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Il Disinformatico

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2016/10/16

Podcast del Disinformatico del 2016/10/14

È disponibile per lo scaricamento il podcast della puntata di venerdì del Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera. Buon ascolto!

2016/10/14

Internet delle Cose: undici ore per attivare un bollitore “smart”

Pochi giorni fa Mark Rittman, un dirigente della Oracle, è stato suo malgrado protagonista di una telenovela informatica in tempo reale: ha raccontato via Twitter la sua lotta epica contro un bollitore d’acqua per il té. Ci ha messo undici ore a farlo funzionare.

Il bollitore è uno di quegli apparecchi “smart” dell’Internet delle Cose che vanno di moda adesso e spesso vengono messi sul mercato senza provarli adeguatamente nelle varie situazioni possibili. Rittman si è trovato nei guai perché ha cercato di integrare il bollitore nel suo sistema di automazione domestica. Dapprima gli si è rivoltato contro l’access point Wi-Fi, che si è resettato, poi il bollitore non accettava correttamente i dati ricevuti via Wi-Fi e si ostinava a voler fare periodicamente una “ricalibrazione obbligatoria” che lo scollegava dalla rete domestica.

Rittman ha iniziato a raccontare i propri guai su Twitter, e la sua storia è stata ripresa da un numero di utenti così grande che il suo server domestico è schiattato sotto il carico dei visitatori, buttando offline il suo Amazon Echo.

Quando finalmente il bollitore ha iniziato a ricevere comandi vocali tramite l’Echo e a bollire l’acqua a comando, le lampadine “smart” della casa di Rittman hanno deciso che era il momento di fare un aggiornamento obbligatorio e così si sono spente, lasciando la casa al buio intanto che scaricavano e installavano l’aggiornamento.

Alla fine, dopo undici ore di strenua lotta all’ultimo byte, Mark Rittman è riuscito a farsi la sua meritatissima tazza di té. L’intera vicenda è raccontata in un flusso di tweet raccolto da Boing Boing e The Guardian. Ma molti si stanno chiedendo: ne valeva la pena?

Perché gli smartphone prendono fuoco? il disastro del Samsung Galaxy Note 7

Ars Technica ha pubblicato un bel sunto del disastro che ha colpito Samsung con il suo Galaxy Note 7, colpevole di esplodere o prendere fuoco, ferendo i clienti. Il blocco delle vendite e il richiamo di 2,5 milioni di esemplari non hanno risolto il problema: anche la nuova versione ha lo stesso problema di autocombustione: meno di prima, ma ce l’ha. Per cui Samsung ha deciso che il Galaxy Note 7 verrà ritirato definitivamente dal commercio e ha predisposto un costosissimo sistema di restituzione che include scatole ignifughe per la spedizione.

Ma come ha fatto un difetto enorme del genere a superare i controlli e i test interni prima della messa in vendita? Non è la prima volta che uno smartphone di punta debutta con problemi, sia pure non così esplosivi (qualcuno ricorderà gli iPhone che si piegavano un po’ troppo facilmente), ma in ultima analisi questi guai derivano dalla tecnologia troppo spinta e dalla paura individuale e aziendale di conseguenze legali.

La prima versione del Samsung Galaxy Note 7 è stata tradita da un errore di fabbricazione delle batterie, leggermente troppo grandi per il loro alloggiamento: l’installazione ne comprimeva un angolo, producendo un corto circuito fra i componenti della batteria che portava al surriscaldamento. Nessuno degli incaricati dei test segreti prima della vendita l’aveva notato.

Secondo le prime informazioni, la seconda versione ha invece manifestato problemi incendiari analoghi probabilmente per via del tentativo di Samsung di ridurre i tempi di ricarica: si sospetta che la ricarica veloce indebolisca a lungo andare qualche componente della batteria.

Ma il doppio flop è dovuto anche al fatto che i numerosissimi tecnici di collaudo di Samsung incaricati di scoprire la causa dei primi incendi, temendo conseguenze legali e sequestri di documentazione, non lasciavano traccia scritta dei propri risultati, su ordine di Samsung, per cui coordinare le informazioni raccolte era quasi impossibile.

Per evitare guai ipotetici, insomma, Samsung si è cacciata in un guaio reale ben peggiore, e non ha tenuto conto di un fatto tristemente noto agli informatici: l’unico vero ambiente di test è la produzione. Finché un prodotto non è in mano agli utenti, pasticcioni, distratti e maldestri, capaci di creare situazioni che non verrebbero mai in mente ai collaudatori, non c’è alcuna certezza che sia privo di difetti fatali.

Se un’auto autonoma deve scegliere chi uccidere e chi salvare, per Mercedes salverà il conducente

L’articolo è stato agggiornato estesamente dopo la pubblicazione iniziale del 2016/10/16. Ultimo aggiornamento: 2016/10/18 16:15.

Il dilemma del tram (trolley problem) è un esperimento mentale molto semplice: immaginate un tram che corre sul proprio binario. Sul binario ci sono cinque operai, che il conducente del tram vedrà soltanto quando non ci sarà più tempo per frenare. E quando loro si accorgeranno del tram che incombe sarà troppo tardi per scansarsi.

Per fortuna ci siete voi, accanto alla leva che aziona uno scambio lungo il percorso del tram. Potreste quindi deviare la corsa del veicolo e salvare i cinque operai; ma sul binario alternativo c’è un altro operaio, che non si aspetta che gli piombi addosso un tram e non avrà tempo di accorgersene.

Cosa fate?

Se non fate niente, moriranno cinque persone. Se azionate lo scambio, ne morirà una sola, ma sarà stato il vostro intervento diretto a scegliere di farla morire.

Questo dilemma, concepito negli anni sessanta del secolo scorso, è tornato di moda di recente con l’inizio della sperimentazione delle automobili a guida autonoma, dove il conducente si lascia trasportare dal computer di bordo e non è più responsabile delle azioni dell’auto, come un passeggero su un treno.

Cosa deve fare il computer di bordo se si trova nella situazione di dover decidere, per esempio, se restare in strada e investire un gruppo di bambini che stanno attraversando su una curva cieca oppure uscire volontariamente di strada e uccidere i propri passeggeri? A differenza di un essere umano, un computer è talmente veloce che può calcolare in un batter d’occhio tutti gli scenari possibili e valutarne le rispettive conseguenze. Un computer, insomma, ha tempo di scegliere.

Il guaio di questo dilemma (incubo di tanti automobilisti) è che non esiste una risposta accettabile. Chi vende automobili, per esempio, deve decidere se dire al cliente che la sua auto sceglierà di ucciderlo oppure travolgerà freddamente chiunque incontri sul proprio percorso. Nessuno comprerà un’auto programmata per ammazzarlo, e un’auto ammazzapedoni sarebbe decisamente impopolare, per cui venditori e fabbricanti finora hanno cercato in tutti i modi di glissare sulla questione.

