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2020/01/09
Tempesta in un bicchiere: psicosi per il chip NFC nei bicchieri del Rabadan
Ultimo aggiornamento: 2020/02/19 10:05.
Si può avere paura di un bicchiere? A quanto pare sì. Il Rabadan, il grande carnevale di Bellinzona che si tiene dal 20 al 25 febbraio, quest’anno adotterà dei bicchieri multiuso in silicone al posto di quelli usa e getta, per ridurre il consumo di plastica. Sul fondo di questi bicchieri è incorporato un chip NFC, e questo ha scatenato angosce e psicosi.
C’è chi teme la possibilità di essere localizzato o sorvegliato, che il chip NFC trasmetta imprecisate onde pericolose o che c’entri in qualche modo il 5G. Altri si preoccupano dell’inquinamento causato dalla produzione dei chip.
Ma i fatti tecnici sono ben diversi. I chip NFC non localizzano, non sorvegliano, non trasmettono onde pericolose e il 5G non c’entra nulla. Inoltre la quantità di materiale e di energia usata per produrli è microscopica: nulla a che vedere con i costosi e complessi chip per computer.
Quelli usati nei bicchieri del Rabadan sono quelli più semplici (chip NFC passivi, come quello mostrato nella foto qui sopra), costano qualche centesimo l’uno e sono in sostanza dei dischetti sottilissimi che contengono un’antennina, una memoria e un piccolo processore, ma nessuna batteria. Il chip del Rabadan pesa meno di un millesimo del bicchiere che lo ospita, come indicato nel sito dell’azienda produttrice.
I chip NFC non sono una tecnologia nuova: esistono da quasi quindici anni e vengono usati comunemente nelle carte di credito e nei sistemi di pagamento contactless (carte di credito, Apple Pay, Google Wallet), nelle tessere di accesso alle camere d’albergo, e in molti sistemi anticontraffazione, antitaccheggio e di gestione dei magazzini. Una loro versione più sofisticata (chip NFC attivo) è presente all’interno di quasi tutti gli smartphone recenti. Quindi chi ha paura di questi chip non dovrebbe mai entrare in un negozio, perché sarebbe circondato da questi piccolissimi dispositivi, e non dovrebbe mai usare uno smartphone.
I bicchieri multiuso del Rabadan incorporano questi chip passivi per consentire alcune funzioni “social” del carnevale, che sono del tutto opzionali e sono attivabili scaricando e installando un’apposita app.
Gli organizzatori del Rabadan mi hanno fatto avere in anteprima un campione di questi bicchieri “smart”, e ne ho sezionato uno per estrarne il chip NFC. Qui sotto vedete uno di questi campioni ancora integro, con l’NFC inglobato nel fondo, tra due strati di silicone.
Ho provato a leggerlo con un’app per NFC presente nel mio smartphone e questo è il risultato:
In quanto alle emissioni di onde radio, sono microscopiche, praticamente nulle: la sigla NFC sta infatti per Near Field Communication, ossia “comunicazione in prossimità”, e spiega bene il concetto che questi chip emettono un segnale radio talmente debole che si può captare solo a pochi centimetri di distanza (è ancora più debole di quello del Bluetooth). Quelli attivi (presenti nei telefonini e nei tablet, o nei lettori di tessere) emettono onde radio che vengono ricevute e usate come fonte di energia da quelli passivi.
I chip NFC passivi non emettono un segnale radio vero e proprio ma comunicano perturbando in maniera controllata il segnale emesso dai chip attivi, che rilevano queste perturbazioni (grazie a Marco Morocutti, nei commenti, per questo chiarimento).
La frequenza utilizzata è 13,56 MHz, quindi niente a che fare con le frequenze del 5G (o, se è per quello, del 4G, 3G o 2G).
Per chi teme un’eventuale sorveglianza: prima di tutto, il chip NFC passivo, quello presente nel bicchiere, è completamente inerte e non identifica in nessun modo l’utente del bicchiere se non lo si attiva intenzionalmente tramite il proprio telefonino e l’apposita app.
In secondo luogo, anche se lo si attiva, il sito del Rabadan dichiara che “Né la start-up PCUP né Rabadan o gli altri partner coinvolti, hanno intenzione di analizzare i dati personali degli utenti o di utilizzarli a fini promozionali. Grazie all’utilizzo del bicchiere e dell’App sarà invece possibile misurare il risparmio di plastica monouso usando un bicchiere unico per tutto il periodo della manifestazione.”
Ma soprattutto, se siete così preoccupati di essere sorvegliati da un bicchiere, che ci fate sui social network?
2020/02/09 20.50. I responsabili del Rabadan hanno risposto alle critiche sul bicchiere qui su Ticinonews.
2020/02/19 10:05. Bicchiere Rabadan? "Nessun pericolo per salute e privacy" (Ticinonews).
Si può avere paura di un bicchiere? A quanto pare sì. Il Rabadan, il grande carnevale di Bellinzona che si tiene dal 20 al 25 febbraio, quest’anno adotterà dei bicchieri multiuso in silicone al posto di quelli usa e getta, per ridurre il consumo di plastica. Sul fondo di questi bicchieri è incorporato un chip NFC, e questo ha scatenato angosce e psicosi.
C’è chi teme la possibilità di essere localizzato o sorvegliato, che il chip NFC trasmetta imprecisate onde pericolose o che c’entri in qualche modo il 5G. Altri si preoccupano dell’inquinamento causato dalla produzione dei chip.
Ma i fatti tecnici sono ben diversi. I chip NFC non localizzano, non sorvegliano, non trasmettono onde pericolose e il 5G non c’entra nulla. Inoltre la quantità di materiale e di energia usata per produrli è microscopica: nulla a che vedere con i costosi e complessi chip per computer.
Quelli usati nei bicchieri del Rabadan sono quelli più semplici (chip NFC passivi, come quello mostrato nella foto qui sopra), costano qualche centesimo l’uno e sono in sostanza dei dischetti sottilissimi che contengono un’antennina, una memoria e un piccolo processore, ma nessuna batteria. Il chip del Rabadan pesa meno di un millesimo del bicchiere che lo ospita, come indicato nel sito dell’azienda produttrice.
I chip NFC non sono una tecnologia nuova: esistono da quasi quindici anni e vengono usati comunemente nelle carte di credito e nei sistemi di pagamento contactless (carte di credito, Apple Pay, Google Wallet), nelle tessere di accesso alle camere d’albergo, e in molti sistemi anticontraffazione, antitaccheggio e di gestione dei magazzini. Una loro versione più sofisticata (chip NFC attivo) è presente all’interno di quasi tutti gli smartphone recenti. Quindi chi ha paura di questi chip non dovrebbe mai entrare in un negozio, perché sarebbe circondato da questi piccolissimi dispositivi, e non dovrebbe mai usare uno smartphone.
I bicchieri multiuso del Rabadan incorporano questi chip passivi per consentire alcune funzioni “social” del carnevale, che sono del tutto opzionali e sono attivabili scaricando e installando un’apposita app.
Gli organizzatori del Rabadan mi hanno fatto avere in anteprima un campione di questi bicchieri “smart”, e ne ho sezionato uno per estrarne il chip NFC. Qui sotto vedete uno di questi campioni ancora integro, con l’NFC inglobato nel fondo, tra due strati di silicone.
