È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della
Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate
qui sul sito della RSI
(si apre in una finestra/scheda separata) e lo potete scaricare
qui.
Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite
iTunes,
Google Podcasts,
Spotify
e
feed RSS.
Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.
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[CLIP: rumore di tastiera vecchio stile con “beep” multiplo di errore di immissione]
Addio, rumorosa e frustrante digitazione di password complicate: Google,
Microsoft, Apple e molte altre aziende del settore informatico stanno
spingendo gli utenti ad abbandonare le password in favore delle
passkey, promettendo maggiore facilità d’uso e sicurezza. Questa
facilità e sicurezza, però, si conquistano solo dopo aver imparato cosa sono e
come funzionano queste passkey.
La transizione è inevitabile, per cui se volete conoscere questa novità,
capire perché è davvero necessaria e adottarla in maniera indolore, o almeno
in modo da ridurre il più possibile la scomodità, siete nel posto giusto;
state ascoltando la puntata del 20 ottobre 2023 del Disinformatico, il
podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie
strane dell’informatica e dedicato in questo caso, appunto, alle passkey. Io
sono Paolo Attivissimo.
[SIGLA di apertura]
A partire dal 10 ottobre scorso, Google sta cominciando a
chiedere
agli utenti di passare dalle
password alle
passkey [immagine qui accanto]. Microsoft ha
incluso
il supporto alle passkey nell’aggiornamento di settembre di Windows 11, e
Apple lo
integra
già a partire da iOS 16 e macOS 13.
Nonostante l’assonanza, una passkey è molto differente da una password. La
password è una sequenza di caratteri che dobbiamo immettere per accedere
a un account o a un servizio. La passkey, invece, non si deve digitare: è un
codice custodito in parte sul nostro dispositivo e in parte sul server che
gestisce un servizio online. Le due parti sono protette dalla crittografia a
chiave pubblica, secondo uno standard aperto adottato da quasi tutte le
principali aziende informatiche.
Il vantaggio principale delle passkey è che per accedere a un’app o a un sito
non abbiamo più bisogno di digitare una password. Se accediamo usando uno
smartphone, è sufficiente sbloccarlo usando il nostro PIN o
l’impronta digitale o il riconoscimento facciale (o, per i più paranoici, un
cosiddetto token di sicurezza hardware). Se accediamo usando invece un
computer, è sufficiente avere il nostro smartphone nelle vicinanze del
computer: sul telefono comparirà una richiesta di sblocco, e se la accettiamo
il computer verrà autorizzato. Non ci servono più codici supplementari
ricevuti via SMS o generati da app separate per l’autenticazione a due
fattori.
L’altro vantaggio fondamentale è che le passkey resistono alle tecniche di
furto più diffuse, come il phishing o il keylogging. Nel phishing, la vittima
viene convinta con l’inganno a immettere la password in un sito che sembra
quello reale ma è in realtà una copia gestita dai truffatori; nel keylogging,
l’aggressore intercetta tutto quello che scriviamo con la tastiera e quindi
riceve anche la password. Ma se usiamo le passkey, non c’è più nulla di intercettabile.
Se un sito che usiamo viene attaccato, non è più possibile rubarne l’archivio
delle password, perché non c’è: al suo posto ci sono le passkey parziali, che
però sono inutilizzabili senza la parte di passkey che risiede sul nostro
dispositivo.
Le passkey eliminano anche uno dei pericoli più frequenti delle password:
dimenticarsela. Qui non c’è più nulla da dimenticare, perché è tutto
memorizzato nel nostro dispositivo. Di conseguenza, viene eliminato anche un
altro rischio ricorrente, ossia l’abitudine diffusissima di usare la stessa
password dappertutto, col risultato che se un aggressore scopre la password di
uno dei nostri account ha automaticamente le password di tutti gli altri. Con le
passkey, invece, ogni servizio ha automaticamente una credenziale differente.
Una volta tanto, insomma, siamo di fronte a un’innovazione tecnologica che ci
chiede di fare meno cose di prima in cambio di maggiore sicurezza. Ma
in pratica, come funziona?
Passkey in pratica: proteggere un account Google
Moltissimi utenti hanno un account Google, per
cui descrivere come si migra dalle password alle passkey per il proprio
account Google su un computer, tablet o smartphone è un buon esempio generale.
Per prima cosa entrate nel vostro account Google con un browser (per esempio
Chrome o Safari), dando la password come consueto. Nella sezione
Sicurezza troverete l’opzione
Inizia a utilizzare le passkey.
Cliccando su
Usa passkey verrà creata una passkey per il vostro account
Google. Tutto qui.
Da quel momento in poi non avrete più bisogno di digitare la vostra
password di Google su quel dispositivo e sarà sufficiente usare il suo sistema
di sblocco, che può essere un PIN, un sensore di impronte digitali o una
telecamera con riconoscimento facciale.
Per chi ha uno smartphone Android, la passkey di Google normalmente è già
stata generata automaticamente e non occorre fare nulla.
Per gli iPhone, invece, è necessario prima attivare il Portachiavi di iCloud e
l’autenticazione a due fattori. Se non sono attivi, l’iPhone invita
automaticamente ad attivarli. Poi si va nell’account Google, sempre nella
sezione Sicurezza, e si clicca su Usa passkey.