Ma Christoph von Hugo, direttore della Mercedes-Benz per i sistemi di assistenza al conducente e di sicurezza attiva, ha dichiarato in una recente intervista alla rivista Car and Driver che “Se sai che puoi salvare almeno una persona, almeno salva quella. Salva quella nell’auto. Se tutto quello che sai con certezza è che puoi evitare una morte, allora quella è la tua priorità.” In altre parole, secondo von Hugo le future auto autonome della casa automobilistica tedesca saranno programmate per dare sempre la priorità alla sicurezza dei passeggeri.

Ragionamento da brivido, giustificato però da alcune considerazioni: “Potresti sacrificare l’auto, ma non sai cosa succederà poi alle persone che hai salvato inizialmente in situazioni spesso molto complesse”, ha aggiunto von Hugo.

Per esempio, se l’auto sterza per evitare dei bambini, potrebbe perdere il controllo e centrare un altro gruppo di pedoni o uno scuolabus che arriva nell’altro senso di marcia: le conseguenze sono troppo imprevedibili.

Ma von Hugo ha anche chiarito che in realtà la ricerca sulle auto autonome ha l'obiettivo di evitare che si trovino in situazioni indecidibili come quella del dilemma del tram: “il 99% del nostro lavoro tecnico consiste nel prevenire in partenza queste situazioni.”

Le dichiarazioni di von Hugo hanno comunque scatenato un putiferio: l’immagine del ricco proprietario di un’auto di lusso che si salva sacrificando la vita degli altri è decisamente poco appetibile per il marketing di Mercedes.

Nei giorni successivi, dopo la pubblicazione iniziale di questo articolo, la casa automobilistica ha dichiarato, tramite un portavoce, che le parole di von Hugo sono state fraintese e non rispecchiano la posizione ufficiale, secondo la quale “[...] né i programmatori né i sistemi automatizzati hanno il diritto di valutare il valore delle vite umane. Il nostro lavoro di sviluppo si concentra sull’evitare completamente le situazioni di dilemma, per esempio implementando nei nostri veicoli una strategia operativa che evita il rischio. Non ci sono casi nei quali abbiamo preso una decisione in favore degli occupanti del veicolo. Continuiamo ad aderire al principio di fornire il massimo livello possibile di sicurezza a tutti gli utenti della strada. Prendere una decisione in favore di una persona e quindi contro un’altra non è legalmente ammissibile in Germania. Vi sono leggi analoghe anche in altri paesi. Chiarire queste questioni legale ed etiche a lungo termine richiederà un ampio dibattito internazionale. Questo è l’unico modo di creare un consenso inclusivo e promuovere l’accettazione dei risultati. Come fabbricanti, implementeremo sia le basi legali sia ciò che è ritenuto socialmente accettabile.”

Ma nel frattempo la questione è stata posta con forza: grazie all’informatica possiamo ridurre drasticamente le stragi della strada, imponendo per esempio limiti di velocità e distanze di sicurezza invalicabili e un controllo centralizzato del traffico. Il vero dilemma è se farlo adesso, con la tecnologia che abbiamo, e cominciare a salvare vite umane, o se aspettare il perfezionamento di un dibattito filosofico che forse non si concluderà mai.

Dodicenne riceve una fattura di 100.000 euro da Google: ha confuso AdWords e AdSense

Non è la prima volta che racconto di disavventure economiche causate da giovanissimi internauti. Di solito i danni ammontano a qualche migliaio di dollari, euro o franchi, ma stavolta la cifra è da record: centomila euro di bolletta. È quello che ha combinato un dodicenne spagnolo, José Javier di Torrevieja, che ha ricevuto da Google una fattura di questo importo, secondo quanto riferisce il quotidiano El País.

José aveva le idee chiare: voleva fare soldi su Internet pubblicando su Youtube dei video del suo gruppo musicale, usare il servizio AdSense di Google per associare questi video a delle pubblicità che gli avrebbero dato un guadagno e raccogliere abbastanza soldi da comprare gli strumenti musicali e diventare ricco facendo musica.

Purtroppo, però, ha confuso AdSense (il servizio di Google che paga gli utenti ogni volta che qualcuno guarda o clicca su una pubblicità associata ai loro contenuti) con AdWords, che invece fa pagare gli utenti inserzionisti ogni volta che qualcuno clicca sulle loro pubblicità.

José ha dato a Google il numero di un conto corrente della famiglia e ha scelto una parola chiave che avrebbe mostrato la sua pubblicità a chi cercava in Google quella parola. Nel giro di un paio di mesi, i clic sulla sua inserzione sono stati così tanti che Google gli ha mandato, appunto, la fattura da centomila euro.

Di fronte alle contestazioni della famiglia di José, Google ha poi annullato la fattura, essendo chiaro che si trattava di un errore da parte di un ragazzino, ma ha ricordato alla famiglia che esistono delle restrizioni d’età su servizi come AdWords (bisogna essere diciottenni) e che i genitori dovrebbero consultare le informazioni fornite dal suo Centro per la sicurezza online prima di lasciare che i figli usino Internet senza supervisione. La famiglia, per contro, ha obiettato che è stato troppo facile per José attivare un conto AdWords e che servirebbero maggiori salvaguardie.

E voi come siete messi? Siete sicuri di aver spiegato bene ai vostri figli che ogni cosa che riguardi soldi su Internet va discussa e approvata da voi?

2016/10/12

Antibufala: questionario scolastico britannico chiede "Italiani, napoletani o siciliani?”

Questo articolo vi arriva gratuitamente grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete farne una per incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Pubblicazione iniziale: 2016/10/12 15:18. Ultimo aggiornamento: 2016/10/13 13:30.

Sta spopolando sui giornali italiani e nei social network l’indignazione per un questionario proposto in alcune scuole del Regno Unito e dedicato ai nuovi alunni. Fra le opzioni proposte nel questionario, la scelta fra “Italiano”, “Italiano (napoletano)”, “Italiano (siciliano)” e “Italiano (Altro)”.

C'è chi ha pensato che il questionario fosse un falso e chi l’ha interpretato come una schedatura di tipo etnico, con una discriminazione specifica nei confronti degli italiani. Addirittura è partita una nota dell’Ambasciata d’Italia a Londra ed è stato diffuso un commento pungente dell’ambasciatore italiano, Pasquale Terracciano, successivamente ammorbidito (ANSA) quando è diventato chiaro ( almeno per chi si è degnato di fare ricerca invece di fare titoloni acchiappaclic) che tutta la questione è una montatura basata su un errore elementare.

Infatti il questionario esiste veramente, ma riguarda la classificazione linguistica, non etnica. Non c’è nessun intento di discriminare fra italiani, siciliani e napoletani sulla base delle loro originiLe scuole britanniche, in altre parole, chiedono semplicemente ai genitori degli alunni di indicare a quali aree linguistiche si sentono di appartenere o in quali lingue hanno competenza. Tutto qui.

Basta infatti cercare in Google le parole “Italian (Napoletan)” (che spiccano perché la grafia corretta è neapolitan) per trovare documenti amministrativi britannici (come questo o questo) che permettono di scoprire che si tratta dei cosiddetti Language code per il censimento linguistico.

