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Il Disinformatico: misteri veri

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2020/08/06

Storie di Scienza 11: Il “Segnale Wow” e i “dischi volanti” di Kenneth Arnold, tormentoni ufologici da smontare

Ultimo aggiornamento: 2020/08/06 17:35. 

Il cosiddetto “Segnale Wow” è uno dei capisaldi dell’ufologia e della ricerca scientifica di indizi di vita intelligente extraterrestre; ne ho già parlato in altre occasioni qui e qui, ma torno sull’argomento perché c’è un dettaglio importante da aggiungere alla vicenda. Ma cominciamo dall’inizio.

È il 15 agosto del 1977. Star Wars è uscito da poco nelle sale cinematografiche e sta spopolando in tutto il mondo. L’astronomo Jerry Ehman, però, quel giorno è preso da altre cose. Lavora al radiotelescopio Big Ear della Ohio State University: quel giorno guarda i tabulati che escono dalla stampante dello strumenti, prende una biro rossa, cerchia alcuni dati e scrive un grosso “Wow!” sulla stampa. Come George Lucas, non sa ancora di aver dato vita a una leggenda spaziale che durerà decenni.

Il Big Ear. Credit: Bigear.org/NAAPO (via INAF).

La grafica delle stampanti è ancora terribilmente primitiva, per cui le informazioni vengono semplicemente rappresentate come caratteri. La sequenza 6EQUJ5 che Ehman ha cerchiato evidenzia una serie di livelli di intensità, in cui 1 è il minimo e Z è il massimo. Quella lettera U indica un segnale straordinariamente potente. Sarà il segnale più potente mai ricevuto dal Big Ear.

Al centro, Jerry Ehman. Credit: Credit: Bigear.org/NAAPO (via INAF).



Ma la potenza non è l’unica cosa che ha stupito Ehman: il segnale ha un’origine molto ristretta, che suggerisce una fonte puntiforme. Usa una frequenza vicina a 1420.406 MHz, quella ritenuta ottimale per le comunicazioni interstellari (perché attraversa facilmente le grandi nubi di polvere cosmica), e ha una larghezza di banda di meno di 10 kHz, senza il tipico rumore intorno delle emissioni radio naturali.

C’è un altro aspetto che rende insolito questo segnale: il Big Ear non è orientabile e sfrutta la rotazione terrestre per spazzare il cielo man mano che la Terra si sposta, per cui può osservare un punto specifico della volta celeste solo per 72 secondi prima che esca dal suo campo di ricezione. Un segnale che duri di più o di meno è probabilmente un disturbo terrestre (satelliti artificiali compresi). Il Segnale Wow dura esattamente settantadue secondi. Non solo: il suo picco di intensità è proprio a metà della sua durata. È come se la sua fonte si spostasse insieme alle stelle fisse.

Insomma, ci sono tutte le caratteristiche che ci si aspetta da un segnale artificiale proveniente dallo spazio profondo. Con un tocco finale di ironia che ne cementa il mito nella storia della ricerca di vita extraterrestre: questo segnale viene captato una sola volta e mai più.

Negli anni successivi, i migliori radiotelescopi del mondo verranno puntati ripetutamente verso la porzione di cielo (nella costellazione del Sagittario) dalla quale sembra essere arrivato il segnale, ma non verrà mai ricevuto nulla di significativo.

Ancora oggi, il Segnale Wow viene presentato spesso come uno degli episodi più credibili di possibile contatto via radio con civiltà tecnologiche extraterrestri.

È meraviglioso ipotizzare che si sia trattato dell’ultimo, disperato segnale di qualche civiltà lontanissima, arrivato alle nostre orecchie elettroniche quando erano troppo primitive per poterne capire il contenuto. Se solo avessimo avuto i radiotelescopi di oggi e la capacità di registrare quel segnale, chissà.

Ma quando ci sono di mezzo le emozioni e c’è clamore mediatico è indispensabile togliere di mezzo l’inevitabile patina di mitologia che offusca i fatti scientifici, costi quel che costi. Ho passato decenni a fantasticare sul Segnale Wow e su cosa forse ci siamo persi perché eravamo troppo presi a finanziare armi per investire seriamente in ricerca. Fino a che ho conosciuto Jill Tarter.

Per chi non la conoscesse, Jill Tarter è un’astrofisica, che per anni ha diretto il centro SETI, dedicato alla ricerca scientifica di indicatori astronomici di tecnologie non terrestri. Il suo lavoro in questo campo ha ispirato il personaggio di Ellie Arroway nel film Contact di Bob Zemeckis (1997), tratto dall’omonimo romanzo dell’astronomo Carl Sagan. Se non l’avete letto, fatelo: è una lettera d’amore alla scienza e la conferma che si possono raccontare storie emozionanti e meravigliose senza rinunciare al rispetto della realtà scientifica.

Jodie Foster interpreta Ellie Arroway in Contact (1997).


Incontro di persona Jill Tarter per la prima volta al festival della scienza Starmus a Trondheim, nel 2017: cordiale, disponibile, lucida e precisa, scambia due chiacchiere con tutti prima e dopo la sua conferenza sulla difficoltà di distinguere le comunicazioni di civiltà tecnologiche dai segnali naturali dell’Universo e su alcuni “trucchi” per intercettarle. È meraviglioso sentir parlare di queste cose con un tono di assoluta praticità e concretezza, così diverso dai deliri messianici degli ufologi.

Jill Tarter a Starmus 2017, Trondheim. Credit: Max Alexander/Starmus.

Ritrovo Jill Tarter allo Starmus 2019, che si tiene a Zurigo. È lì, durante un panel che la vede ospite insieme all’astronoma Natalie Batalha, all’etologo e biologo evolutivo Richard Dawkins, e agli astrofisici Michel Mayor e Rafael Rebolo (scusate se è poco), che stronca con i fatti il mito del “Segnale Wow”.

