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Il Disinformatico

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2020/05/07

Che ne dite, traduciamo l’autobiografia spaziale più poetica che ci sia?

Pubblicazione iniziale: 2023/05/07 00:35. Ultimo aggiornamento: 2023/10/08 00:25.

Un paio di settimane fa vi ho proposto informalmente un’idea: tradurre in italiano Carrying the Fire di Michael Collins, la più bella e poetica delle autobiografie degli astronauti lunari. Ne trovate una dettagliata recensione su Tranquillity Base (in italiano).

Tramite un editore italiano sto cercando di finanziare l’acquisto dei diritti di traduzione, perché dopo cinquant’anni ancora non ne esiste un’edizione italiana. L’agenzia titolare dei diritti del libro, però, ha rifiutato qualunque offerta di cifre compatibili con il mercato librario italiano (non chiedetemi quanto; non posso divulgarlo, almeno per ora).

La mia impressione è che ragionando sui numeri tipici di altri paesi europei, il titolare dei diritti non si renda conto che chiedendo cifre così elevate nessun editore italiano potrà mai sostenere l’onere economico di una traduzione e di una pubblicazione e distribuzione da spalmare, se va di lusso, su due o tremila copie.

In altre parole: siccome il titolare chiede troppi soldi, non ne incasserà affatto, perché il libro non verrà mai tradotto in italiano. Bella mossa, complimenti.

Nei giorni scorsi vi ho chiesto, senza impegno, se sareste stati disposti a spendere 20 euro per leggere una traduzione italiana (curata da me) dell’autobiografia di Collins. Il sondaggio che ho lanciato su Twitter ha dato 759 adesioni. Via mail mi sono arrivate altre 53 adesioni. Diciamo 800 per fare cifra tonda. Sarebbero, in teoria, 16.000 euro per finanziare l’intera operazione: diritti, traduzione, stampa, distribuzione, tasse. Un’edizione puramente digitale, un EPUB o PDF, eliminerebbe quasi completamente i costi di stampa e distribuzione.

Non è tantissimo, ma non è neanche poco. Così ho mandato questo tweet a Michael Collins:

Vediamo che succede.

---

Se anche questo tentativo fallisse, ci sarebbe un’altra via: chi è interessato alla traduzione acquista una copia cartacea dell’originale di Collins (12 dollari su Amazon), i cui diritti vanno quindi a Collins, e io gli fornisco la traduzione digitale dell’intero testo per, diciamo, cinque euro. È lo stesso metodo usato dalle associazioni che leggono i libri per i ciechi: non devono chiedere autorizzazioni agli editori perché il CD con l’audio del libro è un allegato al libro cartaceo. Non è un’opera autonoma e non è vendibile separatamente. Solo chi ha la copia cartacea può avere il CD.

Chiaramente se venti ciechi chiedono lo stesso libro, non vengono registrate venti letture separate del medesimo testo: semplicemente si dà a ciascuna persona una copia della registrazione della lettura fatta una volta sola. Lo stesso approccio si potrebbe applicare anche alla traduzione. Vorrei evitare di arrivare a questa soluzione complicata, ma comincio ad accennarvela come Piano B.

2020/06/02 14:45

La trattativa con i detentori dei diritti sta procedendo: nel progetto è prevista un’edizione digitale, fornita in anteprima a chi partecipa al finanziamento del progetto e poi al pubblico generico, seguita da un’edizione cartacea. Il tutto dipende ovviamente dall’approvazione dei detentori e dai finanziatori. Per ora non posso dire altro pubblicamente. Intanto, però, è arrivata questa adesione molto speciale al progetto:

2023/10/08 00:25

Visto il progressivo deteriorarsi di Twitter/X sotto la gestione di Elon Musk, aggiungo qui sotto uno screenshot del tweet di Samantha Cristoforetti. Non si sa mai.

2020/05/06

Storie di Scienza 2: Scoperto il buco nero più “vicino” alla Terra, in un sistema visibile a occhio nudo

La notizia è rimasta sotto stretto embargo giornalistico fino a pochi minuti fa: è stato rilevato un buco nero situato a 1000 anni luce dalla Terra. È il più vicino conosciuto e oltretutto fa parte di un sistema stellare triplo visibile a occhio nudo. Potrebbe essere il primo di una serie tutta da scoprire. Ma niente panico: a quella distanza non comporta alcun pericolo. Mi aspetto ogni sorta di articolo catastrofico sui giornali generalisti, per cui faccio qui un po’ di debunking preventivo.

Rappresentazione artistica del sistema triplo HR6819, con due stelle visibili (orbite azzurre) e un buco nero (orbita rossa). Credit: ESO.


L’annuncio della scoperta arriva da un gruppo di astronomi dell’ESO (European Southern Observatory) e di altri istituti, diretto da Thomas Rivinius (ESO Santiago, Cile).

Il buco nero è di per sé invisibile, ma è stato scoperto osservando i movimenti delle sue due stelle compagne usando lo spettrografo FEROS sul telescopio da 2,2 metri all’osservatorio di La Silla, in Cile.

Si trova nella costellazione del Telescopio, visibile dall’emisfero sud della Terra, nel sistema stellare triplo denominato HR 6819.