Sono, fra l’altro, codici di classificazione completamente distinti dagli Ethnicity code del censimento britannico, che in effetti potrebbero essere controversi (anche se non si basano sugli antenati o sul colore della pelle ma sul senso di appartenenza culturale e sociale) ma nei quali comunque esiste un’unica categoria per gli italiani, ossia Italian, punto e basta.

Qualunque giornalista che avesse avuto la dignità di lavorare, invece di fare copiaincolla scansafatiche e seguire l’onda dell’indignazione collettiva e della polemica facile, avrebbe trovato in trenta secondi (il tempo di una ricerca su Google) quello che ho trovato io. Lo ha fatto, per esempio, Il Foglio a firma di Stefano Basilico, notando inoltre che queste classificazioni linguistiche risalgono almeno al 2006 e quindi non sono una novità introdotta dal referendum sulla Brexit. Anche Alberto Nardelli su Buzzfeed ha riassunto bene la vicenda.

La schermata mostrata all’inizio di questo articolo e tratta da Repubblica è ingannevole, perché mostra senza contesto due menu separati facendoli sembrare parte di un’unica domanda: il menu superiore (WOTH - Any other White...) mostra un Ethnicity code, mentre il menu sottostante mostra un Language code. Ma i due menu riguardano due domande separate.

Quindi non è vero quello che scrive l’ANSA quando afferma che “Sui moduli d'iscrizione messi online da alcune circoscrizioni scolastiche britanniche di Inghilterra e Galles c'era la distinzione tra "Italiani", "Italiani-Siciliani" e "Italiani-Napoletani". La traduzione corretta sarebbe semmai “distinzione tra "lingua italiana", "lingua italiana-sicula" e "lingua italiana-napoletana"”. Ma tradurre correttamente significherebbe dire addio alla polemica. 

Per la stessa ragione non è vero quello che ha scritto il Giornale, a firma di Sergio Rame: “Il ministero dell'Istruzione inglese, ha infatti, inserito nel modulo di iscrizione alla scuola elementare l'obbligo di specificare se il bambino è di origine italiana, siciliana o napoletana.” No: non si tratta di origine ma di lingua.

Particolarmente infelice la scelta di parole di Fabio Cavalera, corrispondente a Londra del Corriere della Sera, che scrive“C’è poco da ridere e da scherzare. A essere buoni siamo di fronte a una manifestazione di stupidità e ignoranza. A essere cattivi, invece, c’è da pensare di molto peggio. Fatto sta che in alcune scuole del Regno Unito, all’atto dell’iscrizione, occorre passare dalle forche caudine della classificazione etnica”. Ma i fatti documentano che la “stupidità e ignoranza” stanno probabilmente altrove.

Non c’è nessun intento discriminatorio di tipo etnico, insomma: anzi, semmai i siculi, napoletani potrebbero essere contenti del fatto che l’italiano siculo e napoletano vengono considerate (non a torto) lingue a tutti gli effetti. Fra l’altro, mi sembra che nessuno abbia notato che esiste nell’elenco britannico un codice linguistico di classificazione specifico anche per il sardo (Sardinian, SRD).

Non chiedetemi perché non c’è un codice linguistico per il pavese, il bolognese, il palermitano o il casalpusterlenghese: non scelgo io le classificazioni linguistiche usate dal governo britannico e francamente la cosa è del tutto secondaria rispetto alla questione principale, ossia che non si tratta di discriminazione etnica o sociale ma solo di classificazione linguistica, giusta o sbagliata che sia (in proposito c’è un ottimo articolo di Licia Corbolante su Terminologiaetc.it). Se poi volete continuare lo stesso a indignarvi sul fatto che nel Regno Unito non c’è una classificazione per il vostro dialetto o lingua locale, fate pure: vuol dire che non avete problemi più importanti nella vita e quindi sono contento per voi. Ma i fatti sono questi.

Aggiungo che non c’è nessuna discriminazione specifica per l’Italia, come sostiene invece ANSA (“Una inopinata distinzione etnico-linguistica riservata ai bambini provenienti dalla Penisola”): anche altri paesi europei sono stati suddivisi in aree linguistiche. Per esempio, l’indignato docente italiano Michele La Motta, citato per esempio dal Mattino e da altri giornali perché “[v]uole sapere dai suoi amici spagnoli se anche loro sono stati divisi tra galleghi, baschi e catalani”, troverà appunto che nei Language code ci sono appunto Galician/Galego, Catalan e Basque/Euskara.

Bufale un tanto al chilo ha notato altri esempi di suddivisione linguistica: “I berberi hanno 4 scelte, gli arabi 7, chi viene dal Bengali 3, i cinesi 6 e così via. Si tratta di dialetti o variazioni della lingua base, dialetti che sono così diffusi da necessitare una casella a parte”.

––

Molto rumore per nulla, insomma: ma l’importante, per gli editori, è che ci si indigni, che i giornalisti facciano articoli faticando poco, e che si acchiappino tanti clic, così gli inserzionisti sono contenti. E se credete che questa sia una mia malizia, permettetemi di citare testualmente quello che mi è stato scritto da uno dei membri di queste redazioni pochi giorni fa:

Purtroppo su queste cose si scivola per la pulsione a pubblicare pezzi "pop" che portino clic.

Poi mi dicono che sono troppo cattivo quando definisco certi giornalisti e certe redazioni puttane del clic. Ecco, adesso l’avete nero su bianco.

––

2016/10/13 11:55: modifiche e scuse britanniche. ANSA ha annunciato che “Il ministero dell'Istruzione britannico ha modificato i codici che, in alcune scuole del Regno Unito, classificavano linguisticamente gli studenti italiani in "italo-napoletani o "italo-siciliani". Lo ha annunciato il governo di Londra in una nota diffusa dall'ambasciata britannica a Roma. "Da oggi - si precisa nella nota - tutti gli allievi di madrelingua italiana saranno classificati sotto un unico codice".” ANSA aggiunge che “il Foreign Office si era scusato per i moduli scolastici britannici che distinguevano l'origine etnico-linguistica di napoletani e siciliani da quella degli altri italiani.”

Inizialmente non trovavo riscontri, ma successivamente un lettore, Antonio L.N. (che ringrazio), mi ha segnalato questo post sulla pagina Facebook dell’Ambasciata Britannica a Roma:

Un portavoce del governo britannico ha dichiarato:
“Il governo britannico acquisisce informazioni linguistiche come parte del censimento scolastico per assicurarsi che gli studenti di madrelingua diversa dall’inglese possano ricevere la migliore istruzione possibile nel Regno Unito.
Ci è stata segnalata la presenza di uno storico errore amministrativo nei codici linguistici in uso fin dal 2006.
Anche se tale errore non ha avuto alcun impatto sull’istruzione ricevuta dagli alunni italiani nel regno Unito, il governo britannico esprime il proprio rammarico per l’accaduto e per le offese da questo eventualmente arrecate. Il ministero dell’Istruzione britannico ha modificato i codici in questione e da oggi tutti gli allievi di madrelingua italiana saranno classificati sotto un unico codice”.