Ho provato a leggerlo con un’app per NFC presente nel mio smartphone e questo è il risultato:
In quanto alle emissioni di onde radio, sono microscopiche, praticamente nulle: la sigla NFC sta infatti per Near Field Communication, ossia “comunicazione in prossimità”, e spiega bene il concetto che questi chip emettono un segnale radio talmente debole che si può captare solo a pochi centimetri di distanza (è ancora più debole di quello del Bluetooth). Quelli attivi (presenti nei telefonini e nei tablet, o nei lettori di tessere) emettono onde radio che vengono ricevute e usate come fonte di energia da quelli passivi.
I chip NFC passivi non emettono un segnale radio vero e proprio ma comunicano perturbando in maniera controllata il segnale emesso dai chip attivi, che rilevano queste perturbazioni (grazie a Marco Morocutti, nei commenti, per questo chiarimento).
La frequenza utilizzata è 13,56 MHz, quindi niente a che fare con le frequenze del 5G (o, se è per quello, del 4G, 3G o 2G).
Per chi teme un’eventuale sorveglianza: prima di tutto, il chip NFC passivo, quello presente nel bicchiere, è completamente inerte e non identifica in nessun modo l’utente del bicchiere se non lo si attiva intenzionalmente tramite il proprio telefonino e l’apposita app.
In secondo luogo, anche se lo si attiva, il sito del Rabadan dichiara che “Né la start-up PCUP né Rabadan o gli altri partner coinvolti, hanno intenzione di analizzare i dati personali degli utenti o di utilizzarli a fini promozionali. Grazie all’utilizzo del bicchiere e dell’App sarà invece possibile misurare il risparmio di plastica monouso usando un bicchiere unico per tutto il periodo della manifestazione.”
Ma soprattutto, se siete così preoccupati di essere sorvegliati da un bicchiere, che ci fate sui social network?
2020/02/09 20.50. I responsabili del Rabadan hanno risposto alle critiche sul bicchiere qui su Ticinonews.
2020/02/19 10:05. Bicchiere Rabadan? "Nessun pericolo per salute e privacy" (Ticinonews).
Anche Rainews e Libero pubblicano il falso video della morte di Soleimani
Anche la Rai, oggi, ha pubblicato le immagini del videogioco AC-130 Gunship Simulator spacciandole per “il video della morte del generale iraniano Hossein Soleimani”, precisando oltretutto che “la telecamera installata sul drone documenta il blitz americano avvenuto nei pressi dell'aeroporto di Baghdad (Iraq)”.
Copia permanente su Archive.org e screenshot:
Controllo delle fonti: zero.
Come se già questo non fosse abbastanza, la pubblicazione da parte di Rainews avviene il giorno dopo che La7 ha rimediato una figuraccia pubblicando lo stesso, identico falso.
Anche Libero partecipa alla festa della bufala, e lo fa già dal 6 gennaio scorso (copia permanente su Archive.org) e senza rettificare:
Fra l’altro, i colleghi debunker di Bellingcat notano che questo spezzone di videogioco era già stato spacciato come vero dal Ministero della Difesa russo nel 2017.
Ma mi raccomando, le fake news sono colpa di Internet.
Per chi se lo fosse dimenticato e per quelli che dicono “eh ma cosa vuoi che sia”, ricordo che esiste un testo unico dei doveri del giornalista, redatto dall’Ordine dei Giornalisti italiano, che all’articolo 2 recita:
e all’articolo 9 dice:
Sono doveri, non degli optional.
Anche in Svizzera la Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista è altrettanto chiara (punti 3 e 5):
Rileggere questi doveri, ogni tanto, e magari addirittura applicarli, sarebbe bello.
20:15. In una sorprendente coincidenza, poco dopo la mia segnalazione pubblica Rainews ha cambiato il contenuto della notizia, senza rettificarla e senza scusarsi per l’errore.
E comunque la didascalia nuova è sbagliata lo stesso, perché non è la “telecamera di un drone”, ma quella (simulata) di un aereo pilotato, un AC-130, quadrimotore a elica.
Copia permanente su Archive.org e screenshot:
Controllo delle fonti: zero.
Come se già questo non fosse abbastanza, la pubblicazione da parte di Rainews avviene il giorno dopo che La7 ha rimediato una figuraccia pubblicando lo stesso, identico falso.
Anche Libero partecipa alla festa della bufala, e lo fa già dal 6 gennaio scorso (copia permanente su Archive.org) e senza rettificare:
Fra l’altro, i colleghi debunker di Bellingcat notano che questo spezzone di videogioco era già stato spacciato come vero dal Ministero della Difesa russo nel 2017.
Ma mi raccomando, le fake news sono colpa di Internet.
Per chi se lo fosse dimenticato e per quelli che dicono “eh ma cosa vuoi che sia”, ricordo che esiste un testo unico dei doveri del giornalista, redatto dall’Ordine dei Giornalisti italiano, che all’articolo 2 recita:
Il giornalista: a) difende il diritto all’informazione e la libertà di opinione di ogni persona; per questo ricerca, raccoglie, elabora e diffonde con la maggiore accuratezza possibile ogni dato o notizia di pubblico interesse secondo la verità sostanziale dei fatti
e all’articolo 9 dice:
Il giornalista: a) rettifica, anche in assenza di specifica richiesta, con tempestività e appropriato rilievo, le informazioni che dopo la loro diffusione si siano rivelate inesatte o errate
Sono doveri, non degli optional.
Anche in Svizzera la Dichiarazione dei doveri e dei diritti del giornalista è altrettanto chiara (punti 3 e 5):
Il giornalista [...] diffonde esclusivamente informazioni, documenti, imma-gini o prese di suono di cui gli sia nota la fonte [...]; designa apertamente come tali le notizie non confermate [...] rettifica ogni informazione il cui contenuto materiale, una volta diffuso, si sia rivelato del tutto o in parte inesatto
Rileggere questi doveri, ogni tanto, e magari addirittura applicarli, sarebbe bello.
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20:15. In una sorprendente coincidenza, poco dopo la mia segnalazione pubblica Rainews ha cambiato il contenuto della notizia, senza rettificarla e senza scusarsi per l’errore.
E comunque la didascalia nuova è sbagliata lo stesso, perché non è la “telecamera di un drone”, ma quella (simulata) di un aereo pilotato, un AC-130, quadrimotore a elica.
2020/01/08
Andrea Purgatori su La7: “Somiglia molto a un videogioco, ma non è un videogioco”. E invece è proprio un videogioco
Andrea Purgatori, ad Atlantide, su La7, presenta così quello che a suo dire sarebbe un video dell’uccisione del generale Soleimani: “Somiglia molto a un videogioco, ma non è un videogioco”.
E invece è una scena presa da un videogioco: specificamente, mi segnala Stefano Donadio, da AC-130 Gunship Simulator, come raccontato su Spider-mac.
Questo è uno screenshot della trasmissione di Purgatori: al centro, sullo schermo, c’è il video di cui sta parlando.
E questo è uno screenshot del videogioco:
Purgatori mostra una lunga sequenza, spiegando addirittura quello che secondo lui starebbe succedendo: “Sono immagini drammatiche, anche se in bianco e nero. Come vedete, c’è un convoglio... sentite... sentite le parole del pilota che sta manovrando il drone. Guardate come vengono colpiti uno ad uno tutti i convogli. Ora ci saranno dei puntini bianchi, guardate sulla destra. Sono uomini che cercano di scappare da questo attacco. Cercano di allontanarsi. L’operatore se ne accorge, li vede distintamente sul radar di puntamento del drone... e comincia ad inseguirli, e comincerà a dare la caccia a ciascuno, uno per uno. Guardate... guardate come scappano ... guardate... guardate la precisione del drone che li segue e come comincia a colpirli anche se loro stanno cercando di fuggire e sono convinti di farcela... Guardate... uno per uno.... Non c‘è scampo, e non c’è scampo... praticamente... molto meno che... diciamo se... a inseguire queste persone fossero degli altri militari sul terreno. Il drone non perdona. Ecco, l’operazione è quasi conclusa. Quelle macchie di colore bianco che vedete sono purtroppo dei corpi che bruciano”.