Il cerchietto rosso indica il sistema triplo HR6819. Credit:


Gli scopritori si sono accorti dell’intruso invisibile durante uno studio sulle stelle doppie e sono rimasti molto sorpresi quando hanno notato che una delle due stelle orbitava intorno a un oggetto non luminoso ogni 40 giorni mentre la seconda stella rimaneva a grande distanza dagli altri due corpi celesti, in un’orbita lenta ancora da determinare.

Dietrich Baade, astronomo emerito all'ESO di Garching (Germania) e coautore dello studio, pubblicato oggi dalla rivista Astronomy & Astrophysics con il titolo A naked-eye triple system with a nonaccreting black hole in the inner binary, ha spiegato che “è stato necessario distribuire su diversi mesi le osservazioni necessarie per determinare il periodo di 40 giorni. Questo è stato possibile solo grazie al sistema pionieristico di osservazione fornito dall’ESO, in base al quale le osservazioni sono eseguite dal personale dell’ESO per conto degli scienziati che le richiedono".



Il buco nero nascosto in HR 6819 è completamente oscuro perché non interagisce violentemente con il suo ambiente, e la sua natura è stata dedotta dal calcolo della sua massa, determinata a sua volta osservando l'orbita della stella nella coppia interna. "Un oggetto invisibile con una massa almeno 4 volte quella del Sole non può che essere un buco nero", ha spiegato Rivinius.

Osservare un’orbita di una stella tripla così lontana, però, non significa semplicemente puntare un telescopio e vedere che si muove lentamente rispetto allo sfondo. Sarebbe troppo facile. Bisogna invece lavorare come detective matematici, raccogliendo più volte nel tempo lo spettro della luce emessa dal sistema triplo e analizzandolo per vedere se presenta variazioni dovute all’effetto Doppler: quando una stella si muove verso di noi nella sua orbita, il suo spettro trasla verso il blu, mentre quando si allontana da noi il suo spettro trasla verso il rosso. Se si osserva che lo spettro ha delle variazioni periodiche regolari fra rosso e blu, questo indica che la stella sta orbitando intorno a qualcosa, e il periodo delle variazioni permette di calcolare la massa del qualcosa.

Ma nel caso di un sistema doppio o triplo non basta neanche questo paziente lavoro di analisi: bisogna infatti sgarbugliare gli spettri dei vari componenti. È quello che hanno fatto undici anni fa, nel 2009, Rivinius e un altro coautore, Petr Hadrava dell’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca, insieme a Stan Štefl (alla cui memoria è dedicato l’articolo), scoprendo che HR6819 conteneva un terzo oggetto invisibile. Ma l’annuncio che l’oggetto è un buco nero è stato fatto solo oggi. L’astronomia è una scienza che richiede tempi lunghi e una pazienza infinita.

La scoperta di questo buco nero “silente” comincia a fornire indizi su dove si trovino gli altri buchi neri che, si presume, si annidano nella nostra galassia. Rivinius stima che siano centinaia di milioni, nati dal collasso di stelle antichissime giunte a fine vita. Finora si sapeva di una ventina di buchi neri nella nostra galassia, rilevabili però quasi tutti a causa della potente emissione di raggi X generati dalla forte interazione con il loro ambiente.

Gli astronomi del gruppo stanno già indagando su un secondo sistema stellare, denominato LB-1: “Potrebbe essere un sistema triplo, anche se avremmo bisogno di ulteriori osservazioni per stabilirlo con certezza", ha dichiarato Marianne Heida, co-autrice dell'articolo, che lavora con una borsa post-dottorato presso l’ESO. Heida nota che LB-1 “è un po' più lontano dalla Terra ma ancora decisamente vicino in termini astronomici, quindi questo significa che probabilmente esiste un numero molto maggiore di questi sistemi. Trovandoli e studiandoli possiamo imparare molto sulla formazione e l'evoluzione di quelle rare stelle che iniziano la loro vita con una massa pari a oltre 8 volte la massa del Sole e la terminano in un'esplosione di supernova che lascia come residuo un buco nero”.

Un altro aspetto interessante di questa scoperta è che potrebbe fornire indizi sulle violente collisioni che rilasciano onde gravitazionali talmente potenti da poter essere rilevate sulla Terra.


Questo articolo fa parte delle Storie di Scienza: una serie libera e gratuita, resa possibile dalle donazioni dei lettori. Se volete saperne di più, leggete qui. Se volete fare una donazione, potete cliccare sul pulsante qui sotto. Grazie!




Tom Cruise va nello spazio? Calma un attimo

Ultimo aggiornamento: 2020/05/08 17:50.

Jim Bridenstine, Administrator (direttore generale) della NASA, ha tweetato un annuncio che molti hanno preso come una dichiarazione che l’attore Tom Cruise andrà sicuramente nello spazio: “NASA is excited to work with @TomCruise on a film aboard the @Space_Station! We need popular media to inspire a new generation of engineers and scientists to make @NASA’s ambitious plans a reality.”




Ma per il momento è consigliabile una certa prudenza. Tutto è nato da un articolo di Deadline che ha riportato una voce secondo la quale Tom Cruise e SpaceX starebbero lavorando a un progetto che sarebbe il primo lungometraggio di azione girato nello spazio; non si tratterebbe di un film della serie Mission: Impossible e non sarebbe coinvolta al momento alcuna casa di produzione.

