password di lavoro anche nella vita privata. Molti di loro, inoltre, usano la propria memoria per gestire le password (42% in ufficio e 35% in privato).
Cosa peggiore, il 78% delle persone coinvolte nel sondaggio dice di aver dovuto ripristinare almeno una password privata negli ultimi 90 giorni perché se l’era dimenticata; la percentuale scende al 57% sul posto di lavoro.
La conclusione sembra inequivocabile: la memoria non basta, forzare il cambio di password periodico serve a poco e la pigrizia impera. L’unica soluzione praticabile, a questo punto, è un password manager che ricordi per noi password lunghe, differenti e complesse.
Fonte: Graham Cluley.
Magliette e vendette
Su Internet c’è un sottobosco molto intraprendente di venditori di T-shirt abusive, realizzate usando disegni o immagini piratate.
Quanto intraprendenti? Tanto da avere dei bot, ossia dei programmi automatici, che leggono tutte le conversazioni pubbliche sui social network, in particolare Twitter, alla ricerca di immagini accompagnate da frasi come “vorrei averne una T-shirt”.
Quando ne trovano una, generano automaticamente una bozza digitale della T-shirt con l’immagine e la pubblicano nel proprio catalogo online, sperando di attirare clienti offrendo le magliette più trendy del microsecondo.
Fortune e Gizmodo raccontano vari episodi di questo automatismo, che è diventato così diffuso che molti artisti digitali invitano esplicitamente i propri follower a non scrivere nei commenti o post frasi come “I want that on a shirt” e minacciano di bannarli o bloccarli.
A dimostrazione di questo fenomeno e come sottile forma di vendetta, alcuni artisti hanno creato dei disegni intenzionalmente brutti e contenenti scritte come “Questo sito vende immagini RUBATE, non comperate da loro!”, li hanno postati e hanno invitato i propri fan a rispondere al post scrivendo che volevano quei disegni su una T-shirt.
Risultato: i siti dei magliettari pirati hanno pubblicato in catalogo una maglietta con il disegno e la dicitura.
Ma questo è stato solo l’inizio, perché a questo punto un utente ha suggerito un gesto più forte: postare un disegno che violava il copyright della Disney e recava la dicitura “Questa NON è una parodia. Abbiamo violato il copyright e vogliamo essere portati in causa dalla Disney.” E poi chiedere ai propri follower di commentare o rispondere con “la voglio su una T-shirt”.
Non si sa, per ora, se i siti dei pirati delle magliette sono stati colpiti da azioni legali, ma nell’attesa qualcuno ha fatto un passo ancora più vivace: visto che molti di questi pirati operano dalla Cina, hanno usato gli automatismi dei loro bot per indurre i siti dei pirati a ospitare magliette contenenti messaggi di protesta contro il governo cinese.
Usare le armi del nemico contro il nemico stesso è sempre un’arte che offre soddisfazioni.
Quanto intraprendenti? Tanto da avere dei bot, ossia dei programmi automatici, che leggono tutte le conversazioni pubbliche sui social network, in particolare Twitter, alla ricerca di immagini accompagnate da frasi come “vorrei averne una T-shirt”.
Quando ne trovano una, generano automaticamente una bozza digitale della T-shirt con l’immagine e la pubblicano nel proprio catalogo online, sperando di attirare clienti offrendo le magliette più trendy del microsecondo.
Fortune e Gizmodo raccontano vari episodi di questo automatismo, che è diventato così diffuso che molti artisti digitali invitano esplicitamente i propri follower a non scrivere nei commenti o post frasi come “I want that on a shirt” e minacciano di bannarli o bloccarli.
Okay, I have to be a hardliner about this: If you respond to any art I share and say that you want it on a shirt, you're getting blocked. I don't want to do this, but I have to protect my work. If you follow me, I'll give you a warning. If not, automatically blocked.— Rob Schamberger (@robschamberger) December 3, 2019
A dimostrazione di questo fenomeno e come sottile forma di vendetta, alcuni artisti hanno creato dei disegni intenzionalmente brutti e contenenti scritte come “Questo sito vende immagini RUBATE, non comperate da loro!”, li hanno postati e hanno invitato i propri fan a rispondere al post scrivendo che volevano quei disegni su una T-shirt.
Risultato: i siti dei magliettari pirati hanno pubblicato in catalogo una maglietta con il disegno e la dicitura.