A UK government spokesman said:
“The UK government collects language information as part of the school census to ensure children whose first language in not English still have the best possible education in Britain.
“We have been made aware of an historic administrative error in the language codes in use since 2006.
“While this error has had no material impact on the education received by any Italian pupil in the UK, the UK government is clear that this should never have happened and we regret if any offence was caused. The Department for Education has corrected these codes and from today all Italian speakers will be classified under one code.”


Questa comunicazione ribadisce il concetto che si trattava di codici linguistici e non etnici o di altro genere. Francamente non capisco perché ci si debba scusare per una questione puramente linguistica, ma queste parole del governo britannico non sono necessariamente un’ammissione di colpa: parlare di “rammarico” e di “offese... eventualmente arrecate” mi sembra più che altro un gesto di cortesia per chiudere la polemica. Se siete mai stati nel Regno Unito, sapete benissimo che un sorry non si nega mai, neanche quando si ha ragione.


Fonti (in senso negativo, archiviate su Archive.is per non regalare clic): Il Giornale, Il GazzettinoIl Messaggero, La Stampa, Corriere della SeraRepubblica.

2016/10/11

Il Delirio del Giorno: Elon Musk, servo degli Illuminati, vuole distruggere la Terra

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Commento inviato oggi al mio articolo Elon Musk: tecnologie fattibili e costi accettabili per colonizzare Marte:

Ocio

Il tanto celebrato Musk, visto da me in una conferenza via internet di qualche anno fa, dove lui parlava con condiscendenza di intelligenza artificiale a un audience di giovani, che poteveno-dovevano fargli delle domande,
il tutto preconfezionato, dato che erano sempre gli stessi, ha raccolto alcuni clamorosi flop, tipo la macchina Tesla3 andata fuori strada confermato dal guidatore dopo che la vettura ha "accelerato da sola" (sic),inoltre non si possono ricaricare le batterie ecc. (guai anche per Samsung che ne ha già altri) poi c'è la storia del razzo: http://www.lautomobile.aci.it/articoli/2016/09/05/guai-a-razzo-per-elon-musk.html.
Questa ostinazione di andare su Marte, il famoso volo di Icaro che si ripete, è la premessa del fatto che la terra, il bellissimo pianeta blu, dovrà essere distrutta e 'solo un élite' dovrà sopravvivere, il centenario progetto degli Illuminati, e se mai nelle 'prove generali' un po' di gente dovrà morire, come dichiarato da Musk, (che ovviamente non parteciperà alla prima spedizione!) non tanto onestamente come nell'articolo è precisato, ma invece tanto cinicamente.
Il tutto per ora, sembra piuttosto motivato dall'insaziabile voglia di fare denaro. Usassero questi e altri quattrini piuttosto per rigenerare la terra unica per la sua vivibilità e bellezza, in quella-piccola- parte dell'universo finora esplorata.
E' stato veramente così importante per noi lo sbarco sulla luna? Certamente l'uomo è stato sempre attratto dalle scoperte che comprendevano ovviamente dei grossi rischi ma indubbiamente utili per l'umanità, anche se spesso a costi degli altri, quindi questa sete di conoscenza è insita, ma stavolta si tratta di qualcosa di ben diverso.
Per chi si interessa a questi argomenti consiglio vivamente la lettura di " Extraterrestri- Le radici occulte di un mito moderno- ed. Rubbettino, scritto a quattro mani dal Prf. Enzo Pennetta e dal Prf. Gianluca Marletta.

Commento mio a quanto sopra: Pennetta e Marletta, cazzata perfetta.

2016/10/10

Stasera si parla di bufale su Rai Scuola, ci sono anch’io

Stasera alle 21:30 il programma Digital World di Rai Scuola (Canale 146 del digitale terrestre) parlerà anche di bufale su Internet e ci sarò anch’io con un intervento via Skype.

Questo è l’annuncio della puntata, condotta da @matteobordone: “Un viaggio nel mondo plasmato dalle #tecnologie digitali e dalla #connessione permanente. Nella seconda puntata Matteo Bordone ci mostrerà alcune delle pratiche più diffuse sul #web: dalla costruzione condivisa (#Wikipedia), ai #tutorial su “come fare?”. Nel suo viaggio incontrerà, il video blogger willwoosh​, il responsabile di Wikimedia Italia #LorenzoLosa, il più noto svelatore di bufale online Paolo Attivissimo - Disinformatico, il giornalista dell’ The Economist Tom Standage, autore del saggio “The Victorian Internet”, il giornalista culturale #AlessandroLolli, che ci spiega cosa sono i “meme” al tempo del #digitale.”  Buona visione.

2016/10/09

L’astrologa di Reagan: pseudoscienza al potere

Questo articolo vi arriva gratuitamente grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete farne una per incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2017/01/27 1:05.

A settembre 2015 ho raccontato al XIII Convegno Nazionale del CICAP tenutosi a Cesena presso il Teatro Alessandro Bonci la storia incredibile dell’astrologa che influenzava il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e ho presentato altri casi nei quali la pseudoscienza ha preso il potere, con risultati disastrosi. Ci sono anche riferimenti ai candidati presidenziali recenti ed attuali.

Se volete, c’è il video (41 minuti); in alternativa vi propongo qui sotto il testo che avevo scritto come falsariga del mio intervento, con le note e le fonti di riferimento.





L’astrologa di Reagan


Nel 1986 il summit di Reykjavik fra il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e il premier sovietico Mikhail Gorbaciov decise i destini del mondo. In quell'incontro giocò un ruolo fondamentale una donna, Joan Quigley. Fu lei a scegliere l'orario della partenza di Reagan per Reykjavik. Il capo di gabinetto della Casa Bianca di allora, Donald Regan, racconta che quasi ogni decisione e ogni spostamento importante, compresa la firma dei trattati sulle armi nucleari, dipendeva dall'approvazione dalla Quigley, che aveva potere di veto sugli orari di tutte le conferenze stampa presidenziali e indicava quando era sicuro viaggiare e quando organizzare un summit [video; video]. Joan Quigley era l'astrologa di Ronald Reagan.

L'uomo più potente del mondo, l'uomo che aveva il dito sul pulsante di lancio dei missili nucleari capaci di distruggere l'umanità, si faceva consigliare da una donna che arrivò a dirgli di evitare l'antagonismo con Gorbaciov perché i due avevano in armonia un pianeta in Acquario [Huffington Post, 2014].

Quando la CIA venne a sapere che la moglie di Reagan, Nancy, discuteva le relazioni fra Stati Uniti e Unione Sovietica con la Quigley su linee telefoniche non protette ci fu il panico.

Reagan confidava da sempre nell'astrologia. All'inizio della propria carriera politica, prima di conoscere la Quigley, frequentò a lungo Carroll Righter, l'astrologo delle stelle di Hollywood [People Magazine, May 23, 1988 Vol. 29 No. 20]. Nel gennaio del 1967, all'inizio della propria carriera politica, impose un orario insolito, la mezzanotte e dieci, per il proprio insediamento come governatore della California. Lo fece per sfruttare le condizioni astrologiche favorevoli, come raccontano candidamente i giornali dell'epoca [New York Times, 1988].

