Ultimo aggiornamento: 2016/11/20 7:45.
Ho ricevuto un po' di commenti e di messaggi via mail, alcuni anche increduli e allarmati, a proposito della notizia della mia imminente collaborazione con il nuovo giornale La verità. Posso confermare che non si tratta di una bufala: la collaborazione ci sarà.
Non intendo occuparmi di politica, ma solo di fatti informatici o tecnologici e di bufale mediatiche, con lo stesso stile e la stessa autonomia che trovate qui. La collaborazione non fa parte di un piano strategico per la mia ascesa ad imperatore del mondo con l’aiuto dei Rettiliani, della CIA e del Nuovo Ordine Mondiale: semplicemente la redazione mi ha contattato, mi ha proposto una collaborazione, abbiamo trovato una soluzione che va bene ad entrambe le parti e io ho accettato a titolo sperimentale.
Scrivo per varie testate; questa è semplicemente una di esse. Se la cosa vi mette in subbuglio ancora prima di aver letto quello che verrà pubblicato, ho preparato una foto di gatti per tranquillizzarvi.
L’idea è di offrire le informazioni che trovate qui a un pubblico che non legge online ma preferisce la carta e per questo motivo rischia di non essere informata su novità, trappole e bufale della Rete. Spero, insomma, di rendermi utile. È tutto quello che ho da dire, per ora: se son rose, fioriranno.
2016/11/20. Le rose non sono fiorite e l’esperimento è durato pochissimo. Se volete sapere perché, leggete qui.
Un blog di Paolo Attivissimo, giornalista informatico e cacciatore di bufale
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2016/09/19
Senatore italiano vuol far pagare ai contribuenti le pseudomedicine. Pagabili con pseudosoldi?
Ultimo aggiornamento: 2016/09/19 18:45.
Ricevo, ripubblico volentieri e sottoscrivo questo comunicato del CICAP, segnalando una rettifica arrivatami dal CICAP: il simposio citato sarà organizzato dal senatore Maurizio Romani (e non Paolo Romani). Il CICAP si scusa per l'errore.
Ricevo, ripubblico volentieri e sottoscrivo questo comunicato del CICAP, segnalando una rettifica arrivatami dal CICAP: il simposio citato sarà organizzato dal senatore Maurizio Romani (e non Paolo Romani). Il CICAP si scusa per l'errore.
Per una medicina basata sull'evidenza, a tutela dei cittadini
Il 29 settembre si terrà a Roma un simposio, organizzato dal senatore Maurizio Romani, che intende favorire l’introduzione nel sistema sanitario nazionale di medicine alternative come omeopatia, ayurveda, chiropratica, osteopatia e medicina antroposofica (http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato191125.pdf).
Come CICAP sosteniamo la necessità di fornire le prove delle proprie affermazioni. Tra le pratiche presenti nel programma del convegno, l’unica ad aver dato chiari risultati sperimentali positivi, pur con alcune limitazioni, è la fitoterapia.
Pur riconoscendo il diritto individuale alla libertà di cura, riteniamo che il sistema sanitario nazionale, finanziato con denaro pubblico, debba garantire esclusivamente le terapie di efficacia dimostrata.
Riteniamo irresponsabile che le più alte istituzioni pubbliche promuovano eventi antiscientifici, proprio nel momento in cui la cronaca riporta diversi casi di persone morte per avere abbandonato cure efficaci in favore di pratiche alternative.
Chiediamo al presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Gualtiero Ricciardi di prendere posizione contro questa pericolosa iniziativa e al presidente del Senato Pietro Grasso di promuovere attività di informazione corretta sulla salute.
Il CICAP è un'associazione scientifica e educativa che promuove un'indagine scientifica e critica nei confronti delle pseudoscienze, del paranormale, dei misteri e dell'insolito. Fondata nel 1989 da Piero Angela e da altre personalità del mondo della scienza e della cultura, tra cui Margherita Hack, Rita Levi Montalcini, Umberto Eco e Tullio Regge, vede oggi tra i suoi componenti Umberto Veronesi, Silvio Garattini, Carlo Rubbia ed Edoardo Boncinelli.
2016/09/16
Adblock Plus, il bloccapubblicità, venderà pubblicità
L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2016/09/20 1:35.
Adblock Plus è un popolarissimo accessorio per browser che blocca il caricamento delle pubblicità, eliminandone il fastidio e accelerando il caricamento delle pagine. Di conseguenza è amatissimo dagli internauti, specialmente se connessi su linee lente o tramite telefonino con contratti a consumo.
Pochi giorni fa, però, Eeyo, l’azienda che possiede Adblock Plus, ha fatto un annuncio che rischia di compromettere l’affetto conquistato fin qui: venderà pubblicità che sarà immune al suo filtraggio e verrà mostrata al posto di quella predefinita e scelta dal sito che ospita gli spazi pubblicitari.
In pratica, Adblock Plus gestirà una “lista bianca” di inserzionisti; tutti gli altri pubblicitari saranno in una lista nera costantemente aggiornata. Per essere promossi alla lista bianca basterà usare formati pubblicitari non invadenti e pagare una commissione del 6% ad Adblock Plus.
C'è chi parla apertamente di “estorsione”, ma va detto che la sostituzione degli spot a favore di Adblock Plus è disattivabile dagli utenti, per cui chi vuole può continuare ad avere il blocco totale delle pubblicità. Ma c'è il rischio che molti utenti decidano di abbandonare Adblock Plus in favore di altri prodotti analoghi, come Ublock Origin (per Chrome, Firefox, Opera), che non si pongono come dazieri ai quali pagare un pedaggio e vivono grazie alle donazioni degli utenti.
Fonti: Naked Security, Gizmodo.
Adblock Plus è un popolarissimo accessorio per browser che blocca il caricamento delle pubblicità, eliminandone il fastidio e accelerando il caricamento delle pagine. Di conseguenza è amatissimo dagli internauti, specialmente se connessi su linee lente o tramite telefonino con contratti a consumo.