Ma questo è stato solo l’inizio, perché a questo punto un utente ha suggerito un gesto più forte: postare un disegno che violava il copyright della Disney e recava la dicitura “Questa NON è una parodia. Abbiamo violato il copyright e vogliamo essere portati in causa dalla Disney.” E poi chiedere ai propri follower di commentare o rispondere con “la voglio su una T-shirt”.
Non si sa, per ora, se i siti dei pirati delle magliette sono stati colpiti da azioni legali, ma nell’attesa qualcuno ha fatto un passo ancora più vivace: visto che molti di questi pirati operano dalla Cina, hanno usato gli automatismi dei loro bot per indurre i siti dei pirati a ospitare magliette contenenti messaggi di protesta contro il governo cinese.
Usare le armi del nemico contro il nemico stesso è sempre un’arte che offre soddisfazioni.
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Google Assistant traduce la voce in tempo reale sugli smartphone
Se avete l’Assistente Google sul vostro smartphone, ora potete dirgli frasi come “aiutami a parlare inglese” oppure “attiva la modalità interprete” per attivare Google Traduttore appunto in modalità interprete: voi parlate e dal telefono esce subito dopo la traduzione, letta da una voce sintetica che per qualche strano motivo nel mio caso è femminile per default anche se la voce dell’Assistente è maschile.
La traduzione a voce è accompagnata dalla comparsa del testo corrispondente sullo schermo.
I risultati sono notevoli, a patto di essere in un ambiente piuttosto silenzioso e di scandire bene le parole formando frasi complete, senza tutte le imperfezioni tipiche della conversazione quotidiana. Non sostituirà la finezza e la diplomazia di un bravo traduttore umano, ma se vi serve comunicare a livello elementare in una lingua che non conoscete affatto può essere molto utile. Google Traduttore ne supporta una quarantina.
Attenzione, però, ai fraintendimenti: usate frasi semplici e scegliete espressioni non ambigue. Meglio dire “Posso parcheggiare qui la mia automobile?” invece di “Metto qui la macchina?”, per esempio.
Sarà molto interessante vedere come si comporta con il parlato televisivo o radiofonico, o con i discorsi pubblici.
Ovviamente bisogna tenere presente che tutto quello che si dice o scrive in Google Traduttore viene presumibilmente letto, analizzato e archiviato da Google, per cui è importante valutare il contenuto delle conversazioni prima di usare questo genere di strumento.
Fonti: Google, Telefonino.net.
La traduzione a voce è accompagnata dalla comparsa del testo corrispondente sullo schermo.
I risultati sono notevoli, a patto di essere in un ambiente piuttosto silenzioso e di scandire bene le parole formando frasi complete, senza tutte le imperfezioni tipiche della conversazione quotidiana. Non sostituirà la finezza e la diplomazia di un bravo traduttore umano, ma se vi serve comunicare a livello elementare in una lingua che non conoscete affatto può essere molto utile. Google Traduttore ne supporta una quarantina.
Attenzione, però, ai fraintendimenti: usate frasi semplici e scegliete espressioni non ambigue. Meglio dire “Posso parcheggiare qui la mia automobile?” invece di “Metto qui la macchina?”, per esempio.
Sarà molto interessante vedere come si comporta con il parlato televisivo o radiofonico, o con i discorsi pubblici.
Ovviamente bisogna tenere presente che tutto quello che si dice o scrive in Google Traduttore viene presumibilmente letto, analizzato e archiviato da Google, per cui è importante valutare il contenuto delle conversazioni prima di usare questo genere di strumento.
Fonti: Google, Telefonino.net.
Stasera sarò a San Lazzaro di Savena per parlare di Luna e complotti
Oggi (13 dicembre) alle 21 sarò alla Mediateca di San Lazzaro di Savena, in via Caselle 22, per parlare di complottismi intorno agli allunaggi nell’ambito della rassegna scientifica “La Luce della Notte”, che si tiene dal 12 al 19 dicembre con il patrocinio dell’INAF e vede come ospiti Umberto Guidoni, Luca Mercalli e tanti altri.
Maggiori dettagli sono sul sito del Comune di San Lazzaro.
Maggiori dettagli sono sul sito del Comune di San Lazzaro.
Addio, Windows Phone, è stato bello
Il 10 dicembre scorso è terminato ufficialmente il supporto per Windows 10 Mobile, come annunciato sul sito di Microsoft.
Non ci saranno più aggiornamenti o patch del sistema operativo. Le singole app verranno aggiornate dai rispettivi produttori se lo vorranno. Microsoft consiglia esplicitamente ai clienti di passare “a un dispositivo Android o iOS supportato”.