Reagan non fu certo l'unico presidente degli Stati Uniti a rivolgersi all'astrologia: anche Theodore Roosevelt (presidente dal 1901 al 1909) era un appassionato della materia e Franklin Delano Roosevelt (eletto presidente quattro volte, dal 1933 al 1945) citava spesso gli oroscopi [New York Times, 1988].


La strega di Churchill


Durante la Seconda Guerra Mondiale, inoltre, il presidente degli Stati Uniti non era l'unico leader degli Alleati ad avere una passione per il paranormale e le pseudoscienze. Winston Churchill, primo ministro britannico dell'epoca (1940-45), era devoto seguace di Helen Duncan, l'ultima donna processata e incarcerata per stregoneria in Inghilterra [Mysterious Universe, 2014].

La Duncan era una medium scozzese molto popolare, che sembrava avere poteri paranormali straordinari. Uno dei suoi più clamorosi successi fu la visione remota dell'affondamento da parte di un U-Boot tedesco della grande nave da battaglia HMS Barham, nel quale erano periti 861 marinai il 25 novembre 1941.

La Duncan annunciò pubblicamente il disastro, tenuto segretissimo dalle autorità britanniche, pochi giorni dopo, durante una seduta spiritica, dicendo che glielo aveva comunicato il fantasma di uno dei marinai della nave affondata. La Marina Britannica fu talmente scossa dalla rivelazione che temette che la Duncan fosse una spia tedesca. Helen Duncan fu processata sulla base del Witchcraft Act (letteralmente Legge sulla Stregoneria), datata 1735.

Churchill in persona intervenne contestando l’uso di questa legge arcaica contro la medium che lui tanto stimava, ma la Duncan fu comunque condannata e trascorse nove mesi in carcere.

Si scoprì poi che quando la Duncan aveva fatto la sensazionale rivelazione dell'affondamento della HMS Barham, la Marina Britannica aveva già informato i familiari dei marinai morti ma aveva chiesto loro di mantenere riservata la notizia dell'affondamento, per non informare i tedeschi dell'entità del colpo inflitto alla Marina di Sua Maestà. C'erano insomma alcune migliaia di civili che sapevano della tragedia, ed è molto probabile che la Duncan abbia saputo da loro della notizia per poi spacciarla come rivelazione paranormale.

L'idea che i sensitivi potessero avere un ruolo importante in ambito bellico era insomma assolutamente naturale per almeno due dei tre grandi leader della Seconda Guerra Mondiale che decisero le sorti del mondo alla fine del conflitto. Ma anche il terzo, Stalin, non si sottrasse al fascino della pseudoscienza.


Pseudoscienza che uccide: lysenkoismo


All’inizio del secolo scorso l’agricoltura sovietica era in profondissima crisi a causa della rapidissima transizione forzata a un’economia di tipo industriale, che aveva portato a una prima carestia nel 1921 e poi a una seconda, di proporzioni spaventose, nel 1932-33, che era costata la vita a circa 8 milioni di persone, soprattutto in Ucraina e in Kazakistan.

Un agronomo russo affermò di aver trovato un modo per triplicare o quadruplicare i raccolti di grano: la vernalizzazione, ossia il trattamento delle piante con basse temperature e umidità elevate, che ne abbreviava il tempo di coltivazione. In realtà la tecnica era nota dalla metà dell’Ottocento e offriva soltanto miglioramenti marginali nella produttività. Ma il governo russo, disperato, si affidò alle promesse dell’agronomo, facendone un eroe dell’agricoltura sovietica. Il suo nome era Trofim Lysenko.

Da L’Unità, 6 ottobre 1948.
La sua teoria biologica pseudoscientifica, il lysenkoismo, sosteneva che la selezione naturale e la genetica erano panzane capitaliste e che le caratteristiche acquisite di un organismo potevano essere ereditate dai suoi discendenti.

Per esempio, secondo il lysenkoismo strappare le foglie a una pianta avrebbe indotto le figlie di quella pianta a nascere già senza foglie. Per far crescere il grano in Siberia bastava esporlo al freddo per “rieducarlo” e farlo diventare resistente al gelo.

Un concetto ideologicamente molto appetibile per il dittatore dell’epoca, Stalin, perché significava che erano possibili miglioramenti biologici rapidi e rivoluzionari come quelli necessari per risollevare l’agricoltura sovietica e soprattutto perché, secondo gli ideologi del Cremlino, comportava che un uomo esposto sufficientemente a lungo agli effetti del comunismo avrebbe generato automaticamente figli intrinsecamente comunisti, producendo nel giro di poche generazioni una società perfetta e armoniosamente priva di dissenso.

Con il sostegno di Stalin, Lysenko fu messo a capo dell’agricoltura del paese. Era un uomo d’azione, e questo lo rendeva popolare, a differenza degli scienziati veri, che raccomandavano cautela, rigore, lunga sperimentazione in laboratorio, e quindi non potevano competere con il fascino di chi vede un problema e lo affronta. Peccato che lo affrontasse con risultati disastrosi.

Gente che muore di fame per strada
in Ucraina, 1932-33 (fonte).
Le sue teorie causarono un ulteriore declino dei raccolti in tutta l’Unione Sovietica, con conseguenti morti per carestia, ma la propaganda governativa nascose gli insuccessi ed esagerò i pochi risultati positivi. Nessuno osava contraddire Lysenko e inimicarsi Stalin.

Nel 1948 l’Accademia delle Scienze Agricole dell’Unione Sovietica decretò che il lysenkoismo era “l’unica teoria corretta” e che criticarla era un atto “fascista”, mentre la genetica fu dichiarata ufficialmente una “pseudoscienza borghese”. La dittatura del lysenkoismo portò all’arresto, al licenziamento o alla messa a morte di circa 3000 biologi che si opponevano a questa ciarlataneria. La ricerca genetica in Russia fu completamente soppressa fino al 1953, quando Stalin morì.

Se riuscite a immaginare un mondo in cui nelle facoltà di medicina s’insegnano esclusivamente l’omeopatia, i fiori di Bach e il creazionismo e chi osa proporre terapie farmacologiche, test in doppio cieco o l’evoluzione viene arrestato o fucilato, questo è quello che succedeva in Unione Sovietica in quegli anni, con il pieno sostegno del governo.

Il lysenkoismo fu anche esportato nei paesi comunisti dell’Europa Orientale e fu l’unica dottrina in Cina dal 1948 al 1956, causando anche lì carestie e milioni di morti sotto la dittatura di Mao Tse-Tung.

Lysenko trovò a lungo sostenitori anche in Inghilterra, in Francia e in Italia fra gli scienziati legati al Partito Comunista Italiano e fu lodato ripetutamente sulle pagine de L’Unità.


Pseudoscienza e nazismo


Le “Leggi di Norimberga” per la determinazione
della razza, 1935 (fonte).
Un altro esempio storico drammatico di pseudoscienza al potere è l’introduzione del concetto di “scienza ariana” da parte del governo di Hitler in Germania. Le origini dello scienziato contavano più della qualità della sua scienza, per cui la relatività fu liquidata come “scienza ebrea”: Einstein, infatti, era ebreo, e pertanto agli occhi del governo era sospetto.