Pochi giorni fa, però, Eeyo, l’azienda che possiede Adblock Plus, ha fatto un annuncio che rischia di compromettere l’affetto conquistato fin qui: venderà pubblicità che sarà immune al suo filtraggio e verrà mostrata al posto di quella predefinita e scelta dal sito che ospita gli spazi pubblicitari.
In pratica, Adblock Plus gestirà una “lista bianca” di inserzionisti; tutti gli altri pubblicitari saranno in una lista nera costantemente aggiornata. Per essere promossi alla lista bianca basterà usare formati pubblicitari non invadenti e pagare una commissione del 6% ad Adblock Plus.
C'è chi parla apertamente di “estorsione”, ma va detto che la sostituzione degli spot a favore di Adblock Plus è disattivabile dagli utenti, per cui chi vuole può continuare ad avere il blocco totale delle pubblicità. Ma c'è il rischio che molti utenti decidano di abbandonare Adblock Plus in favore di altri prodotti analoghi, come Ublock Origin (per Chrome, Firefox, Opera), che non si pongono come dazieri ai quali pagare un pedaggio e vivono grazie alle donazioni degli utenti.
Fonti: Naked Security, Gizmodo.
SAWS, il “programma americano segreto” per bloccare le invenzioni sensibili. Tipo i panzerotti
Un lettore, Ivan, mi segnala che circola in Rete la notizia di “un fantomatico software chiamato SAWS” che farebbe parte di un programma americano segreto che blocca le invenzioni sensibili, come per esempio le scoperte eccessivamente innovative nel campo delle energie alternative.
Così, perlomeno, scrive Andrea Rampado su Nexus Italia (copia su Archive.is): ma viene subito un dubbio. Se il programma è segreto, come fa Nexus Italia a sapere che esiste? Se è una rivelazione davvero importante, come mai Andrea Rampado è libero di parlarne su Internet senza che venga zittito dai Men in Black?
Infatti basta un briciolo di ricerca in Google per scoprire che il programma SAWS è cosí segreto che Yahoo ne parlava pubblicamente già dieci anni fa, nel 2006, rivelando che il Sensitive Application Warning System era un sistema per rallentare l’approvazione di brevetti depositati presso l’Ufficio Brevetti statunitense. Non insabbiava le scoperte: si limitava a renderne difficile e lenta la tutela brevettuale.
Una prassi discutibile in termini di libera concorrenza, ma non certo un piano ipersegreto per sopprimere le invenzioni, insomma. Anche perché un inventore non è obbligato a brevettare la propria invenzione: se vuole, può pubblicarne il funzionamento come e quando gli pare. Il brevetto serve soltanto ad avere una tutela legale e un’esclusiva di sfruttamento dell’invenzione.
In altre parole, se lo scopritore di un’invenzione rivoluzionaria si trovasse bloccato nella tutela brevettuale dalla procedura SAWS e temesse che la sua invenzione venga soppressa, è libero di pubblicarne il funzionamento in ogni dettaglio.
Il SAWS aveva anche un altro scopo, che Nexus Italia tralascia: quello di reprimere i brevetti stupidi o assurdi, come quello per la tutela del panzerotto. Lo spiega bene Ars Technica, notando che oltretutto il sistema SAWS è stato disattivato (almeno così dice l'Ufficio brevetti USA) a marzo 2015.
Tutte queste informazioni sono facilmente reperibili in una decina di minuti. Viene da chiedersi come mai Andrea Rampado e la redazione di Nexus Italia non abbiano fatto questa semplice verifica.
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Facebook, Google e Twitter si coalizzano per debellare le false notizie. Buona fortuna
Su Internet non mancano certo le bufale, le notizie false, i titoli attiraclic che non c’entrano nulla con l’articolo, i falsi annunci di morte di celebrità. Facebook e Twitter, insieme a Google, hanno annunciato un piano ambizioso per contrastarle. Si chiama First Draft Coalition e fornirà ai membri di questa coalizione (fra i tanti, YouTube, New York Times, Washington Post, BuzzFeed News, CNN, Agence France-Presse, Channel 4 News, The Telegraph, France Info, Breaking News, International Business Times UK, Aljazeera Media Network, Euronews, Amnesty International) strumenti e servizi che permetteranno a giornalisti e lettori di verificare più facilmente le notizie a partire da fine ottobre.
Questi strumenti si appoggeranno a una comunità di specialisti dell’informazione: non solo giornalisti ma anche accademici e difensori dei diritti umani, mettendo a disposizione una “piattaforma di verifica collaborativa” e un codice di comportamento su base volontaria. Chi vuole può iscriversi alla First Draft Coalition usando questo modulo e partecipare anche a corsi di formazione. Non è materiale solo per addetti ai lavori, anche perché oggi tutti scriviamo e pubblichiamo in Rete, per cui in realtà siamo tutti parte del processo di produzione delle notizie.
Come esempio di queste risorse antibufala segnalo questo minicorso video che spiega come verificare l’autenticità dei video: strumenti semplici e veloci ma soprattutto accessibili a chiunque.
Riuscirà quest’iniziativa a eliminare marketing virale, bufale e disinformazione dalla Rete? Ne dubito fortemente. Ma le testate giornalistiche che oggi pubblicano disinvoltamente qualsiasi fandonia pur di attirare clic e poi fingono di non essersi accorte della falsità di una foto o di un video avranno presto una scusa in meno per lavorare male.
Fonti: Engadget, First Draft News.
Questi strumenti si appoggeranno a una comunità di specialisti dell’informazione: non solo giornalisti ma anche accademici e difensori dei diritti umani, mettendo a disposizione una “piattaforma di verifica collaborativa” e un codice di comportamento su base volontaria. Chi vuole può iscriversi alla First Draft Coalition usando questo modulo e partecipare anche a corsi di formazione. Non è materiale solo per addetti ai lavori, anche perché oggi tutti scriviamo e pubblichiamo in Rete, per cui in realtà siamo tutti parte del processo di produzione delle notizie.