No, sono pixel di un videogioco.
Se siete increduli che si possa arrivare a tanto, potete rivedere lo spezzone di Atlantide qui o scaricarlo qui. L’ho salvato su Archive.org e lo includo qui sotto, finché dura:
Screenshot:
Del resto, Purgatori ha presentato il video dicendo che è “il modo in cui è stato ucciso il generale Soleimani”. E il link al video è inequivocabile: www.la7.it/atlantide/video/il-video-delluccisione-del-generale-soleimani-08-01-2020-300977.
Sarebbe molto, molto interessante sentire da Purgatori, o dalla redazione di Atlantide, come è possibile che una scena di un videogioco finisca nel materiale di redazione e venga trasmessa. Come funziona il controllo delle fonti? Da dove viene preso il materiale che viene mandato in onda?
E se questo è il livello della verifica fatta qui da Atlantide, ci si può fidare di qualunque altro materiale presentato da questa redazione?
Per chi pensa che questa sia una trascurabile inesattezza, un incidente di percorso: no. Qui uno spezzone di videogioco è entrato nel materiale di redazione. Significa che non c’è nessun controllo delle fonti. È come se un chirurgo lasciasse nel paziente non una garza, ma le chiavi di casa. Che non avrebbero mai dovuto neanche avvicinarsi alla sala operatoria.
Gli anni passano, le figuracce aumentano (ricordate la falsa foto del cadavere di Osama bin Laden pubblicata da L’Unità e dal Corriere della Sera?), ma ci sono ancora giornalisti che, con la puzza sotto il naso, insistono ancora a dire che le fake news sono solo colpa di Internet.
2020/01/09 00:25. La7 ha rimosso il video da questo link. Non una parola di scuse, per ora.
2020/01/09 00:50. Purgatori si giustifica così: “Gentile Paolo, lei ha ragione. Certo che è un videogioco, lo sapevo, ma rappresentava tecnicamente una perfetta dimostrazione di come colpisce un drone. Sono io che mi sono espresso maledettamente male. Grazie per la sua attenzione.”
Peccato che il video sia stato presentato con un titolo decisamente poco ambiguo: “Il video dell'uccisione del generale Soleimani”, come mostra questo screenshot dalla pagina di La7 ora rimossa:
Non ho altro da aggiungere.
Fonte aggiuntiva: ADNKronos.
E invece è una scena presa da un videogioco: specificamente, mi segnala Stefano Donadio, da AC-130 Gunship Simulator, come raccontato su Spider-mac.
Questo è uno screenshot della trasmissione di Purgatori: al centro, sullo schermo, c’è il video di cui sta parlando.
E questo è uno screenshot del videogioco:
Purgatori mostra una lunga sequenza, spiegando addirittura quello che secondo lui starebbe succedendo: “Sono immagini drammatiche, anche se in bianco e nero. Come vedete, c’è un convoglio... sentite... sentite le parole del pilota che sta manovrando il drone. Guardate come vengono colpiti uno ad uno tutti i convogli. Ora ci saranno dei puntini bianchi, guardate sulla destra. Sono uomini che cercano di scappare da questo attacco. Cercano di allontanarsi. L’operatore se ne accorge, li vede distintamente sul radar di puntamento del drone... e comincia ad inseguirli, e comincerà a dare la caccia a ciascuno, uno per uno. Guardate... guardate come scappano ... guardate... guardate la precisione del drone che li segue e come comincia a colpirli anche se loro stanno cercando di fuggire e sono convinti di farcela... Guardate... uno per uno.... Non c‘è scampo, e non c’è scampo... praticamente... molto meno che... diciamo se... a inseguire queste persone fossero degli altri militari sul terreno. Il drone non perdona. Ecco, l’operazione è quasi conclusa. Quelle macchie di colore bianco che vedete sono purtroppo dei corpi che bruciano”.
No, sono pixel di un videogioco.
Se siete increduli che si possa arrivare a tanto, potete rivedere lo spezzone di Atlantide qui o scaricarlo qui. L’ho salvato su Archive.org e lo includo qui sotto, finché dura:
Caso mai qualcuno avesse il dubbio che il videogioco sia stato usato come esempio, il tweet di La7 lo toglie subito: “#atlantide VIDEO | Le immagini dell'uccisione del generale Soleimani la7.it/atlantide/vide…”
Screenshot:
Del resto, Purgatori ha presentato il video dicendo che è “il modo in cui è stato ucciso il generale Soleimani”. E il link al video è inequivocabile: www.la7.it/atlantide/video/il-video-delluccisione-del-generale-soleimani-08-01-2020-300977.
Sarebbe molto, molto interessante sentire da Purgatori, o dalla redazione di Atlantide, come è possibile che una scena di un videogioco finisca nel materiale di redazione e venga trasmessa. Come funziona il controllo delle fonti? Da dove viene preso il materiale che viene mandato in onda?
E se questo è il livello della verifica fatta qui da Atlantide, ci si può fidare di qualunque altro materiale presentato da questa redazione?
Per chi pensa che questa sia una trascurabile inesattezza, un incidente di percorso: no. Qui uno spezzone di videogioco è entrato nel materiale di redazione. Significa che non c’è nessun controllo delle fonti. È come se un chirurgo lasciasse nel paziente non una garza, ma le chiavi di casa. Che non avrebbero mai dovuto neanche avvicinarsi alla sala operatoria.
Gli anni passano, le figuracce aumentano (ricordate la falsa foto del cadavere di Osama bin Laden pubblicata da L’Unità e dal Corriere della Sera?), ma ci sono ancora giornalisti che, con la puzza sotto il naso, insistono ancora a dire che le fake news sono solo colpa di Internet.
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2020/01/09 00:25. La7 ha rimosso il video da questo link. Non una parola di scuse, per ora.
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2020/01/09 00:50. Purgatori si giustifica così: “Gentile Paolo, lei ha ragione. Certo che è un videogioco, lo sapevo, ma rappresentava tecnicamente una perfetta dimostrazione di come colpisce un drone. Sono io che mi sono espresso maledettamente male. Grazie per la sua attenzione.”
Gentile Paolo, lei ha ragione. Certo che è un videogioco, lo sapevo, ma rappresentava tecnicamente una perfetta dimostrazione di come colpisce un drone. Sono io che mi sono espresso maledettamente male. Grazie per la sua attenzione.— andrea purgatori (@andreapurgatori) January 8, 2020
Peccato che il video sia stato presentato con un titolo decisamente poco ambiguo: “Il video dell'uccisione del generale Soleimani”, come mostra questo screenshot dalla pagina di La7 ora rimossa:
Non ho altro da aggiungere.
Fonte aggiuntiva: ADNKronos.
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Volete sapere come si indagano i misteri? Non è un mistero, con il CICAP
Sono aperte le iscrizioni al Corso per Indagatori di Misteri del CICAP, che quest’anno si terrà a Bologna fra gennaio e giugno durante sette fine settimana. Io sarò uno dei docenti della sessione del 22-23 febbraio.
I posti sono limitati, proprio per consentire la massima interazione e partecipazione dei corsisti. Se vi interessa sapere come si fa un’indagine da debunker e andare un po’ dietro le quinte del CICAP, insomma, non rinviate.