Il radiotelescopio Big Ear che lo ricevette, spiega Tarter, era dotato di due ricevitori, e un segnale che fosse realmente arrivato dallo spazio sarebbe stato captato prima da uno dei ricevitori e poi dall’altro. Ma il segnale fu captato solo da uno dei due, e quindi è estremamente improbabile che provenisse realmente dallo spazio. Punto, fine.

Rimango a bocca aperta. A fine conferenza riascolto le sue parole nella mia registrazione del panel:

"That signal did not pass the test that I would have required to consider it extraterrestrial and deliberate. There were two receivers on the telescope, and a signal that was truly coming from a distance from the sky would have shown up in one receiver first, and then in the second receiver. It passed only the first part of that. It did not get verified, so I don't lose any sleep over the Wow signal. There's no way of really knowing what it was."

“Quel segnale non ha superato il test che io avrei preteso per considerarlo extraterrestre e intenzionale. C’erano due ricevitori sul telescopio, e un segnale che fosse provenuto realmente da lontano nel cielo sarebbe comparso prima in uno dei ricevitori e poi nel secondo. Ha superato solo la prima parte di questo [criterio]. Non è stato verificato, per cui non perdo il sonno sul segnale Wow. Non c’è modo di sapere veramente di cosa si trattò.”

Come mai non sapevo nulla di questo dettaglio decisivo dei due punti separati di captazione? Perché viene spesso taciuto o dimenticato nel racconto della storia del “Segnale Wow”. Eppure in realtà è già presente nelle parole scritte dallo stesso Jerry Ehman oltre vent’anni fa, nel 1997, sul sito del radiotelescopio, Bigear.org. Ehman conferma che il segnale misterioso fu ricevuto da uno solo dei due punti, e infatti il famoso tabulato del segnale contiene un solo picco anziché due.

Scrive Ehman:

The Big Ear used a dual-horn feed system [...] As the earth's rotation swung the two beams across the celestial sky, a signal (with positive energy) from a radio source was first seen by the west (negative) horn and generated an inverted bell-curve-like shape on the chart recorder. Within a minute or so after the negative horn response was essentially complete (i.e., showed little energy from the source), the same radio source began to be scanned by the east (positive) horn and a non-inverted (right-side up) bell-curve-like shape on the chart recorder was generated [...] However, this was not the case for the Wow! source.

Il Big Ear usava un sistema a due illuminatori a tromba [...] Man mano che la rotazione terrestre spostava i due fasci sulla volta celeste, un segnale (con energia positiva) da una fonte radio veniva visto prima dalla tromba ovest (negativa) e generava sul registratore grafico una forma a curva a campana inversa. Nel giro di circa un minuto dopo che era stata sostanzialmente completata la risposta della tromba negativa (ossia mostrava poca energia dalla fonte), la stessa fonte radio cominciava ad essere scansionata dalla tromba est (positiva) e veniva generata sul registratore grafico una forma a curva a campana non invertita (diritta) [...] Tuttavia questo non accadde per la fonte Wow!


Il debunking della vicenda, insomma, era lì da leggere da più di vent’anni, eppure la leggenda del possibile contatto radio extraterrestre si è diffusa lo stesso, sommergendo per pura quantità i resoconti originali.

È un fenomeno che si verifica spesso quando c’è di mezzo una storia accattivante: i fatti che la stroncano vengono tralasciati e quelli che la avvalorano vengono amplificati.

---

Se volete un altro esempio famoso di questo fenomeno, restiamo in campo ufologico. 

Quando fu coniato il termine dischi volanti”, nel 1947, queste due parole non indicavano la forma degli oggetti non identificati, ma il modo in cui si muovevano nel cielo, come piatti fatti rimbalzare sul pelo dell’acqua. 

Il testimone oculare dell‘avvistamento che diede il via all’ufologia moderna, l’aviatore Kenneth Arnold, descrisse a un giornalista della United Press il movimento degli oggetti volanti che aveva visto con queste parole: “like a saucer if you skip it across the water” (come un piattino quando lo fai rimbalzare sull’acqua). Arnold non disse che gli oggetti erano a forma di piattino. Disse che erano “piatti come una teglia per torte e a forma di pipistrello” o “simili a teglie per torte tagliate a metà con una sorta di triangolo convesso sul retro” o che erano “di tipo circolare” (“circular-type”, intendendo forse “curvilineo”) e senza coda, con una larghezza di circa trenta metri. Il fatto stesso che parlò di larghezza implica una differenza di dimensioni in senso longitudinale e laterale, come del resto mostrato da Arnold stesso in foto come questa:

Kenneth Arnold mostra nel 1966 una ricostruzione dell’oggetto volante da lui avvistato (The Atlantic/AP).

Va detto, fra l’altro, che a quell’epoca l’aviazione militare statunitense stava collaudando in gran segreto dei velivoli ispirati dai progetti nazisti e aventi forme molto simili a quella mostrata da Arnold nella ricostruzione grafica, e quindi è possibile che gli oggetti avvistati dal pilota fossero veicoli militari segreti.

Una replica moderna di un Horten Ho 2-29, velivolo sperimentale a getto stealth nazista (Rediff.com/Northrop Grumman).


Arnold non disse che i suoi UFO erano a forma di piattino, eppure il nome flying saucer prese subito piede e da allora l’iconografia ufologica rappresenta quasi sempre oggetti a forma di disco; il significato originale delle parole di Arnold si è perso. È così che si costruiscono i miti.


Una versione molto ridotta di questo articolo è stata pubblicata su Le Scienze nel 2019. Questo articolo fa parte delle Storie di Scienza: una serie libera e gratuita, resa possibile dalle donazioni dei lettori. Se volete saperne di più, leggete qui. Se volete fare una donazione, potete cliccare sul pulsante qui sotto. Grazie!




2020/01/10

Risolto il mistero dei monitor che si spengono e riaccendono. Siete seduti?

Ha iniziato a circolare una diceria secondo la quale alzarsi dalla sedia o sedersi sulla sedia in ufficio fa spegnere i monitor dei computer. Una volta tanto, la diceria è fondata.