I telefonini Windows Phone continueranno a funzionare, ma tutte le loro operazioni che dipendono da servizi online Microsoft cesseranno gradualmente. Il supporto per Office cesserà a gennaio 2021.
È una fine annunciata da tempo ma comunque piuttosto ingloriosa per questo tentativo di Microsoft di farsi strada nella telefonia, iniziato nel 2010 con Windows Phone 7, pensato come sostituto di Windows CE e Windows Mobile.
Windows Phone aveva un’interfaccia molto particolare e immediatamente riconoscibile, con i suoi pratici quadrettoni al posto delle icone di Android e iOS, che richiamavano la grafica di Windows per PC e tablet. Al debutto, oltretutto, faceva cose che l’iPhone non era in grado di fare, come sincronizzare la musica e le foto via Wi-Fi. E negli anni successivi si dimostrò spesso meno vulnerabile di Android e iOS.
Samsung, HTC, Nokia e altre marche sfornarono telefonini Windows Phone, ma il mercato rimase dominato dai sistemi concorrenti, e gli sviluppatori esterni a Microsoft non si fecero entusiasmare e raramente crearono versioni Windows Phone delle loro app. Mancando le app, gli utenti evitarono Windows Phone, in un circuito vizioso che poteva concludersi solo in un modo, e così è stato.
Mi tengo ancora stretto il mio Lumia 1020 giallo, ricevuto al Premio Macchianera 2013, con la sua straordinaria fotocamera con sensore da 41 megapixel.
Fonte aggiuntiva: The Register.
Non ci saranno più aggiornamenti o patch del sistema operativo. Le singole app verranno aggiornate dai rispettivi produttori se lo vorranno. Microsoft consiglia esplicitamente ai clienti di passare “a un dispositivo Android o iOS supportato”.
I telefonini Windows Phone continueranno a funzionare, ma tutte le loro operazioni che dipendono da servizi online Microsoft cesseranno gradualmente. Il supporto per Office cesserà a gennaio 2021.
È una fine annunciata da tempo ma comunque piuttosto ingloriosa per questo tentativo di Microsoft di farsi strada nella telefonia, iniziato nel 2010 con Windows Phone 7, pensato come sostituto di Windows CE e Windows Mobile.
Windows Phone aveva un’interfaccia molto particolare e immediatamente riconoscibile, con i suoi pratici quadrettoni al posto delle icone di Android e iOS, che richiamavano la grafica di Windows per PC e tablet. Al debutto, oltretutto, faceva cose che l’iPhone non era in grado di fare, come sincronizzare la musica e le foto via Wi-Fi. E negli anni successivi si dimostrò spesso meno vulnerabile di Android e iOS.
Samsung, HTC, Nokia e altre marche sfornarono telefonini Windows Phone, ma il mercato rimase dominato dai sistemi concorrenti, e gli sviluppatori esterni a Microsoft non si fecero entusiasmare e raramente crearono versioni Windows Phone delle loro app. Mancando le app, gli utenti evitarono Windows Phone, in un circuito vizioso che poteva concludersi solo in un modo, e così è stato.
Mi tengo ancora stretto il mio Lumia 1020 giallo, ricevuto al Premio Macchianera 2013, con la sua straordinaria fotocamera con sensore da 41 megapixel.
Fonte aggiuntiva: The Register.
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2019/12/12
Due ore di chiacchiere fra nerd con Mikko Hypponen di F-Secure
Martedì scorso (10 dicembre) ho finalmente incontrato di persona Mikko Hypponen, chief research officer di F-Secure. Se seguite questo blog da qualche tempo, avrete notato che lo cito spesso e che ho tradotto alcuni dei suoi interventi pubblici sul tema della sicurezza informatica e della protezione dei dati personali. Ero stato ospite di F-Secure in Finlandia alcuni anni fa e in quell’occasione non ero riuscito a incontrarlo: stavolta ho rimediato.
Grazie alla cortesia e organizzazione sapiente di Samanta Fumagalli e delle sue colleghe Carmen e Marzia, abbiamo potuto chiacchierare di mille cose per quasi due ore, scambiandoci storie, chicche e aneddoti da informatici.
Non essendo un’intervista, quello che ci siamo detti non è pubblicabile, ma abbiamo spaziato su mille argomenti: dalla security delle aziende ai deepfake alla riservatezza dei dati raccolti dalle Tesla, passando per la storia dell’informatica e della telefonia, per le affascinanti regole sociali della vita in Finlandia e per la sofferenza di scrivere libri e preparare TED Talk.