Per maggiori informazioni e per iscrivervi, visitate www.cicap.org/corso.
Questo è il programma dettagliato del Corso di quest’anno:
I posti sono limitati, proprio per consentire la massima interazione e partecipazione dei corsisti. Se vi interessa sapere come si fa un’indagine da debunker e andare un po’ dietro le quinte del CICAP, insomma, non rinviate.
Per maggiori informazioni e per iscrivervi, visitate www.cicap.org/corso.
Questo è il programma dettagliato del Corso di quest’anno:
I FERRI DEL MISTERO ESSENZIALI PER UN’INDAGINE
Da trent’anni il CICAP si occupa di indagare presunti misteri. Per farlo in maniera efficace sono necessarie numerose competenze, che attingono ad ambiti diversi. In questa lezione potrete iniziare a riempire la vostra “cassetta degli attrezzi” con gli strumenti del metodo scientifico e del metodo critico, imparando ad applicare allo studio dei fenomeni paranormali e pseudoscientifici le tecniche normalmente adoperate nel campo della ricerca scientifica. In questa lezione, inoltre, vedremo che cosa ci spinge a continuare a indagare i misteri e che cosa abbiamo imparato nel corso di questi trent’anni.
SULLA SCENA DEL MISTERO
Nonostante decenni di indagini e ancora nessuna prova, i grandi classici del mistero non tramontano mai: cerchi nel grano, fantasmi, voci dall’aldilà, UFO e così via. Durante questa lezione sarete catapultati sulla “scena del mistero”: dall’intervista a eventuali testimoni, all’uso di strumenti e apparecchiature apposite, all’organizzazione di un esperimento e la valutazione dei risultati ottenuti. Accanto al paranormale classico, oggi trovano ampio spazio le teorie del complotto. Come riconoscere gli elementi chiave che caratterizzano leggende urbane e teorie del complotto? In questa lezione vedremo anche secondo quali dinamiche si diffondono, quali danni possono provocare nella società e com’è possibile arginarle con un rigoroso lavoro di ricerca e divulgazione.
QUANDO ANCHE LA MENTE E LA SCIENZA CI INGANNANO
Percezione alterata, disattenzione selettiva e meccanismi della memoria possono spiegare alcune tipologie di fenomeni misteriosi. In altri casi, invece, sono proprio la chimica e la fisica a prendersi gioco di noi, creando fenomeni che non ci aspettiamo. O a essere chiamati in causa per fornire una ipotetica spiegazione scientifica a un fenomeno misterioso. In questa lezione, spazierete dall’uso improprio della meccanica quantistica alle testimonianze di esperienze pre-morte, imparando come affrontare l’indagine di questa tipologia di misteri.
PSEUDOSCIENZE DELLA VITA, DALLA BIOLOGIA ALLA MEDICINA
Le scienze della vita affrontano oggi una controparte popolare che rifiuta il naturalismo scientifico e propone una visione spirituale dei processi biologici. Un esempio è dato dalla medicina alternativa, molto diffusa negli ultimi decenni: omeopatia, pranoterapia, agopuntura, fiori di Bach, iridologia, naturopatia... Ma come si fa a capire se funzionano davvero? I corsisti verranno introdotti nel complesso tema dell’efficacia della medicina, scoprendo come si mette alla prova statisticamente la validità di una cura, qual è il ruolo dell'effetto placebo e come il corpo si cura da solo anche senza farmaci. Un altro esempio è la resistenza che incontra ancora oggi la teoria dell’evoluzione, che rimane inaccettabile per chi ritiene che la specie umana non possa essere ridotta a una specie come le altre. L’opposizione al darwinismo si è manifestata prima nel creazionismo e più recentemente nell’intelligent design: analizzare come sono nate queste teorie e come, ironicamente, si sono evolute nel tempo, ci permetterà di capire meglio che cosa rende scientifica una teoria e come fare informazione nel modo più efficace.
L’OSSESSIONE DEL NATURALE
In molti ambiti, dalla salute all’alimentazione, negli ultimi anni si è diffusa sempre più l’idea che ciò che è “naturale” sia automaticamente più sano e più buono. Al contrario, invece, gli OGM e la chimica sono stati demonizzati. Sono tanti gli equivoci e i pregiudizi da contrastare sul tema, spesso diffusi anche tra i più scettici! Scopriremo che la contrapposizione tra “naturale” e “chimico” o “artificiale” non è un buon modo per affrontare il tema e che ci sono modi migliori per perseguire uno stile di vita più sano e rispettoso dell’ambiente, e distingueremo tra ciò che deve essere affrontato dalla scienza e ciò che invece è oggetto della discussione politica.
LO SPIRITO CRITICO NELL’EPOCA DELLA POST-VERITÀ
Dov’è finito lo spirito critico? Attraverso strumenti tratti dalle neuroscienze e da filosofia e comunicazione della scienza analizzeremo le cause profonde della diffusione della mentalità antiscientifica e ci chiederemo che cosa può fare il CICAP per contrastarle. Scopriremo che non è solo l’ignoranza ad alimentare l’irrazionalità e che anche gli scienziati hanno le loro responsabilità: non basta diffondere informazioni corrette per aumentare la fiducia nella scienza, serve una strategia più sofisticata.
COME ESSERE INCISIVI E RAGGIUNGERE L’OBIETTIVO
Diffondere i risultati del proprio lavoro è tanto importante quanto svolgerlo in modo corretto. Qual è il modo migliore per comunicare temi controversi o delicati senza correre il rischio di essere controproducenti o di urtare la sensibilità altrui? La lezione metterà a fuoco gli obiettivi della nostra comunicazione, quali sono gli aspetti più importanti che vogliamo evidenziare e a quale pubblico ci rivolgiamo, dando strumenti utili in tutti i campi: dalla costruzione di una presentazione, alla prossemica, all’organizzazione di stand. In questa lezione verranno messe alla prova e affinate le competenze metodologiche e comunicative acquisite durante il corso.
2020/01/07
Piccolo promemoria per chi pensa che l’uomo sia l’essere “superiore”
Uno scimpanzé che non solo riconosce dieci simboli, ma li sa mettere in sequenza. E lo sa fare anche quando i simboli compaiono sullo schermo per un istante e poi vengono coperti. Voi come ve la cavereste?
Nel thread che accompagna il tweet che ho incorporato qui sopra viene spiegato che gli umani, con l’evoluzione, hanno perso questa spettacolare capacità di memoria fotografica a breve termine e in compenso hanno acquisito la capacità del linguaggio. Il cervello umano distribuisce le proprie risorse in maniera differente, non necessariamente migliore, e con l’addestramento un umano può raggiungere risultati paragonabili. Eppure c’è tanta gente che pensa che l’uomo sia divinamente superiore a ogni altra creatura e che questo gli dia il diritto di dominare il pianeta. Con i risultati che vediamo. Un po' di modestia, ogni tanto, non farebbe male.
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.
Consider: millions of years ago our antecedents gave a massive sacrifice of their left hemisphere.
— Brian Roemmele (@BrianRoemmele) January 5, 2020
We lost a tremendous amount of short term memory and replaced it with Broca’s, Wernicke & the phonological loop.
But why?
So we can—talk.
Thus chimpanzees can do this—we can’t: pic.twitter.com/CDznxg37p1
Nel thread che accompagna il tweet che ho incorporato qui sopra viene spiegato che gli umani, con l’evoluzione, hanno perso questa spettacolare capacità di memoria fotografica a breve termine e in compenso hanno acquisito la capacità del linguaggio. Il cervello umano distribuisce le proprie risorse in maniera differente, non necessariamente migliore, e con l’addestramento un umano può raggiungere risultati paragonabili. Eppure c’è tanta gente che pensa che l’uomo sia divinamente superiore a ogni altra creatura e che questo gli dia il diritto di dominare il pianeta. Con i risultati che vediamo. Un po' di modestia, ogni tanto, non farebbe male.