The Register segnala infatti che le poltrone regolabili con ammortizzatori a gas generano una scarica elettrostatica: impulso elettromagnetico che viene captato dal cavo video che porta al monitor, causando la perdita del sincronismo del segnale.

Il problema è talmente documentato che è specificato in alcuni manuali di monitor, come questo della Dell, che cita una ricerca sull’argomento risalente al 1993 e consiglia anche una possibile soluzione: cambiare i cavi video con altri che hanno un anello di ferrite.

L’autore della ricerca, Doug Smith, consiglia di procurarsi una radio per onde medie, sintonizzarla su una frequenza sulla quale non ci sia una stazione radio e piazzarla sotto la poltrona. Sedendosi o alzandosi, la scarica elettrostatica può essere captata dalla radio come rumore improvviso.

2017/08/17

40 anni di “segnale Wow”

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete farne una anche voi per incoraggiarmi a scrivere ancora. Ultimo aggiornamento: 2020/08/06 17:25.

Il 15 agosto di quarant’anni fa, nel 1977, l’astronomo statunitense Jerry Ehman scrisse con una biro rossa l’esclamazione “Wow!” accanto a un segnale anomalo ricevuto dal radiotelescopio Big Ear della Ohio State University. Il segnale aveva tutte le caratteristiche che ci si aspettava da un segnale di una civiltà tecnologica extraterrestre. Ma non si è mai più ripetuto, e il mistero sulla sua origine è rimasto per decenni.

Ma Antonio Paris, professore di astronomia al St. Petersburg College, in Florida, di recente ha proposto una soluzione al mistero che ha ottenuto molta visibilità: il segnale, secondo lui, sarebbe stato prodotto per vie naturali da una cometa di passaggio. Ne avevo scritto nel 2008 e ne ho scritto in dettaglio nel numero di luglio scorso de Le Scienze, ma torno ancora brevemente sull’argomento per celebrare il quarantennale di questo rompicapo scientifico.

Vado subito al sodo: la spiegazione proposta da Paris è stata fatta a pezzi dagli esperti (la cometa non era nel punto dal quale provenne il segnale e comunque non era attiva), per cui il mistero rimane. Fra l’altro, i soliti fufologi si sono scatenati per quarant’anni a interpretare i caratteri 6EQUJ5 segnati da Ehman, senza capire che erano semplicemente indicazioni di intensità (1 = minima, Z = massima). All’epoca le stampanti non avevano grandi capacità grafiche, per cui l‘andamento del segnale veniva rappresentato usando lettere e numeri.

Vi propongo un po’ di bibliografia utile per approfondire l’argomento, che è una bella palestra di allenamento al metodo scientifico.


2020/08/06: C’è un aggiornamento in proposito.

2016/09/11

11 settembre quindici anni dopo: l’utile cortina di fumo del complottismo

Sono passati quindici anni dagli attentati dell’11 settembre 2001 e i soliti complottisti ed esperti della domenica non hanno ancora presentato una singola prova tecnica concreta delle loro tesi di demolizioni controllate segrete, aerei di linea fantasma, passeggeri immaginari, dirottatori ancora vivi, ologrammi e microonde dallo spazio.

In compenso, però, sono riusciti a intascare parecchi soldi per sé: cito, giusto per fare qualche esempio, gli incassi milionari del francese Thierry Meyssan, quelli di Alex Jones di Prisonplanet, e i cinquecentomila euro raccolti da Giulietto Chiesa e spariti chissà dove. Anche organizzazioni che a prima vista parrebbero rispettabili, come la spesso citata associazione di architetti e ingegneri AE911 che dice di lottare per la verità sull’11 settembre, si sono rivelate delle macchine arraffasoldi alle quali interessa solo creare polemica in modo da attirare donazioni (ho visto la loro contabilità, che è pubblica per legge: è inequivocabile). Ma di concreto, per fare chiarezza sugli eventi di quel giorno, non hanno concluso nulla. O quasi.

In realtà, infatti, i teorici delle cospirazioni un risultato l’hanno ottenuto: hanno fatto un enorme favore proprio a quel governo americano di cui dicono di essere così fieri oppositori. Hanno creato una cortina fumogena di deliri, fantasie, complotti nei complotti che ha reso difficile, se non impossibile, parlare seriamente delle questioni irrisolte dell’11 settembre. Non appena si prova a fare domande intorno agli eventi poco chiari di quel giorno e dei mesi e anni successivi di “guerra al terrore”, si viene relegati fra i matti, i complottisti e gli antiamericani. E così i dubbi reali vengono insabbiati.

I complottisti sono i nuovi dirottatori dell’11 settembre: hanno mentito, distorto, depistato, confuso e seminato false piste più di quanto potesse sperare di fare qualunque organizzazione governativa che volesse nascondere i fatti scottanti. Convinti di essere supremi disvelatori di verità, non si rendono conto di essere soltanto gli utili idioti della situazione.

C’è chi si è impegnato comunque, in questi anni, a cercare di diradare il fumo dei complottismi: giornalisti, tecnici, vigili del fuoco e persino agenti dell’FBI. Sì: ce n’è uno, in particolare, che si chiama Mark Rossini e ha cose molto schiette da dire sulle pressioni politiche che hanno bloccato le indagini sull'11/9 per quanto riguarda le complicità di cittadini sauditi che hanno assistito i terroristi dell’11 settembre negli Stati Uniti. Questi fiancheggiatori resteranno impuniti perché gli interessi in gioco fra Stati Uniti e Arabia Saudita sono troppo importanti.

Questo è il vero complotto dell’11 settembre, ma non lo sentirete discutere dai complottisti ed esporre su Youtube dagli esperti in poltrona a caccia di clic, perché non è sexy: non c’è niente da mostrare, nessun video da analizzare, nessuna esplosione spettacolare. Non si presta alla caciara e alla monetizzazione. Offre solo tanta, tanta carta da leggere per mettere insieme i pezzi del rompicapo e vedere che Rossini non parla a vanvera ma ha un impianto accusatorio solido e dettagliato; cita date e luoghi, fa nomi e cognomi. Se le sue scoperte vi interessano, trovate i dettagli su Undicisettembre, nelle sue riflessioni sulle 28 pagine di documenti recentemente desegretate e in questa intervista.