A maggio 2020 ci sarà un altro evento in nord Italia al quale parteciperà Mikko, per cui avrete anche voi un’occasione per incontrarlo. Non lasciatevela sfuggire.
Esperimento di tweet sincronizzato con @mikko ! pic.twitter.com/Hoqx6KanBw— Paolo Attivissimo (@disinformatico) December 10, 2019
Grazie alla cortesia e organizzazione sapiente di Samanta Fumagalli e delle sue colleghe Carmen e Marzia, abbiamo potuto chiacchierare di mille cose per quasi due ore, scambiandoci storie, chicche e aneddoti da informatici.
Non essendo un’intervista, quello che ci siamo detti non è pubblicabile, ma abbiamo spaziato su mille argomenti: dalla security delle aziende ai deepfake alla riservatezza dei dati raccolti dalle Tesla, passando per la storia dell’informatica e della telefonia, per le affascinanti regole sociali della vita in Finlandia e per la sofferenza di scrivere libri e preparare TED Talk.
A maggio 2020 ci sarà un altro evento in nord Italia al quale parteciperà Mikko, per cui avrete anche voi un’occasione per incontrarlo. Non lasciatevela sfuggire.
Hanging around Milan with @disinformatico pic.twitter.com/Teu6Cm13Sk— @mikko (@mikko) December 10, 2019
2019/12/11
Spiati dalla tecnologia: le gioie della pubblicità iper-mirata a “Filo Diretto” RSI
Ieri (10 dicembre) sono stato ospite della Radiotelevisione Svizzera, nel programma Filo diretto, per parlare di tecnologie e sorveglianze commerciali. Uno dei conduttori, Enea, ha raccontato la propria esperienza, condivisa da tanti utenti, di aver parlato di una cosa molto insolita e specifica e di aver visto subito dopo la pubblicità di quella cosa nel proprio flusso di pubblicità nei social network.
Vuol dire che i social network ci ascoltano tramite i microfoni dei nostri telefonini? No: c’è un’altra spiegazione, e ne parlo da 4:30. Guardate però anche i servizi che accompagano il mio intervento e quello dell’ospite Giacomo Poretti, dell’Istituto sistemi informativi e networking della SUPSI.
Notate che a 16:44 Poretti mostra un tablet e-ink reMarkable. Poche ore dopo, fuori onda, sul mio telefono è comparsa in Instagram la pubblicità dello stesso, identico oggetto. Come è possibile?
L’ipotesi leggermente complottista che i nostri smartphone ci abbiano ascoltato in questo caso è poco plausibile. Abbiamo parlato di tablet, ma il nome della marca è stato citato una singola volta (fuori onda) da uno dei conduttori, e oltretutto remarkable è una parola inglese molto comune.
Se la pubblicità iper-mirata si basasse sull’ascolto delle nostre conversazioni in studio, questo ascolto avrebbe dovuto rilevare le parole tablet e remarkable e associarle nonostante il fatto che erano state dette in momento piuttosto distinti e non certo consecutivamente: un livello di sofisticazione piuttosto implausibile.
Oltretutto, l’ipotesi è già stata smentita da varie ricerche (BBC/Wandera; CBS News), anche se i sospetti rimangono. Facebook, per quel che vale, ha categoricamente negato di usare i microfoni dei telefonini in questo modo.
C’è una spiegazione possibile molto più semplice: il mio smartphone potrebbe aver rilevato il tablet tramite Bluetooth e trasmesso questo rilevamento a Instagram, che avrebbe quindi proposto la pubblicità di un oggetto che sapeva che era (o era stato) vicino a me e quindi poteva interessarmi.
Questa possibilità tecnica è prevista esplicitamente dalle condizioni di contratto di Instagram:
Una lettrice mi ha inoltre contattato in privato per dirmi che la stessa pubblicità le è comparsa dopo aver semplicemente letto il mio tweet e le relative risposte.
Certo, potrebbe trattarsi di memoria selettiva: reMarkable sta mandando la pubblicità a tanti utenti e se ne ricordano solo quelli che hanno visto la mia segnalazione in proposito. Ma io seguo molto il settore dei tablet, specialmente quelli con e-ink, e credo che mi ricorderei se avessi già visto quel prodotto (fra l’altro molto ben fatto e interessante).