Come esempio di queste risorse antibufala segnalo questo minicorso video che spiega come verificare l’autenticità dei video: strumenti semplici e veloci ma soprattutto accessibili a chiunque.
Riuscirà quest’iniziativa a eliminare marketing virale, bufale e disinformazione dalla Rete? Ne dubito fortemente. Ma le testate giornalistiche che oggi pubblicano disinvoltamente qualsiasi fandonia pur di attirare clic e poi fingono di non essersi accorte della falsità di una foto o di un video avranno presto una scusa in meno per lavorare male.
Fonti: Engadget, First Draft News.
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Samsung e le batterie incendiarie del Galaxy Note 7
Il Galaxy Note 7 ha dei problemi notevoli con la batteria: sono già stati segnalati numerosi casi, circa una quarantina, di incendio spontaneo dovuto a surriscaldamento della batteria che hanno causato danni e lesioni. Il problema è causato da un difetto di fabbricazione di un lotto limitato di batterie.
Associazioni di consumatori, enti per la sicurezza dei trasporti e dei voli hanno invitato gli utenti a non portare a bordo questo modello di smartphone e in generale a smettere di usarlo e ricaricarlo. L’allarme ha fatto perdere a Samsung circa 26 miliardi di dollari in termini di valore di mercato.
L’azienda ha pubblicato la richiesta “a tutti coloro in possesso di un Galaxy Note7, di spegnerlo e di tornare ad utilizzare momentaneamente il telefono precedente all’acquisto, fino alla consegna di un nuovo Galaxy Note7 già prenotato, a partire dal 19 Settembre” (in Italia) o di “spegnere il proprio terminale e di riconsegnarlo al più presto al rivenditore presso il quale l'avevano acquistato [e] contattare il vostro rivenditore affinché possa prestarvi uno smartphone fin quando il nuovo Galaxy Note7 non sarà disponibile.” (in Svizzera) e ha attivato un programma di sostituzione. Chi vuole sapere se il proprio esemplare è a rischio può chiamare il numero verde apposito (diverso da paese a paese). C’è anche una pagina web nella quale gli utenti possono immettere il numero IMEI del proprio Galaxy Note 7, ma non è chiaro se sia utilizzabile per IMEI non statunitensi.
Gli smartphone coinvolti sono circa due milioni e mezzo. Per incoraggiare gli utenti a restituirli per la sostituzione, Samsung ha annunciato che diffonderà (almeno in Corea del Sud) un aggiornamento software che limiterà la capacità di carica della batteria al 60%. La speranza è che questo riduca il rischio di surriscaldamento incendiario e produca un disagio sufficiente a spingere gli utenti più pigri a farsi sostituire il dispositivo.
Fonti: Engadget, Ars Technica.
Associazioni di consumatori, enti per la sicurezza dei trasporti e dei voli hanno invitato gli utenti a non portare a bordo questo modello di smartphone e in generale a smettere di usarlo e ricaricarlo. L’allarme ha fatto perdere a Samsung circa 26 miliardi di dollari in termini di valore di mercato.
L’azienda ha pubblicato la richiesta “a tutti coloro in possesso di un Galaxy Note7, di spegnerlo e di tornare ad utilizzare momentaneamente il telefono precedente all’acquisto, fino alla consegna di un nuovo Galaxy Note7 già prenotato, a partire dal 19 Settembre” (in Italia) o di “spegnere il proprio terminale e di riconsegnarlo al più presto al rivenditore presso il quale l'avevano acquistato [e] contattare il vostro rivenditore affinché possa prestarvi uno smartphone fin quando il nuovo Galaxy Note7 non sarà disponibile.” (in Svizzera) e ha attivato un programma di sostituzione. Chi vuole sapere se il proprio esemplare è a rischio può chiamare il numero verde apposito (diverso da paese a paese). C’è anche una pagina web nella quale gli utenti possono immettere il numero IMEI del proprio Galaxy Note 7, ma non è chiaro se sia utilizzabile per IMEI non statunitensi.
Gli smartphone coinvolti sono circa due milioni e mezzo. Per incoraggiare gli utenti a restituirli per la sostituzione, Samsung ha annunciato che diffonderà (almeno in Corea del Sud) un aggiornamento software che limiterà la capacità di carica della batteria al 60%. La speranza è che questo riduca il rischio di surriscaldamento incendiario e produca un disagio sufficiente a spingere gli utenti più pigri a farsi sostituire il dispositivo.
Fonti: Engadget, Ars Technica.
iOS 10 è arrivato, ma con qualche problema e un imbarazzo
iOS, o non iOS 10, questo è il dilemma:
se sia più nobile nell'iPhone soffrire
i colpi di fionda e i dardi dell'oltraggiosa installazione
o prendere le armi contro un mare di bug
e, contrastandoli, aggiornare lo smartphone?
Solitamente consiglio di installare appena possibile le versioni aggiornate di software, perché contengono migliorie e correzioni di falle di sicurezza, ma stavolta devo fare un’eccezione per iOS 10. La nuova versione di iOS ha moltissime novità ma sta dando problemi a numerosi utenti, tanto che negli Stati Uniti l’operatore cellulare T-Mobile ha esplicitamente invitato i clienti a non installarla almeno per un paio di giorni. Alcuni utenti lamentano una durata minore della batteria, problemi di connessione dati e addirittura paralisi del telefonino o del tablet.
I problemi vengono risolti in parte installando iOS 10 passando tramite un computer con iTunes invece di scaricarlo direttamente con l’iPhone, iPad o iPod touch oppure scaricando la versione 10.0.1. Apple ha pubblicato delle istruzioni (anche in italiano) per chi si trovasse con il dispositivo bloccato.
iOS 10.0.1 è compatibile con gli iPhone dal 5 in su, con gli iPad mini dal 2 in su, con gli iPad dalla quarta generazione in poi, con tutti gli iPad Air e Pro, e con gli iPod touch di sesta generazione. Se decidete di aggiornare, preparatevi a restare senza iCoso per una ventina di minuti, fate prima una copia dei dati presenti sul dispositivo e assicuratevi di avere almeno un 1GB di memoria libera. Poi andate in Impostazioni - Generali - Aggiornamento software, scaricate e installate. Vi servirà la vostra password di iTunes. Buona fortuna.