Gli scienziati con familiari o antenati ebrei furono progressivamente cacciati dalle proprie attività, anche nelle università, portando a un declino catastrofico della qualità della scienza in Germania e colpendo persino campi apparentemente astratti come la matematica.

Insegnamento delle razze,
Germania, 1943 (fonte).
La “scienza ariana” ebbe anche un altro effetto ancor più disastroso: questa pseudoscienza fu usata per giustificare la persecuzione delle cosiddette “razze inferiori”, asserendo che polacchi, zingari e soprattutto ebrei erano geneticamente inferiori e quindi non avevano diritto di riprodursi o di vivere. L’idea della “scienza ariana” fu usata per costruire una motivazione razionale per i campi di concentramento e per lo sterminio di milioni di persone.

Va detto che l’antisemitismo patologico di Hitler e degli altri nazisti non era il risultato di questa pseudoscienza: semmai la pseudoscienza veniva usata come giustificazione per l’antisemitismo e per le atrocità di massa.


Pseudoscienza nelle superpotenze: ricerca paranormale


Dopo la Seconda Guerra Mondiale potere e pseudoscienza hanno continuato ad andare a braccetto. La ricerca scientifica sovietica sulla telepatia, o “comunicazione biologica” come la chiamavano i russi, era iniziata già negli anni Venti del secolo scorso e fu svolta presso l’Università di Leningrado, pensando di applicarla alle comunicazioni segrete con le navi.

Durante il governo di Stalin ci fu una pausa, ma successivamente ricominciò un forte interesse governativo per il paranormale e in particolare per la telecinesi e per la precognizione, rispettivamente allo scopo di “sabotare i sistemi elettrici dei missili balistici intercontinentali” e per “prevedere ed evitare incidenti nello spazio”.

La foga sovietica per il paranormale, specialmente negli anni Sessanta, indusse gli Stati Uniti a pensare che ci fosse un rischio strategico credibile in questo campo. Nel 1973, un rapporto commissionato dall’agenzia di ricerca avanzata per la difesa (DARPA, Defense Advanced Research Projects Agency) mise nero su bianco il timore militare americano che l’intensa attività dei russi nel paranormale, gestita da fisici e ingegneri, potesse “condurre più facilmente alla sua spiegazione, al suo controllo e alla sua applicazione di quanto lo faccia la ricerca statunitense” [Scientific American, 2008].

Non va dimenticato che gli Stati Uniti avevano già sottovalutato una volta la ricerca sovietica e questo aveva portato all’umiliazione dello Sputnik, il primo satellite artificiale, che nel 1957 aveva sorvolato impunemente l’America, trasportato da un razzo che era una versione modificata di quelli che i sovietici minacciavano di usare per recapitare bombe atomiche sulle città degli Stati Uniti.

Nacque così la sperimentazione del paranormale nelle forze militari americane, raccontata sopra le righe nel film L’uomo che fissa le capre [ne scrivo qui] e più seriamente nel libro di Jon Ronson che ha ispirato il film, Capre di guerra.

Il personaggio del generale Hopgood che nel film è convinto di poter attraversare i muri con la forza del pensiero è reale: è basato su Albert Newton Stubblebine III, generale dell’esercito statunitense, comandante dell’INSCOM (US Army Intelligence and Security Command) dal 1981 al 1984, uomo chiave nell’invasione militare americana di Grenada nel 1983.

Questo generale avviò un programma di formazione di “super soldati” capaci appunto di attraversare i muri e di “diventare invisibili a comando”. Tutti i suoi comandanti di battaglione erano tenuti a imparare a piegare cucchiai col pensiero alla maniera del celebre sensitivo Uri Geller.

Stubblebine fu uomo chiave del Progetto Stargate: nulla a che fare con la popolare serie televisiva, ma un progetto militare di visione remota che si svolgeva a Fort Meade, nel Maryland. Fra l’altro, Stubblebine è uno degli esperti citati da Giulietto Chiesa nel suo film Zero sugli attentati dell’11 settembre 2001.

L’infatuazione americana con il paranormale in divisa militare andò avanti in segreto fino al 1995, quando fu resa in parte pubblica, documentando per esempio il coinvolgimento con la CIA di Harold Puthoff, un ricercatore ben noto a chi ha seguito la vicenda di Uri Geller. Da allora è stata ufficialmente interrotta. Oggi sappiamo che per decenni i russi, allarmati dall’impeto americano, aumentarono i propri sforzi nel paranormale, e lo stesso fecero gli americani, in una tragicommedia degli equivoci dalla quale dipendeva la decisione di scatenare o meno una guerra termonucleare.


Pseudoscienza al potere oggi: Svizzera


Pseudoscienza e potere non sono un connubio ormai tramontato. È sufficiente considerare l’appoggio dato da molti governi a pseudoscienze come l’omeopatia, anche nella moderna Svizzera, dove vivo. Dal 2012 parte dei miei contributi sanitari viene spesa per pagare rimedi omeopatici e altre pseudomedicine: lo impone non un governo totalitario, ma la volontà popolare, che in un referendum del 2009 ha indicato che i due terzi dei cittadini desidera che i rimedi alternativi siano rimborsati dal sistema sanitario.

Anzi, in questo caso il governo, viste le risultanze scientifiche negative, ha disposto che il rimborso sia erogato solo per un periodo di prova che scade nel 2017, data entro la quale dovranno essere presentate prove scientifiche di efficacia [Swissinfo.ch, 2011]. Quello che viene spesso presentato come “rapporto del governo svizzero” sull’omeopatia in realtà non è stato pubblicato o commissionato dal governo svizzero [Smw.ch].

Questa situazione può essere irritante per me come contribuente, ma non è un pericolo grave per la salute collettiva. Ben altra cosa sono, per esempio, le opposizioni ai vaccini alimentate dalla pseudoscienza o dalla scienza corrotta di Andrew Wakefield, il medico britannico che diede il via all’attuale psicosi antivaccinista con un articolo sul presunto legame fra vaccinazione trivalente morbillo-parotite-rosolia e autismo, pubblicato su Lancet nel 1998 e poi ritirato perché fraudolento.

A distanza di quasi vent’anni, i danni causati da Wakefield si fanno ancora sentire. Io stesso sono stato contagiato dal morbillo nel 2013 a causa del contatto con un bambino non vaccinato, e non è stata un’esperienza da prendere alla leggera.


Pseudoscienza al potere oggi: Kenya


Ma è nulla in confronto a quello che succede per esempio in Kenya, dove il programma di immunizzazione contro la poliomielite – una malattia devastante che chi ha qualche decennio sulle spalle ricorda fin troppo bene – viene ostacolato proprio in questi giorni dall’Associazione dei Medici Cattolici del Kenya, appoggiati dal cardinale John Njue [Tuko.co.ke].

