Sta circolando moltissimo nei social network questa foto, descritta come “La Luna fotografata nel corso di 28 giorni nello stesso luogo alla stessa ora”. NO. È un fotomontaggio, opera di Giorgia Hofer. La Luna non segue questa traiettoria. E no, gli analemmi sono un’altra cosa e hanno un’altra forma. Se volete saperne di più, c’è un debunking approfondito qui in inglese.
2020/12/09 16:10. Sulla questione è intervenuto anche il debunker PicPedant: “semmai è la Luna fotografata nel corso di un anno con le fasi incollate secondo una curva arbitrariamente artisticheggiante senza alcun nesso con la sua effettiva posizione astronomica nel corso del tempo.” Fine.
Credit: Giorgia Hofer (fotomontaggio).
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Nel 1947 a bordo del Bell X-1 fu il primo a superare il muro del suolo.
in Vietnam portò a termine 127 milioni di combattimento.
Lasciamo stare gli altri refusi del testo. Nessuno rilegge. Della qualità non gliene frega più niente a nessuno.
17.55. Correzione: nella prima stesura di questo post avevo scritto che l’articolo del Corriere era nella sezione a pagamento. In realtà era il mio filtro anti-Facebook che attivava lo spottone pubblicitario della sezione a pagamento. Eh sì, perché il Corriere fa tracciare i propri lettori da Facebook. Grazie, ma anche no. Sono un lettore, non il prodotto in vendita.
Conoscete qualcuno che ha la fissa del complotto delle onde elettromagnetiche che fanno malissimissimo però tiene il Wi-Fi in casa, usa il telecomando della TV e ha il telefonino in tasca? Ho il regalo perfetto per queste persone.
In vendita nei principali negozi online ci sono delle gabbie di Faraday per router Wi-Fi. Non so se si tratti di uno scherzo o se il prodotto esista realmente, ma in ogni caso è una trovata geniale.
Si tratta di contenitori in maglia metallica fitta, che bloccano il passaggio delle onde radio. Addio, quindi, “radiazioni dannose”, ma addio anche al segnale Wi-Fi, perché il Wi-Fi usa le onde radio. Non si Può avere il Wi-Fi e contemporaneamente schermare le onde radio: è come cercare di bere da un rubinetto tappato.
La parte più bella della burla sta nelle recensioni (anche qui, non so se autentiche o meno): gente che si lamenta che non le funziona più Internet e che il segnale Wi-Fi è diventato debolissimo. Ma come pensano che arrivi Internet ai loro dispositivi senza fili? Per magia? Credono che Internet sia dentro il loro telefonino?
Giusto per scrupolo: le emissioni radio dei dispositivi Wi-Fi sono strettamente regolamentate e dopo decenni di uso non ci sono prove concrete di una loro nocività. Ma se non volete onde radio Wi-Fi per casa, invece di comprare uno scatolotto metallico, imparate a leggere il manuale del vostro router Wi-Fi e a spegnere la sezione radio. Così potrete collegarvi a Internet usando solo i cavi, nella maniera classica.
Il 21 dicembre sarà una giornata speciale: ho Saturno e Giove in congiunzione. No, non mi sono convertito all’astrologia. Mi riferisco a un fenomeno astronomico reale, e infatti la congiunzione di cui parlo non riguarda me, ma vale per tutti ed è visibile in quasi tutto il mondo. Se ricevete un avviso via mail o sui social network che vi dice che ci sarà un fenomeno celeste raro, che avviene soltanto ogni 400 anni, stavolta è vero.
Giove e Saturno, i due pianeti più grandi del nostro Sistema Solare, saranno infatti ben visibili in cielo, come sempre, ma con la particolarità di essere visivamente molto vicini tra loro (mantengono le proprie distanze di circa 700 milioni di chilometri l’un dall’altro e il più vicino, ossia Giove, resterà a circa 860 milioni di chilometri da noi, ma vistidalla Terra sembreranno vicini).
Il fenomeno è denominato grande congiunzione, e normalmente si ripete ogni vent’anni, ma stavolta i due pianeti saranno apparentemente molto
vicini: invece di un grado (l’equivalente di due Lune piene) come consueto, saranno
separati soltanto da un decimo di grado (l’equivalente di un quinto del
diametro di una Luna piena). Questa vicinanza apparente così stretta
avviene raramente: l’ultima volta si è verificata nel 1623. Ma grazie alle complesse bizzarrie della meccanica celeste ci sarà una grande congiunzione di nuovo nel 2080. Resta in ogni caso un evento che capita una sola volta nella vita.