Se tutto va bene, potrete cimentarvi anche voi con il passatempo scoperto con imbarazzo da alcuni utenti: nelle app di messaggistica c'è l’opzione che consente di inserire immagini GIF animate nei messaggi digitando una parola chiave. Tutto funziona abbastanza bene se la parola chiave è per esempio gattini, ma in alcuni casi se immettete parolacce Apple propone immagini decisamente inadatte a palati sensibili (probabilmente attinge imprudentemente a qualche collezione pubblica). Anche parole teoricamente innocue hanno risultati a rischio: alcuni utenti hanno segnalato che digitare huge (“enorme”) fa emergere immagini animate piuttosto discutibili che potrebbero dare complessi d’inferiorità a molti maschietti. Altre cose di questo genere spuntano digitando bounce (“ballonzolare”). In altri casi sono comparsi spogliarelli di MiniPony e altre cose di cui magari non avevate nemmeno immaginato l’esistenza nei vostri incubi peggiori.
Apple sta correggendo questa funzione man mano che vengono scoperte altre parole chiave inadatte, ma nel frattempo le risate (o le smorfie d’imbarazzo) sono garantite.
Nota: contrariamente a quanto sta girando in Rete ad opera di alcuni burloni, aggiornare il telefonino ad iOS 10 non fa scomparire la presa per le cuffie. L’allarme che sta circolando è una battuta. Ridete.
Fonti aggiuntive: Ars Technica, Gizmodo, Intego.
se sia più nobile nell'iPhone soffrire
i colpi di fionda e i dardi dell'oltraggiosa installazione
o prendere le armi contro un mare di bug
e, contrastandoli, aggiornare lo smartphone?
Solitamente consiglio di installare appena possibile le versioni aggiornate di software, perché contengono migliorie e correzioni di falle di sicurezza, ma stavolta devo fare un’eccezione per iOS 10. La nuova versione di iOS ha moltissime novità ma sta dando problemi a numerosi utenti, tanto che negli Stati Uniti l’operatore cellulare T-Mobile ha esplicitamente invitato i clienti a non installarla almeno per un paio di giorni. Alcuni utenti lamentano una durata minore della batteria, problemi di connessione dati e addirittura paralisi del telefonino o del tablet.
I problemi vengono risolti in parte installando iOS 10 passando tramite un computer con iTunes invece di scaricarlo direttamente con l’iPhone, iPad o iPod touch oppure scaricando la versione 10.0.1. Apple ha pubblicato delle istruzioni (anche in italiano) per chi si trovasse con il dispositivo bloccato.
iOS 10.0.1 è compatibile con gli iPhone dal 5 in su, con gli iPad mini dal 2 in su, con gli iPad dalla quarta generazione in poi, con tutti gli iPad Air e Pro, e con gli iPod touch di sesta generazione. Se decidete di aggiornare, preparatevi a restare senza iCoso per una ventina di minuti, fate prima una copia dei dati presenti sul dispositivo e assicuratevi di avere almeno un 1GB di memoria libera. Poi andate in Impostazioni - Generali - Aggiornamento software, scaricate e installate. Vi servirà la vostra password di iTunes. Buona fortuna.
Se tutto va bene, potrete cimentarvi anche voi con il passatempo scoperto con imbarazzo da alcuni utenti: nelle app di messaggistica c'è l’opzione che consente di inserire immagini GIF animate nei messaggi digitando una parola chiave. Tutto funziona abbastanza bene se la parola chiave è per esempio gattini, ma in alcuni casi se immettete parolacce Apple propone immagini decisamente inadatte a palati sensibili (probabilmente attinge imprudentemente a qualche collezione pubblica). Anche parole teoricamente innocue hanno risultati a rischio: alcuni utenti hanno segnalato che digitare huge (“enorme”) fa emergere immagini animate piuttosto discutibili che potrebbero dare complessi d’inferiorità a molti maschietti. Altre cose di questo genere spuntano digitando bounce (“ballonzolare”). In altri casi sono comparsi spogliarelli di MiniPony e altre cose di cui magari non avevate nemmeno immaginato l’esistenza nei vostri incubi peggiori.
Apple sta correggendo questa funzione man mano che vengono scoperte altre parole chiave inadatte, ma nel frattempo le risate (o le smorfie d’imbarazzo) sono garantite.
Nota: contrariamente a quanto sta girando in Rete ad opera di alcuni burloni, aggiornare il telefonino ad iOS 10 non fa scomparire la presa per le cuffie. L’allarme che sta circolando è una battuta. Ridete.
Fonti aggiuntive: Ars Technica, Gizmodo, Intego.
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2016/09/14
Il Fatto Quotidiano e la notizia copiaincolla: giornalismo 2.0
Questo articolo vi arriva gratuitamente grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete farne una per incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/09/15 1:40.
Un lettore, Simone, mi ha segnalato una perla di giornalismo 2.0: Il Fatto Quotidiano ha pubblicato a fine 2014 un articolo (copia su Archive.is), firmato da Elisa D’Ospina, sul casting milanese per il collettivo femminile “Ragazze del porno”. Lasciate perdere un attimo l’argomento e guardate l’ultimo paragrafo dell’articolo:
Notate la frase “Potrebbe interessarti: www.today.it. Seguici su Facebook.” Che c’entra con il resto del testo? Assolutamente nulla. Come mai questa frase linka Today.it (specificamente un articolo di Today.it sullo stesso argomento) e il “seguici” porta alla pagina Facebook di Today.it?
Un commentatore del Fatto Quotidiano aveva già una sua teoria in merito un annetto fa: “non siete nemmeno in grado di copiare un articolo da un altro quotidiano on line.. TOGLIETE TODAY.IT razza di capre che non siete altro..”.