Il tweet di Bridenstine sembrerebbe a prima vista una conferma del coinvolgimento di Tom Cruise, ma bisogna fare attenzione a come è stato formulato il suo testo: parla di “lavorare con Tom Cruise su un film a bordo della Stazione Spaziale”. Questo non significa automaticamente che Cruise andrà a bordo della Stazione: potrebbe anche voler dire che Cruise lavorerà insieme alla NASA (sulla Terra) a un film che sarà girato a bordo della Stazione.

Ma considerata la passione dell’attore per le scene d’azione girate senza controfigura e visto che i voli di passeggeri paganti verso la Stazione inizieranno nel 2021 con SpaceX, se tutti i voli di collaudo andranno bene, è perlomeno credibile che vedremo Tom Cruise galleggiare a zero g nella Stazione, anche se i commenti degli addetti ai lavori (la gente che deve garantire la sicurezza degli astronauti e delle costosissime infrastrutture spaziali) sono piuttoso sferzanti: sentite cosa dice Greg Harbaugh, astronauta ed ex direttore delle attività extraveicolari alla NASA.



Nel frattempo, gli astronauti veri si preparano a collaudare la capsula Crew Dragon: il volo di debutto è previsto per il 27 maggio prossimo e porterà alla Stazione Spaziale due americani veterani dello spazio, Robert Behnken e Douglas Hurley, che vedete qui sotto nelle tute pressurizzate progettate da SpaceX.


2020/05/08 17:50


Poco fa NasaWatch, un account Twitter solitamente bene informato sulle vicenze spaziali, ha sottolineato che la Axiom Space ha un accordo con SpaceX per portare degli astronauti privati alla Stazione Spaziale Internazionale, e che secondo alcune fonti ci sarebbe davvero un volo spaziale con Tom Cruise, che sarebbe accompagnato dall’astronauta veterano Michael López-Alegría.



I voli di Axiom per il trasporto di passeggeri privati con la capsula Crew Dragon di SpaceX dovrebbero iniziare nel 2021. Staremo a vedere.

Nel frattempo, l’astronauta Richard Garriott ha precisato che il primo film di fiction girato e montato nello spazio esiste già, anche se si tratta di un corto di sette minuti e mezzo: s’intitola Apogee of Fear ed è stato girato sulla Stazione nel 2008. Gli astronauti si sono prestati a fare gli attori, con risultati forse non entusiasmanti, ma un primato è un primato.



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2020/05/05

Tanti invocano l’app anti-coronavirus. Parliamone con gli esperti (seconda parte)

Ultimo aggiornamento: 2020/05/06 13:25.

Da quando ho scritto la prima parte di questa serie di articoli dedicata alle app di tracciamento dei contatti è successo un po’ di tutto. Alcuni dubbi sono stati risolti: perlomeno in Europa, l’app non farà geolocalizzazione, si baserà solo sull’uso del Bluetooth per rilevare la prossimità, e in molti casi sarà open source e custodirà i dati localmente sul telefonino, comunicando solo quelli pertinenti al tracciamento di eventuali contatti con persone risultate poi positive.

Ma restano ancora alcuni equivoci di fondo:
  1. La privacy non c’entra nulla con i dubbi sull’app; arriva molto dopo nella scala delle priorità. I dubbi riguardano l’efficacia.
  2. Il termine “tracciamento dei contatti” è profondamente sbagliato e ingannevole. Queste app non tracciano i contatti: tracciano le possibili esposizioni al contagio. Non ti dicono “Attenzione, oggi Giorgio è risultato contagioso e sei stato vicino a lui al supermercato di via Vattelapesca sette giorni fa alle 18.27 per un bel po’, quindi potresti essere infetto, stattene a casa, ti mando un medico per farti il tampone”. Ti dicono soltanto “Attenzione, sei stato vicino per un bel po’ a una o più persone risultate poi contagiose (non so chi) nei giorni scorsi (non so quando) da qualche parte (non so dove), quindi potresti essere infetto, stattene a casa; prega che prima o poi ci sia modo per te di fare un tampone.”

In altre parole, non sono tracciatori di contatti: sono dosimetri. Come quelli indossati dai radiologi per misurare le radiazioni. Queste app misurano l’esposizione complessiva a persone risultate successivamente contagiose. Se si supera una certa esposizione, si è considerati a rischio. Non bisogna quindi parlare di tracciamento dei contatti (contact tracing), ma di notifica delle esposizioni (exposure notification).

C’è anche un altro equivoco fondamentale da chiarire:
  1. Nessuno sa se queste app siano davvero efficaci e che tasso di errore abbiano. Non le abbiamo mai provate prima (in particolare la versione europea). Però ci viene chiesto lo stesso di installarle e di seguire le loro istruzioni sulla fiducia, con il ricatto sociale di “se non la installi la gente muore per colpa tua”. È come se ci venisse chiesto di prendere tutti un farmaco che non è mai stato testato: certo, potrebbe guarirti, ma potrebbe anche avere degli effetti collaterali disastrosi.

Per evitare ulteriori accuse di boicottaggio o denigrazione per partito preso (o di “populismo”, come mi hanno detto alcuni), chiarisco che sono dispostissimo a installare un’app anti-pandemia e comprimere temporaneamente il mio diritto/dovere di privacy se mi si dimostra che funziona o che perlomeno non fa danni e mi si danno serie garanzie tecniche di temporaneità. La mia preoccupazione è che si faccia l’app come foglia di fico low-cost invece di fare l’unica cosa che sappiamo che funziona davvero ma che richiede soldi, organizzazione e fatica: fare i test d’infezione, farne tanti e farli prontamente. L’alternativa all’app non è stare chiusi in casa: è fare i test e ridurre al minimo i contatti fra persone.