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.
2020/01/04
Davvero la ministra italiana Pisano ha detto che dovremmo avere una sola password, e pure di Stato?
Per evitare ulteriori confusioni, l’articolo è stato riscritto alla luce delle nuove dichiarazioni della ministra e del Ministero per l’Innovazione italiani. La versione originale è in fondo. Ultimo aggiornamento: 2020/01/11 14:10.
Nei primi minuti della puntata di Eta Beta di Radio Rai di stamattina (riascoltabile qui), la ministra italiana per l’Innovazione Paola Pisano ha fatto una dichiarazione che ha creato un certo sconcerto in Rete, ripreso per esempio da Repubblica. La dichiarazione testuale è questa (quella di ANSA è sbagliata):
La ministra ha successivamente chiarito che si riferiva a SPID, il sistema pubblico di identità digitale, non a “user e password”. Però ha parlato di “user e password”, non di SPID. Che sono due cose drasticamente differenti: è come dire “volevo parlare di burro, ma mi è uscito di bocca ‘locomotiva’”.
Da qui è nata la polemica, successivamente chiarita in parte da una rettifica della ministra e del Ministero.
Quindi no, la ministra non voleva dire che dovremmo avere una sola password, e pure di Stato, ma si è espressa in modo talmente confuso da aver dato quest’impressione.
La dichiarazione della ministra, nonostante le successive correzioni, è comunque molto problematica: usare l’identità digitale fornita dallo Stato (SPID) anche per gli acquisti e i servizi nel settore privato significa collegare le attività private (che in una democrazia non devono interessare a uno Stato) a quelle che riguardano lo Stato (tasse, certificati, atti pubblici), e questa è sempre una pessima idea. Vostra figlia ha il diritto di acquistare un sextoy o leggere Mein Kampf o una guida all’Islam o un sito sull’aborto o la contraccezione senza che lo Stato ci possa mettere il becco o schedarla per le sue abitudini.
Per chi obietta che con SPID lo Stato non sa cosa ha comprato o letto vostra figlia perché non vede cosa fa nel sito nel quale si è loggata usando SPID, va detto che a volte basta che lo Stato (o l’Identity Provider privato che offre il servizio SPID per conto dello Stato) sappia il nome del sito per capire cosa ha comprato, letto o guardato la visitatrice.
È il solito problema dei metadati. Se vostra figlia si logga su Sextoys-per-ragazze punto com, Meinkampf-aveva-ragione punto com, Gravidanza-inattesa punto com, Rovesciare-il-governo punto it o Islam-per-tutti punto info, non ci vuole un grande studio per dedurre i suoi interessi, orientamenti e problemi.
E per “lo Stato” non intendo solo lo Stato attuale, ma tutti gli Stati possibili futuri: ammesso che vi fidiate dello Stato che esiste ora, non potete sapere se salirà al potere un governo che prenderà di mira qualche condizione o pratica che prima era legittima (consumo di droghe, aborto, vasectomia, omosessualità, orientamento religioso o politico, tanto per fare qualche esempio). Anche dichiararsi ebrei nel censimento meccanizzato dall’IBM non sembrava un problema in Germania o in Francia, fino a che è salito al potere il nazismo e ha usato quei dati per uno sterminio di massa.
Per quelli che pensano “ma da noi queste cose non potrebbero mai succedere”, vorrei ricordare che nel 1938 l’Italia introdusse le leggi razziali. E c’è ancora oggi gente che rimpiange quelle leggi e le vorrebbe ripresentare.
C’è però un’altra parte della dichiarazione della ministra Pisano che è ancora più problematica: sostenere che “Ogni volta che noi abbiamo una user e una password, questa user e password dovrebbe essere data dallo Stato“ significa accentrare nello Stato l’erogazione della sicurezza informatica.
È l’equivalente digitale di dare allo Stato il monopolio sulle serrature delle porte di casa. Cosa succede se salta fuori che il modello di serratura imposto dallo Stato è arcaico e scassinabile? Diventano scassinabili tutte le serrature di tutte le case.
C’è poi il problema dell’accentramento delle credenziali: se un malintenzionato riesce a fare phishing del mio SPID, si sostituisce a me in tutto e per tutto non solo nei miei rapporti con lo Stato, ma anche in tutti gli altri miei rapporti online, perché ho messo tutte le mie uova nello stesso paniere. È l’equivalente di avere una chiave universale per tutte le serrature di casa e farsela rubare.
Aggiungo un altro problema: se si usa lo SPID per accedere ad altri siti non statali (per esempio per fare acquisti o per comunicare tramite i social network), cosa succede se i server SPID vanno in crash o sovraccarico? Non solo non ci si può collegare ai servizi digitali dello Stato, ma non ci si può più collegare neanche ai social network, alla mail, ad Amazon, alla banca, eccetera eccetera. È come avere quell’unica chiave universale e scoprire che si è rotta.
La ministra, di fronte alle obiezioni che le sono subito arrivate, ha corretto quel “dovrebbe” in “potrebbe”.
Infine, giustificarsi dicendo “perché è lo Stato l’unico soggetto che ha davvero certezza che quello è quel cittadino” è una sciocchezza, perché per comprare un maglione o un biglietto al cinema non c’è bisogno di sapere chi lo compra: è sufficiente sapere che chiunque lo compri abbia soldi per pagarlo. Anzi, se voglio comperare un test di gravidanza, dire il mio nome e cognome potrebbe essere l’ultima cosa che sento il bisogno di fare.
Prevengo le inevitabili considerazioni del tipo “beh, però se tutti fossero identificati online dallo Stato, non ci sarebbero le minacce e gli insulti nei social network”. È un mito fasullo, già sviscerato tempo addietro qui. Non funziona così.
Per correttezza e traccia cronologica, riporto qui sotto la versione originale del mio articolo, scritta quando la ministra non aveva ancora chiarito che con “user e password” intendeva in realtà SPID. Le considerazioni che seguono valgono per la dichiarazione iniziale della ministra (“un’unica e sola user e password”) e non si applicano necessariamente a SPID.
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.
Nei primi minuti della puntata di Eta Beta di Radio Rai di stamattina (riascoltabile qui), la ministra italiana per l’Innovazione Paola Pisano ha fatto una dichiarazione che ha creato un certo sconcerto in Rete, ripreso per esempio da Repubblica. La dichiarazione testuale è questa (quella di ANSA è sbagliata):
Con l’identità digitale noi avremo un’unica e sola user e password per accedere a tutti i servizi digitali, ma questa user e password potrebbe anche essere utilizzata per accedere non solo ai servizi digitali della pubblica amministrazione ma ai servizi digitali anche del privato. Per esempio il nostro conto in banca, per esempio prenotare un’auto in sharing, andare al cinema, per esempio comprare su Amazon. Ogni volta che noi abbiamo una user e una password, questa user e password dovrebbe essere data dallo Stato, perché è lo Stato l’unico soggetto che ha davvero certezza che quello è quel cittadino. E lei lo sa quante truffe ci sono sull’identità su Internet.
La ministra ha successivamente chiarito che si riferiva a SPID, il sistema pubblico di identità digitale, non a “user e password”. Però ha parlato di “user e password”, non di SPID. Che sono due cose drasticamente differenti: è come dire “volevo parlare di burro, ma mi è uscito di bocca ‘locomotiva’”.
