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Il Disinformatico: pirateria

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2010/06/06

Pirateria e gestori dei media, adattarsi o perire

Copyright, è ora di rendersi conto che i buoi sono scappati. E hanno vinto


J.K. Rowling, l'autrice della fantastilionaria saga di Harry Potter, ha avuto l'illuminazione: rifiutarsi di produrre una versione digitale legale dei suoi libri non ha impedito che i lettori se ne creassero una propria. Che scoperta.

Ieri sera sulla BBC è andata in onda una nuova, magnifica puntata di Doctor Who (Vincent and the Doctor). Neanche due ore più tardi, era già su Rapidshare, in qualità perfetta, da dove l'ho scaricata ad altissima velocità: ci ho messo meno della durata della puntata stessa. E me la sono vista insieme alla mia famiglia.

Sono impazzito e mi sto autodenunciando pubblicamente per pirateria? No. Qui al Maniero Digitale ricevo legalmente la BBC. Pago un canone a una società di telecomunicazioni (Cablecom) per poterlo fare, e il canone include anche i diritti d'autore: sto quindi scaricando un'opera che ho comunque il diritto di vedere. E la legge svizzera (articolo 19 della Legge federale sul diritto d'autore e sui diritti di protezione affini) permette il download puro delle opere vincolate da copyright (ma non la loro condivisione indiscriminata). Quindi scaricare Doctor Who da Rapidshare è legale, perché è un semplice scaricamento senza condivisione. A differenza di eMule e affini, dove chi scarica condivide.

Perché lo faccio? Perché per ragioni inconoscibili, da mesi il segnale della BBC via cavo fa schifo ed è spesso inguardabile. Quando è guardabile, è spesso compresso a livelli indecenti che riportano la televisione ai tempi delle gemelle Kessler. E comunque anche quando il segnale è pulito, registro la puntata e la digitalizzo per conservarla in un formato standard e senza DRM, così potrò riguardarmela quando voglio e sul dispositivo che voglio, e le mie figlie potranno fare altrettanto (e le loro figlie pure). Scaricandola da Rapidshare è già perfetta, pulita e in formato digitale, pronta per la visione e l'archiviazione.

In altre parole, il download "pirata" è più efficiente del servizio ufficiale. Non è questione di costi, perché tanto i diritti li pago lo stesso. Non sono uno scroccone. Sono un cliente disposto a pagare una cifra ragionevole per avere un prodotto che apprezza e che vuole sostenere economicamente. E come me ce ne sono molti.

Titolari dei diritti, rassegnatevi. Avete perso e noi abbiamo vinto. Se non offrite il download immediato, efficiente e senza inutili e costosi lucchetti digitali dei vostri prodotti, non farete altro che perdere un'occasione di fare soldi. Perché se vendete un download legale, liberamente fruibile senza acrobazie e senza vincoli a uno specifico dispositivo di lettura, ci saranno tante persone che lo compreranno perché hanno capito che produrre un fumetto, un libro, un film o un telefilm costa tempo e denaro e che gli autori non vivono d'aria. Persone che capiscono che se vogliono nuove puntate del programma che amano, devono mettere una piccola mano al portafogli. Certo, ci saranno anche gli scrocconi: ma ci sono già adesso. Fatevene una ragione.

Se non vendete un'edizione digitale scaricabile, non illudetevi che questo metta freno alla pirateria e che possiate abolire la distribuzione alternativa a colpi di leggine: non fa altro che inimicarvi i potenziali clienti e non è altro che un'occasione di vendita perduta.

Lasciamo perdere i massimi sistemi e la filosofia del diritto d'autore e guardiamo in faccia la realtà: la tecnologia ha ormai messo in mano a chiunque i dispositivi che permettono la duplicazione di qualunque vostra opera, e indietro non si torna, salvo che vogliate mettere una guardia a sorvegliare ogni fotocopiatrice e introdurre il permesso di stato per i masterizzatori. Parliamo di una cosa che capite. Soldi. Che state perdendo. Volete continuare a farlo? Continuate così.

2010/04/02

Francia: legge antipirateria fa aumentare la pirateria

L'illusione delle leggi antipirateria: Hadopi fa aumentare il numero dei pirati online, riduce gli acquirenti legittimi


L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

A fine 2009 in Francia è entrata in vigore la severissima legge denominata Hadopi, che prevede la disconnessione da Internet degli utenti che vengono colti ripetutamente a scaricare materiale vincolato dal diritto d'autore. Un deterrente apparentemente molto forte e persuasivo.

Ma uno studio condotto sotto l'egida dell'Università di Rennes e basato su un campione di 2000 utenti indica "un leggero aumento del numero di pirati su Internet", pari al 3%, dopo l'introduzione di Hadopi. Come mai? Semplice: gli utenti hanno cambiato modo di procurarsi materiale pirata (film, musica, telefilm), scegliendo fonti non coperte dalla legge.

L'uso dei circuiti peer-to-peer, quelli presi di mira da Hadopi, è sceso del 15%, ma quello di siti di streaming (come Allostreaming e Megavideo), di siti di download (come Megaupload o Rapidshare), di VPN (reti private virtuali) e di forum chiusi, tutti non coperti dalla legge Hadopi, è aumentato nel contempo del 27%, più che compensando il calo del numero di utenti dei circuiti peer-to-peer.

Un altro dato ironico e interessante dello studio è che "la metà degli acquirenti di video/audio sulle piattaforme legali appartiene alla categoria dei pirati... la legge Hadopi, concepita per sostenere le industrie culturali, paradossalmente potrebbe eliminare il 27% degli acquirenti di video e musica su Internet tagliando la connessione Internet degli utenti peer-to-peer". In altre parole, questi risultati sono un'ulteriore dimostrazione dell'abisso che c'è fra legislatore e realtà della Rete.

Aggiornamento: come segnalato da Tom's Hardware, la legge Hadopi è in vigore ma non è ancora operativa all'atto pratico, perché "l'agenzia istituita dalla legge non ha ancora iniziato l'attività sul campo... non vi sono state ancora disconnessioni e nemmeno sono state inviate delle diffide" (FIMI). Vero, ma la percezione nell'opinione pubblica è che la legge c'è ed è in funzione.

2010/01/29

Megamulta USA per file sharing, storia infinita

USA, 24 canzoni piratate costano 222.000 dollari. No, 1,92 milioni. No, 25.000 trattabili


Questo articolo vi arriva grazie alle gentili donazioni di "goligiac" e "valesaddiction".


Ricordate il caso di Jammie Thomas, la donna del Minnesota che nel 2007 fu al centro del primo processo per pirateria musicale tenuto negli Stati Uniti di fronte a una giuria? All'epoca ci fu molto clamore intorno alla megamulta di 222.000 dollari inflitta per aver condiviso su Internet ventiquattro canzoni. Una cifra stabilita per legge. La giuria arrivò alla decisione dopo ben cinque minuti di riflessione.

Da allora la lite legale è andata avanti con sviluppi decisamente inattesi: nel giugno del 2009 si è tenuto un secondo processo a carico della Thomas, dopo che il primo era stato invalidato da un errore procedurale. Ma alla signora non è andata molto bene: la giuria l'ha trovata colpevole di violazione del diritto d'autore e le ha irrogato una pena di quasi due milioni di dollari, pari a 80.000 dollari per ogni canzone. Poteva andarle anche peggio, perché la legge avrebbe consentito anche un ammontare quasi doppio.

Ma Jammie Thomas ha contestato che la sanzione era talmente sproporzionata rispetto ai danni reali da essere incostituzionale, e il giudice ha accolto l'obiezione, riducendo l'importo a 54.000 dollari, definendo i due milioni iniziali come "mostruosi e scioccanti". La casa discografica Capitol Records, controparte nella causa, ha offerto di patteggiare un importo di 25.000 dollari. Pagabili in comode rate e da devolvere in beneficenza.

Niente da fare: le ultime notizie sono che la Thomas ha rifiutato quest'ultima proposta e si va quindi verso un terzo processo, per la semplice ragione che la signora non è in grado di pagare nessuna cifra (l'avvocato la difende gratuitamente).

La reazione dell'opinione pubblica alla vicenda è stata molto deleteria per le case discografiche e per la loro associazione, la RIAA, nonostante sia stato dimostrato che la Thomas ha effettivamente violato il diritto d'autore. La RIAA non può mollare, perché questo costituirebbe un precedente che consentirebbe ai giudici di cambiare a piacimento l'ammontare delle sanzioni in altri processi analoghi. E allora si va avanti. Quanti sono i processi analoghi in corso? Esattamente uno: quello contro Joel Tenenbaum, che ha già avviato la procedura d'appello contro la sanzione di 675.000 dollari alla quale è stato condannato.