Ricordatevi
di guardare il cielo il 21 dicembre o nei giorni appena precedenti o successivi, nubi permettendo, e di non
preoccuparvi di quelli che sembreranno due fanali d’auto sospesi in
cielo: non sono né alieni né mondi in collisione né presagi di terremoti o apocalissi
assortite. Godetevi lo spettacolo, che è visibile anche a occhio nudo ma migliora parecchio se avete un piccolo telescopio o un buon
binocolo, così vedrete anche le lune di questi pianeti.
In caso di maltempo rivolgetevi alla diretta streaming
offerta dall’Osservatorio Lowell che ho incorporato qui sotto insieme a una spiegazione del fenomeno. Fra l’altro, il 21 dicembre è previsto anche il picco di meteore delle Ursidi, per cui potrebbe essere una notte astronomicamente davvero memorabile.
Capita anche a voi di ricevere strane mail contenenti link ancora più strani? Cose tipo “Auguri per il tuo futuro,Paolo C*** https://bit.ly/2J*****”? È abbastanza facile intuire che si tratti di una trappola di qualche genere e che cliccarvi sopra non sia una buona idea, ma se non riuscite a resistere alla curiosità di sapere cosa siano esattamente, ho uno strumento sicuro per voi.
Si chiama Wheregoes.com ed è un sito molto semplice che fa una sola cosa e la fa bene e senza fronzoli: gli date un link sospetto e lui vi dice dove porta realmente.
Moltissimi link, infatti, oggi vengono abbreviati (con servizi come Bit.ly o Tinyurl.com) oppure usano dei redirect e quindi la loro effettiva destinazione non è immediamente comprensibile. Con Wheregoes.com potete levarvi il dubbio in modo perfettamente sicuro.
E se volete anche vedere in modo sicuro che aspetto ha la destinazione di un link, senza mettere a rischio il vostro computer, provate Browserling.com: vi mette a disposizione un computer virtuale per una manciata di minuti. Immettetevi il link, guardate dove porta e non vi preoccupate di furti di dati o infezioni: è il computer virtuale che lo sta visitando, non il vostro, e comunque quel computer verrà azzerato dopo l’uso.
Che gioia. Era possibile prendere il controllo di qualunque iPhone a distanza, accedendo anche a telecamere e microfono e rubando mail, foto e messaggi. Ma niente panico: la falla è già stata risolta tempo fa, con l’aggiornamento alla versione 13.5 di iOS (ora siamo alla 14.2). Se non l’avete già installato, fatelo.
La scoperta della falla è merito di un singolo ricercatore, Ian Beer di Project Zero, che ha passato (parole sue) “sei mesi del 2020 bloccato in un angolo della mia camera da letto, circondato da miei adorabili bambini urlanti... non [per trovare] un incantesimo per convincerli a dormire [...] ma un exploit wormable di radioprossimità che mi consentisse di prendere il controllo completo di qualunque iPhone nelle mie vicinanze.” Ognuno ha le proprie priorità.
Se non avete idea di cosa sia un “exploit wormable di radioprossimità”, traduco: una falla di sicurezza sfruttabile, capace di propagarsi da un dispositivo all’altro, che richiede solo che il dispositivo attaccato sia abbastanza vicino da essere raggiunto da un segnale radio e non richiede che la vittima faccia qualcosa.
Ian Beer racconta la sua avventura in un post dettagliatissimo, al limite dell’Odissea interiore, ma in sintesi: i dispositivi Apple possono scambiarsi file (per esempio foto) e condividere schermate tramite Wi-Fi (Apple chiama questa funziona Wireless Direct Link). Beer ha scoperto un difetto nel funzionamento di questo sistema e lo ha sfruttato, usando il proprio ingegno e dei componenti elettronici facilmente reperibili a basso costo (Raspberry Pi e degli adattatori Wi-Fi).