In questo anniversario, però, l’attenzione va tenuta sul ricordo, sulla memoria degli eventi inequivocabili di quel terribile 11 settembre 2001, perché gli anni passano e ormai ci sono maggiorenni che non hanno alcuna esperienza diretta di come fosse il mondo prima di quella data. Per loro le Torri Gemelle non sono mai esistite in modo tangibile; non sono mai state il simbolo stesso di New York e dell’America; non sono mai state un luogo reale, visitabile, come lo sono state per chi, come me, ha qualche anno in più sulle spalle. E in questo limbo di memoria le fantasie possono trovare facilmente dimora: per esempio, si sta diffondendo in Rete la tesi oscena che le vittime intrappolate nelle Torri Gemelle fossero simulate (per decenza non cito la fonte). Per questo Undicisettembre pubblica periodicamente le testimonianze dei sopravvissuti e dei vigili del fuoco di New York e del Pentagono, e lo fa anche oggi con le parole di Krista Salvatore, che quel giorno era al sessantunesimo piano del World Trade Center 2. Gente reale, con nomi e cognomi, che parla perché era lì, non perché ha visto qualche video sgranato su Youtube.


NOTA: Per tutti i dubbi e le risposte alle tesi alternative sull’11 settembre consiglio di leggere le apposite FAQ su Undicisettembre.info. Qualunque commento su tesi di complotto che risollevi per l'ennesima volta questioni già spiegate dettagliatamente in quelle FAQ verrà cestinato. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2016/09/11 19:50.

2015/02/26

Che bisogno c’è d’inventarsi misteri di cartapesta, quando la scienza ne offre di veri?

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alla gentile donazione di “gft*” e “pa.arq*”. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora.

Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA

Questo è Cerere, il più grande asteroide conosciuto del Sistema Solare: ha un diametro di circa 950 chilometri. Poco meno della metà di quello di Plutone: infatti Cerere è considerato un pianeta nano.

Orbita nella fascia degli asteroidi, fra Marte e Giove, e fu scoperto dall'italiano Giuseppe Piazzi nel 1801. Questa sua immagine è stata ripresa sette giorni fa dalla sonda Dawn della NASA, da una distanza di circa 46.000 chilometri, e per ora è la più nitida mai realizzata: Dawn si sta ancora avvicinando a Cerere ed entrerà in orbita intorno al pianeta nano il 6 marzo prossimo, offrendoci immagini ancora più dettagliate. Fra l'altro, lo spettrometro a bordo di Dawn è stato realizzato dall'Agenzia Spaziale Italiana e dall'Istituto Nazionale di Astrofisica.

Non vi sarà sfuggita la coppia di punti brillanti quasi al centro dell'immagine. Non sono errori del sensore di ripresa o granelli di pulviscolo che per caso passavano davanti al sensore durante la ripresa dell'immagine: si trovano su Cerere. E nessuno, per ora, sa cosa sono: si sa soltanto che non sono gli unici, perché ne sono stati fotografati altri. Si sospetta che siano di origine vulcanica, ma è solo una teoria legata al fatto che i due puntini si trovano nello stesso cratere. Ne sapremo di più quando arriveranno le immagini a maggiore risoluzione.

2011/11/15

Strane megastrutture in Cina

Cosa sono le strutture gigantesche in Cina visibili in Google Maps?


L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Molti siti e giornali (Giornalettismo; Express-news; Ticinonline; Telegraph) stanno segnalando le immagini di strutture di enormi dimensioni situate in zone poco accessibili della Cina e visibili nelle immagini di Google Maps. Abbondano gli interrogativi sulla loro funzione; probabilmente non tutte le strutture hanno lo stesso scopo, per cui vanno esaminate una per una o raggruppandole per tipo. Questo articolo verrà aggiornato man mano che procede l'esame ed emergono nuove informazioni.

La serie più completa di immagini sembra essere quella pubblicata da Gizmodo qui. La fotografia qui accanto è tratta da Google Maps a queste coordinate (40.452107,93.742118): la griglia irregolare di segmenti rettilinei misura circa 1200 per 700 metri e un esame ravvicinato sembra suggerire che si tratti di una colorazione applicata al terreno, dato che ne segue i rilievi e mostra segni di dilavamento e asportazione da parte delle ruote di veicoli. Alcune linee sembrano quasi cancellate.

Un'altra struttura analoga è visibile a circa 30 chilometri di distanza, a queste coordinate (40.458148,93.393145), e misura circa 1700 metri per 1300. Fra le due strutture c'è un altro oggetto misterioso: una sagoma che somiglia alla pianta di un aeroporto ma è soltanto dipinta sul terreno ed è accompagnata da un suo clone con un curioso colore azzurro composto da strisce di tonalità differenti, anch'esse apparentemente dipinte.



È molto improbabile che si tratti di strutture che dovevano restare nascoste: i cinesi non sono stupidi e sanno benissimo che strutture di questo tipo sono facilmente visibili per le potenze straniere tramite i satelliti di ricognizione. Le ipotesi fantasiose su un'“Area 51” cinese o su ideogrammi per attirare gli alieni vanno quindi accantonate, così come sembra implausibile che si tratti di copie delle mappe stradali di bersagli militari (Washington o Mosca), perché i missili cinesi non avrebbero bisogno di identificare visivamente il proprio obiettivo.

La spiegazione più plausibile è che si tratti di poligoni di tiro. La colorazione chiara aiuterebbe a rilevare dall'alto la precisione del tiro e la quantità di materiale spostato. C'è, infatti, una zona quadrata a un'estremità dell'“aeroporto” che sembra proprio butterata di crateri di varie dimensioni:


Guardando la stessa immagine nella cronologia di Google Earth si nota che nel 2005 la stessa area non era altrettanto crivellata, mentre già nel 2006 era costellata di macchie (presumibilmente crateri).