Alla fine, il messaggio poco confortante che passa è che non c'è certezza della pena, cosa che indebolisce l'efficacia di qualunque legge, e che gli unici che guadagnano dalle liti legali fra case discografiche e utenti disonesti sono gli avvocati, ed è per questo che negli USA non ci sono altre cause analoghe. La signora Thomas, oggi Thomas-Rasset, forse riuscirà a pagare poco o nulla, ma è rimasta in ballo per ben tre anni (l'azione legale iniziò nell'aprile del 2006). Per ventiquattro canzoni. Non sarebbe stato più semplice scaricarle legalmente o comperarle in negozio?

Per chi fosse interessato, ecco i titoli incriminati:

Aerosmith - Cryin'
Bryan Adams - Somebody
Def Leppard - Pour Some Sugar on Me
Destiny’s Child - Bills, Bills, Bills
Gloria Estefan - Here We Are; Coming Out of the Dark; Rhythm Is Gonna Get You
Goo Goo Dolls - Iris
Green Day - Basket Case
Guns N' Roses - Welcome to the Jungle; November Rain
Janet Jackson - Let's Wait Awhile
Journey - Faithfully; Don't Stop Believing
Linkin Park - One Step Closer
No Doubt - Bathwater; Hella Good; Different People
Reba McEntire - One Honest Heart
Richard Marx - Now and Forever
Sarah McLachlan - Possession; Building a Mystery
Sheryl Crow - Run Baby Run
Vanessa Williams - Save the Best for Last

Fonti: sintesi e articoli citati da Wikipedia; Ars Technica; PC World.

2010/01/08

Svizzera, condanna per file sharing

L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2010/02/01.

Ha fatto notizia, tanto da essere descritta come "decisione storica", quella che i media locali (RSI online; Il Quotidiano sulla RSI; Ticinonline) indicano come la prima condanna per file sharing illegale in Canton Ticino, dove si trova il mio Maniero Digitale: una diciottenne della zona di Locarno (l'immagine qui accanto è puramente indicativa) è stata condannata per aver violato online la legge federale sul diritto d'autore, acquisendo e offrendo illegalmente ben 270 film e oltre 4200 brani musicali. La pena: 400 franchi, circa 270 euro (le 30 "aliquote" – pari ciascuna a un giorno di guadagno dell'imputato – sono sospese con la condizionale).

Secondo il comunicato dell'IFPI, la multa ammonta invece a 900 franchi in aggiunta a 400 di sanzione e 250 di spese del tribunale, e qualora la ragazza non dovesse pagare la sanzione affronterebbe 14 giorni di prigione. L'IFPI dice che la locarnese aveva "distribuito 4253 file di musica e film che violavano il diritto d'autore sui circuiti peer-to-peer eMule e Bearshare a milioni di potenziali utenti, causando perdite stimate di 13.500 franchi ai titolari dei diritti".

Non sono sicuro che sia proprio la prima condanna in assoluto (ricordo altri provvedimenti del genere, presentati durante una conferenza alla quale ho preso parte, e verificherò), e vorrei vedere le carte della sentenza prima di commentarla, ma è comunque un buon pretesto per riepilogare un po' di fatti e considerazioni sullo stato della pirateria audiovisiva in Svizzera.

Innanzi tutto occorre capire una particolarità della legge svizzera sul diritto d'autore: scaricare da Internet film musica o altro materiale vincolato dal diritto d'autore è permesso. Avete capito bene. "Secondo la stragrande maggioranza delle opinioni, il download privato in Svizzera è permesso anche senza l'approvazione degli aventi diritto, anche se l'offerta stessa è illegale", dice addirittura la SUISA, grosso modo l'equivalente della SIAE italiana, precisando che "[I]n merito non vi è tuttavia ancora alcuna sentenza giudiziaria; non è pertanto possibile rispondere al quesito in maniera definitiva". Per ora non è chiaro se la condanna locarnese permetta di rispondere al quesito e quindi la prassi corrente resta invariata.

Ma allora perché la diciottenne è stata condannata? Perché condivideva file vincolati dal diritto d'autore, e lo faceva al di fuori dell'"ambito privato" o della "cerchia di persone unite da stretti vincoli, quali parenti o amici", nei quali la condivisione è esplicitamente permessa (articolo 19). E a quanto pare è stata colta da una delle società titolari dei diritti d'autore tramite monitoraggio del circuito di scambio peer-to-peer al quale partecipava (il comunicato IFPI dice che è stata l'IFPI a intraprendere l'azione legale dopo aver proposto un patteggiamento extragiudiziale).

Infatti l'uso dei circuiti peer-to-peer implica quasi sempre la condivisione con sconosciuti di quello che si scarica, per cui chi li adopera, se lo fa per scaricare file vincolati dal copyright, è probabilmente in violazione della legge. Nessun problema, tuttavia, se i file scaricati e condivisi sono file dei quali l'autore ha autorizzato la condivisione o sui quali non c'è diritto d'autore per legge. L'esempio classico è il software libero (condividere una copia di Linux è legalissimo), ma anche i testi delle leggi, le foto della NASA e alcuni brani musicali seguono la stessa regola. Per cui il peer-to-peer in sé non è illegale: dipende da cosa si condivide.

Come si fa a sapere se si sta violando la legge? C'è una regola semplice: date per scontato che se usate un programma di peer-to-peer (come eMule per i circuiti eDonkey ed eKad, oppure software per Gnutella o Bittorrent) per scaricare un film o telefilm che è in TV o al cinema o in vendita, state condividendo quel film con sconosciuti e quindi state commettendo un reato. Idem per la musica: se una canzone è di un cantante o gruppo famoso, in vendita nei negozi, è illegale condividerla sui circuiti peer-to-peer. Non è sempre così, e ci sono alcune eccezioni, ma conviene adottare questo criterio prudenziale. Alla fine, insomma, basta il buon senso: scaricare gratis qualcosa che gli altri pagano è molto probabilmente illegale.

Il vero problema della sentenza ticinese è che farà scalpore per qualche giorno e poi tutto tornerà come prima: chi scarica film e musica si sente invulnerabile, perché è uno fra tanti e pensa di passare inosservato (e in effetti in genere ha ragione, visto il numero striminzitissimo di sentenze). Fra l'altro, va sfatato il mito che scaricare sia un hobby giovanile: il download di film, telefilm e musica è diffuso anche fra gli adulti. Chi ha avviato l'azione legale (presumibilmente una delle società titolari dei diritti sui film condivisi illegalmente) ha vinto forse la battaglia, ma continua a perdere la guerra: quella dell'opinione pubblica.

Un altro problema, infatti, è che manca nell'opinione pubblica la percezione del danno. In effetti è difficile per Hollywood lamentarsi della pirateria quando il 2009 è stato l'anno record d'incassi (dieci miliardi di dollari soltanto in USA e Canada, un miliardo in più del 2008, grazie anche ai prezzi maggiorati delle proiezioni in 3D), secondo TorrentFreak, e si paga una tassa (più propriamente un indennizzo) sui supporti vergini come CD e DVD, per cui molti si sentono legittimati a scaricare film, telefilm e musica.

Certo, la legge va rispettata per principio, ma in effetti in molti casi il danno reale non c'è. È sbagliato l'assunto che chi pirata non va al cinema o non compra DVD. Chi pirata, accontentandosi di vedere male film ripresi con una telecamera in un cinema, spesso lo fa perché comunque non comprerebbe il DVD e non andrebbe al cinema: non è un cliente perso ai pirati, è un cliente che non c'è mai stato. E se un film passa in TV, dove pago i diritti per vederlo, ma me lo perdo e lo scarico da Internet, o se ho comperato il DVD del film e scopro che non lo posso trasferire al mio lettore video portatile perché ha un lucchetto anticopia, dove sta il danno?

Ci sono poi persone che scaricano un film dopo averlo già visto al cinema perché ne vogliono conservare una copia al riparo dalle modifiche, dai ridoppiaggi, dalle censure e dai tagli che avvengono molto spesso prima della distribuzione in DVD/Blu-Ray, o perché il DVD semplicemente non esiste.

Un esempio: avete presente il film comico classico Operazione Sottoveste? Non esiste su DVD in italiano (uno spettatore del Quotidiano, al quale ho partecipato, mi ha però mandato la copertina che vedete qui accanto: scoprite se è vera o falsa). Se lo cercate, lo trovate solo sui circuiti di condivisione. Perché i titolari dei diritti non ne fanno il DVD?

Lo stesso vale per tanti cartoni animati, specialmente giapponesi, e per film e intere stagioni di telefilm mai distribuiti dai titolari dei diritti.