Francamente faccio fatica a trovare altre spiegazioni, ma sono aperto a suggerimenti. Come nota UfoOfInterest, se si copiaincolla da questo articolo di Today.it (o da questo) la frase “Potrebbe interessarti...” viene inserita automaticamente.
Noto inoltre che la redazione del Fatto Quotidiano a quanto pare non legge granché attentamente i commenti dei lettori, visto che a distanza di quasi due anni quella strana frase è ancora al suo posto nell’articolo di Elisa D'Ospina e il commento è rimasto inevaso.
Il copiaincolla è una bellissima invenzione, ma bisogna anche saperlo usare.
Nota: A maggio 2015 Elisa D’Ospina è stata anche l’autrice di un articolo, sempre per il Fatto Quotidiano, sulla donna della provincia di Napoli che ieri (13 settembre) si è suicidata in seguito al “clamore mediatico sollevato dai video hard che la ritraevano e che erano finiti in rete a sua insaputa” (ANSA). L’articolo è stato rimosso poche ore fa (ma persiste ancora su Archive.org e Archive.is, perché la Rete non dimentica) e Peter Gomez, direttore del Fatto, ha pubblicato un articolo di scuse. È davvero triste che serva un suicidio per far capire che scrivere un articolo di gossip intitolato “[nome e cognome], gira un video hard con l’amante e diventa il nuovo idolo del web”, citando ripetutamente il nome e il cognome della donna, descrivendo in dettaglio il video, indicandone il titolo e mostrando la foto della donna, vuol dire strafregarsene della privacy delle persone, fare pettegolezzo sensazionalista attiraclic, e soprattutto scrivere senza pensare che il clamore mediatico uccide.
Un lettore, Simone, mi ha segnalato una perla di giornalismo 2.0: Il Fatto Quotidiano ha pubblicato a fine 2014 un articolo (copia su Archive.is), firmato da Elisa D’Ospina, sul casting milanese per il collettivo femminile “Ragazze del porno”. Lasciate perdere un attimo l’argomento e guardate l’ultimo paragrafo dell’articolo:
Notate la frase “Potrebbe interessarti: www.today.it. Seguici su Facebook.” Che c’entra con il resto del testo? Assolutamente nulla. Come mai questa frase linka Today.it (specificamente un articolo di Today.it sullo stesso argomento) e il “seguici” porta alla pagina Facebook di Today.it?
Un commentatore del Fatto Quotidiano aveva già una sua teoria in merito un annetto fa: “non siete nemmeno in grado di copiare un articolo da un altro quotidiano on line.. TOGLIETE TODAY.IT razza di capre che non siete altro..”.
Francamente faccio fatica a trovare altre spiegazioni, ma sono aperto a suggerimenti. Come nota UfoOfInterest, se si copiaincolla da questo articolo di Today.it (o da questo) la frase “Potrebbe interessarti...” viene inserita automaticamente.
@disinformatico copincollato da questo vecchio articolo di Today e incollato testo su word https://t.co/xTnC3T2lPn pic.twitter.com/g2LR5I6ixE— ufoofinterest.org (@ufoofinterest) 14 settembre 2016
Noto inoltre che la redazione del Fatto Quotidiano a quanto pare non legge granché attentamente i commenti dei lettori, visto che a distanza di quasi due anni quella strana frase è ancora al suo posto nell’articolo di Elisa D'Ospina e il commento è rimasto inevaso.
Il copiaincolla è una bellissima invenzione, ma bisogna anche saperlo usare.
Nota: A maggio 2015 Elisa D’Ospina è stata anche l’autrice di un articolo, sempre per il Fatto Quotidiano, sulla donna della provincia di Napoli che ieri (13 settembre) si è suicidata in seguito al “clamore mediatico sollevato dai video hard che la ritraevano e che erano finiti in rete a sua insaputa” (ANSA). L’articolo è stato rimosso poche ore fa (ma persiste ancora su Archive.org e Archive.is, perché la Rete non dimentica) e Peter Gomez, direttore del Fatto, ha pubblicato un articolo di scuse. È davvero triste che serva un suicidio per far capire che scrivere un articolo di gossip intitolato “[nome e cognome], gira un video hard con l’amante e diventa il nuovo idolo del web”, citando ripetutamente il nome e il cognome della donna, descrivendo in dettaglio il video, indicandone il titolo e mostrando la foto della donna, vuol dire strafregarsene della privacy delle persone, fare pettegolezzo sensazionalista attiraclic, e soprattutto scrivere senza pensare che il clamore mediatico uccide.
2016/09/11
11 settembre quindici anni dopo: l’utile cortina di fumo del complottismo
Sono passati quindici anni dagli attentati dell’11 settembre 2001 e i soliti complottisti ed esperti della domenica non hanno ancora presentato una singola prova tecnica concreta delle loro tesi di demolizioni controllate segrete, aerei di linea fantasma, passeggeri immaginari, dirottatori ancora vivi, ologrammi e microonde dallo spazio.
In compenso, però, sono riusciti a intascare parecchi soldi per sé: cito, giusto per fare qualche esempio, gli incassi milionari del francese Thierry Meyssan, quelli di Alex Jones di Prisonplanet, e i cinquecentomila euro raccolti da Giulietto Chiesa e spariti chissà dove. Anche organizzazioni che a prima vista parrebbero rispettabili, come la spesso citata associazione di architetti e ingegneri AE911 che dice di lottare per la verità sull’11 settembre, si sono rivelate delle macchine arraffasoldi alle quali interessa solo creare polemica in modo da attirare donazioni (ho visto la loro contabilità, che è pubblica per legge: è inequivocabile). Ma di concreto, per fare chiarezza sugli eventi di quel giorno, non hanno concluso nulla. O quasi.