Da qui è nata la polemica, successivamente chiarita in parte da una rettifica della ministra e del Ministero.
- La ministra Pisano ha infatti postato questo tweet di precisazione: “Vediamo di sgombrare il campo da ogni equivoco: l'identità digitale sarà rilasciata dallo Stato e servirà a identificare il cittadino in modo univoco verso lo Stato stesso. In futuro, per aziende e cittadini che lo vorranno, POTREBBE essere ulteriore sistema di autenticazione”.
- Il Ministero per l’Innovazione ha poi pubblicato un tweet di ulteriore chiarimento: “Nessuna nuova proposta, né nuova password di Stato. @PaolaPisano_Min a @EtaBetaRadio1 si riferiva a #SPID già usata da 5 mln di italiani. L'intenzione da discutere con tutti gli interlocutori istituzionali competenti è solo quella di affidarne la gestione direttamente allo Stato”.
Quindi no, la ministra non voleva dire che dovremmo avere una sola password, e pure di Stato, ma si è espressa in modo talmente confuso da aver dato quest’impressione.
La dichiarazione della ministra, nonostante le successive correzioni, è comunque molto problematica: usare l’identità digitale fornita dallo Stato (SPID) anche per gli acquisti e i servizi nel settore privato significa collegare le attività private (che in una democrazia non devono interessare a uno Stato) a quelle che riguardano lo Stato (tasse, certificati, atti pubblici), e questa è sempre una pessima idea. Vostra figlia ha il diritto di acquistare un sextoy o leggere Mein Kampf o una guida all’Islam o un sito sull’aborto o la contraccezione senza che lo Stato ci possa mettere il becco o schedarla per le sue abitudini.
Per chi obietta che con SPID lo Stato non sa cosa ha comprato o letto vostra figlia perché non vede cosa fa nel sito nel quale si è loggata usando SPID, va detto che a volte basta che lo Stato (o l’Identity Provider privato che offre il servizio SPID per conto dello Stato) sappia il nome del sito per capire cosa ha comprato, letto o guardato la visitatrice.
È il solito problema dei metadati. Se vostra figlia si logga su Sextoys-per-ragazze punto com, Meinkampf-aveva-ragione punto com, Gravidanza-inattesa punto com, Rovesciare-il-governo punto it o Islam-per-tutti punto info, non ci vuole un grande studio per dedurre i suoi interessi, orientamenti e problemi.
E per “lo Stato” non intendo solo lo Stato attuale, ma tutti gli Stati possibili futuri: ammesso che vi fidiate dello Stato che esiste ora, non potete sapere se salirà al potere un governo che prenderà di mira qualche condizione o pratica che prima era legittima (consumo di droghe, aborto, vasectomia, omosessualità, orientamento religioso o politico, tanto per fare qualche esempio). Anche dichiararsi ebrei nel censimento meccanizzato dall’IBM non sembrava un problema in Germania o in Francia, fino a che è salito al potere il nazismo e ha usato quei dati per uno sterminio di massa.
Per quelli che pensano “ma da noi queste cose non potrebbero mai succedere”, vorrei ricordare che nel 1938 l’Italia introdusse le leggi razziali. E c’è ancora oggi gente che rimpiange quelle leggi e le vorrebbe ripresentare.
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C’è però un’altra parte della dichiarazione della ministra Pisano che è ancora più problematica: sostenere che “Ogni volta che noi abbiamo una user e una password, questa user e password dovrebbe essere data dallo Stato“ significa accentrare nello Stato l’erogazione della sicurezza informatica.
È l’equivalente digitale di dare allo Stato il monopolio sulle serrature delle porte di casa. Cosa succede se salta fuori che il modello di serratura imposto dallo Stato è arcaico e scassinabile? Diventano scassinabili tutte le serrature di tutte le case.
C’è poi il problema dell’accentramento delle credenziali: se un malintenzionato riesce a fare phishing del mio SPID, si sostituisce a me in tutto e per tutto non solo nei miei rapporti con lo Stato, ma anche in tutti gli altri miei rapporti online, perché ho messo tutte le mie uova nello stesso paniere. È l’equivalente di avere una chiave universale per tutte le serrature di casa e farsela rubare.
Aggiungo un altro problema: se si usa lo SPID per accedere ad altri siti non statali (per esempio per fare acquisti o per comunicare tramite i social network), cosa succede se i server SPID vanno in crash o sovraccarico? Non solo non ci si può collegare ai servizi digitali dello Stato, ma non ci si può più collegare neanche ai social network, alla mail, ad Amazon, alla banca, eccetera eccetera. È come avere quell’unica chiave universale e scoprire che si è rotta.
La ministra, di fronte alle obiezioni che le sono subito arrivate, ha corretto quel “dovrebbe” in “potrebbe”.
Infine, giustificarsi dicendo “perché è lo Stato l’unico soggetto che ha davvero certezza che quello è quel cittadino” è una sciocchezza, perché per comprare un maglione o un biglietto al cinema non c’è bisogno di sapere chi lo compra: è sufficiente sapere che chiunque lo compri abbia soldi per pagarlo. Anzi, se voglio comperare un test di gravidanza, dire il mio nome e cognome potrebbe essere l’ultima cosa che sento il bisogno di fare.
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Prevengo le inevitabili considerazioni del tipo “beh, però se tutti fossero identificati online dallo Stato, non ci sarebbero le minacce e gli insulti nei social network”. È un mito fasullo, già sviscerato tempo addietro qui. Non funziona così.
La versione originale di questo articolo (2020/01/04)
Per correttezza e traccia cronologica, riporto qui sotto la versione originale del mio articolo, scritta quando la ministra non aveva ancora chiarito che con “user e password” intendeva in realtà SPID. Le considerazioni che seguono valgono per la dichiarazione iniziale della ministra (“un’unica e sola user e password”) e non si applicano necessariamente a SPID.
Nei primi minuti della puntata di Eta Beta di Radio Rai di stamattina (riascoltabile qui), la ministra italiana per l’Innovazione Paola Pisano ha fatto una dichiarazione che ha creato un certo sconcerto in Rete:
Con l’identità digitale noi avremo un’unica e sola user e password per accedere a tutti i servizi digitali, ma questa user e password potrebbe anche essere utilizzata per accedere non solo ai servizi digitali della pubblica amministrazione ma ai servizi digitali anche del privato. Per esempio il nostro conto in banca, per esempio prenotare un’auto in sharing, andare al cinema, per esempio comprare su Amazon. Ogni volta che noi abbiamo una user e una password, questa user e password dovrebbe essere data dallo Stato, perché è lo Stato l’unico soggetto che ha davvero certezza che quello è quel cittadino. E lei lo sa quante truffe ci sono sull’identità su Internet.
La dichiarazione della ministra è molto problematica: pensare che si debba usare un’unica coppia username/password dappertutto (non solo verso lo Stato, ma anche verso i privati) significa andare contro uno dei principi di base della sicurezza informatica, ossia mai usare la stessa password e lo stesso username dappertutto. La ragione è semplice: se uso la stessa password ovunque, per esempio, e avviene un furto di password presso uno qualsiasi dei siti che ho usato, il ladro ha accesso a tutti i miei servizi.
Non solo: se gli utenti usano nei siti generici le stesse credenziali che hanno per i rapporti con lo Stato o con la sanità, questo vuol dire che il livello di protezione di quelle credenziali statali diventa quello del più scalcinato dei siti generici che le usano. Per saccheggiare gli account di Stato non c’è bisogno di attaccare i server della pubblica amministrazione: basta attaccare quelli del negozietto online gestito dal cugino del proprietario che è bravo con i videogame e quindi sa tutto di informatica.