Fatte queste premesse, passo la parola a Cory Doctorow, che ha riassunto egregiamente in un thread su Twitter alcuni altri concetti fondamentali, che riporto qui con adattamenti puramente linguistici per leggibilità.

Le app che chiamiamo di “contact tracing” non fanno tracciamento dei contatti. fanno “notifica delle esposizioni”. La notifica delle esposizioni è un ausilio utile al lavoro manuale oneroso del tracciamento dei contatti, ma non è in alcun modo un suo sostituto.

Una analisi importante del Brookings Institution (Contact-tracing apps are not a solution to the COVID-19 crisis, di Ashkan Soltani, Ryan Calo e Carl Bergstrom) esamina le limitazioni delle app di notifica automatizzata delle esposizioni, sia esistenti sia previsti, comprese quelle basate sulle API di Google/Apple.

L’analisi inizia affermando che nessuno è riuscito a gestire il tracciamento automatico dei contatti “nonostante numerosi tentativi in parallelo” e discute le limitazioni: le app “potrebbero, marginalmente e nelle condizioni giuste, aiutare a indirizzare le risorse di test diretto verso le persone a maggior rischio”.

Questo beneficio marginale ha un costo reale, sia in termini di interruzione del contagio sia in termini di diritti umani. Queste app genereranno molti falsi positivi e anche molti falsi negativi.

Il loro rilevamento di prossimità non rileverà le persone che non hanno uno smartphone e/o non hanno la competenza tecnologica per installare queste app. Questo gruppo corrisponde parecchio ai gruppi più a rischio: gli anziani e i poveri.

L’epidemiologia è uno sport di squadra e le persone più vulnerabili sono le più preziose della squadra. “La nostra app ti dirà se sei venuto a contatto con una persona infetta (ma non se quella persona appartiene al gruppo più probabilmente infetto)” è una promessa tradita alla base.

Queste app invieranno un avviso di allerta quando la tua auto chiusa è al semaforo accanto a un’altra auto chiusa a bordo della quale c’è una persona infetta e in molte altre situazioni nelle quali non c’è rischio di contagio.

Queste app non sono in grado di distinguere fra la tua prossimità a qualcuno che indossa una mascherina mentre anche tu ne indossi una e la tua prossimità a qualcuno che ti sta leccando gli occhi mentre ti tossisce in faccia.

Inoltre anche un “contatto autentico” con persone contagiose non significa che sei per forza infetto. Un R0 di 2-3 per persone che non prendono alcuna precauzione significa che di tutte le (centinaia di) persone con le quali viene a contatto una persona malata, in media saranno due o tre quelle che s’infetteranno.

Questo vuol dire che le app che contrassegnano qualunque contatto anche breve con persone contagiose genereranno tantissimi falsi positivi, mentre quelle che ignorano questi contatti genereranno tantissimi falsi negativi.

I ricercatori di sicurezza conoscono bene questo fenomeno: forse lo conosci anche tu. Probabilmente hai incontrato tantissimi avvisi di sicurezza emessi da siti che parlano di problemi con i loro certificati crittografici. In teoria, questo potrebbe indicare che qualcuno ha sferrato un attacco man-in-the-middle contro la connessione alla tua banca, al suo sito d’incontri o all’ufficio del tuo medico. In pratica, però, significa quasi sempre che qualcuno ha dimenticato di rinnovare il certificato. Praticamente tutti gli allarmi che hai mai ricevuto sono stati falsi allarmi. Ed è per questo che tu e io e tutti clicchiamo su “OK” e li ignoriamo. Ed è per questo che i criminali informatici continuano a vincere: sanno che quando realmente si spacceranno per il tuo medico o per la tua banca ignorerai l’avvertimento del tuo browser e manderai loro la tua login e la tua password.

Un’app di notifica delle esposizioni che si dimentica di notificarti quando sei a rischio e in più spesso ti notifica quando non lo sei diventa un fronzolo peggio che inutile, oltre che uno spreco di tempo e denaro e una distrazione.

Ma c’è di peggio, perché installare app che tracciano gli spostamenti degli utenti su miliardi di dispositivi è di per sé un’impresa rischiosa: qualunque difetto in quelle app espone al rischio di attività ostile miliardi di proprietari di dispositivi.

Qualche scenario:

  • un’interferenza nelle operazioni di voto che contrassegna falsamente un seggio elettorale come focolaio d’infezione
  • un imprenditore che attacca un rivale facendo false asserzioni riguardanti la sede del rivale
  • troll che seminano il caos for the lulz [per divertimento]
  • manifestanti che scatenano il panico come forma di disubbidienza civile
  • agenzie di intelligence straniere che chiudono intere città nei paesi avversari
Gli sviluppatori e pianificatori di Google e Apple sono stati molto trasparenti a proposito dei propri piani ma devono fare di più ed essere schietti sui limiti dei loro strumenti, compreso il fatto che questi approcci non devono mai essere utilizzati da soli.