In questo modo ha avuto anche il potere straordinario di bloccare, spegnere e riavviare qualunque iPhone a distanza, usando solo apparecchi portatili, come mostra in questo video:
Per fortuna Beer è uno dei buoni: ha segnalato il problema ad Apple, che l’ha corretto prima che lo scoprissero i malintenzionati.
Stasera alle 20.40 sarò ospite in video, per una chiacchierata informale su Luna, bufale e fake news, di All'Ora di Amadeus. Potete seguire e/o partecipare tramite il canale YouTube oppure su Facebook.
2020/12/05 12:05: Il video è online, se volete (ri)vedere la chiacchierata. Io arrivo a 56:00.
Poco fa
Deborah Martorell
ha postato la foto che vedete qui sopra: sono precipitate circa 900 tonnellate
di apparati che erano sospesi a 150 metri d’altezza sopra la gigantesca parabola (300 metri di
diametro) del radiotelescopio di Arecibo, in Porto Rico. I cavi che reggevano
questi apparati, quelli che si vedono nella foto d‘archivio qui sotto (fonte), erano lesionati da tempo e non più riparabili, e avevano già danneggiato
parzialmente la fragile parabola.
È la fine ingloriosa di uno strumento scientifico straordinario, che per
decenni è stato il più grande radiotelescopio a parabola singola del mondo.
Molti lo ricordano come ambientazione fantastica ma vera di alcune scene dei
film Goldeneye con Pierce Brosnan e di Contact. Ma il suo
contributo alla conoscenza dell’universo va ben oltre le comparsate
cinematografiche.
La National Science Foundation dice che il crollo è avvenuto durante la notte
e che non ci sono stati feriti:
The instrument platform of the 305m telescope at Arecibo Observatory in
Puerto Rico fell overnight. No injuries were reported. NSF is working with
stakeholders to assess the situation. Our top priority is maintaining
safety. NSF will release more details when they are confirmed.
pic.twitter.com/Xjbb9hPUgD
I video successivamente rilasciati, però, documentano che il crollo è avvenuto
di giorno. Forse “overnight” è riferito al luogo in cui si trova la
sede dell’NSF.
La descrizione del
video spiega in
dettaglio la dinamica del crollo. Le riprese sono opera di Carlos Perez e
Adrian Bague, secondo
questa fonte.
Le
prime immagini dei danni
visti dall’aria sono brutali. Non c’è nessuna speranza di riparazione.
Dietro questo capolavoro d’ingegneria c’è una storia altrettanto
straordinaria. Tornate qui tra un’oretta e ve la racconterò. Prima devo farmi
passare il magone.
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Il colossale radiotelescopio di Arecibo sembrava preso di peso da un film di
fantascienza: aveva una superficie circolare concava di oltre 300 metri di
diametro, collocata in un avvallamento naturale del terreno, e un apparato
ricevente mobile da 900 tonnellate sospeso a 150 metri d’altezza tramite cavi
collegati a tre torri altissime.
Ma era un’opera da fantascienza anche in un altro senso: quest’apparato
scientifico gigantesco fu infatti costruito a tempo di record, in soli tre
anni, negli anni Sessanta del secolo scorso. Come fu possibile un’impresa del
genere, vista l’eterna difficoltà di reperire fondi per branche a prima vista
così lontane da ritorni pratici come la radioastronomia, che oltretutto
all’epoca era una scienza giovanissima e quindi povera?
Per capirlo bisogna frugare nel suo passato. L’enorme apparato non era sempre
stato un radiotelescopio come lo abbiamo conosciuto per decenni: in origine,
alla fine degli anni Cinquanta, fu infatti commissionato e finanziato dai
militari statunitensi dell’ARPA (Advanced Research Projects Agency) non per
osservare gli astri lontani ma per svolgere ricerche sulla ionosfera,
nell’ambito del grande progetto
Defender
per la difesa contro i temutissimi missili balistici sovietici. Il suo
acronimo originale era Arecibo Ionospheric Observatory (AIO); la
ricerca astronomica era un sottoprodotto e una buona storia di copertura.
Un’antenna così grande e sensibile, infatti, avrebbe permesso di rilevare le
perturbazioni
prodotte nella ionosfera dal passaggio ipersonico dei missili nemici, a circa
80 chilometri di quota, e di distinguere le loro testate nucleari reali da
quelle finte (decoy), concepite per depistare e sovraccaricare i
sistemi di difesa antimissile.