L’obiezione dell’Associazione è che “i vaccini possono causare l’autismo; sono stati usati per diffondere l’HIV; contengono virus che causano il cancro”. E i medici dell’associazione insinuano il dubbio che dietro le vaccinazioni ci sia un tentativo di sterilizzazione di massa da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

In Kenya questa panzana pseudoscientifica tocca non solo le vaccinazioni antipolio ma anche quelle antitetaniche e viene diffusa e alimentata anche da alcuni giornali europei, come Tempi.it [Tempi.it, 2014]. Il risultato è che in Kenya nel 2013 il tetano neonatale, con l’aiuto della pseudoscienza, ha causato la morte perfettamente evitabile di 550 bambini [Il Disinformatico, 2014].


Pseudoscienza al potere oggi: Sud Africa


La pseudoscienza uccide, e il Kenya non è il solo caso. In Sud Africa, nei primi anni Duemila la lotta all’AIDS è stata ostacolata dall’appoggio alle pseudomedicine da parte del ministro della salute Manto-mbazana Tshaba-lala-Msi-mang e del presidente Thabo Mbeki. Notate il riferimento a Lysenko, che continua a fare danni ancora oggi [Centre For Social Science Research].


Pseudoscienza al potere oggi: Spagna


Non è certo un problema soltanto africano. La politica e la pseudoscienza sono compagne di viaggio un po’ ovunque anche oggi, per esempio in Spagna, con politici che promuovono Power Balance, vogliono che Madrid diventi zona libera da transgenici, indossano placchette di titanio per il riequilibrio bioelettrico, difendono l’ipersensibilità elettromagnetica, le scie chimiche, l’omeopatia e altro ancora [El Confidencial, 2015].


Pseudoscienza al potere oggi: Stati Uniti


Prendiamo gli Stati Uniti, così moderni e tecnologici. Il mondo dipende dalle decisioni prese in questa nazione, che va nello spazio ma ha una spiccata propensione per le pseudoscienze.

Sappiamo tutti della diffusione del creazionismo nelle scuole americane, ma andiamo a un livello di potere un po’ superiore e guardiamo alcuni recenti pronunciamenti dei membri o ex membri del Committee on Science, Space, and Technology, che ha giurisdizione su energia, ambiente, ricerca nucleare e spaziale e ogni cosa che riguardi la politica e l’educazione scientifica [House.gov].

– Todd Akin afferma che la gravidanza in seguito a stupro è rarissima perché “Stando a quello che mi dicono i medici [una gravidanza indotta da stupro] è veramente rara. Se è uno stupro vero, il corpo femminile ha modi di cercare di bloccare tutta la cosa”.

– Dana Rohrabacher ha un’idea geniale per risolvere il riscaldamento globale: “Qualcuno ha pensato all’idea di… disboscare le foreste pluviali in modo che alcuni paesi possano eliminare quella produzione di gas serra?”

– Morris Brooks è ancora più surreale: “Abbiamo livelli di anidride carbonica più alti. Questo significa che le piante crescono meglio… Non so quali sono gli effetti negativi dell’anidride carbonica sugli esseri umani.”

Avrei molte altre perle di pseudoscienza o antiscienza partorite da questo comitato di supervisione della scienza statunitense, ma ve le risparmio. Con supervisori come questi, è un miracolo che negli Stati Uniti si faccia ancora scienza e che la NASA non sia ridotta alla clandestinità come in Interstellar.


Pseudoscienza al potere prossimamente?


Un altro esempio forte e attuale della pervasività e pericolosità della pseudoscienza al potere arriva dalla campagna presidenziale statunitense in corso. Vediamo chi potrebbe esserci prossimamente a tirare le redini del paese più potente e influente del mondo. Fra i candidati c’è davvero di tutto.

Ben Carson è un creazionista: per lui il Big Bang e l’evoluzione sono “favolette incredibili”, l’evoluzione è stata “ispirata da Satana” e “una delle prove più schiaccianti contro l’evoluzione è il genoma umano”. Ben Carson, si noti, è un neurochirurgo pediatrico [Buzzfeed; CNS News].

Rand Paul, anche lui medico, si dichiara orgogliosamente scettico nei confronti delle conclusioni scientifiche sul riscaldamento globale.

Carly Fiorina dice che negli aborti i feti vengono tenuti vivi e scalcianti per “estrarne e raccoglierne” il cervello [“Watch a fully formed fetus on the table, its heart beating, its legs kicking while someone says we have to keep it alive to harvest its brain” (dibattito TV fra candidati del 17/9/2015)].

Donald Trump sostiene ancora l’esistenza di un legame fra vaccini e autismo.

Gi attuali candidati democratici sembrano essere meno inclini alla pseudoscienza, ma non va dimenticato che secondo i sondaggi oltre il 50% dell’elettorato democratico crede che l’astrologia sia “molto o almeno un po’ scientifica” [Washington Post; NSF].



Criteri di contrasto


Cosa fare per contrastare questa marea di pseudoscienza nei posti di potere? Il quadro che ho delineato è deprimente e sembra essere senza speranza. I successi come il sostanziale rifiuto dell’omeopatia da parte del governo britannico o la condanna dei creatori del braccialetto Power Balance sono rari. Ma credo che studiare questi disastri possa proporre alcune lezioni importanti.

La prima è che chi si occupa di diffondere e difendere una visione razionale del mondo non deve cadere nella trappola di una propria versione del lysenkoismo: non dobbiamo illuderci che riusciremo mai a “rieducare” le persone e che un giorno nasceremo tutti già razionali.

Certo, se creiamo un ambiente nel quale il razionalismo prospera, è chiaro che le credenze e gli approcci irrazionali troveranno un sostegno minore da parte dei governi, dei potenti in generale e dei loro elettori. Ma non spariranno mai, perché fanno parte della natura umana. Nasciamo irrazionali e nel profondo del nostro animo restiamo irrazionali. Siamo quello che siamo: fragili scimmie macrocefale che osano sognare di raggiungere le stelle.

È per questo che la razionalità si troverà sempre davanti una strada in salita e le nostre fatiche non saranno mai concluse.

La seconda lezione è che queste fatiche sono importanti. Il contrasto è necessario, perché questi deliri non passano da soli. La continua, paziente difesa dell’approccio razionale ai problemi, nelle piccole discussioni quotidiane come nelle grandi decisioni sociali e politiche, è tutto quello che ci separa dai nuovi lysenkoismi e dalle nuove persecuzioni.

Ma è una fatica asimmetrica. Lottiamo in condizione di svantaggio: numerico, psicologico, ideologico, economico. Per questo, a mio avviso, come investigatori delle pseudoscienze, quando scegliamo in quali campi investire il nostro tempo e le nostre risorse limitate, è indispensabile seguire alcuni criteri per ottenere il massimo risultato.

Il primo è concentrarsi sulle pseudoscienze che possono causare i danni peggiori, colpendo aspetti cruciali delle nostre vite. Se qualcuno crede al Mostro di Loch Ness, allo yeti, alla rabdomanzia o che non siamo andati sulla Luna, è pseudoscienza, è forse un’introduzione all’irrazionalità, ma è una credenza relativamente innocua; smontarla è indiscutibilmente utile e costruttivo, ma non vitale. Se invece qualcuno dice che non dobbiamo vaccinarci o che il cancro si cura iniettando il bicarbonato, il rischio per la salute è alto, evidente e immediato.