Anche alcune altre immagini, come la griglia di quadrati disposti su quattro file di quattro elementi o la disposizione circolare, sembrano dei poligoni di tiro, con veicoli abbandonati da usare come bersagli.

La Cina non è nuova a questo genere di megastrutture per esercitazioni: casi analoghi erano già emersi in Google Earth/Maps alcuni anni fa (nel 2006).

La struttura che si trova a 40.452107,90.85693359375, invece, è un complesso con ampi bacini allagati e poco profondi: lo si nota dal colore chiaro dell'acqua e dalle ombre degli oggetti che vi affiorano. Seguendo una delle "strade" che si dipartono dal complesso, verso nord-est, si nota che a un certo punto c'è una diga. La "strada" è in realtà un canale. Un lettore, At, segnala che secondo Wikipedia si tratta di un impianto di produzione di cloruro di potassio presso Lop Nur.

Più intrigante è la colossale griglia che si vede a 44 42'40.81"N 93 31'46.18"E. È tracciata sulla superficie con linee accoppiate che hanno tutta l'aria di essere tracce di ruote di un veicolo, e nel 2009 non c'era, secondo Google Earth: è comparsa fra settembre 2009 e maggio 2010. La griglia è composta da due bande larghe circa 3 chilometri (quella in direzione sudovest-nordest) e 1,5 chilometri (quella che si estende da nordovest a sudest) e lunghe rispettivamente circa 45 e 30 chilometri. Non ho idea di cosa possa essere.

2010/06/02

La foto del buco in Guatemala

No, la "porta dell'inferno" a Città del Guatemala non è un fotomontaggio


L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Diversi lettori mi hanno scritto, perplessi sull'autenticità della foto mostrata dal Corriere della Sera online di una gigantesca voragine circolare apertasi in mezzo alle abitazioni. Pareti troppo lisce e uniformi, nessuna persona intorno, nessun cordone di polizia, nessuna fognatura tranciata.

Eppure la fotografia è nella pagina Flickr del governo del Guatemala qui. La versione a massima risoluzione lascia pochi dubbi e rivela cavi e condotte interrotte. C'è un'altra immagine dell'abisso qui, dove si notano alcune persone, anche in divisa, che bloccano le vie di accesso. E questa foto mostra la voragine da un'altra angolazione. Il foro si è spalancato tre giorni fa.



Fenomeni di questo genere, purtroppo, non sono rari, come segnala il sito dell'US Geological Survey, e in particolare sono già avvenuti a Città del Guatemala, come documentato da queste immagini apparse nel 2007 inizialmente sul Chicago Sun-Times. 

C'è poco da scherzare: secondo CNN, la voragine ha inghiottito un edificio di tre piani e una casa. Non è chiaro se ci sono state vittime.

2010/04/30

Misteri veri: rivelate le montagne sepolte dell’Antartide

Comincia a chiarirsi l'enigma delle montagne fantasma in Antartide


Questo articolo vi arriva grazie alle gentili donazioni di "vadrian" e "leonardo.cr*" ed è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Quasi due anni fa scrissi un articolo sull'intrigante mistero dei monti Gamburtsev, una catena montuosa grande come le Alpi che si estende per circa 1200 chilometri e ha vette di oltre 3000 metri sul livello del mare ma non è mai stata raggiunta dall'uomo perché è sepolta sotto centinaia di metri di ghiaccio antico, in Antartide.

Non se ne sapeva nulla fino alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, e i geologi non erano ancora riusciti a spiegare come si potessero essere formate montagne così alte al centro del continente. Il vulcanesimo non c'entrava e non c'erano state collisioni di zolle della crosta terrestre in quella zona inaccessibile del nostro pianeta. Inoltre alcuni metodi di datazione indicavano che queste montagne risalivano a 500 milioni di anni fa, eppure la loro altezza, non ridotta dall'erosione, le faceva risalire a circa 60 milioni di anni fa.

Una serie notevole di contraddizioni, insomma, che dimostra che non c'è bisogno di ricorrere ai soliti Templari o agli extraterrestri per trovare misteri e storie affascinanti. Senza andare lontano, abbiamo qui, sulla Terra, un inferno di freddo fino a -80°C, dove il carburante diventa gelatina e servono le bombole d'ossigeno a causa dell'altitudine, non esistono punti di riferimento e in caso di incidenti o ferite gravi non c'è possibilità di soccorso. La Luna, in confronto, è un posto tranquillo e ospitale.

Torno sull'argomento perché ci sono aggiornamenti importanti: la mappatura radar effettuata nel corso degli ultimi due anni ha raccolto dieci terabyte di dati, che hanno permesso di ottenere una cartografia tridimensionale dettagliata dei monti Gamburtsev, che qui sotto sono visibili con l'aspetto che avrebbero se la piatta coltre di ghiaccio che li nasconde (spessa fino a 4800 metri nelle valli) venisse magicamente rimossa.

Questo è il livello di dettaglio dell'intero continente antartico che si aveva nel 2006, prima della recente spedizione di mappatura: tutti i monti Gamburtsev sono rappresentati dal picco rosso.


E questo è invece il dettaglio di cui disponiamo oggi:


Mappa digitale dei monti Gamburtsev. La superficie dello strato di ghiaccio è mostrata in blu; la scala verticale è aumentata per evidenziare i dettagli. Credit: Michael Studinger.



Dettaglio di una delle valli nascoste e sepolte.



La tecnica di mappatura con radar e gravimetrica. Courtesy Michael Studinger.

il mistero comincia a chiarirsi. Secondo le ricerche più recenti, riferite dalla geofisica Robin Bell del Lamont-Doherty Earth Observatory presso la Columbia University statunitense, la catena montuosa si formò probabilmente 250 milioni di anni fa, prima di essere ricoperta dai ghiacci, visto che l'analisi radar ha rivelato segni di veri e propri fiumi che scorrono (o scorrevano) lungo le montagne e le valli sepolte. In profondità ci sono anche enormi bacini d'acqua subglaciali, che non hanno contatti con il mondo esterno da milioni di anni: lo spostamento dei ghiacci a volte li prende e li trascina, facendo superare loro anche i picchi più alti, ma li mantiene isolati dal resto del pianeta. Chissà se c'è vita lì dentro.