C’era anche il problema non banale di distinguere un missile che rientrava in
atmosfera da una meteora o da altri fenomeni naturali che potevano essere
scambiati per un attacco nucleare. Sferrare un contrattacco atomico per errore
sarebbe stato piuttosto imbarazzante.
Il radiotelescopio di Arecibo nacque quindi come impianto di ricerca del
Dipartimento della Difesa statunitense e fu costruito da imprese civili sotto
la supervisione dell’esercito. È questa genesi militare la spiegazione della
misteriosa rapidità di costruzione e della disponibilità straordinaria di
fondi.
La gestione dell’impianto fu affidata ai civili della Cornell University e
finanziata per metà dall’ARPA per il primo decennio di attività. Ma le
attività militari proseguirono anche dopo l’affidamento ai civili: per
esempio, l’NSA usò Arecibo per localizzare i radar strategici sovietici,
sfruttando ingegnosamente i loro segnali riflessi dalla Luna e spacciando
quest’attività per uno studio delle temperature lunari.
“The open designation of our work was a study of lunar temperatures”,
scrive N.C. Gerson nell’articolo parzialmente desecretato
SIGINT in Spacedel 1984, presente negli archivi pubblici dell’intelligence statunitense.
Per dare un’idea dell’aria che tirava in quegli anni, vale la pena di leggere
attentamente questa nota disinvolta di Gerson:
“Avevo fatto notare [all’ARPA] che [...] un sito alle Seychelles sarebbe
stato molto migliore. Godell dell’ARPA si offrì in seguito di costruire
un’antenna per l’NSA, alle Seychelles o altrove. Sarebbe stata utilizzata
una detonazione nucleare e l’ARPA garantiva una radioattività residua minima
e la forma corretta del cratere in cui poi collocare l’antenna.”
Non se ne fece nulla per via della moratoria sui test nucleari, ma si
proponeva in tutta serietà di scavare una conca con una bomba atomica. Alle
Seychelles.
I militari si resero conto ben presto che c’erano altri modi più efficienti di
gestire la difesa antimissile e lasciarono perdere Arecibo. La comunità
scientifica si trovò così con uno strumento radioastronomico che rimase senza
rivali per oltre quarant’anni, fino alla recente realizzazione del
radiotelescopio cinese
FAST
da 500 metri di diametro.
Arecibo permise di scoprire, fra tante altre cose,
il vero periodo di rotazione di Mercurio nel 1967 (59 giorni, 1967), le prove dell’esistenza delle stelle di neutroni, contribuendo a un
premio Nobel per la fisica nel 1974 e a un altro nel 1993 (pulsar binarie), producendo la
prima mappa radar di Venere
(pianeta perennemente coperto di nubi e quindi impossibile da mappare
otticamente), scoprendo i
primi esopianeti
(1992) e ottenendo la prima immagine radar di un asteroide (Castalia). Fu anche usato, nel 1974, per trasmettere il primo
messaggio intenzionale
verso eventuali civiltà extraterrestri.
Le origini militari dell’impianto furono dimenticate ben presto dall’opinione
pubblica e sopravvivono oggi solo nei documenti d’epoca e in qualche
pubblicazione rievocativa per addetti ai lavori.
Ci si lamenta spesso dei costi della ricerca scientifica, ma storie
dimenticate come questa dimostrano che sono poca cosa rispetto alle spese
belliche. Il più grande radiotelescopio del mondo fu costruito dai militari
con gli spiccioli del loro budget: è questa la vera parabola su cui
riflettere.
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Un altro giorno, un altro imbarazzo. ANSA pubblica una notizia sulla Formula Uno e ne lascia un pezzo in inglese (copia permanente). Le altre testate la ripubblicano in automatico, senza controllare.
Per chi non può leggere lo screenshot: “Il campione del mondo di Formula Uno Lewis Hamilton è risultato positivo
al test per il Covid-19. Salterà per questo il GP a Sakhir nel Bahrain
after testing positive for coronavirus. il prossimo weekend”.
E questo lo chiamano giornalismo. René Ferretti lo chiamerebbe in un altro modo, ma questo è un blog per famiglie. Va be'. Ringrazio @dugongop per la segnalazione.
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