La
procedura
per Windows 11 è
sostanzialmente la stessa, con la differenza che si può scegliere dove viene salvata la passkey: sul
computer stesso oppure su un altro dispositivo collegato. Se la si salva su un
altro dispositivo, per usare la passkey quel dispositivo dovrà essere fisicamente vicino
al computer. Se la si salva localmente, per usare la passkey bisognerà
digitare il PIN di accesso a Windows oppure usare il riconoscimento facciale o
l’impronta digitale.
Per chi usa Linux e ChromeOS, invece, il supporto alle passkey è normalmente
limitato
a quelle passkey salvate su un dispositivo esterno (per esempio un telefono o una chiave hardware).
Non vi preoccupate se vi perdete qualche passaggio di queste istruzioni effettivamente piuttosto complicate: le trovate descritte in dettaglio presso Disinformatico.info.
È importante ricordare che le passkey normalmente si affiancano alle
password e non le sostituiscono; diventano però il primo metodo di
autenticazione che viene proposto. Questo vuol dire che per ora è ancora
possibile accedere agli account protetti da passkey anche usando le password
di quegli account e di conseguenza, le password vanno ancora custodite con
attenzione e devono essere ancora robuste e differenti, ma non è più necessario
usarle.
L’altra questione importante da ricordare è che al momento molti siti non
supportano ancora le passkey. Fra quelli che le supportano ci sono per esempio
1Password,
Amazon,
Okta,
PayPal, Shopify, Kayak, iCloud,
eBay,
Uber, Adobe,
Nintendo,
TikTok
e
GitHub, ma a volte lo fanno solo in alcuni paesi [dopo la chiusura di questo podcast si è aggiunto anche WhatsApp su Android].
Non c’è comunque bisogno di rincorrere le notizie e gli aggiornamenti:
se un sito o un’app inizia a supportare le passkey, il vostro dispositivo ve lo segnalerà
automaticamente la prossima volta che vi accederete. In ogni caso, un elenco
aggiornato dei siti che adottano le passkey è disponibile presso
Passkeys.directory, mentre l’elenco
dei dispositivi e browser supportati è presso il sito
Passkeys.dev.
Le paure più frequenti
Le passkey sono un concetto nuovo, a differenza delle password, per cui è
comprensibile che ci sia una certa riluttanza mista a diffidenza e che
circolino molte preoccupazioni. Per esempio, si teme che se si perde il
dispositivo sul quale risiede una passkey di un account diventi impossibile
accedere a quell’account, ma in realtà si può continuare ad accedervi tramite
la tradizionale password, almeno per ora, e si possono sempre usare i codici
di recupero d’emergenza che ogni utente prudente dovrebbe aver salvato.
Un’altra ansia frequente è che se un aggressore si impossessa di uno
smartphone sul quale risiedono delle passkey e quello smartphone è stato
sbloccato dall’utente, l’aggressore avrà così accesso diretto agli account gestiti
dalle passkey. Ma non è così, perché se ci proverà gli verrà chiesto di nuovo
di far leggere l’impronta digitale o eseguire il riconoscimento facciale o
immettere il PIN.
Alcuni utenti giustamente sensibili alla privacy sono contrari alle passkey
perché richiedono di fornire un’impronta digitale o una scansione del proprio
volto al gestore del servizio di passkey. Ma in realtà questi dati biometrici
non lasciano mai il dispositivo dell’utente, e se si usa già il sensore
d’impronte o la telecamera per sbloccare il telefono tanto vale usarlo anche
per le passkey. In ogni caso, se non si vogliono fornire al dispositivo né
impronte né immagini del proprio volto, ci si può sempre autenticare usando la
password di sblocco del dispositivo, che vale anche per le passkey.
Altri utenti non si fidano di Apple, Microsoft o Google e quindi non vogliono
che la parte segreta della passkey, quella che risiede sul dispositivo
dell’utente, venga trasmessa a queste aziende quando si fa la sincronizzazione
dei dati o quando si copia una passkey da un dispositivo a un altro. Anche
questa preoccupazione, però, è infondata, perché in realtà la parte segreta
della passkey non viene mai trasmessa in forma utilizzabile da terzi, perché è
crittografata end-to-end, e anche se queste aziende o altre
organizzazioni fossero capaci di superare questa crittografia non potrebbero
usare le passkey senza essere fisicamente vicine al dispositivo dell’utente.
Insomma, le passkey sono una tecnologia nascente ma robusta e pensata bene per
le esigenze degli utenti comuni, che comprensibilmente vogliono un sistema di
autenticazione semplice da usare ma resistente agli attacchi. Ed è chiaro,
dalle storie quotidiane di password perse, dimenticate o rubate e di account
violati o irrecuperabili, che il sistema tradizionale scricchiola da tempo
sotto il peso della sua complessità eccessiva. Vale quindi la pena di provare ad
abituarsi adesso alla comodità di autenticarsi semplicemente appoggiando un
dito su un sensore. È sicuramente meglio che avere la stessa password
dappertutto e avere come password il nome seguito dall’anno di nascita.
Non lo fa più nessuno, vero? Vero?
Fonti aggiuntive:
TechCrunch, Google,
Ars Technica.