Inoltre David Braaten, dell'Università del Kansas, segnala che le ricerche hanno individuato una zona calda geotermica che si estende per alcuni chilometri, si trova a circa tre chilometri di profondità e tende a fondere e rimescolare il ghiaccio soprastante. Immaginate tre chilometri di ghiaccio appoggiati sopra un geyser e avrete un'idea della situazione da fantascienza, degna di un racconto di Lovecraft.

Infine, secondo i dati raccolti dall'Istituto di Ricerca Polare cinese, i picchi di queste montagne misteriose furono il punto d'inizio della formazione dei ghiacci antartici, circa 14 milioni di anni fa. La coltre gelida, che oggi costituisce di gran lunga la più grande riserva d'acqua dolce del mondo (26,6 milioni di chilometri cubi, pari al 92% dei ghiacciai del pianeta; la Groenlandia rappresenta il 7,5%) si estese progressivamente fino alle valli, formando ghiacciai che scavarono la grande conca centrale dei monti Gamburtsev, che oggi sono più inaccessibili delle valli di Marte, ma visualizzabili grazie a tanta matematica e tecnologia e alla determinazione e pazienza dei ricercatori di tutto il mondo.

La terra dimenticata dal tempo, letteralmente sotto i nostri piedi. Qualcuno ha detto che la scienza è noiosa?

Fonti: National Geographic, University of Kansas, CreSIS (con dati grezzi e mappe), United States Antarctic Program, International Polar Foundation, Ice Stories, The Telegraph, London Imperial College, Museo Nazionale Antartide, LDEO.

2010/04/11

Esagono gigante su Saturno, forse risolto il mistero

Replicato in laboratorio l'esagono avvistato nell'atmosfera di Saturno


Ricordate il misterioso, affascinante esagono gigante avvistato al polo nord del pianeta Saturno (foto composita qui accanto)? La sua forma regolare e le sue dimensioni colossali (ogni lato è grande come il diametro della Terra) hanno intrigato scienziati ed appassionati a dicembre del 2009. Ne avevo parlato in questo articolo.

Già tre anni fa, tuttavia, i fisici Claudia Barbosa Aguiar e Peter Read dell'Università di Oxford, nel Regno Unito, sono riusciti a replicare in laboratorio – ovviamente in scala leggermente ridotta – la formazione di questa struttura insolitamente geometrica. Hanno collocato un cilindro contenente 30 litri d'acqua su una piattaforma in lenta rotazione; all'interno di questo cilindro hanno poi immesso un anello che ruotava più rapidamente del cilindro stesso.

L'acqua rappresenta l'atmosfera di Saturno; l'anello produce una corrente accelerata nel liquido, simile al jet stream d'alta quota terrestre, che è stata colorata di verde. A seconda del rapporto fra le due velocità di rotazione, i fisici sono riusciti a ottenere varie forme geometriche regolari: ovali: triangoli, quadrati e naturalmente anche esagoni.

La tesi dei ricercatori è che al polo nord di Saturno vi sia una banda di corrente atmosferica molto più veloce rispetto all'atmosfera circostante e che questa differenza di velocità produca la struttura regolare. Secondo Barbosa Aguiar, questo genere di fenomeno avviene anche sulla Terra e produce forme poligonali analoghe ma di breve durata. L'articolo che spiega i dettagli della ricerca è intitolato A laboratory model of Saturn’s North Polar Hexagon. Uno spiegone meno tecnico (ma in inglese) è disponibile presso ScienceNow insieme a un video qui.

2009/12/14

L’esagono di Saturno

Dio non gioca ai dadi. Preferisce la geometria


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Questo è il polo nord del pianeta Saturno, visto da sopra. L'esagono che vedete non è un effetto fotografico, ma una struttura reale, grande più di due volte la nostra Terra, che dura da almeno trent'anni, quando la videro di sfuggita le sonde Voyager della NASA negli anni Ottanta del secolo scorso. Per via dell'inclinazione dell'asse del pianeta rispetto al piano in cui orbita lentamente, queste nubi dalla sagoma straordinariamente regolare sono rimaste al buio fino a pochi mesi fa: l'inverno polare saturniano dura quasi quindici anni.

La sonda Cassini era riuscita a catturarne immagini nell'infrarosso, ma ora ha potuto scattarne fotografie in luce normale e ritrasmetterle a Terra. Riunite in questo collage, il cui centro è nero per mancanza di dati (la regione polare estrema è ancora al buio), rivelano in un dettaglio mai visto prima una struttura la cui genesi e stabilità almeno trentennale sono per ora inspiegate. Al polo opposto del pianeta, fra l'altro, non c'è un esagono analogo, ma un ciclone grande come il nostro pianeta.

Si suppone che l'esagono sia una forte corrente atmosferica simile al jetstream terrestre, ma non si sa cosa ne regoli la forma. Maggiori dettagli sull'esagono più colossale mai visto da occhio umano (o robotico) sono nel PhotoJournal della NASA e nel sito della sonda Cassini.

Va ricordato che alla missione Cassini collaborano anche l'Agenzia Spaziale Italiana e l'ESA.

Di fronte a meraviglie e misteri del genere, le storielle trite di visite di alieni umanoidi e di presunte sfighe annunciate dai Maya impallidiscono e assumono il sapore del pane ammuffito. In tutto il loro partorire di fantasie malate, i vari veggenti, ufologi, viaggiatori astrali e fanfaroni assortiti non sono mai riusciti a concepire nulla del genere.

E a riprova delle scempiaggini che dicono, va notato che se avessero voluto dimostrare di viaggiare davvero nello spazio a bordo di navi aliene, avrebbero potuto semplicemente dire "c'è un colossale esagono al polo nord di Saturno" quarant'anni fa, prima che se ne sapesse qualcosa grazie alle missioni spaziali. Ancora una volta, la paziente fatica degli scienziati e dei tecnici dimostra che l'universo non è soltanto più strano di quello che immaginiamo: è più strano di quello che possiamo immaginare.