Poi ci sono le questioni di diritti umani, con le app che diventano obbligatorie e poi sancite permanentemente, come sono diventate permanenti le misure di sorveglianza post-11/9. Queste non solo indeboliranno i diritti umani tramite la sorveglianza, ma aumenteranno le diseguaglianze, rendendo dei paria sociali, privi di accesso ad aziende o servizi, le persone che non possono permettersi uno smartphone: i poveri.

Gli autori di queste app fanno una serie di raccomandazioni legali e di policy che riducono la probabilità che avvenga tutto questo, comprese misure di scadenza automatica, limitazioni agli scopi, regole contro le costrizioni, e altre misure che riducono il danno che queste app possono causare.

Il messaggio di fondo è questo: queste app hanno già un’utilità limitata, e quella poca utilità che hanno peggiorerà se non le facciamo bene.


Concludo con una frase di Stefano Zanero, professore associato del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria e Politecnico di Milano, ed esperto di sicurezza informatica e informatica forense, uno dei tanti che hanno contestato il modello centralizzato scelto inizialmente dal governo italiano, che riassume perfettamente il senso di tutto questo:




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2020/05/03

Antibufala: l’articolo che dice che il conducente "deve tassativamente essere seduto davanti, dal lato del volante" è umorismo

Sta circolando un tweet di Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, che mostra una foto di un brano di un articolo nel quale si legge che “[...] il limite è di due persone per auto distanziati [sic] di almeno un metro. Di fatto, uno seduto davanti e uno dietro. Se c’è solo il conducente, deve tassativamente essere seduto davanti, dal lato del volante.”



Il contesto della frase, che si può dedurre facilmente, è quello delle nuove disposizioni per la gestione degli spostamenti durante la pandemia da coronavirus. La frase gira così, senza autore e senza indicarne la provenienza.

In realtà proviene da un articolo pubblicato a pagina 23 de Il Secolo XIX di oggi (3 maggio 2020) e la precisazione apparentemente demenziale sul conducente non è intesa seriamente: è una battuta dell’autore dell’articolo, Enrico Musso, docente universitario ed esperto di mobilità.

Infatti il resto dell’articolo contiene altre battute di questo genere, ma se si legge solo il brano in questione è facile pensare che sia scritto seriamente (come è capitato anche a me prima di avere accesso all’articolo completo), visto quello che riescono a scrivere alcuni legislatori e burocrati.


Musso ha inserito alcune battute (poche) in un testo altrimenti serissimo, con un titolo serissimo (Le sedici regole per muoversi bene in città
«Tragitti più lunghi, scegliete il mezzo giusto»
) e su un tema serissimo, e questo ha creato l’equivoco. Intercalare frasi come “Il monopattino e la Fiat Multipla sono considerati veicoli”, “un sidecar: chi non ne ha uno?”, “accompagnare l’iguana dal veterinario o la suocera dal geriatra (o viceversa)”, “una innovazione già in uso all’estero dall’Ottocento: la coda alle fermate”, “evitiamo di metterci le dita negli occhi, e anche di farcele mettere da un altro passeggero” in un testo di istruzioni anti-pandemia che per il resto è completamente serio è una forma di umorismo forse un po' troppo ermetico per momenti difficili come questi.

L’autore, Enrico Musso, si è scusato pubblicamente per l’involontario equivoco:





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Storie di Scienza 1: Il segreto della prima passeggiata spaziale

Noi debunker veniamo spesso rimproverati di difendere la “versione ufficiale”. Stavolta, però, il rimprovero sarà difficile, perché ho da raccontarvi una storia che va contro la versione ufficiale. Una storia che va anche contro le mie convinzioni e certezze coltivate per decenni. Ma i fatti sono quelli che sono, e li devo raccontare come sono.

Siamo nel 1965, in piena competizione politica e militare fra Unione Sovietica e Stati Uniti. Il 18 marzo l’Unione Sovietica stupisce il mondo con un’impresa incredibile: un suo cosmonauta, il trentenne Alexei Leonov, vola nello spazio intorno alla Terra, a cinquecento chilometri di quota, ed esce dalla sua capsula, la Voskhod-2, protetto solo dalla sua sottile tuta spaziale contro il vuoto cosmico.

È la prima “passeggiata spaziale” della storia. Le immagini del suo fluttuare senza peso, trasmesse poco dopo dalla TV russa e riprese a colori da una cinepresa montata esternamente, fanno il giro del mondo.



Sono immagini talmente sensazionali che inizialmente si sospetta che si tratti di una falsificazione. Ma nei giorni successivi le autorità sovietiche rilasceranno spezzoni delle riprese fatte su pellicola, che toglieranno ogni dubbio: erano impossibili da falsificare.





L’Unione Sovietica si dimostra ancora una volta in testa nella corsa spaziale, vista come una dimostrazione di forza, tecnologia e ideologia superiore. I resoconti ufficiali dell’epoca sono trionfali, il filmato del primo uomo che volteggia nel cosmo viene presentato al festival del cinema di Cannes, e i dodici minuti di attività extraveicolare vengono raccontati poeticamente come se fossero stati perfettamente controllati e pianificati.

Ma la realtà è stata ben diversa. Leonov ha galleggiato nello spazio praticamente senza alcun controllo, cercando di districarsi dal cavo lungo cinque metri che lo legava alla capsula e lo collegava alla radio di bordo. E il suo rientro a bordo è stato particolarmente drammatico.