Il secondo è contrastare le pseudoscienze che minacciano maggiormente la scienza intesa come metodo generale. Il creazionismo, per esempio, cerca attivamente di cambiare il concetto di scienza, subordinandolo a specifiche credenze religiose; il lysenkoismo è riuscito a farlo imponendo un’ideologia politica sulla realtà. L’astrologia no.

Il terzo criterio, il più importante, è focalizzare l’attenzione sulle pseudoscienze che godono di un sostegno importante da parte di gruppi o organizzazioni potenti: governi, lobby, movimenti politici. Questo genere di pseudoscienza va stroncato, se possibile, prima che prenda piede e arrivi ad avere questo sostegno. È la parte più difficile, rischiosa ed emotivamente devastante di questo nostro lavoro, e io – piccolo detective antibufala – non posso che inchinarmi e dire grazie a chi rischia di persona e si accolla querele, processi, minacce e aggressioni perché osa ricordare che la realtà si rifiuta ostinatamente di piegarsi al volere degli imbecilli.

La storia ci insegna che quando un governo adotta una pseudoscienza, le conferisce un’attestazione di attendibilità e legittimità potentissima e difficilmente arrestabile. Quelle che normalmente sarebbero delle credenze eccentriche finiscono per diventare un dogma incontestabile.

Come si dice spesso, chi non conosce la storia è condannato a ripeterla, per cui diamoci da fare. Personalmente, per il bene dei miei figli e dei vostri, preferirei evitare certe terribili ripetizioni. Grazie.

Niente più auto a carburante fossile entro il 2030?

Questo articolo vi arriva gratuitamente grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete farne una per incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/10/09 18:40.

Ricordate i tempi in cui i complottisti disseminavano le “prove” di un complotto per insabbiare le automobili elettriche? Come sembrano lontani. Eppure sono passati solo sei anni. Mi piacerebbe vedere che scuse hanno, questi indomiti cercatori delle verità nascoste. Probabilmente si stanno affrettando a riciclarsi come complottisti che dimostreranno il piano di Big Electrica per ucciderci tutti con gli elettroni sintetici al posto di quelli naturali e far sparire le auto a benzina e diesel, così ecologiche.

Come sono cambiate in fretta le cose. Secondo Der Spiegel, il Bundesrat, la camera alta del parlamento tedesco preme per eliminare la vendita di auto a benzina o diesel entro il 2030, ossia fra quattordici anni. Si tratta di una proposta, non di una legge, ma dà l’idea di quanta strada è stata compiuta dalle propulsioni alternative. E i politici in Olanda e Norvegia stanno discutendo se anticipare il divieto di vendita delle auto a carburante fossile al 2025. Anche l’India sta valutando se convertire alla trazione elettrica tutto il proprio parco auto.

Il caso della Norvegia è particolarmente significativo. In questo paese un quarto delle nuove immatricolazioni è costituito da auto elettriche (la più grande quota di mercato del mondo), nonostante il clima rigido penalizzi la capacità delle batterie e nonostante la Norvegia sia uno dei più grandi esportatori di petrolio.

So che un aneddoto non fa statistica, ma durante uno dei convegni ai quali ho partecipato di recente come giornalista, uno di quelli affollati di persone che occupano posti di potere in governi e aziende, mi è capitato di notare nelle chiacchierate informali, quelle in cui gli uomini si misurano fra loro confrontando telefonini e automobili, un tema di fondo: chi ha una grossa auto diesel (tipicamente Mercedes e BMW) ha già capito che la sua prossima auto non potrà essere diesel, perché avrà un valore di rivendita prossimo allo zero: non la vorrà nessuno. Per chi vive di auto di lusso e di rappresentanza, il diesel è già morto. Il Dieselgate è una mazzata ulteriore, e il crollo delle vendite europee di auto diesel ad agosto è emblematico. E ovviamente molti di questi alti papaveri si stavano orientando specificamente su un’auto elettrica, citando in particolare Tesla (pronta da subito a soddisfare questa fetta di mercato) e i progetti di Porsche, BMW, Mercedes e altre marche.

Nel giro di sei anni, per l’opinione pubblica l’auto “alternativa” è passata dall’essere un miraggio mortificante, osteggiato da Big Oil, a un’opzione realistica, “cool”, lussuosa e ad altissime prestazioni (almeno per chi se la può permettere, l’accelerazione più veloce del mondo per un’auto di serie è un primato della Tesla Model S P100D, che fa da 0 a 100 in 2,5 secondi). E offre quell’aura di ecologia che oggi le aziende inseguono disperatamente per sembrare pulite almeno sulla facciata. E tutti i principali produttori si stanno affrettando a mettere in catalogo o ad annunciare almeno un esemplare elettrico.

Il 2020 – fra soli quattro anni – sembra essere la data prevista da tutti per la grande svolta, ma già adesso la rosa di offerte è ampia e non è più fantascienza. Qualche cifra:

Maserati tenterà di debuttare con un’auto elettrica entro il 2019-20.
Mercedes ha presentato l’iniziativa Generation EQ per una gamma di auto elettriche da commercializzare intorno al 2020.
Volkswagen ha annunciato la ID, auto elettrica a grande autonomia (fino a 600 km) al prezzo di una Golf e intende produrre fino a 3 milioni di auto interamente elettriche entro il 2025.
Audi vuole mettere in vendita un SUV elettrico entro il 2018.
Porsche vuole iniziare la produzione della sua Mission-E elettrica entro il 2020.
– la nuova Smart elettrica (160 km di autonomia, 22.000 euro) è prevista per il 2017.
General Motors ha già lanciato la Chevrolet Bolt negli Stati Uniti e si appresta a commercializzarla come Opel Ampera-E in Europa (500 km di autonomia, in vendita dal 2017.
Renault ha portato l’autonomia della Zoe a 400 chilometri (disponibile subito).
Nissan farà debuttare nei primi mesi del 2017 una Leaf con batteria migliorata.
BMW offre ora una i3 con 300 chilometri di autonomia.
Kia offre già ora una Soul elettrica: 160 km di autonomia. 
– Intanto Tesla sforna già adesso 2000 auto elettriche alla settimana, ossia circa 104.000 l’anno.

In pratica, l’industria dell’auto elettrica è nelle stesse condizioni nelle quali si trovava quella della telefonia mobile al suo esordio: prodotti costosi, con notevoli limitazioni d’uso, destinati a una fascia di utenti di lusso. Poi la tecnologia è migliorata, la produzione di massa ha fatto crollare i prezzi, e oggi abbiamo tutti un telefonino in tasca. L’auto elettrica potrebbe seguire lo stesso schema.

Non so voi, ma ho la sensazione piacevole di trovarmi ad assistere (e a partecipare) a una delle grandi trasformazioni del mondo. Una volta tanto, una trasformazione in meglio.
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