In altre parole, i nostri telefonini non ci ascolterebbero continuamente alla ricerca di parole chiave pubblicitarie per tre ragioni fondamentali:
Vuol dire che i social network ci ascoltano tramite i microfoni dei nostri telefonini? No: c’è un’altra spiegazione, e ne parlo da 4:30. Guardate però anche i servizi che accompagano il mio intervento e quello dell’ospite Giacomo Poretti, dell’Istituto sistemi informativi e networking della SUPSI.
Notate che a 16:44 Poretti mostra un tablet e-ink reMarkable. Poche ore dopo, fuori onda, sul mio telefono è comparsa in Instagram la pubblicità dello stesso, identico oggetto. Come è possibile?
Oggi pomeriggio ero a Filo Diretto @RSIonline e in studio c'era un tablet e-ink di questa marca. Stasera per la prima volta su Instagram vedo la pubblicità di quella stessa marca. I nostri dispositivi ci spiano /1 pic.twitter.com/oxDzLi1Uoh— Paolo Attivissimo (@disinformatico) December 10, 2019
L’ipotesi leggermente complottista che i nostri smartphone ci abbiano ascoltato in questo caso è poco plausibile. Abbiamo parlato di tablet, ma il nome della marca è stato citato una singola volta (fuori onda) da uno dei conduttori, e oltretutto remarkable è una parola inglese molto comune.
Se la pubblicità iper-mirata si basasse sull’ascolto delle nostre conversazioni in studio, questo ascolto avrebbe dovuto rilevare le parole tablet e remarkable e associarle nonostante il fatto che erano state dette in momento piuttosto distinti e non certo consecutivamente: un livello di sofisticazione piuttosto implausibile.
Oltretutto, l’ipotesi è già stata smentita da varie ricerche (BBC/Wandera; CBS News), anche se i sospetti rimangono. Facebook, per quel che vale, ha categoricamente negato di usare i microfoni dei telefonini in questo modo.
C’è una spiegazione possibile molto più semplice: il mio smartphone potrebbe aver rilevato il tablet tramite Bluetooth e trasmesso questo rilevamento a Instagram, che avrebbe quindi proposto la pubblicità di un oggetto che sapeva che era (o era stato) vicino a me e quindi poteva interessarmi.
Questa possibilità tecnica è prevista esplicitamente dalle condizioni di contratto di Instagram:
...we collect information from and about the computers, phones, connected TVs and other web-connected devices you use that integrate with our Products, and we combine this information across different devices you use. For example, we use information collected about your use of our Products on your phone to better personalize the content (including ads) or features you see when you use our Products on another device, such as your laptop or tablet, or to measure whether you took an action in response to an ad we showed you on your phone on a different device.Information we obtain from these devices includes:
Device attributes: information such as the operating system, hardware and software versions, battery level, signal strength, available storage space, browser type, app and file names and types, and plugins. Device operations: information about operations and behaviors performed on the device, such as whether a window is foregrounded or backgrounded, or mouse movements (which can help distinguish humans from bots). Identifiers: unique identifiers, device IDs, and other identifiers, such as from games, apps or accounts you use, and Family Device IDs (or other identifiers unique to Facebook Company Products associated with the same device or account). Device signals: Bluetooth signals, and information about nearby Wi-Fi access points, beacons, and cell towers.
Una lettrice mi ha inoltre contattato in privato per dirmi che la stessa pubblicità le è comparsa dopo aver semplicemente letto il mio tweet e le relative risposte.
Certo, potrebbe trattarsi di memoria selettiva: reMarkable sta mandando la pubblicità a tanti utenti e se ne ricordano solo quelli che hanno visto la mia segnalazione in proposito. Ma io seguo molto il settore dei tablet, specialmente quelli con e-ink, e credo che mi ricorderei se avessi già visto quel prodotto (fra l’altro molto ben fatto e interessante).
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In altre parole, i nostri telefonini non ci ascolterebbero continuamente alla ricerca di parole chiave pubblicitarie per tre ragioni fondamentali:
- Sarebbe illegale e la rivelazione di un servizio del genere sarebbe catastrofica per la reputazione del social network o motore di ricerca che lo usasse.
- Sarebbe molto onerosa in termini computazionali (miliardi di riconoscimenti vocali continui in centinaia di lingue e trasmissione del flusso di dati ai rispettivi server).
- I social network e i motori di ricerca non ne avrebbero bisogno perché sanno già tutto quello che serve di noi grazie alle cose che scriviamo o cerchiamo, all’elenco degli amici e delle loro occupazioni, alla geolocalizzazione e ai vari sensori presenti negli smartphone.
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