Se un'opera è introvabile e non è in vendita, di preciso che danno provoca chi la scarica da Internet e la offre ad altri appassionati? Se si vuole ragionare sul problema, è meglio dunque sbarazzarsi del cliché del cittadino scroccone, perché spesso non corrisponde alla realtà. Non siamo tutti pirati perché ci piace scroccare.

La sentenza svizzera, inoltre, non fermerà certo i pirati professionisti e quelli esperti. I professionisti hanno complici nella filiera di produzione (ricordate il primo Hulk trafugato prima che fossero finiti gli effetti speciali, per cui ogni tanto perdeva i pantaloncini? O la versione grezza di Wolverine che circolò prima dell'uscita del film); gli esperti sanno dove e come scaricare senza condividere online (qualcuno si ricorda ancora che esistono i newsgroup binari, e prendono piede i terabyte party). E intanto i lucchetti digitali e le campagne antipirateria tormentano gli utenti onesti: perché mi mettete lo spot "non ruberesti mai una borsa, non ruberesti mai un nettaorecchie elettrico, copiare film è reato" nei DVD e mi impedite di saltarlo? Per l'amor del cielo, se ho comprato il DVD, lo so benissimo che copiare è reato. Non è a me che dovete dirlo.

La soluzione più probabile al problema della violazione sistematica del diritto d'autore non è la repressione. Inutile tentare di arginare un fiume fermando una goccia alla volta. È decisamente più efficace, e inimica sicuramente meno i potenziali clienti, creare un'offerta legale di film e telefilm scaricabili a pagamento in modo semplice, come già avviene per esempio con iTunes negli Stati Uniti, offrire DVD a prezzi abbordabili ed educare gli utenti all'idea che un film va visto con i colori originali, con l'audio pulito e senza il rischio di trovarsi uno spezzone di porno a metà di Bambi (che darebbe tutt'altro senso alla battuta "Uccellino!" del neonato cerbiatto). Anche perché il cinema e la produzione televisiva danno da mangiare non solo alle star e ai produttori strapagati (che potrebbero anche darsi una regolata sui compensi milionari), ma anche a tanta gente comune: i tecnici, gli operai che costruiscono i set, le costumiste, i traduttori, i doppiatori, e tanti altri. Pensiamoci.

2009/12/11

Canada, i pirati stavolta sono i discografici

Artisti derubati dalla pirateria musicale: quella dei discografici


Per oltre vent'anni hanno piratato le canzoni degli artisti musicali più noti, da Beyonce a Bruce Springsteen passando per il grande jazzista Chet Baker, lucrando sul loro lavoro senza corrispondere un soldo dei diritti d'autore dovuti. La banda dei cospiratori ha già ammesso la propria colpevolezza, e in tribunale rischia una condanna che prevede un risarcimento minimo di 48 milioni di franchi (32 milioni di euro) ma potrebbe arrivare a 5,8 miliardi di franchi (3,8 miliardi di euro).

Posso farvi i nomi di questi pirati: Sony BMG, EMI Music, Universal Music e Warner Music, nelle rispettive filiali canadesi.

Sì, stavolta i ladri sono proprio le case discografiche, quelle che ci hanno rimbambito di slogan sul non rubare la musica altrui, quelle che hanno lucchettato le canzoni con i sistemi anticopia (DRM) e punito gli acquirenti onesti, quelle che non hanno esitato nel 2006 a infettare i computer dei clienti pur di difendere i propri diritti (usando un rootkit, installato dal sistema anticopia XCP).

In Canada, infatti, dalla fine degli anni Ottanta le case discografiche in questione hanno adottato la prassi di pubblicare, sfruttare e vendere brani musicali senza ottenere preventivamente la specifica licenza e autorizzazione del titolare dei diritti, e senza quindi pagare nulla all'artista, semplicemente promettendo di farlo in seguito. Sì, avete capito bene. Dichiaravano di non essere in grado di individuare il titolare, e i brani orfani venivano messi così in una pending list, una "lista dei sospesi".

Se in alcuni casi era effettivamente difficile rintracciare i titolari dei diritti, asserire di non essere riusciti a individuare Chet Baker o Bruce Springsteen dopo vent'anni pare invece piuttosto surreale. La lista dei sospesi ha continuato a crescere disinvoltamente negli anni e ora include circa 300.000 canzoni di migliaia di artisti canadesi ed esteri, sui quali Sony, EMI, Universal e Warner hanno lucrato per oltre vent'anni senza corrispondere un soldo.

Ma nel 2008 gli eredi di Chet Baker hanno avviato una causa presso i tribunali dell'Ontario (potete leggerne gli atti), e gli altri artisti si sono associati all'azione legale, instaurando una class action. Le case discografiche stesse hanno già ammesso che la lista dei sospesi indica pagamenti inevasi che secondo loro ammontano ad almeno 50 milioni di dollari canadesi (48 milioni di franchi, 32 milioni di euro). C'è poco da cavillare: l'esistenza della lista di sospesi è di per sé un'ammissione del reato.

A questo importo si aggiungono i risarcimenti previsti dalla legge a carico di chi viola il diritto d'autore, che potrebbero arrivare a 20.000 dollari a canzone violata, per un totale di 6 miliardi di dollari canadesi (5,8 miliardi di franchi, 3,8 miliardi di euro). Cifre enormi, che ironicamente nascono dalle stesse regole usate dalle case discografiche per chiedere milioni di risarcimento dai privati cittadini colti a violare il diritto d'autore usando i circuiti peer to peer. Chi di spada ferisce...

2009/05/15

Rapporto: il file sharing aiuta a vendere

La pirateria online fa bene agli artisti famosi, parola di chi raccoglie i diritti


L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

The Long Tail of P2P, un rapporto preparato per conto della PRS for Music, una società britannica che riscuote i diritti d'autore per conto degli artisti, arriva a conclusioni sorprendenti sul ruolo della pirateria e del file sharing per quanto riguarda la musica, ponendosi in netto contrasto con le asserzioni dell'industria discocinematografica che paventa perdite colossali e reclama leggi che la tutelino maggiormente (come la recente legge-ghigliottina francese che ho commentato qui).

Secondo il rapporto, infatti, il file sharing non solo non causa danni, ma aiuta gli artisti famosi a diventare ancora più famosi. Di conseguenza, i circuiti di condivisione andrebbero visti come nuovi canali radiotelevisivi anziché come nemico da combattere. Una visione che non mancherà di far discutere, anche perché è supportata da dati piuttosto ben documentati.

Quello che colpisce del rapporto è che non si tratta in realtà di una presa di posizione pro o contro la pirateria, ma di un'analisi di un altro tema, quello della "coda lunga". Le questioni piratesche emergono come conseguenza secondaria.

La "coda lunga", o long tail nella dizione originale coniata da Chris Anderson in un articolo di Wired nel 2004, è la teoria secondo la quale quando i costi di duplicazione, magazzino e distribuzione scendono quasi a zero, diventa commercialmente sostenibile vendere poche copie di ciascun prodotto (la coda lunga della distribuzione delle vendite) anziché concentrarsi su pochi prodotti con un alto volume di vendite. I fondi di catalogo diventano vendibili anziché finire al macero. Questa ricchezza di scelta senza precedenti dovrebbe, secondo la teoria, portare orde di utenti ad acquistare prodotti rari ed ampliare i propri orizzonti di scelta.

Non è così, secondo il rapporto della PRS. Ci sono poche prove dell'idea che la coda più lunga in assoluto, ossia la ricchezza di repertorio sterminata offerta dai circuiti di file sharing, spinga grandi quantità di utenti a consumare e acquistare musica più eterogenea, scoprendo nuove band. Invece i titoli più scaricati nei circuiti di file sharing sono gli stessi che vengono maggiormente venduti nei negozi. Di coda lunga c'è solo una traccia molto esigua.

Il motivo di questo comportamento degli utenti è, paradossalmente, l'eccesso di scelta. La maggior parte della gente non ha tempo di spulciarsi cataloghi sterminati di musica alla ricerca di canzoni che potrebbero risultare interessanti, e alla fine si viene influenzati da quello che gli altri media propongono e dalla musica ascoltata dagli amici. C'è una nuova nicchia di utenti che ascoltano musica che prima non avrebbero potuto scoprire, ma è numericamente poco significativa. In altre parole, il file sharing rende più famosi i già famosi.

Famosi non vuol dire ricchi, beninteso: ma questi dati possono essere letti anche con un'altra chiave. Le canzoni maggiormente scaricate restano le più vendute nonostante siano, appunto, massicciamente scaricate. Certo c'è stata una forte contrazione delle vendite: "un mercato musicale che un tempo alimentava vendite nei primi sette giorni anche di due milioni di copie per un album al primo posto in classifica (solo negli USA) ora produce album che arrivano a molto meno di metà di quel numero", nota il rapporto.