In realtà, infatti, i teorici delle cospirazioni un risultato l’hanno ottenuto: hanno fatto un enorme favore proprio a quel governo americano di cui dicono di essere così fieri oppositori. Hanno creato una cortina fumogena di deliri, fantasie, complotti nei complotti che ha reso difficile, se non impossibile, parlare seriamente delle questioni irrisolte dell’11 settembre. Non appena si prova a fare domande intorno agli eventi poco chiari di quel giorno e dei mesi e anni successivi di “guerra al terrore”, si viene relegati fra i matti, i complottisti e gli antiamericani. E così i dubbi reali vengono insabbiati.
I complottisti sono i nuovi dirottatori dell’11 settembre: hanno mentito, distorto, depistato, confuso e seminato false piste più di quanto potesse sperare di fare qualunque organizzazione governativa che volesse nascondere i fatti scottanti. Convinti di essere supremi disvelatori di verità, non si rendono conto di essere soltanto gli utili idioti della situazione.
C’è chi si è impegnato comunque, in questi anni, a cercare di diradare il fumo dei complottismi: giornalisti, tecnici, vigili del fuoco e persino agenti dell’FBI. Sì: ce n’è uno, in particolare, che si chiama Mark Rossini e ha cose molto schiette da dire sulle pressioni politiche che hanno bloccato le indagini sull'11/9 per quanto riguarda le complicità di cittadini sauditi che hanno assistito i terroristi dell’11 settembre negli Stati Uniti. Questi fiancheggiatori resteranno impuniti perché gli interessi in gioco fra Stati Uniti e Arabia Saudita sono troppo importanti.
Questo è il vero complotto dell’11 settembre, ma non lo sentirete discutere dai complottisti ed esporre su Youtube dagli esperti in poltrona a caccia di clic, perché non è sexy: non c’è niente da mostrare, nessun video da analizzare, nessuna esplosione spettacolare. Non si presta alla caciara e alla monetizzazione. Offre solo tanta, tanta carta da leggere per mettere insieme i pezzi del rompicapo e vedere che Rossini non parla a vanvera ma ha un impianto accusatorio solido e dettagliato; cita date e luoghi, fa nomi e cognomi. Se le sue scoperte vi interessano, trovate i dettagli su Undicisettembre, nelle sue riflessioni sulle 28 pagine di documenti recentemente desegretate e in questa intervista.
In questo anniversario, però, l’attenzione va tenuta sul ricordo, sulla memoria degli eventi inequivocabili di quel terribile 11 settembre 2001, perché gli anni passano e ormai ci sono maggiorenni che non hanno alcuna esperienza diretta di come fosse il mondo prima di quella data. Per loro le Torri Gemelle non sono mai esistite in modo tangibile; non sono mai state il simbolo stesso di New York e dell’America; non sono mai state un luogo reale, visitabile, come lo sono state per chi, come me, ha qualche anno in più sulle spalle. E in questo limbo di memoria le fantasie possono trovare facilmente dimora: per esempio, si sta diffondendo in Rete la tesi oscena che le vittime intrappolate nelle Torri Gemelle fossero simulate (per decenza non cito la fonte). Per questo Undicisettembre pubblica periodicamente le testimonianze dei sopravvissuti e dei vigili del fuoco di New York e del Pentagono, e lo fa anche oggi con le parole di Krista Salvatore, che quel giorno era al sessantunesimo piano del World Trade Center 2. Gente reale, con nomi e cognomi, che parla perché era lì, non perché ha visto qualche video sgranato su Youtube.
NOTA: Per tutti i dubbi e le risposte alle tesi alternative sull’11 settembre consiglio di leggere le apposite FAQ su Undicisettembre.info. Qualunque commento su tesi di complotto che risollevi per l'ennesima volta questioni già spiegate dettagliatamente in quelle FAQ verrà cestinato. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2016/09/11 19:50.
In compenso, però, sono riusciti a intascare parecchi soldi per sé: cito, giusto per fare qualche esempio, gli incassi milionari del francese Thierry Meyssan, quelli di Alex Jones di Prisonplanet, e i cinquecentomila euro raccolti da Giulietto Chiesa e spariti chissà dove. Anche organizzazioni che a prima vista parrebbero rispettabili, come la spesso citata associazione di architetti e ingegneri AE911 che dice di lottare per la verità sull’11 settembre, si sono rivelate delle macchine arraffasoldi alle quali interessa solo creare polemica in modo da attirare donazioni (ho visto la loro contabilità, che è pubblica per legge: è inequivocabile). Ma di concreto, per fare chiarezza sugli eventi di quel giorno, non hanno concluso nulla. O quasi.
In realtà, infatti, i teorici delle cospirazioni un risultato l’hanno ottenuto: hanno fatto un enorme favore proprio a quel governo americano di cui dicono di essere così fieri oppositori. Hanno creato una cortina fumogena di deliri, fantasie, complotti nei complotti che ha reso difficile, se non impossibile, parlare seriamente delle questioni irrisolte dell’11 settembre. Non appena si prova a fare domande intorno agli eventi poco chiari di quel giorno e dei mesi e anni successivi di “guerra al terrore”, si viene relegati fra i matti, i complottisti e gli antiamericani. E così i dubbi reali vengono insabbiati.
I complottisti sono i nuovi dirottatori dell’11 settembre: hanno mentito, distorto, depistato, confuso e seminato false piste più di quanto potesse sperare di fare qualunque organizzazione governativa che volesse nascondere i fatti scottanti. Convinti di essere supremi disvelatori di verità, non si rendono conto di essere soltanto gli utili idioti della situazione.
C’è chi si è impegnato comunque, in questi anni, a cercare di diradare il fumo dei complottismi: giornalisti, tecnici, vigili del fuoco e persino agenti dell’FBI. Sì: ce n’è uno, in particolare, che si chiama Mark Rossini e ha cose molto schiette da dire sulle pressioni politiche che hanno bloccato le indagini sull'11/9 per quanto riguarda le complicità di cittadini sauditi che hanno assistito i terroristi dell’11 settembre negli Stati Uniti. Questi fiancheggiatori resteranno impuniti perché gli interessi in gioco fra Stati Uniti e Arabia Saudita sono troppo importanti.