Giacobbo, Ruggeri, andate a cuccia. Questa non è roba per voi.

2009/04/10

Trapelano i segreti dell’Area 51

Ecco cos'erano alcuni degli UFO visti dai piloti di linea: veicoli dell'Area 51. Si aprono gli archivi top secret


L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Molti degli avvistamenti dei piloti di linea statunitensi degli anni Sessanta hanno una spiegazione molto interessante: si trattò davvero di veicoli militari segreti provenienti dall'Area 51, in particolare l'A-12 Oxcart (foto qui accanto, tratta da Wikipedia), dal quale derivò il più famoso SR-71 Blackbird.

Tre volte la velocità del suono, quote di volo altissime, una forma assolutamente diversa da quella di qualunque altro velivolo e facilmente scambiabile per un disco volante: non c'è da stupirsi se i piloti facessero spesso rapporto su avvistamenti incomprensibili.

Ma i rapporti erano molti di più di quelli che trapelavano: di norma, infatti, i piloti venivano avvicinati dagli agenti della CIA e costretti al silenzio. Non per nascondere gli alieni, ma per non far sapere ai sovietici quali velivoli li stavano spiando, dato che l'A-12 era un ricognitore strategico fondamentalmente disarmato.

Se questa storia vera ma ai confini della fantascienza v'intriga, leggete quest'articolo del Los Angeles Times, ricco di aneddoti inquietanti raccontati dai piloti top secret dell'epoca, e andate al sito della CIA a scaricare le 1500 pagine di documenti finalmente desegretati. Poi chiedetevi cosa staranno collaudando adesso, se cinquant'anni fa volavano a Mach 3. Buona lettura.

2008/10/24

Raggi X dal nastro adesivo?

Radiografie srotolando lo scotch


Sembrerebbe la classica notizia impossibile, ma non è così: l'autorevolissima rivista Nature ha pubblicato un articolo nel quale si documenta che lo srotolamento del nastro adesivo genera raggi X sufficienti a produrre una radiografia. Ne vedete un esempio nella foto qui accanto.

Niente paura: non correte rischi quando impacchettate i regali di Natale. Il fenomeno, infatti, si manifesta soltanto nel vuoto. Ma si manifesta eccome: ne potete vedere una verifica sperimentale in questo filmato di Nature.

Il fenomeno si chiama triboluminescenza ed è noto, almeno in parte, dal 1605, quando lo osservò Francis Bacon sfregando una zolletta di zucchero e notando che emetteva luce. Nel 1953 alcuni ricercatori russi ipotizzarono che il nastro adesivo potesse emettere raggi X quando veniva srotolato, ma le loro idee furono accolte con forte scetticismo.

Il metodo scientifico, però, serve proprio per situazioni come queste: affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie, come si suol dire, e le prove straordinarie sono arrivate. I ricercatori della University of California a Los Angeles hanno fatto l'esperimento, costruendo una camera a vuoto nella quale hanno collocato un rotolo di nastro adesivo e un motorino per srotolarlo. Il contatore Geiger ha rilevato radiazioni; la prova del nove è stata la radiografia del dito di uno dei ricercatori.

L'esatto meccanismo di generazione di questi impulsi di raggi X non è noto e costituisce per certi versi un mistero: secondo Nature, la carica di energia che si è formata sulla superficie del nastro mentre veniva srotolato durante gli esperimenti è dieci volte più alta della norma. I ricercatori arrivano a ipotizzare che l'elevata densità di carica generata dallo srotolamento potrebbe essere sufficiente a innescare una fusione nucleare in modo semplice e controllato (questa sì che è un'affermazione straordinaria). Un'altra possibile applicazione meno fantascientifica è l'impiego di questa fonte di raggi X per costruire macchine per radiografie compatte e a basso costo per i paesi in via di sviluppo.

2008/10/17

Misteri veri: le montagne sepolte dell’Antartide

"E' come aprire la porta di una piramide egizia e trovarci dentro un astronauta": il mistero dei monti Gamburtsev


Intanto che certi programmi TV si occupano di misteri di cartapesta, gli scienziati si occupano di quelli veri. Per ricordare che la scienza vera non nega i misteri, ma quando li trova sul serio li indaga, eccovi la storia intrigante dei monti Gamburtsev.

Non ne avete mai sentito parlare? Eppure si tratta di una catena montuosa grande come le Alpi, che si estende per circa 1200 chilometri e ha vette di oltre 3000 metri. Non siete i soli a non conoscerle: sono in un luogo così inaccessibile che nessuno ne conosceva l'esistenza fino alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, e ancor oggi nessuno le ha scalate. Cosa ancora più intrigante, sono in un posto dove la geologia dice che non ci dovrebbero essere montagne. E' questo il motivo che ha spinto Robin Bell, del Lamont-Doherty Earth Observatory, a paragonare queste montagne al ritrovamento di un astronauta in una piramide egizia.

Dove sono? Non cercatele sull'atlante: sono sepolte sotto i ghiacci dell'Antartide. Furono scoperte da una missione sovietica nel cuore del continente, durante l'Anno Geofisico Internazionale 1957-58, e prendono il proprio nome dal geofisico sovietico Grigoriy A. Gamburtsev (morto tre anni prima della scoperta). La loro struttura è stata poi mappata approssimativamente tramite i satelliti Landsat, che sono in grado di "vedere" oltre la coltre di ghiaccio, spessa fino a 600 metri.

Ora la comunità scientifica internazionale torna ad esplorare questo mistero nell'ambito dell'Anno Polare Internazionale, con una spedizione aerea dotata di sensori radar, magnetici e gravimetrici per ottenere una mappa dettagliata della stratificazione dei ghiacchi antartici sopra i monti Gamburtsev (la mappa qui accanto è cliccabile per ingrandirla). Dei sismografi al suolo analizzeranno le onde prodotte dai terremoti per decodificare la struttura delle rocce e dei ghiacci. Verranno effettuate trivellazioni per prelevare campioni di neve compressa, nei quali è intrappolata aria che risale a milioni di anni fa, da confrontare con quella attuale.