Ma il rapporto nota anche l'inefficacia delle misure repressive prese fin qui: "Vediamo chiare prove di un nesso fra cambiamenti (aumenti o diminuzioni) dell'attività globale di file sharing e periodi di liti legali o di legiferazione? La risposta pare essere di no".

E di fronte a questi fatti, le argomentazioni sui danni catastrofici prodotti dalla pirateria musicale e sulla necessità di arrivare a leggi draconiane per reprimerla non sembrano più così intuitive ed evidenti.

2009/04/10

Rischi del download alla radio 13:15

Doppietta alla radio svizzera (Rsi.ch): oltre al consueto appuntamento del Disinformatico radiofonico su Rete Tre stamattina alle 11, sarò ospite di Nicola Colotti ne La consulenza alle 13.15 su Rete Uno per una chiacchierata di quaranta minuti sui rischi informatici e legali dello scaricamento di film, musica, libri e immagini da Internet. Ci sarà qualche minuto di introduzione televisiva al programma intorno alle 12.50 su La1.

Se nel frattempo vi interessa conoscere l'approccio legale svizzero, ecco un paio di link in italiano per saperne di più: le FAQ sul diritto d'autore dell'Istituto Federale della Proprietà Intellettuale (in particolare questa frase“In linea di massima l'utilizzo di un'opera protetta dal diritto d'autore presuppone sempre l'autorizzazione dell'autore o del titolare dei diritti, anche nei casi in cui l'utilizzazione non è a scopo di lucro (ad esempio nel caso della proiezione di un film nell'ambito di un club cinematografico). Esistono tuttavia alcune eccezioni: le opere pubblicate possono essere utilizzate liberamente per uso personale e nella cerchia limitata di persone unite da stretti vincoli, quali famigliari e amici intimi.”) e il testo della Legge federale sul diritto d'autore e sui diritti di protezione affini, con in particolare l'Art. 19 che regola la copia privata, decisamente meno restrittiva che in altri paesi europei.

2009/01/23

Mac, occhio ai trojan nel software piratato

Mac infettabile, se piratate i programmi


Molti utenti Mac credono di essere invulnerabili, ma non è così, soprattutto quando si adottano comportamenti a rischio che scavalcano le difese naturali del sistema.

La società di sicurezza informatica Intego avvisa che le copie pirata di iWork 09, recente aggiornamento di una suite di programmi molto popolari e desiderati per il mondo Mac, circolano in una versione infettata da un trojan horse denominato OSX.Trojan.iServices.A.

E' un vero e proprio cavallo di Troia, perché quello che viene offerto nei circuiti del software pirata è effettivamente iWork 09, ma al suo interno c'è una sorpresa infettante chiamata iWorkServices.pkg, che viene installata anch'essa quando si installa la copia pirata di iWork 09.

L'installazione del trojan horse richiede che l'utente digiti la propria password di amministratore, ma dato che l'utente sta intenzionalmente installando del software, è normale che la digiti quando gli viene chiesta. Il software ostile viene installato in modo che si avvii automaticamente ogni volta che si avvia Mac OS X ed ha i permessi di root in lettura, scrittura ed esecuzione: in altre parole, può fare quello che gli pare, perché l'utente gli ha dato le chiavi.

Il trojan si collega via Internet a un server remoto, il cui proprietario potrà prendere il controllo del Mac infetto, per esempio installandovi altri programmi ostili di qualsiasi genere. Secondo Intego sono già 20.000 le vittime informatiche di questa trappola.

La soluzione più semplice è la prevenzione: evitate di scaricare e installare programmi piratati e usate un buon antivirus.

2009/01/08

Apple, iTunes abbandona il DRM (o quasi)

Apple toglie i lucchetti ad iTunes, ma soltanto per la musica


Questo articolo vi arriva grazie alle gentili donazioni di "info" e "efisioru****".

Al Macworld Expo conclusosi da poco a San Francisco, Apple ha annunciato a partire da subito la fine dei lucchetti digitali su tutta la musica di iTunes. I sistemi anticopia (DRM, Digital Rights Management) che hanno appestato la musica legalmente acquistabile via Internet, riuscendo soltanto a scocciare gli utenti onesti senza frenare in alcun modo la pirateria, sono sempre più in minoranza. C'erano vari metodi per rimuoverli a forza, ma richiedevano una cospicua perdita di tempo ed erano di dubbia legalità in alcuni paesi.

Lo smantellamento dell'anticopia di Apple è partito il 6 gennaio, con 8 milioni di brani musicali già liberamente trasferibili e riproducibili su qualunque lettore e non più soltanto su quelli benedetti da Apple (leggasi iPod). Gli altri, circa 2 milioni, saranno liberati entro il primo trimestre del 2009.

Chi ha acquistato brani lucchettati potrà rimuovere l'anticopia pagando 30 centesimi di dollaro a canzone. E a proposito di prezzi, da aprile 2009 cambieranno anche quelli: invece del prezzo unico debuttano tre fasce. In dollari, ci vorranno 69 cent per le canzoni meno popolari, 99 cent per quelle di interesse medio e un dollaro e 29 cent per le più gettonate.

Addio, dunque, ad autorizzazioni, password e compagnia bella che hanno tormentato chi ci teneva a rispettare la legge. Era anche ora. Ma i lucchetti resistono ancora su iTunes per gli audiolibri, per esempio, e soprattutto per i contenuti video. Se il DRM si è dimostrato così tossico per la musica, come mai è ancora indispensabile per film, telefilm e audiolibri?

Fonti: Macworld, New York Times, BBC.

2008/11/21

Apple, anticopia nei nuovi laptop

Lucchetti digitali hardware nei laptop Apple. Di nuovo


No, non siamo tornati nel 2006. Apple, però, crede di sì, a quanto pare: perché così come allora aveva infilato nei suoi computer i controversi chip TPM/Palladium con le loro funzioni anticopia, suscitando insurrezioni e boicottaggi, oggi riprova a menomare i diritti dei suoi utenti introducendo sistemi anticopia direttamente a livello hardware nei suoi nuovi portatili. Bella mossa, complimenti.

I MacBook, MacBook Pro e MacBook Air appena usciti, infatti, offrono un unico connettore per monitor esterno, il DisplayPort, che integra un sistema di restrizioni chiamato DisplayPort Content Protection (DPCP), parente stretto dell'HDMI usato nei prodotti audiovisivi in alta definizione.

Queste restrizioni sono concepite per impedire la pirateria audiovisiva realizzata intercettando il flusso di dati decodificati in uscita sul connettore per monitor esterno. Il segnale in uscita è cifrato e soltanto i monitor compatibili sono in grado di decifrarlo. Se il monitor non ha integrato questo sistema anticopia, i video protetti da lucchetti anticopia non verranno riprodotti, anche se l'utente ne ha tutti i diritti legali.

Lo scenario che sta facendo infuriare maggiormente gli utenti è questo. Un utente si compra un bel Mac portatile e, siccome è onesto, non scarica film e telefilm pirata. Va a comperarli nei siti legali: per esempio, proprio da Apple. Collega al laptop un bel monitor o, meglio ancora, un videoproiettore, e invece di godersi il film in HD, come sarebbe suo diritto avendo aperto il borsellino, si trova davanti una schermata come questa, citata da Ars Technica, che ha pubblicato un bell'articolo in proposito.



Immaginate di dover fare una presentazione in pubblico e di voler mostrare uno spezzone di un Blu-Ray o di un video legalmente acquistato "protetto" dall'anticopia. E' un vostro diritto: si chiama diritto di citazione. Tutto funziona quando fate le prove sul monitor interno del laptop, ma quando vi trovate davanti al pubblico e collegate il vostro fiammante Mac al proiettore, il video non va. E non c'è verso di farlo andare.

Un monitor VGA o DVI, infatti, non è in grado di rispondere correttamente alle interrogazioni del connettore DisplayPort. Se il contenuto da riprodurre è protetto anticopia, DisplayPort rifiuterà di riprodurlo sul monitor esterno. Ci vuole un monitor o proiettore compatibile (HDMI). Niente HDMI? Niente film e niente presentazione. Ed è difficile pensare che tutte le sale di conferenza si riattrezzino per fare un piacere ai signori di Hollywood. E' altrettanto difficile pensare che il manager medio che si è appena comprato un Macbook Air e va in giro a fare presentazioni o corsi abbia il dovere di preoccuparsi di questi arcani tecnologici.

Come sottolinea giustamente BoingBoing.net, se comperate un computer Apple, "preparatevi a buttar via il vostro monitor, e a farlo più volte". Sì, perché "l'elenco dei monitor 'conformi' cambierà nel tempo: il monitor che comperate oggi può essere 'revocato' domani e cessare di funzionare". Oltre al danno economico, c'è la violazione del diritto: "Qui non si tratta di far valere la legge sul diritto d'autore: si tratta di concedere a una manciata di case cinematografiche diritto di veto sulla progettazione dell'hardware." E' come far progettare i ponti ai salumieri.