Questo è il vero complotto dell’11 settembre, ma non lo sentirete discutere dai complottisti ed esporre su Youtube dagli esperti in poltrona a caccia di clic, perché non è sexy: non c’è niente da mostrare, nessun video da analizzare, nessuna esplosione spettacolare. Non si presta alla caciara e alla monetizzazione. Offre solo tanta, tanta carta da leggere per mettere insieme i pezzi del rompicapo e vedere che Rossini non parla a vanvera ma ha un impianto accusatorio solido e dettagliato; cita date e luoghi, fa nomi e cognomi. Se le sue scoperte vi interessano, trovate i dettagli su Undicisettembre, nelle sue riflessioni sulle 28 pagine di documenti recentemente desegretate e in questa intervista.
In questo anniversario, però, l’attenzione va tenuta sul ricordo, sulla memoria degli eventi inequivocabili di quel terribile 11 settembre 2001, perché gli anni passano e ormai ci sono maggiorenni che non hanno alcuna esperienza diretta di come fosse il mondo prima di quella data. Per loro le Torri Gemelle non sono mai esistite in modo tangibile; non sono mai state il simbolo stesso di New York e dell’America; non sono mai state un luogo reale, visitabile, come lo sono state per chi, come me, ha qualche anno in più sulle spalle. E in questo limbo di memoria le fantasie possono trovare facilmente dimora: per esempio, si sta diffondendo in Rete la tesi oscena che le vittime intrappolate nelle Torri Gemelle fossero simulate (per decenza non cito la fonte). Per questo Undicisettembre pubblica periodicamente le testimonianze dei sopravvissuti e dei vigili del fuoco di New York e del Pentagono, e lo fa anche oggi con le parole di Krista Salvatore, che quel giorno era al sessantunesimo piano del World Trade Center 2. Gente reale, con nomi e cognomi, che parla perché era lì, non perché ha visto qualche video sgranato su Youtube.
NOTA: Per tutti i dubbi e le risposte alle tesi alternative sull’11 settembre consiglio di leggere le apposite FAQ su Undicisettembre.info. Qualunque commento su tesi di complotto che risollevi per l'ennesima volta questioni già spiegate dettagliatamente in quelle FAQ verrà cestinato. L'articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2016/09/11 19:50.
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2016/09/10
Rocket Road 1, Hawthorne
di Paolo G. Calisse. Ultimo aggiornamento: 2016/09/10 16:00.
Alcuni giorni fa mi trovavo per motivi di lavoro a Pasadena, un quartiere di Los Angeles noto agli appassionati di scienza e spazio in quanto sede di CalTech, NASA-JPL etc. Avevo qualche ora libera e così ho preso la metro verso l'aeroporto con l'intenzione di scendere alla modesta stazione di Crenshaw. Da pochi giorni il panorama è questo:
Una strada trafficata, un parcheggio multipiano e una banale “ciminiera”. Proviamo però ad ingrandire l’immagine:
Gli appassionati del settore avranno capito: il tubo bianco visibile nella prima foto non è altro che il primo stadio di un vettore SpaceX Falcon 9. E non uno qualsiasi, ma il primo ad essere atterrato verticalmente, nel dicembre 2015, dopo avere completato con successo una missione operativa e messo in orbita 11 satelliti della serie Orbcomm.
Nonostante fossi andato lì apposta, quando ho capito cosa si scorgeva in lontananza, le gambe, credetemi, hanno cominciato a tremare. Le mie, non quelle del booster! Raggiungere il quartier generale di SpaceX, dove i vettori vengono assemblati in serie per essere spediti alle basi di lancio, richiede dalla stazione dieci minuti a piedi. Si passa il piccolo aeroporto locale di Hawthorne per trovarsi davanti al mitico simbolo della compagnia più visionaria di questa decade.
Ci si può avvicinare, gratuitamente, a pochi metri dallo storico vettore. In realtà pensavo di trovare una calca di fotografi ed appassionati in zona. Invece ero l’unico “turista spaziale”. Una possibilità straordinaria che mi ha permesso di ammirare il manufatto in totale tranquillità. All’interno dell'area recintata da una grata provvisoria c’erano invece, oltre ad un addetto della security, un gruppetto di impiegati di SpaceX in ammirazione del loro prodotto. Ma non provate a chiedere loro informazioni, perché si rifiuteranno cortesemente di rispondere a qualsiasi domanda. Probabilmente la direzione ha dato indicazioni molto restrittive per i rapporti con il pubblico di appassionati.
In passato ho visto numerosi manufatti spaziali, sia per lavoro che per turismo e passione, ma si trattava spesso di eredità (Apollo), o di rami comunque secchi (Space Shuttle). In questo caso l’emozione è garantita. A quel vettore sembrano ancora fumare i Merlin. Sarà stato forse il freno ad aria di qualche camion in transito su Crenshaw Blvd., ma nella mia memoria ho il ricordo chiaro del suono caratteristico di qualche valvola che si apre e si chiude e il ribollire di ossigeno liquido. In cima appaiono ancora dispiegate le 4 alette per la frenata nella bassa atmosfera.
Quando anni fa scrissi un articolo per dimostrare al pubblico italiano che il recupero di vettori era tecnicamente possibile e anzi potenzialmente conveniente, rispetto all’uso dell’attrito aerodinamico (non lontano da lì è anche possibile visitare lo Space Shuttle Endeavour, l'ultimo mai realizzato) non avrei mai immaginato di ritrovarmi un giorno davanti a questo monumento dell’avventura umana, che mi ricordava vagamente ben altri del passato, e in particolare un obelisco del Bernini a Roma al quale sono particolarmente affezionato. Anch’esso poggiato su quattro zampe (notoriamente dotate di "dita" dal Bernini, che non aveva mai visto un elefante dal vivo), e anch'esso frutto della più grande perizia tecnica disponibile nel periodo.
Su una delle zampe, scritto con un pennarello bianco, un numero di serie e l'indicazione “Flown hardware”, “esemplare che ha volato”, la designazione caratteristica di tutto ciò che ha volato veramente nello spazio invece di essere stato usato per test e sviluppo in laboratorio.