La sua tuta, infatti, si è gonfiata e le sue mani sono scivolate fuori dai guanti, dentro le maniche, e i suoi piedi si sono sfilati dagli scarponi. Si è trovato a galleggiare all’interno della tuta. Non era più in grado di rientrare a bordo, e così è stato costretto a sfiatare parte dell’aria contenuta nella tuta spaziale, con tutti i rischi che questo comportava. È riuscito così a rientrare con enorme fatica nella capsula Voskhod-2, dove lo attendeva, impotente, il suo compagno di volo Pavel Belyaev.

Ricostruzione della “passeggiata spaziale” di Leonov, dal film The Spacewalker (in italiano Spacewalker: il tempo dei primi, 2016)


Nel libro Two Sides of the Moon (2004), scritto con il collega e rivale statunitense David Scott, Leonov ha raccontato (a pagina 108) i dettagli delle sue fatiche, tenute segrete a lungo per difendere la versione ufficiale del Cremlino (la prima rivelazione delle disavventure di Leonov che ho trovato finora risale al 2001, in The Rocket Men di Rex Hall e David Shayler, a pagina 248). Ha spiegato che il rigonfiamento della sua tuta lo aveva obbligato non solo a sfiatare parte dell’aria interna, ma anche a rientrare nella camera di decompressione (airlock) della capsula (uno stretto tubo gonfiabile montato esternamente) a testa in avanti anziché con i piedi in avanti come previsto dalla procedura, in modo da poter azionare i meccanismi della camera con le mani.

“L’unica soluzione era ridurre la pressione della mia tuta aprendo la valvola di pressione e sfiatando un po’ di ossigeno per volta mentre tentavo di infilarmi lentamente nella camera di decompressione. Inizialmente pensai di riferire al Controllo Missione quello che intendevo fare, ma decisi di non farlo. Non volevo creare nervosismo a terra [...] Anche quando riuscii finalmente a tirarmi completamente dentro la camera di decompressione, dovetti fare un’altra manovra quasi impossibile. Dovetti raggomitolare il mio corpo per raggiungere il portello per chiudere la camera.”

Leonov, esausto, fradicio di sudore, a corto di ossigeno e intralciato dalla tuta, con le pulsazioni a 140 al minuto e una temperatura corporea salita a 38 gradi, dovette insomma fare una sorta di capriola quasi impossibile dentro la strettissima camera tubolare (quella che si vede ricostruita nell’immagine qui sopra tratta dal film russo The Spacewalker del 2016).

Il cosmonauta stesso racconta questa manovra quasi sovrumana in questo video del 2014, da 15:00 in poi.



La situazione claustrofobica e le contorsioni salvavita di Leonov vengono ricostruite dettagliatamente anche in The Spacewalker (da 1:06 in poi) secondo il racconto del cosmonauta.

Insomma, queste sue decisioni disperate ma coraggiose sono diventate leggenda e parte integrante della storia ufficiale dell’esplorazione spaziale, e infatti avevo raccontato questa vicenda cinque anni fa in occasione del cinquantenario.

Ma è emerso che non andò affatto così.

Un articolo dello storico spaziale russo Anatoly Zak, pubblicato da Air & Space alla fine di marzo 2020, ribalta completamente gli eventi, attingendo a documenti inediti, resi pubblici dalle autorità russe soltanto di recente e ospitati sul sito dell’ente spaziale russo Roscosmos. Si tratta di filmati più estesi, del diario di bordo originale e dei resoconti firmati personalmente da Leonov stesso subito dopo la missione, e in questo materiale non c’è alcuna traccia dell’eroica contorsione raccontata al mondo per decenni. Anche la decisione di sfiatare la tuta spaziale era stata ampiamente prevista durante le prove a terra.

Una pagina del resoconto di missione di Leonov, desecretato nel 2013.


Anatoly Zak traduce così le parole scritte da Leonov:

“Sulla Terra avevo pensato cosa fare se fosse fallita la prima entrata. Avevo previsto, sulla Terra, di portare la pressione a 0,27 atmosfere (rispetto alle 0,4 atmosfere nominali). Le mie stime sono state confermate ed è andata esattamente così...”

Il cosmonauta aggiunge che alla fine dell’uscita nello spazio era stanco, ma certamente non esausto, e descrive solo una leggera difficoltà nell’entrare nella camera di decompressione, indicando chiaramente di essere entrato a piedi in avanti. Questa situazione è documentata nel filmato a 1:00:30 dall’inizio: si vede chiaramente Leonov che entra nell’assetto corretto e non con la testa in avanti come ha dichiarato per tutti questi anni.



Alexei Leonov è morto l’11 ottobre 2019 a 85 anni, e quindi non è possibile chiedergli cosa lo ha spinto a raccontare una versione sensazionale di un evento che era già di per sé storico ed eccezionale e quindi non aveva alcun bisogno di essere ingigantito. È un altro dei suoi segreti, come l’identità del pilota russo la cui manovra errata uccise involontariamente l’eroe nazionale Yuri Gagarin, primo uomo nello spazio, o i nomi dei veri cosmonauti perduti del programma spaziale sovietico, ma questa è un’altra storia.