Qualcuno ricorderà che Steve Jobs, il boss di Apple, aveva scritto che il DRM era male e che Apple spingeva per toglierlo: "questa è chiaramente la migliore alternativa per i consumatori". Belle parole, ma i fatti raccontano una storia parecchio differente.

Quale sarà il risultato dell'introduzione di questi lucchetti hardware? Probabilmente nessuno, all'inizio. Poi cominceranno a diffondersi gli aneddoti e le segnalazioni di disastri e imbarazzi causati da questa scelta di Apple, e l'immagine di Apple come paladina in contrapposizione alla "cattiva" Microsoft ne uscirà sporca. E alla fine gli utenti impareranno a non comperare film lucchettati e si rivolgeranno alle versioni pirata, che non hanno queste limitazioni.

In termini di lotta alla pirateria, insomma, questo sarà un autogol fenomenale: dato che il film pirata sarà più versatile e fruibile di quello legale, spingerà gli utenti a piratare di più anziché di meno. Perché la versione legale non funzionerà sui monitor non benedetti da Padre Steve, mentre quella pirata andrà allegramente.

Fonti: The Register, Slashdot, AppleInsider, Punto Informatico.

2008/08/31

Internet, la memoria scomoda del mondo

Pirati, custodi della cultura: Mind Your Language


Prima di Internet e (in misura minore) dell'invenzione del videoregistratore domestico, gli archivi della televisione erano disponibili unicamente alle emittenti. La nostra memoria degli eventi, così spesso mediata dal teleschermo, era nelle mani di un ristretto gruppo di persone, che potevano decidere cosa far sparire nel dimenticatoio e cosa ripresentare, magari dopo opportune sforbiciate.

Qualsiasi programma d'epoca non più politically correct o ritenuto mediaticamente imbarazzante finiva per scomparire. Lo stesso valeva per gli articoli dei giornali. Per esempio, la neocandidata vicepresidente repubblicana Sarah Palin non era mai stata una strabica giornalista sportiva di una TV in Alaska e non aveva mai sostenuto che si dovesse insegnare il creazionismo nelle scuole.

Oggi non è più cosi: Youtube, Google Video e i tanti siti che permettono di pubblicare video sono pieni di spezzoni di vecchi programmi televisivi che per molte persone (e molti governi) sono veri e propri scheletri nell'armadio. Grazie a Internet questa forma di censura è stata spazzata via, perlomeno nei paesi civili. Certo, la pubblicazione di questi spezzoni è una violazione del diritto d'autore. Ma quali sono le alternative a questa "pirateria", se vogliamo conservare questi ricordi e queste istantanee di come eravamo, nel bene e nel male?

A proposito di istantanee imbarazzanti, vi vorrei segnalare (a mia volta su segnalazione di Stefano, che ringrazio) la serie TV Mind Your Language: cercatela su Youtube usando il titolo come chiave. Girata alla fine degli anni Settanta in Inghilterra, è la storia di un insegnante d'inglese, e della sua britannicissima preside, alle prese con i propri studenti stranieri in tragicomica cerca d'integrazione nel Regno Unito.



Piena di giochi di parole e situazioni comicissime, ma anche di spunti concreti per chiunque voglia esercitarsi con l'inglese e capire perché I am hopping to see you non è la stessa cosa che I am hoping to see you, è però un spaccato implacabile di com'erano visti gli stranieri in Inghilterra all'epoca: è talmente piena di stereotipi sugli stranieri (non manca l'italiano chiassoso e sempre a caccia di donne, specialmente della classica francesina sexy) da essere impresentabile in televisione oggigiorno. Ma su Youtube vive ancora.

In effetti l'idea di avere "porco" e "musulmano" nella stessa frase (scambiata fra uno studente musulmano e uno sikh) potrebbe non essere molto potabile di questi tempi in cui parodiare le religioni è il nuovo tabù, perché qualcuno senza senso dell'umorismo potrebbe magari offendersi. Eppure queste cose, all'epoca, andavano in onda sulle reti nazionali. E non solo in Inghilterra.

Già. Se solo Youtube ripescasse quello sketch del Trio del 1986, a Fantastico se non ricordo male, in cui si prendeva per i fondelli l'ayatollah Khomeini...

O c'è già ed è accuratamente nascosta?

2008/09/05


Il video è stato rimosso per "violazione del copyright" dell'emittente.

2008/07/29

Le gioie del DRM: la musica di Yahoo scadrà il 30 settembre

Yahoo Music chiude e si porta via la musica legalmente acquistata dai suoi polli clienti


L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Comprereste un CD che avesse stampigliata sopra una data di scadenza? No, vero? Eppure questo è quello che succede a chi si fida del DRM (Digital Rights Management), ossia il lucchetto digitale che vincola ogni canzone al legittimo acquirente e che in teoria dovrebbe sconfiggere la pirateria musicale. I discografici ce l'hanno spacciato come male necessario per difendersi dagli scrocconi, ma la realtà si sta rivelando ben diversa.

Il 23 luglio scorso, Yahoo! Music Store ha annunciato che chiuderà i battenti, riferisce Ars Technica. Non solo: chiuderanno i battenti anche i server che gestiscono il DRM. In pratica, non solo l'effetto sulla pirateria musicale di questo DRM sarà stato nullo, ma verranno puniti principalmente i clienti onesti che hanno acquistato legalmente questa musica lucchettata, perché una volta chiusi i server DRM di Yahoo, questi clienti onesti non potranno più autenticare la musica acquistata, per esempio per trasferirla a un nuovo computer.

Non è neanche la prima volta che i clienti onesti si beccano una fregatura tramite il DRM. MSN Music, il servizio musicale lucchettato di Microsoft, ha recentemente fatto lo stesso giochino, e ci sono volute le proteste degli utenti per convincere Microsoft a tenere attivi i server di autenticazione e permettere agli utenti di continuare a fruire della musica lucchettata. Ma nel 2011, comunque, quei server chiuderanno.

Per rimediare alla chiusura del servizio, Yahoo consiglia quella che un tempo sarebbe stata chiamata pirateria: masterizzare su CD la musica di Yahoo, in modo da toglierle il lucchetto digitale.

Ma allora cosa l'hanno messo a fare?

2008/07/30

InformationWeek segnala che Yahoo rimborserà gli acquirenti oppure fornirà loro copie non lucchettate dei brani acquistati, secondo modalità ancora da definire.

Un altro successo del DRM, insomma.

2007/12/04

Musica classica legale online

Deutsche Grammophon online


Basta il nome, e basta il link. Musica classica a 320 kbps, comprese le opere introvabili su vinile o CD. Tutto legale, e senza lucchetti DRM. Corro a fare la spesa!

2007/10/09

Megamulta musicale: 24 canzoni costano 220.000 dollari

Sentenza shock antipirateria: meritata, ma rischia di essere un boomerang inutile


Questo articolo vi arriva grazie alle gentili donazioni di "crsl" e "gabritech". L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Il 4 ottobre scorso una trentenne del Minnesota, Jammie Thomas (nella foto, tratta da News.com), madre single di due figli, è stata dichiarata colpevole di violazione del diritto d'autore da un tribunale del suo stato: per aver offerto in condivisione su Kazaa ventiquattro canzoni senza il permesso dei titolari, dovrà pagare una multa di 222.000 dollari (155.000 euro, 260.000 franchi svizzeri), più 60.000 dollari di spese legali. La Thomas ha già deciso di appellare la sentenza.

E' il primo caso riguardante il file sharing che finisce davanti a una giuria negli Stati Uniti. La RIAA, l'associazione dei discografici statunitensi che ha promosso la causa, esulta. Per una trentenne che guadagna 36.000 dollari l'anno, la multa è una mazzata micidiale. Però, a costo di andare controcorrente e di attirarmi gli strali di una buona fetta della comunità di Internet, devo dire una cosa: Jammie Thomas se l'è cercata e la RIAA ha ragione.

La posizione della Thomas è infatti indifendibile, se non legalmente (ci sono dei possibili cavilli) perlomeno moralmente. Non ha scambiato canzoni altrimenti irreperibili, per cui non ha la scusante di dire che non aveva altro modo di arricchirsi culturalmente o tutelare una parte di cultura che rischiava il dimenticatoio: è andata su Kazaa a scambiare Aerosmith, Green Day, e Guns N' Roses (*). Tutta musica che poteva andare a comperare in negozio o su Internet o scaricare dai siti legali. Il principio che ho spesso invocato anch'io, quello della pirateria a scopo di difesa della cultura dalle manipolazioni dei discocinematografici, qui non si applica.