Per puro caso un mio collega, Dave Boettger, ha visitato gli stessi luoghi pochi giorni dopo. Alla base del vettore era stata posta una base bianca che gli dava ancora maggiore spicco. Inoltre, girando intorno all'hangar, si trovava un booster parcheggiato...
... e un secondo stadio in manovra:
Allungando fino al porto di Long Beach (al termine di Miner St.) era anche possibile trovare due capsule Dragon sul pontile, a pochi metri di distanza dalla chiatta Just Read the Instructions, destinata al recupero dei vettori. Quella dietro è forse solo un mock-up, mentre quella davanti, protetta, mostra le bruciature tipiche del rientro in atmosfera.
Se passate per Los Angeles, e se siete appassionati di spazio, non dimenticate questa esibizione permanente e gratuita, questa "porta" sul futuro dell'umanità.
AGGIORNAMENTO: in seguito l'area dove è esposto il Falcon 9 è stata sistemata. Una protezione completamente trasparente in vetro circonda il vettore e le cuffie di protezione sono state rimosse dagli ugelli. Motivo in più per una visita.
Alcuni giorni fa mi trovavo per motivi di lavoro a Pasadena, un quartiere di Los Angeles noto agli appassionati di scienza e spazio in quanto sede di CalTech, NASA-JPL etc. Avevo qualche ora libera e così ho preso la metro verso l'aeroporto con l'intenzione di scendere alla modesta stazione di Crenshaw. Da pochi giorni il panorama è questo:
Una strada trafficata, un parcheggio multipiano e una banale “ciminiera”. Proviamo però ad ingrandire l’immagine:
Gli appassionati del settore avranno capito: il tubo bianco visibile nella prima foto non è altro che il primo stadio di un vettore SpaceX Falcon 9. E non uno qualsiasi, ma il primo ad essere atterrato verticalmente, nel dicembre 2015, dopo avere completato con successo una missione operativa e messo in orbita 11 satelliti della serie Orbcomm.
Nonostante fossi andato lì apposta, quando ho capito cosa si scorgeva in lontananza, le gambe, credetemi, hanno cominciato a tremare. Le mie, non quelle del booster! Raggiungere il quartier generale di SpaceX, dove i vettori vengono assemblati in serie per essere spediti alle basi di lancio, richiede dalla stazione dieci minuti a piedi. Si passa il piccolo aeroporto locale di Hawthorne per trovarsi davanti al mitico simbolo della compagnia più visionaria di questa decade.
Impiegati di SpaceX ammirano la loro "creatura". L'età media degli impiegati della compagnia sembra in effetti quella di un liceo italiano. |
In passato ho visto numerosi manufatti spaziali, sia per lavoro che per turismo e passione, ma si trattava spesso di eredità (Apollo), o di rami comunque secchi (Space Shuttle). In questo caso l’emozione è garantita. A quel vettore sembrano ancora fumare i Merlin. Sarà stato forse il freno ad aria di qualche camion in transito su Crenshaw Blvd., ma nella mia memoria ho il ricordo chiaro del suono caratteristico di qualche valvola che si apre e si chiude e il ribollire di ossigeno liquido. In cima appaiono ancora dispiegate le 4 alette per la frenata nella bassa atmosfera.
Quando anni fa scrissi un articolo per dimostrare al pubblico italiano che il recupero di vettori era tecnicamente possibile e anzi potenzialmente conveniente, rispetto all’uso dell’attrito aerodinamico (non lontano da lì è anche possibile visitare lo Space Shuttle Endeavour, l'ultimo mai realizzato) non avrei mai immaginato di ritrovarmi un giorno davanti a questo monumento dell’avventura umana, che mi ricordava vagamente ben altri del passato, e in particolare un obelisco del Bernini a Roma al quale sono particolarmente affezionato. Anch’esso poggiato su quattro zampe (notoriamente dotate di "dita" dal Bernini, che non aveva mai visto un elefante dal vivo), e anch'esso frutto della più grande perizia tecnica disponibile nel periodo.
Su una delle zampe, scritto con un pennarello bianco, un numero di serie e l'indicazione “Flown hardware”, “esemplare che ha volato”, la designazione caratteristica di tutto ciò che ha volato veramente nello spazio invece di essere stato usato per test e sviluppo in laboratorio.
"Flown hardware". Eh sì, l'esemplare ha volato. |
I 9 potenti Merlin capaci ognuno di generare 690 kN di spinta. |
Semaforo sempre verde per chi svolta per Marte. |
Per puro caso un mio collega, Dave Boettger, ha visitato gli stessi luoghi pochi giorni dopo. Alla base del vettore era stata posta una base bianca che gli dava ancora maggiore spicco. Inoltre, girando intorno all'hangar, si trovava un booster parcheggiato...
Parcheggio selvaggio ad Hawthorne (photo credit: Dave Boettger) |
... e un secondo stadio in manovra:
Un secondo stadio in manovra (non orbitale) con il criostato ben visibile. Notare la finitura a specchio per ridurre il trasferimento radiativo (photo credit: Dave Boettger) |
Allungando fino al porto di Long Beach (al termine di Miner St.) era anche possibile trovare due capsule Dragon sul pontile, a pochi metri di distanza dalla chiatta Just Read the Instructions, destinata al recupero dei vettori. Quella dietro è forse solo un mock-up, mentre quella davanti, protetta, mostra le bruciature tipiche del rientro in atmosfera.
(photo credit: Dave Boettger). |
Se passate per Los Angeles, e se siete appassionati di spazio, non dimenticate questa esibizione permanente e gratuita, questa "porta" sul futuro dell'umanità.
AGGIORNAMENTO: in seguito l'area dove è esposto il Falcon 9 è stata sistemata. Una protezione completamente trasparente in vetro circonda il vettore e le cuffie di protezione sono state rimosse dagli ugelli. Motivo in più per una visita.
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