Ma c’è anche un problema molto serio di privacy: usare l’identità digitale fornita dallo Stato anche per gli acquisti e i servizi nel settore privato significa collegare le attività private (che non devono interessare a uno Stato) a quelle che riguardano lo Stato (tasse, certificati, atti pubblici), e questa è sempre una pessima idea. Vostra figlia ha il diritto di acquistare un sextoy o Mein Kampf o una guida all’Islam senza che lo Stato ci possa mettere il becco o schedarla per le sue abitudini.
E per “lo Stato” non intendo solo lo Stato attuale, ma tutti gli Stati possibili futuri: ammesso che vi fidiate dello Stato che esiste ora, non potete sapere se salirà al potere una dittatura o semplicemente un governo che prenderà di mira qualche comportamento o condizione che prima era legittima (consumo di droghe, aborto, vasectomia, omosessualità, orientamento religioso o politico, tanto per fare qualche esempio). Anche dichiararsi ebrei nel censimento meccanizzato dall’IBM non sembrava un problema in Germania, fino a che è salito al potere il nazismo e ha usato quei dati per uno sterminio di massa.
La terza parte della dichiarazione è però ancora più problematica: sostenere che “Ogni volta che noi abbiamo una user e una password, questa user e password dovrebbe essere data dallo Stato“ significa accentrare nello Stato l’erogazione della sicurezza informatica. È l’equivalente digitale di dare allo Stato il monopolio sulle serrature delle porte di casa. Cosa succede se salta fuori che il modello di serratura imposto dallo Stato è arcaico e scassinabile? Diventano scassinabili tutte le serrature di tutte le case.
Infine, giustificarsi dicendo “perché è lo Stato l’unico soggetto che ha davvero certezza che quello è quel cittadino” è una sciocchezza, perché per comprare un maglione o un biglietto al cinema non c’è bisogno di sapere chi lo compra: è sufficiente sapere che chiunque lo compri abbia soldi per pagarlo.
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2020/01/01
Siete stati donatori di Moonscape nel 2019? Il vostro nome ora è nei titoli di coda
Come probabilmente sapete, Moonscape è il mio documentario libero e gratuito che restaura e ripropone integralmente le immagini del primo allunaggio umano, quello di Apollo 11 nel luglio del 1969.
Se nel corso del 2019 avete fatto una donazione per sostenere il progetto e mi avete dato il vostro permesso di essere citati, da oggi il vostro nome compare ora nei titoli di coda insieme a quelli degli altri donatori.
Inoltre, sempre da oggi, Moonscape è scaricabile direttamente, senza dovermi più scrivere per ottenere i link di scaricamento come avveniva in passato. Ho anche aggiornato leggermente i titoli di testa, ripulendo e stabilizzando alcune immagini e correggendo alcune variazioni di colore.
Agli oltre 700 donatori che hanno reso possibile tutto questo, grazie!
Se nel corso del 2019 avete fatto una donazione per sostenere il progetto e mi avete dato il vostro permesso di essere citati, da oggi il vostro nome compare ora nei titoli di coda insieme a quelli degli altri donatori.
Inoltre, sempre da oggi, Moonscape è scaricabile direttamente, senza dovermi più scrivere per ottenere i link di scaricamento come avveniva in passato. Ho anche aggiornato leggermente i titoli di testa, ripulendo e stabilizzando alcune immagini e correggendo alcune variazioni di colore.
Agli oltre 700 donatori che hanno reso possibile tutto questo, grazie!
2019/12/31
Oculus Quest, arriva la modalità a mani libere
Cosa fa un geek all’ultimo dell’anno? Installa gli aggiornamenti di Oculus Quest per fare realtà virtuale con gli amici, ovviamente!
Oculus ha rilasciato un paio di settimane fa un aggiornamento software per il Quest che abilita parzialmente il tracciamento delle mani (hand tracking): in pratica, le telecamere integrate nel visore vedono le mani dell’utente e ne riconoscono la posizione e i movimenti, traducendo il tutto in comandi. Il risultato è che si può fare a meno di impugnare un controller e cliccare pulsanti.
Per ora le funzioni sono limitate: i giochi non supportano ancora questo tracciamento e lo si può usare solo nell’interfaccia della Home del Quest o nel browser o in Oculus TV, per esempio per gestire i video. Ma l’effetto è notevole, come potete vedere nella registrazione del mio primo esperimento di hand tracking qui sotto (sì, lo so, è su Facebook, che detesto con tutto il cuore, ma l’esportazione rapida dei video passa da lì).
Il software riconosce le posizioni delle mani e delle singole dita, a patto che siano nell’ampio campo visivo delle telecamere integrate nel visore e che non si sovrappongano. C’è qualche lieve imprecisione quando faccio il saluto vulcaniano, come noterete a circa 39 secondi nel video, ma come primo assaggio, oltretutto gratuito e senza necessità di hardware aggiuntivo, davvero non c’è male.
L’aggiornamento include anche un breve tutorial che insegna i principali gesti: unire pollice e indice equivale a fare clic; tenerli uniti e spostare la mano equivale a trascinare.
Per installare l’aggiornamento è sufficiente andare in Settings - About e cercare se ci sono aggiornamenti. Se siete aggiornati a una versione software dalla 12 inclusa in su, siete a posto. Se l’avete appena installata, dovete fare reboot dell’Oculus (un semplice restart non basta), e a questo punto comparirà, sempre in Settings - About - Experimental Features, la nuova opzione Hand tracking. Abilitatela.
Fatto questo, per passare dai controller al tracciamento delle mani si va nel menu Home, nel quale si trova, sotto Settings, la voce Use Hands.
Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi è piaciuto, potete incoraggiarmi a scrivere ancora facendo una donazione anche voi, tramite Paypal (paypal.me/disinformatico), Bitcoin (3AN7DscEZN1x6CLR57e1fSA1LC3yQ387Pv) o altri metodi.
Oculus ha rilasciato un paio di settimane fa un aggiornamento software per il Quest che abilita parzialmente il tracciamento delle mani (hand tracking): in pratica, le telecamere integrate nel visore vedono le mani dell’utente e ne riconoscono la posizione e i movimenti, traducendo il tutto in comandi. Il risultato è che si può fare a meno di impugnare un controller e cliccare pulsanti.
Per ora le funzioni sono limitate: i giochi non supportano ancora questo tracciamento e lo si può usare solo nell’interfaccia della Home del Quest o nel browser o in Oculus TV, per esempio per gestire i video. Ma l’effetto è notevole, come potete vedere nella registrazione del mio primo esperimento di hand tracking qui sotto (sì, lo so, è su Facebook, che detesto con tutto il cuore, ma l’esportazione rapida dei video passa da lì).
Il software riconosce le posizioni delle mani e delle singole dita, a patto che siano nell’ampio campo visivo delle telecamere integrate nel visore e che non si sovrappongano. C’è qualche lieve imprecisione quando faccio il saluto vulcaniano, come noterete a circa 39 secondi nel video, ma come primo assaggio, oltretutto gratuito e senza necessità di hardware aggiuntivo, davvero non c’è male.
L’aggiornamento include anche un breve tutorial che insegna i principali gesti: unire pollice e indice equivale a fare clic; tenerli uniti e spostare la mano equivale a trascinare.