(*) questa è la grafia corretta ufficiale del nome della band, in contrasto con le regole dello spelling inglese che vorrebbero la doppia elisione (da and a 'n'). Grazie ad Alessandro per la segnalazione.

Non può neanche dire che voleva avere una versione priva di lucchetti DRM di queste canzoni, perché i CD che le contengono sono senza DRM (o se l'hanno, è un DRM facilmente eludibile) e i siti legali le offrono anche in versione MP3 pulita, senza lucchetti.

Ma la faccenda non è così semplice. Come nota giustamente The Register, molta gente va su Internet, ed è disposta a pagare un abbonamento al proprio provider, proprio perché allettata dall'idea di scaricare film e musica a scrocco. Le pubblicità dei provider giocano spesso ambiguamente sull'attrattiva del file sharing indiscriminato: avete mai visto una réclame che dica "potrete scaricare musica e film" specificando "dai siti legalmente autorizzati"?

Anzi, si potrebbe dire che i maggiori profittatori della pirateria non sono gli utenti, ma i provider, che grazie all'attrattiva dello scaricamento a scrocco vendono più abbonamenti e intascano sempre, anche quando l'utente passa ore su eMule e alla fine si trova bloccato in coda senza riuscire a scaricare nulla (o scarica e alla fine si trova con una patacca). E i provider sanno benissimo a cosa servono i loro abbonamenti e allestiscono campagne di marketing di conseguenza. Suvvia, non ditemi che le offerte di ADSL da 20 megabit in download servono per sfogliare meglio la Wikipedia.

Ma i provider non sono stati toccati dal clamore e dall'indignazione che hanno accompagnato questa sentenza statunitense. Chiediamoci perché. Nel frattempo, ci sono alcune considerazioni tecniche sul caso Thomas che vale la pena di conoscere per sapere come regolarsi personalmente e che sono segnalate da Declan McCulloch di News.com.

Innanzi tutto, possiamo esaminare parte degli atti della causa. Veniamo a sapere che la RIAA è riuscita ad associare alla Thomas un nome utente e un indirizzo IP unico, cosa non sempre possibile con certe configurazioni di rete: a uno stesso indirizzo IP aziendale, per esempio, possono corrispondere molti utenti, per cui è difficile attribuire la colpa a una persona specifica.

La Thomas si è inoltre incastrata da sola usando lo stesso nick "tereastarr" sia su Kazaa, sia nel proprio indirizzo di e-mail su Hotmail. Questo ha reso insostenibile, agli occhi della giuria popolare, la difesa della Thomas, che sosteneva di poter essere stata vittima di uno spoofing dell'indirizzo IP (qualcuno avrebbe fatto finta di essere lei su Internet simulando di avere il suo stesso indirizzo IP).

Inoltre la Thomas è stata colta a mentire sulla data in cui ha cambiato il proprio disco rigido: lei diceva di averlo fatto nel 2004, ma in realtà l'ha fatto nel 2005, guarda caso un mese dopo aver ricevuto dalla RIAA un SMS di avviso. E' probabile che la giuria abbia interpretato questa falsa testimonianza e questa sostituzione come un tentativo della Thomas di coprire le proprie tracce.

C'è poi una parte giuridica importante: il giudice ha chiarito alla giuria che lo scaricamento non autorizzato di brani musicali è una violazione del diritto esclusivo di riproduzione e che mettere a disposizione di chiunque questi brani (in questo caso tramite un circuito P2P) è una violazione di un altro diritto esclusivo, quello di distribuzione, e costituisce violazione anche se non è stata dimostrata l'effettiva distribuzione.

Quest'ultima è la novità importante, che perlomeno nel sistema giuridico statunitense costituisce un precedente molto forte. Il solo fatto di mettere a disposizione è già una violazione: non occorre che qualcuno scarichi dal computer dell'accusato. E come nota McCullogh, non è il primo precedente in merito.

Ma nonostante tutto, questa sentenza rischia di essere un autogol per i discografici. Innanzi tutto ci sono i costi: difficilmente la Thomas riuscirà a pagare la multa, e le spese legali della RIAA per questa causa e le decine di migliaia di altre patteggiate, fallite o in corso, sono elevatissime. Secondo l'IFPI (International Federation of the Phonographic Industry), sono state intraprese 50.000 azioni legali in 18 paesi, con sanzioni medie di circa 2000 euro. E intanto negli USA l'industria del disco (intesa come disco fisico, non come download legale) è crollata da 15,3 miliardi di euro nel 2001 a 4,1 nel 2006.

E poi c'è l'entità delle sanzioni, che farà indignare anche molte persone che in linea di principio sono d'accordo sull'illegalità della pirateria. E' giusto che ci si possa trovare con la vita rovinata economicamente soltanto per aver scambiato sul P2P ventiquattro canzoni?

Non solo: poteva andare molto peggio. Secondo il Copyright Act statunitense, la giuria avrebbe potuto infliggere una sanzione variabile da un minimo di 750 dollari a più di 30.000 per ogni violazione (ossia per ogni canzone piratata), che possono salire a 150.000 dollari se si dimostra l'intenzionalità della violazione. In questo caso, la giuria ha scelto un importo di 9250 dollari a canzone, ma poteva arrivare a 3,6 milioni di dollari. Sempre per 24 canzoni, l'equivalente di due album.

Sarà un autogol per i discografici non solo perché si potrà giocare sentimentalmente sul cliché della giovane madre single spennata dagli avvoltoi del disco mentre Elton John o Robbie Williams incassano cifre da nababbi, ma anche perché c'è un fatto molto semplice che la RIAA involontariamente sottolinea.

Questo è il primissimo caso di sentenza inflitta da una giuria, e il numero di azioni legali conclusesi con ammende o risarcimenti è bassissimo. Il che significa che in quasi dieci anni di musica scambiata online (Napster è del 1999), miliardi di atti di pirateria sono rimasti impuniti. Tuttora, le probabilità di finire nelle maglie della giustizia del copyright sono minori di quelle di essere colpiti da un fulmine. Specialmente se si prendono delle precauzioni decenti e non si è sfrontati come lo è stata la Thomas (diamine, se proprio voleva scroccare i Green Day, poteva farsi prestare un CD da un amico o registrarli dalla radio o dalla TV: sarebbe stata imprendibile).

E per questo, nonostante lo spauracchio di multe salatissime, gli utenti se ne fregano di sentenze come queste, perché pensano (e non a torto) che tanto a loro non succederà. Secondo i dati del servizio di statistica BigChampagne, il numero di utenti P2P che scambiano materiale non liberamente distribuibile si è quasi triplicato dal 2003, quando la RIAA ha iniziato a prendere di mira i singoli utenti.

Nel frattempo, è già nata una colletta per Jammie, con tanto di sito e video Youtube, per finanziare quela che viene presentata come una lotta contro "le grandi case discografiche" che fanno "bullismo e intimidazione".

Fonti: The Register, News.com, News.com, Minnesota Public Radio, Yahoo.

2007/09/26

Panico per l’antipirateria di Windows Vista

Vista piratato si disattiverà da solo, dice una rivista. Panico generale, ma è una bufala che la dice lunga


La rivista informatica australiana PC World è incappata in una bufala che rivela molte verità sulla situazione della pirateria software e della diffusa dipendenza da software revocabile.

PC World ha pubblicato, insieme a Computerworld, questo articolo, che riferisce di un e-mail che sarebbe stato inviato da un rappresentante Microsoft a un grande distributore OEM di Windows Vista per avvisare che le copie pirata di Vista sarebbero diventate subito inservibili: lo schermo del PC sarebbe diventato nero.

Ecco la traduzione dell'e-mail:

Buon pomeriggio, a partire da questa settimana, la Microsoft ha attivato una funzione di Vista denominata "Reduced Functionality" ["Funzionalità ridotta", N.d.T]. Si tratta di una funzione specifica di Vista che disattiva efficacemente le copie non originali di Windows. Pertanto, chiunque abbia una copia pirata di Vista subirà:

Una schermata nera dopo 1 ora di navigazione
Assenza di menu Start o barra delle applicazioni
Assenza di desktop

Siete pregati di comunicare quest'iniziativa antipirateria di Microsoft ai vostri rivenditori. Si noti che questa funzione è stata attivata solo da poco in Vista in tutto il mondo e che quindi qualsiasi problema con le versioni non originali inizierà a presentarsi da questo momento in poi.


Microsoft ha smentito rapidamente, per esempio alla rivista Wired, dicendo che non erano stati distribuiti aggiornamenti al sistema antipirateria di Vista. In effetti la Reduced Functionality esiste, ma non si comporta nel modo descritto dalle riviste australiane: si attiva quando le chiavi di autorizzazione di Vista non vengono accettate. Se Vista va in modalità Reduced Functionality, dice Wired, il menu Start e le icone del desktop scompaiono e lo sfondo del desktop diventa nero. Ma ci sono comunque trenta giorni di preavviso.