Il mistero, per i geologi, è come si possano essere formate delle montagne così alte al centro del continente. Come dice il professor Bryan C. Storey, dell'Università di Canterbury in Nuova Zelanda, "non esiste alcun meccanismo ampiamente accettato che spieghi le origini dei Monti Gamburtsev". Le montagne si formano ai bordi dei continenti, o dove le zolle della crosta terrestre si scontrano o vengono stirate, oppure dove un vulcano erompe fino alla superficie. Ma nessuno di questi meccanismi si applica a queste montagne.

L'ultima collisione fra zolle nell'Antartico risale a oltre 500 milioni di anni fa, e quindi le montagne dovrebbero essere state erose dal tempo e dai ghiacci: invece sono ancora lì. E non risultano tracce di vulcanesimo sotto la calotta di ghiaccio, formatasi circa 30 milioni di anni fa.

A parte risolvere un mistero, la spedizione ha anche uno scopo molto pratico: l'Antartide è il principale regolatore dei livelli dei mari e degli oceani. A differenza dell'Artico, il suo ghiaccio poggia sulla terraferma, e quindi se si scioglie fa aumentare il livello delle acque. E' quindi importante capire come si evolverà l'Antartico se la temperatura mondiale aumenterà e come si è formata la calotta antartica, e i monti Gamburtsev sono ritenuti il punto dal quale ha avuto inizio la crescita dei ghiacci.

E là sotto ci sono laghi e fiumi subglaciali che non hanno contatti con il resto del mondo da 30 milioni di anni. Sarà come avere la macchina del tempo.

Fonti: Expedition set for 'ghost peaks', BBC; The Gamburtsev Mountains, Lamont-Doherty Earth Observatory; Gamburtsev Subglacial Mountains, Australian Antarctic Data Centre; Expressions of Intent for IPY 2007-2008 Activities, Bryan C Storey.

2008/09/30

Misteri veri: l’evento “wow”

Questo articolo vi arriva grazie alle gentili donazioni di “gattomiro” e “larana”.

Visto che qualcuno si lamenta che non faccio altro che smontare misteri e ammazzare la fantasia, eccovi un esempio di vero mistero. Non le solite storielle trite di UFO, piramidi e Templari, ma un mistero autentico, di quelli benedetti dalla scienza.

Era il 15 agosto 1977. Il radiotelescopio Big Ear della Ohio State University stava ascoltando l'incessante fruscio dei segnali radio naturali che provengono dallo spazio, specificamente nella direzione della costellazione del Sagittario. L'astronomo Jerry R. Ehman si è messo a sfogliare i tabulati prodotti dal radiotelescopio e a un certo punto ha segnato con la biro rossa una serie di dati e vi ha aggiunto un grande "Wow!".

Il suo stupore era più che giustificato. Il segnale aveva tutte le caratteristiche tipiche di un segnale artificiale proveniente dallo spazio profondo.

  • Il radiotelescopio Big Ear aveva un puntamento fisso: spazzava il cielo man mano grazie alla rotazione terrestre. Di conseguenza, poteva "osservare" un punto specifico del cielo per esattamente 72 secondi prima che uscisse dal suo campo di ricezione. Un segnale che fosse durato di più o di meno avrebbe indicato una fonte terrestre (un satellite in orbita o un aereo, per esempio). Un segnale che fosse durato esattamente 72 secondi sarebbe stato quindi di origine non terrestre (non necessariamente artificiale, ma non terrestre). Il segnale durò esattamente 72 secondi.
  • Un segnale non terrestre avrebbe avuto un'intensità che iniziava bassa, raggiungeva il picco massimo dopo 36 secondi (quando era al centro del campo di ricezione del radiotelescopio), e poi calava di nuovo. Il "segnale Wow" aveva queste esatte caratteristiche.
  • Il segnale fu il più potente mai ricevuto dal radiotelescopio Big Ear.
  • La larghezza di banda del segnale era inferiore a 10 kHz; in altre parole, un segnale ben preciso, senza le sbavature tipiche dei segnali di origine naturale.
  • La frequenza di emissione del segnale era vicinissima ai 1420.406 MHz, che è quella ritenuta ottimale per le trasmissioni radio interstellari perché buca le nubi di polvere nello spazio e quindi viaggia meglio di tutte le altre; sarebbe quindi un candidato naturale per qualunque segnale emesso intenzionalmente da una civiltà extraterrestre.
  • La stessa frequenza è fra quelle proibite ai trasmettitori terrestri, e questo è un altro motivo per escludere l'origine terrestre del segnale.
Purtroppo il segnale "Wow" non si è mai più ripetuto. Sono stati fatti numerosi tentativi di riascolto, puntando verso la medesima posizione nel cielo anche i più recenti radiotelescopi, ma non è mai stato ricevuto altro. In quella posizione, inoltre, non ci sono corpi celesti significativi. Sono state escluse anche le fonti più improbabili, come pezzetti di satelliti che potevano riflettere un segnale di origine terrestre.

C'è chi ha obiettato che un segnale intenzionale si sarebbe ripetuto. Non si grida "Ehi, sono qui" una volta sola, no? Ma bisogna considerare che quando siamo stati noi a mandare nello spazio un radiosegnale per farci conoscere, tramite il radiotelescopio di Arecibo il 16 novembre 1974, lo abbiamo fatto una sola volta.

L'apposita voce della Wikipedia in lingua inglese ha una ricca bibliografia tecnica sul "segnale Wow".

Questi sono i veri misteri della scienza. Ed è per questo che la ricerca scientifica va finanziata: perché sarebbe veramente vergognoso scoprire che là fuori ci stanno chiamando da una vita, e noi siamo troppo stupidi per rispondere al campanello.


2017/08: Probabilmente è stata trovata una spiegazione al “segnale Wow”.

2020/08: C’è un aggiornamento sulla vicenda.
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