La versione ufficiale, insomma, dovrà essere riscritta una seconda volta: ma l’impresa di osare di esporsi al vuoto dello spazio, protetto soltanto da una tuta fragilissima e artigianale, resterà immutata nella sua essenziale straordinarietà. Alexei Leonov sarà per sempre il primo essere umano a “passeggiare” nello spazio. Per cui continuerò certamente a celebrare il suo coraggio bevendo il mio tè sul vassoio dedicato a lui che ho comperato al Science Museum di Londra. Anche se ci sarà una punta di amaro in più.



Fonti aggiuntive: Dan Beaumont Space Museum (con spezzone dell’entrata a 37:53), Sven Grahn, Nvidia, Russian Space Web. Questo racconto fa parte delle Storie di Scienza: una serie libera e gratuita, resa possibile dalle donazioni dei lettori. Se volete saperne di più, leggete qui. Se volete fare una donazione, potete cliccare sul pulsante qui sotto. Grazie!




2020/05/01

Puntata del Disinformatico RSI del 2020/05/01 (in diretta dal Maniero Digitale)

È disponibile la puntata di stamattina del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, condotta da me insieme a Tiki nella modalità ormai consueta da qualche settimana: io al Maniero Digitale e lei in studio, come prescritto dalle misure di protezione decise dalla RSI. Non c’è streaming video.

Podcast solo audio: link diretto alla puntata.

Argomenti trattati:

Podcast audio precedenti: archivio sul sito RSI, archivio su iTunes e archivio su TuneIn, archivio su Spotify.

App RSI (iOS/Android): qui.

Video: anche stavolta non c’è.

Archivio dei video precedenti: La radio da guardare sul sito della RSI.

Buon ascolto!

Il riconoscimento facciale va in tilt con le mascherine; aggiornamenti in arrivo

La pandemia sta portando molte persone a indossare mascherine sul volto, e una delle conseguenze tecnologiche inattese di questa nuova pratica è che gli smartphone dotati di sistemi di riconoscimento facciale vanno in tilt, perché devono gestire due aspetti molto differenti dello stesso volto (con e senza mascherina).

Un parziale rimedio potrebbe essere l’impostazione del volto alternativo, ma i test informali danno un tasso di errore piuttosto alto, probabilmente perché il software si aspetta che il volto abbia comunque una bocca di qualche genere, e la bocca è uno degli elementi di biometria usati per il riconoscimento facciale.

Certo, son problemi da primo mondo, ma almeno questi piccoli disagi hanno una soluzione. I possessori di iPhone, infatti, probabilmente riceveranno presto un rimedio sotto forma di aggiornamento di iOS: la versione beta (sperimentale) di iOS 13.5 include un nuovo comportamento di FaceID che gestisce un po’ meglio l’uso di mascherine.

Neanche Apple è in grado di indovinare cosa c’è sotto una mascherina, per cui il rimedio è semplicemente un accesso più veloce al PIN.

Nella versione attuale di iOS, alzare il telefonino al volto per tentare di sbloccarlo con il riconoscimento facciale quando si indossa una mascherina fa vibrare l’iPhone e poi, dopo qualche secondo di tentativi falliti, iOS chiede di far scorrere un dito sullo schermo dal basso verso l’alto per poi digitare il PIN.

Nella versione 13.5 beta, invece, è possibile impostare facoltativamente iOS in modo da saltare direttamente un passaggio, andando direttamente allo scorrimento del dito sullo schermo per sbloccare il telefono con il PIN, senza aspettare che il riconoscimento facciale fallisca.

Non si sa ancora quando verrà rilasciato questo aggiornamento, che includerà anche le funzioni di supporto alle app di tracciamento dei contatti contro la pandemia, ma dovrebbe essere questione di giorni.

È importante resistere alla tentazione di non usare un PIN e di lasciare il telefonino perennemente sbloccato, ma è un rischio di sicurezza altissimo in caso di furto o smarrimento.

Nel frattempo chi è rimasto ai sensori di impronte digitali come sistema di sblocco degli smartphone gioisce. Perlomeno fino al momento in cui si mette i guanti.


Fonte: Ars Technica.

Antibufala: Il premio Nobel Montagnier, il coronavirus e il 5G

Rispondo a una domanda di un ascoltatore della scorsa puntata del Disinformatico radiofonico (a 8:00): corre voce che il premio Nobel per la medicina Luc Montagnier abbia messo in relazione il nuovo coronavirus con l’HIV e il 5G in un’intervista che circola su Youtube.

Il Post riassume bene la vicenda: in effetti Montagnier ha davvero affermato che il virus SARS-CoV-2 sarebbe stato fabbricato in laboratorio partendo da quello dell’AIDS, forse nel tentativo di creare un vaccino contro l’HIV. Lo ha dichiarato in una intervista al sito Pourquoidocteur.fr e lo ha ribadito in diretta alla tv francese Cnews. Lo spezzone della dichiarazione televisiva è stato pubblicato online e tradotto anche in italiano, con un altissimo numero di visualizzazioni.

Ma in realtà le argomentazioni di Montagnier non reggono ai fatti accertati da tutti gli altri ricercatori, che escludono la fabbricazione in laboratorio perché lascerebbe segni tecnici facilmente rilevabili dagli esperti.

La rigorosissima rivista scientifica Nature ha pubblicato l’articolo The proximal origin of SARS-CoV-2, che scrive con rara chiarezza che “le nostre analisi mostrano chiaramente che SARS-CoV-2 non è un costrutto di laboratorio o un virus intenzionalmente manipolato” (“Our analyses clearly show that SARS-CoV-2 is not a laboratory construct or a purposefully manipulated virus”).