Qui trovate un'animazione che mostra il desktop nero e che alcuni hanno interpretato come una conferma dell'appello.

Si tratta insomma di un falso allarme, la cui plausibilità e accettazione anche da parte di chi dell'informatica fa il proprio pane quotidiano rivelano una situazione di fondo molto interessante.

Nonostante la tolleranza della pirateria software sia notoriamente uno dei mezzi preferiti dalle società di software per conquistare nuovi mercati (Cina, per esempio), a nessuno desta dubbi o sorpresa l'idea che una società di software possa decidere di disattivare da remoto le versioni pirata del proprio software. Sarebbe un suicidio commerciale, ma sembra quasi che non si voglia ammettere questo segreto di Pulcinella.

Un altro aspetto interessante è che nessuno sembra obiettare all'idea di una disattivazione arbitraria delle copie che un sistema automatico ritiene illegali, ma che non è detto che lo siano, date le segnalazioni di "falsi positivi" che accompagnano spesso i sistemi antipirateria.

Che cosa succede se per un disguido tecnico le copie del software usato da un'azienda vengono classificate come pirata? E che si fa se il software non è in grado di collegarsi via Internet al sistema di autenticazione? Chi paga il disagio e il lavoro perduto? Indovinate un po'. Per questo, qualsiasi software che "chiami casa" continuamente per essere autorizzato costituisce un rischio in più per la produttività.

2007/06/05

Apple vende musica EMI senza DRM. Occhio!

iTunes offre musica senza lucchetti, ma c'è il colpo di coda


Questo articolo vi arriva grazie alle gentili donazioni di "frastor" e "andrea****-sbru".

Dal 30 maggio iTunes, il popolarissimo negozio online di musica scaricabile legalmente a pagamento, offre canzoni dal catalogo della EMI prive di lucchetti digitali o DRM. L'offerta si chiama iTunes Plus e offre file in formato AAC a 256 kbps liberamente copiabili e riproducibili su qualsiasi lettore che supporti il formato AAC.

I prezzi dei brani sono differenziati: 99 eurocent per quelli con DRM, 1,29 euro (2 franchi svizzeri, sarebbero 1,21 eurocent al cambio di oggi) per quelli senza DRM. I prezzi dei video musicali sono identici per le due versioni.

Le tracce precedentemente acquistate in versione lucchettata possono essere convertite, se disponibili senza DRM, pagando 30 eurocent per ciascuna (30% del prezzo base per gli album interi): basta avviare il programma iTunes, selezionare la sezione iTunes Plus e poi Aggiorna la mia libreria. Viene chiesto se si vuole impostare iTunes Plus come preferenza, in modo da essere sempre avvisati se esiste la versione senza DRM di un brano. E qui comincia il calvario.

Anche in iTunes Plus c'è il curioso limite ai minori di tredici anni nelle condizioni di servizio, che includono altri cavilli interessanti e francamente demenziali come il divieto di usare come suoneria del cellulare una canzone acquistata (presumo sia perché si ricadrebbe nella riproduzione in pubblico del brano). E se risiedete in Svizzera, vi beccate le paginate delle condizioni in tedesco e basta. Buona fortuna.

Vanno notate le condizioni d'uso dei brani senza lucchetti: "Lei è autorizzato a copiare, memorizzare e masterizzare Prodotti iTunes Plus come ragionevolmente necessario per uso personale, non commerciale". E bisogna sempre ricordare chi è che comanda qui: "iTunes si riserva il diritto di modificare le Regole di Utilizzo in ogni momento". Interessante. Che cosa succederà, in tal caso, alla musica che ho già comprato? Se San Steve Jobs decide che non ho più diritto di masterizzare, il mio lettore di CD in auto diverrà fuorilegge se ci suono le canzoni di iTunes regolarmente pagate?

C'è poi la chicca da Grande Fratello orwelliano: "Il Servizio è attualmente disponibile solo in Italia e non è disponibile in nessun altro paese". Bugia, bugia! Mi sa che la frase è mal formulata. E poi: "Lei accetta di non utilizzare o tentare di utilizzare il Servizio al di fuori di detto territorio, ed accetta che iTunes possa utilizzare strumenti tecnologici per verificarne l'osservanza da parte sua". Ma scusate, che crimine commetto, che danno causo se uso iTunes in un altro paese? I soldi che ho pagato cessano magicamente di valere quando varco la frontiera? Vuol dire che mentre sto a Lugano o a Vienna non posso legalmente usare iTunes? E allora le mie canzoni comprate su iTunes sono legali o no? Sono complicazioni vessatorie come queste che imbrigliano il mercato della musica legale.

Per non parlare, poi, di altre perle come questa: "22. Legge applicabile. Il presente Contratto e l'utilizzo del Servizio sono governati dalla legge inglese." Uhm, scusate, ma che cosa volete che ne sappia io (e specialmente il cliente medio) della legge inglese? Da quando le leggi inglesi valgono in territorio italiano (o svizzero, dove mi trovo ora)? E iTunes è una società lussemburghese. Non è che devo sapere anche le leggi del Granducato, vero?

Superate le forche caudine del contratto, l'interfaccia di iTunes è di una semplicità disarmante: si clicca e si compra, pensa a tutto il software (iTunes memorizza i dati della carta di credito). L'unica pecca che ho notato è che manca un'indicazione chiara della presenza o meno del lucchetto digitale, anche se lo si può dedurre dal prezzo (almeno per i brani singoli) prima di acquistare. Per i brani acquistati, Sheldon Pax ha segnalato che il menu Informazioni dei singoli brani presenta dati differenti: "Doc. Audio AAC acquistato" per i brani senza DRM, "Doc. Audio AAC protetto" per quelli con DRM. Inoltre i file con DRM hanno l'estensione m4p, quelli senza DRM hanno l'estensione m4a.

Va notato, inoltre, che non tutti i brani sono disponibili in versione senza DRM; soltanto EMI, per ora, ha adottato questa formula commerciale, e non tutti i suoi brani sono già disponibili in versione senza lucchetto (Speed of Sound dei Coldplay, che avevo già acquistato in versione single, non c'è, e quindi non posso neppure convertirla al pagando 30 cent). Gli artisti già disponibili includono i Coldplay (sic), i Rolling Stones, Norah Jones, Frank Sinatra, i Pink Floyd e una decina di album di Paul McCartney (senza Beatles).

Ma sono davvero scomparsi tutti i lucchetti? Non proprio. Certo, i brani senza DRM sono copiabili liberamente e riproducibili su qualsiasi lettore (e convertibili in MP3, sia pure al prezzo di una leggera perdita di qualità), ma al loro interno ci sono informazioni personali sull'acquirente.

La scoperta è di Ars Technica, che sottolinea che i dati sono presenti in tutte le canzoni acquistate presso iTunes, non solo quelle senza DRM, e le istruzioni per verificare queste informazioni annidate sono pubblicate da Tuaw.com. E' sufficiente aprire un file musicale con un editor esadecimale (va bene anche un editor di testi come TextEdit del Mac) per trovarci, in chiaro, il proprio nome e cognome preceduti dalla chiave name. Ci sono anche la data e l'ora d'acquisto.

Perché Apple non ha speso qualche parolina del suo interminable contratto d'uso per informare gli utenti di questo fatto? Non penserà certo che possa essere un sistema per tracciare chi distribuisce i brani agli amici o nei circuiti P2P (cosa vietata dal contratto), perché i dati sono perfettamente modificabili da chiunque con un banale editor (ho verificato) senza alterare il brano, per cui non hanno alcuna valenza probatoria. Ci si potrebbe scrivere il nome di qualcuno che ci sta antipatico e poi accusarlo di pirateria, per esempio.

E allora a cosa serve? Ars Technica ha una teoria: la raccolta di dati statistici. Il programma iTunes potrebbe comunicare ad Apple se un utente ha sul proprio disco brani che appartengono ad altri utenti e quindi si è macchiato di pirateria. Ma è soltanto una teoria, appunto. Quel che è certo è che Apple ha perso una buona occasione per dimostrarsi trasparente.

Comunque sia, Apple ora vende musica degli artisti EMI senza DRM, e io ho fatto una promessa a febbraio scorso: ho detto che avrei comprato 200 euro di musica dalla prima major che avesse mollato il DRM. Vado a spulciare il catalogo EMI.