Per installare l’aggiornamento è sufficiente andare in Settings - About e cercare se ci sono aggiornamenti. Se siete aggiornati a una versione software dalla 12 inclusa in su, siete a posto. Se l’avete appena installata, dovete fare reboot dell’Oculus (un semplice restart non basta), e a questo punto comparirà, sempre in Settings - About - Experimental Features, la nuova opzione Hand tracking. Abilitatela.
Fatto questo, per passare dai controller al tracciamento delle mani si va nel menu Home, nel quale si trova, sotto Settings, la voce Use Hands.
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Il 17 gennaio sarò a Biasca per parlare di fake news
Venerdì 17 gennaio 2020 alle 20 sarò ospite di Bibliomedia, in via Lepori 9 a Biasca (Canton Ticino), per la conferenza pubblica Anche tu detective antibufala: tecniche e strumenti per distinguere fra fatti e bufale nei media moderni. L’ingresso è libero.
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Samantha Cristoforetti lascia l’Aeronautica Militare, non lo spazio
Samantha Cristoforetti alla FedCon (2018). Credit: Paolo Attivissimo. |
Ultimo aggiornamento: 2020/01/04.
Il Corriere della Sera ha pubblicato la notizia del congedo di Samantha Cristoforetti dall’Aeronautica Militare Italiana, previsto per i primi di gennaio 2020 con una cerimonia che si terrà ad Istrana, sede del suo 51° Stormo. AGI dice che è una pratica comune e non va interpretata come sintomo di ipotetici dissapori.
Nessun congedo, tuttavia, dall’attività astronautica, come qualcuno ha temuto: lo segnala Open e me lo conferma anche una fonte attendibile di settore. Inoltre nei mesi scorsi Samantha ha parlato apertamente nei media italiani e germanofoni di un suo ritorno nello spazio intorno al 2022.
Non so altro e possiamo benissimo attendere che sia Samantha stessa a comunicare le ragioni della sua scelta, se e quando vorrà. Per citare uno dei suoi autori preferiti, Douglas Adams, Don’t Panic!
2020/01/02
Repubblica sostiene drammaticamente (copia su Archive.is) che l’astronauta sarebbe stata “tradita dall’Aeronautica” perché “sembra che ci siano le pressioni dei vertici militari per far andare nello spazio un altro astronauta”.
Notate il “sembra”, che di solito si usa per pararsi le spalle quando non si hanno prove concrete e si fa puro pettegolezzo.
L’articolo è a firma da Luca Fraioli, che scrive che “non c'è niente da festeggiare, perché è evidente come, pur nel silenzio dei diretti interessati, l'addio sia stato tutt'altro che indolore.”
Sarebbe interessante sapere quali sarebbero, secondo Fraioli, queste evidenze. L’articolo è nella sezione a pagamento di Repubblica, alla quale non ho accesso. È prudente ricordare che i media non sono stati particolarmente sagaci nello scoprire neppure il nome giusto della figlia di Samantha Cristoforetti e che in un caso hanno addirittura inventato un’intervista.
---
Verso sera Samantha ha pubblicato in un tweet alcune precisazioni, che riporto integralmente:
Tornata da una breve vacanza con la famiglia, vorrei fare alcune brevi precisazioni a proposito delle notizie che mi riguardano riportate nei giorni scorsi dalla stampa.
È vero che mi sono congedata dall’Aeronautica Militare il giorno 31.12.2019 transitando nel complemento. Era mia facoltà chiedere la cessazione del servizio da quando, nel settembre 2019, ho concluso i miei obblighi di ferma.
In previsione di questa "scadenza" avevo informato i vertici dell’Aeronautica Militare già all’inizio del 2019 sul fatto che avrei riflettuto, nel corso dell’anno, sull’opportunità o meno di continuare la doppia dipendenza da ESA e dalla Forza Armata, resa possibile dalla legge 1114/62.
Dal 2009 sono infatti impiegata in ESA in qualità di astronauta. Da ESA dipendo per l’impiego quotidiano e da ESA percepisco lo stipendio. L’appartenenza alla Forza Armata ha avuto negli ultimi 10 anni un valore simbolico e affettivo.
Le Superiori Autorità hanno inoltre sempre saputo, perché l’ho sempre detto chiaramente, che non avevo anche per il futuro intenzione di lasciare il mio incarico in ESA. Per questo ho ritenuto poco utile interrompere le mie attività per svariati mesi per svolgere i corsi necessari all’avanzamento a Ufficiale Superiore, e vi ho quindi rinunciato, rinunciando contestualmente di mia volontà all’avanzamento nel grado.
Riguardo ai motivi per i quali mi sono congedata e alle varie ipotesi che ho letto:
1) non sto cambiando mestiere o assumendo un nuovo incarico: continuo ad essere un’astronauta dell’Agenzia Spaziale Europea e conto di tornare presto nello spazio;
2) non mi sento oggetto di discriminazione di genere: non posso entrare nella testa delle persone, ed è vero che siamo tutti, ma proprio tutti, pieni di bias di ogni tipo, ma io non ho motivo concreto di lamentare alcuna discriminazione di questo tipo;
3) ho avuto il massimo supporto da parte della delegazione italiana alla Ministeriale ESA dello scorso novembre, tanto che l’Italia ha ottenuto l’impegno per un secondo volo per me entro qualche anno; ho già allora manifestato pubblicamente la mia gratitudine al capo delegazione, Sottosegretario Fraccaro, e a tutto il team della Presidenza del Consiglio e di ASI, quest’ultimo guidato dal Presidente Saccoccia;
4) semplicemente, ho avuto occasione di esprimere alla Forza Armata, nelle sedi appropriate, il mio disaccordo riguardo ad alcune situazioni e, contestualmente, ho ritenuto per coerenza e per mia serenità di congedarmi. In schiettezza e reciproca cordialità, senza alcuna polemica. Speravo anche con discrezione, ma su questo nulla ho potuto.
La formazione di pilota militare è un’ottima strada, seppur certamente non l’unica, per prepararsi a fare l’astronauta. In vista di una nuova selezione astronauti prevista entro un paio d’anni, mi auguro che tanti e tante giovani Ufficiali vogliano partecipare e a loro va il mio “in bocca al lupo”. Alle tante amiche e ai tanti amici che vestono l’uniforme azzurra, il mio affetto. A tutte le donne e a tutti gli uomini dell’Aeronautica Militare e di tutte le Forze Armate il mio grazie, da cittadina italiana, per il servizio che prestano al Paese. Sono stata orgogliosa di essere una Vostra collega.
2020/01/04
Sempre Luca Fraioli, su Repubblica a pagina 21, riporta le parole del presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, Giorgio Saccoccia, che non si sbilancia sulle motivazioni della scelta di congedo di Samantha Cristoforetti nonostante i ripetuti tentativi di Fraioli di legarla alle “pressioni dell’Aeronautica per far volare nello spazio il tenente colonnello Walter Villadei, che da anni si addestra al di fuori dei programmi dell’Agenzia spaziale europea”. Saccoccia chiarisce che “Nella Ministeriale di Siviglia di fine novembre l’Agenzia spaziale e tutta la delegazione si sono impegnate per ottenere un nuovo volo di lunga durata per Samantha. Alla fine il direttore dell’Esa Johann-Dietrich Wörnerm [sic; è Wörner] si è impegnato a proporre Cristoforetti per un ritorno sulla Stazione spaziale internazionale entro il 2022.”
Insomma, le congetture abbondano, ma le vere motivazioni le sanno in pochi e quei pochi hanno deciso di tenerle riservate. Inutile perdersi in teorie. Quello che conta, per la carriera astronautica di Samantha Cristoforetti e per gli appassionati di volo spaziale, è che Sam tornerà nello spazio.
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