ScienceAlert spiega anche che le ricerche permettono di verificare che non si tratta neppure di un virus naturale sfuggito a un laboratorio.

Anche il recente rapporto dell’intelligence statunitense conferma che tutto indica che il virus non è di origine artificiale e non è stato modificato geneticamente.

Emma Hodcroft, epidemiologa molecolare presso l’Università di Basilea, spiega con un esempio le presunte somiglianze fra HIV e coronavirus evidenziate da uno studio successivamente ritirato dagli stessi autori: se si prende una copia dell’Odissea di Omero e si nota che contiene la parola il, e poi si apre un altro libro e si nota che anche qui c’è la parola il, non vuol dire che un libro è derivato dall’altro. 

Montagnier ha messo in relazione il 5G con il coronavirus soltanto perché “la città di Wuhan era molto avanti nell’implementazione di antenne 5G”, ma in realtà non c’è nessun rapporto fra le installazioni di antenne 5G e la diffusione del virus; anzi, la situazione svizzera (dove il coronavirus è più presente nelle aree meno servite dal 5G) ribalterebbe la presunta correlazione. E qualunque scienziato sa che correlazione non implica causalità: altrimenti dovremmo sostenere che le importazioni di petrolio greggio dalla Norvegia influenzano gli incidenti fatali ferroviari.



Ma come è possibile che un premio Nobel per la medicina sostenga delle tesi prive di qualunque fatto a supporto? Purtroppo un Nobel non è una patente di infallibilità eterna in tutti i campi della conoscenza. Per esempio, il Nobel per la fisica Brian Josephson è diventato complottista; Kary Mullis, premio Nobel per la chimica, sosteneva il negazionismo dell’HIV; Linus Pauling, Nobel per la chimica, credeva che la vitamina C curasse il cancro; la lista è imbarazzantemente lunga. Gli esseri umani sbagliano, e non è la prima volta che Montagnier presenta teorie senza fondamento nel campo dei vaccini, del morbo di Parkinson e a proposito della presunta memoria dell’acqua.

Attenzione alle vincite online che contengono link ad app, anche se sono nell’App Store

Pochi giorni fa una persona mi ha segnalato un caso insolito: ha ricevuto un messaggio che la avvisava che aveva vinto una macchina per caffè offerta da una nota marca.

Il messaggio conteneva un link che terminava con “.win”: ottima scelta, dal punto di vista psicologico, per far pensare a una vincita vera. Nell’esempio qui sotto ho alterato intenzionalmente il link ma ho lasciato invariato il testo visibile dell’URL, che usa in maniera insolita le maiuscole.

Nespresso sta regalando una macchina da caffè bellissima. Guarda:
https://lIlI.whts.win

La persona ha detto di aver toccato il link sul proprio iPhone e di aver visto delle istruzioni e un questionario dall’aspetto molto credibile, al termine del quale è comparso l’invito a condividere il link con venti amici su WhatsApp per poi ricevere la macchina per caffè.

La trappola, fra l’altro, funziona anche su Android: il link viene rediretto su ilil.nespresso-gold.club (un altro nome facilmente ingannevole). C’è anche un finto conto alla rovescia che mette fretta.



La persona ha inviato il link a venti suoi amici e poi le è comparso un allarme secondo il quale il suo telefonino era infetto, con una raccomandazione di scaricare un’app di protezione, SyScan protezione e report, che è nell’App Store di Apple e quindi non dovrebbe suscitare preoccupazioni (l’utente iOS presume che ciò che è stato accolto nell’App Store sia stato valutato e verificato e sia da considerare affidabile).

Leggendo la sua descrizione risulta che ha degli acquisti in-app sotto forma di abbonamento: 5 dollari a settimana. Le sue condizioni d’uso sono su un sito a dir poco amatoriale (nhydev.wixsite.com/phonehealth/terms-of-use) e la mail di contatto è un genericissimo account su Outlook, non un account su un dominio aziendale (nhy.dev@outlook.com), che in realtà linka ome.development@outlook.com.

Cercando questa mail in Google si ottiene una lista di altri siti su Wixsite.com strutturati allo stesso modo, che parlano di app come VPN TrackBlock: data security, Privax: protection & privacy, Alien - secure data VPN, ALFA Phone Defender 2nd number e simili, tutte app gratuite ma con pagamento in-app da 9 dollari a settimana. E tutte app presenti nell’App Store.

Da questi dati emerge uno scenario truffaldino di questo genere: il creatore di queste app ha creato una finta campagna promozionale, usando il nome della marca di caffè famosa, per ingannare gli utenti e convincerli a scaricare e installare l’app, confidando nel fatto che un certo numero di vittime avrebbe pagato l’abbonamento.

In sé l’app non è pericolosa, e così i controlli di Apple non rilevano nulla di anomalo. Con questo espediente diventa possibile truffare gli utenti anche nell’App Store.

Se vi imbattete in situazioni come questa, potete segnalare ad Apple le app truffaldine usando questi link e queste istruzioni:

Naturalmente la prevenzione è la miglior cura, per cui evitate di installare app sconosciute, anche se si trovano nell’App Store, e leggete bene le condizioni e i costi d’uso.
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