2007/03/27

CopeerRight, strani messaggi di diffida

Peer-to-peer, misteriose diffide su Emule


Questo articolo vi arriva grazie alle gentili donazioni di "arcadi" e "valeriodiste****". L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Stanno arrivando numerose segnalazioni di un curioso messaggio che compare nelle sessioni di chat di Emule. Eccone un esempio:

*** Sessione Chat iniziata: CoPeerRight Agency - 02/01/2007 16.50.51
[16.50.51] CoPeerRight Agency: Le ricordiamo che il file :Natale a New
York: e protetto dai diritti d autore secondo le leggi italiane e
internazionali. Tutta la riproduzione o distribuzione totale o parziale di
questo file realizzato senza autorizazzione e illecita e Lei si espon
[16.50.51] CoPeerRight Agency: e a delle azioni penali considerevoli. La
preghiamo di abbandonare il download e di cancellare i file illegali della sua
lista di condivisione. Le ricordiamo che la copia privata non autorizza la
pirateria e si applica solo per le opere che Lei possi[16.50.51] CoPeerRight
Agency: ede e per il suo utilizzo personale. Questa copia deve essere realizzata
rispettando l impiego normale in conformita alla legge sul diritto d
autore.
[16.50.51] *** Disconnesso

Un messaggio piuttosto sgrammaticato e sconnesso, che può far pensare a un tentativo di truffa in stile phishing o ad altre forme di attacco. In realtà si tratta di un messaggio di puro testo (senza contenuti infettanti) generato dalla società francese CoPeerRight Agency, che dal 2003 pattuglia la Rete, e in particolare i circuiti di scambio peer-to-peer come Emule, inviando messaggi di diffida (tramite le funzioni di chat dei programmi di scambio) agli utenti quando li coglie a scaricare e condividere film, videogame, musica o software la cui distribuzione non è autorizzata dai titolari del relativo diritto d'autore.

La società è attiva anche in Canada, Spagna e Francia, secondo quanto segnalato da El Pais già oltre un anno fa e nel 2005 da Ratiatum.com. Da quanto risulta, la CoPeerRight Agency SARL, fondata nel 2003 e registrata in Francia, agisce per conto dei titolari dei diritti d'autore, ma si limita a raccogliere gli indirizzi IP degli scambiatori e a inviare loro un messaggio di diffida, segnalandoli eventualmente ai fornitori d'accesso o ai titolari del diritto d'autore.

Un'altra attività svolta da CoPeerRight è la diffusione di falsi file il cui nome e le cui caratteristiche coincidono con quelle del file autentico (un film, per esempio). L'utente che magari dopo lunga attesa scarica questo file si trova un annuncio antipirateria al posto del contenuto desiderato.

Le tecnologie usate da CoPeerRight sono riservate, anche se una domanda di brevetto e un suo aggiornamento (scovati da Ratiatum.com, che pubblica un dettagliato dossier in proposito) le descrivono per sommi capi, e non è chiaro quanto sia significativo il rischio di equivoco che potrebbe portare un utente innocente ad essere accusato di pirateria perché ha condiviso un file il cui nome contiene una parola chiave ambigua (come Office, che potrebbe riferirsi sia alla suite open source OpenOffice.org, sia al pacchetto Microsoft); né si sa se le informazioni raccolte da CoPeerRight siano legalmente utilizzabili in tribunale.

In ogni caso, chi vuole evitare di essere molestato da questi messaggi può adottare firewall come PeerGuardian (per Mac e Windows), che bloccano le comunicazioni da e verso gli indirizzi IP dai quali provengono le azioni di monitoraggio dei circuiti peer-to-peer oltre a varie altre forme di molestia, come spyware e pubblicità indesiderata.

2007/02/27

Antipirateria Microsoft presto obbligatorio

Windows Genuine Advantage cambia e diventa un obbligo


Questo articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

The Register riferisce che il sistema antipirateria di Microsoft, denominato Windows Genuine Advantage, ha subito da circa una settimana un aggiornamento importante. Questo sistema, infatti, aveva causato molte perplessità per la sua abitudine di mandare a zio Bill informazioni sul contenuto dei computer degli utenti e soprattutto per la sua propensione a segnalare come illegali molte installazioni di Windows che erano in realtà perfettamente legittime (circa il 22%).

Nelle mani di un utente sgamato, questi avvisi non sono un dramma, ma mettetevi nei panni del consumatore medio che si trova con un avviso che lo accusa di pirateria e non sa come venirne fuori. Il bello è che l'avviso di illegalità può comparire anche su un computer precedentemente dichiarato "pulito" se ne cambiate un componente.

Aggiornamento: va chiarito che Windows continua a funzionare anche dopo la comparsa dell'avviso e non blocca l'installazione di programmi.

Ora WGA ha una terza opzione più soft: invece di classificare l'installazione di Windows (specialmente XP) come "legale" o "illegale", può anche darvi un verdetto di "forse illegale". Questo ridurrà il numero dei cosiddetti "falsi positivi", ma non so se allevierà le perplessità e preoccupazioni degli utenti che ci tengono a essere in regola.

Un'altra novità importante è che finora Windows Genuine Advantage è stato un software facoltativo, ma verrà reso gradatamente obbligatorio nell'ambito degli aggiornamenti di sicurezza di zio Bill "nelle prossime settimane o nei prossimi mesi", dice The Register.

EMI: non volete l’anticopia? Pagate

EMI: negozianti di musica online, o mi pagate, o mi tengo l'anticopia


Questo articolo vi arriva grazie alle gentili donazioni di "franz" e "salvatartiano".

La casa discografica EMI ha suscitato speranze negli utenti ventilando l'ipotesi di vendere musica via Internet senza sistemi anticopia penalizzanti e inefficaci contro la pirateria, come raccontato di recente, anche in risposta all'appello anti-anticopia di Steve "Apple" Jobs. Sarebbe stata la prima major a farlo, a differenza delle etichette "minori" che vendono la propria musica senza lucchetti tramite siti come Emusic (che vanta 100 milioni di brani venduti).

Ma secondo Ars Technica, EMI ha cambiato radicalmente idea. O meglio, ha detto di essere disponibile a concedere la vendita dei brani dei propri artisti senza DRM a patto che i venditori le elargiscano un congruo anticipo. L'importo di quest'anticipo non è noto, ma è stato sufficiente a porre fine alle trattative con Apple, Microsoft, RealNetworks e Yahoo Music.

Un'altra ragione per il fallimento delle trattative è, stando sempre ad Ars Technica, la possibilità che la rivale Warner assorba la EMI (che è la piu' piccola delle major del disco). E la Warner ha già giurato fedeltà al DRM, costi quel che costi.

Il ragionamento che ha portato EMI a chiedere un anticipo a titolo di indennizzo contro il presunto rischio derivante dalla vendita di canzoni senza lucchetto è che tutto sommato la situazione attuale delle vendite online è soddisfacente per i discografici, anche se non lo è per gli utenti che si trovano obbligati a usare una specifica marca di lettore hardware o software per usare i brani lucchettati legalmente acquistati. Di conseguenza, ragiona EMI, se i consumatori vogliono canzoni senza lucchetti, dovranno accollarsi un costo maggiore.

Geniale. Prima si vende un prodotto menomato, poi si chiede al consumatore di pagare di più se vuole la versione intatta. Nel frattempo, i pirati della musica se la spassano, e i discografici stessi, come notava Jobs, sono i primi a distribuire versioni non lucchettate delle proprie canzoni tramite i CD presenti in tutti i negozi.

2007/02/20

Radio: licenze Vista scontate, looking glass, Word abbraccia OpenDocument

Disinformatico radiofonico stamattina: licenze da uccidere


Il tema principale della puntata del Disinformatico radiofonico di oggi (Rete Tre della Radio Svizzera di lingua italiana, diretta in streaming, replica in podcast) sarà la questione delle licenze del software.

Sono ignorate e bistrattate, ma ne avete mai letta una? Conoscete i vostri diritti? Sapevate che usare Google Earth in ufficio è una violazione della licenza? A cosa avete diritto se un programma vi mangia i dati? Ed è legale quello che succede in Svizzera, dove i negozi vendono Windows Vista OEM (l'edizione che va venduta abbinata a un computer) sfuso, a patto che compriate un disco rigido o un mouse (quest'ultimo solo se di marca Microsoft)? E' una maniera legale per avere Windows a basso prezzo, magari anche in Italia? Giro queste domande a Microsoft e vediamo che cosa salta fuori.

Se il tempo lo consente, parlerò anche del software che permette a Microsoft Word di condividere documenti in formato OpenDocument (standard ISO), così finalmente gli utenti di programmi come OpenOffice.org non sono più emarginati, e delle interfacce alternative per l'uso del computer e in particolare di Looking Glass, che faceva tre anni fa quello che Vista fa oggi. Utile? Non lo so. Bello da vedere? Sicuramente.

Se volete partecipare al programma, scrivete a disinformatico@rtsi.ch oppure lasciate commenti e segnalazioni in questo blog.
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