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Il Disinformatico: Linux

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2023/06/20

Minecraft, occhio alle mod infette per Windows e Linux

Questo articolo è disponibile anche in versione podcast.

Se giocate a Minecraft su computer Windows o Linux e siete appassionati di modding, ossia dell’aggiunta o modifica di funzioni, oggetti, ambienti e altro ancora al gioco di base, vi conviene fare più attenzione del solito a cosa scaricate e da dove lo scaricate.

Ai primi di giugno, infatti, due fra le più importanti piattaforme di distribuzione di queste modifiche, o mod, sono state attaccate, violando vari account, e molte mod e molti plugin per Minecraft disponibili tramite queste piattaforme sono stati infettati e distribuiti agli utenti.

Il risultato è che chi ha scaricato modpack molto popolari, come Better Minecraft, che ha oltre quattro milioni e mezzo di download, può trovarsi con il computer infetto da un malware che ruba le credenziali di accesso salvate nei browser e quelle degli account Minecraft, Microsoft e Discord e si insedia permanentemente sul computer, aggiornandosi man mano.

Le piattaforme di modding prese di mira sono CurseForge e Bukkit, e l’elenco di mod e modpack infettate è piuttosto lungo (lo trovate per esempio su BleepingComputer.com) e non si sa se sia completo. 

Per evitare panico inutile, soprattutto fra i giocatori più giovani e i loro genitori, è importante sottolineare che il problema riguarda esclusivamente chi ha installato modifiche a Minecraft e usa computer Windows o Linux. Chi gioca semplicemente a Minecraft di base e usa altri dispositivi non basati su Windows o Linux non è coinvolto in questo problema.

Ma per chi ama il modding e usa questi sistemi operativi il danno è molto serio, anche in termini di fiducia. Gli aggressori informatici hanno infatti preso di mira siti attendibili, come appunto CurseForge e Bukkit, e li hanno indotti a distribuire il loro malware, denominato Fractureiser. Per prima cosa hanno preso il controllo di alcuni account su queste piattaforme e hanno inserito del codice ostile nei plugin e nelle mod offerte da questi account. Poi questi software modificati e infetti sono stati adottati automaticamente da vari modpack molto popolari e quindi sono stati distribuiti automaticamente agli utenti fino al momento in cui sono intervenuti i gestori di queste piattaforme e hanno ripulito i propri sistemi.

Chi ha scaricato ed eseguito una di queste mod infette, distribuite più o meno nelle ultime tre settimane, ha probabilmente infettato il proprio computer. Fortunatamente ci sono degli script di scansione per Windows e per Linux che rilevano i sintomi di un’infezione; in alternativa è possibile controllare manualmente se il Registro di Windows è stato alterato o se ci sono altri file ostili sul computer.

I principali antivirus si stanno già aggiornando per rilevare questi sintomi, per cui se avete dubbi conviene aspettare ancora qualche ora e poi aggiornare il vostro antivirus e rifare una scansione completa.


Se purtroppo scoprite di avere il computer infetto, è consigliabile reinstallare il sistema operativo e cambiare tutte le proprie password, partendo subito da quelle dei servizi più interessanti per i criminali, ossia quelle che proteggono criptovalute, caselle di mail e conti correnti.

Maggiori dettagli tecnici sul malware Fractureiser e sulla tecnica di attacco dei criminali informatici sono disponibili sul già citato BleepingComputer e su Tripwire [anche su CurseForge, Hackmd.io, Prismlauncher.org e Github]. Una delle piattaforme colpite, CurseForge, ha inoltre pubblicato una descrizione approfondita delle varie fasi di questo attacco mirato e sofisticato e delle misure di protezione da adottare.

Questo attacco è particolarmente interessante, perché sovverte uno dei consigli di sicurezza più frequenti, ossia quello di scaricare solo software da siti attendibili, e lo usa per abbassare le difese degli utenti, perché sfrutta proprio questi siti di cui l’utente si fida. Qui le vittime non sono giocatori incauti che hanno scaricato software da siti sconosciuti e senza garanzie; sono persone che si sono rivolte a piattaforme universalmente considerate sicure.

Inoltre l’attacco prende di mira una categoria di utenti che è solitamente meno attenta di altre alla sicurezza informatica, cioè i gamer giovani e giovanissimi, che probabilmente non si aspettano di essere attaccati, specialmente da qualcosa che scaricano da un sito di ottima reputazione. Sui loro computer spesso ci sono informazioni e password non solo loro, ma anche di altri membri della famiglia, che valgono soldi per i criminali. 

Ancora una volta, insomma, la sicurezza informatica si conferma un problema che tocca tutti. Nessuno può permettersi il lusso di dire “ma chi vuoi che se la prenda con me, io non ho niente che interessi ai ladri”. È proprio su questo modo di pensare che contano quei ladri.

2022/10/21

Le parole di Internet: fork bomb

Questo articolo è disponibile anche in versione podcast audio.

Due punti, aperta parentesi tonda, chiusa parentesi tonda, aperta parentesi graffa, spazio, due punti, barra verticale, due punti, E commerciale, spazio, chiusa parentesi graffa, punto e virgola, due punti.

Questi tredici caratteri, spazi compresi, sono tutto quello serve per mandare in crash quasi tutti i computer. Non importa se usate Windows, Linux o macOS: se digitate questa esatta sequenza di caratteri in una finestra di terminale o in una riga di comando, il vostro computer quasi sicuramente si bloccherà e sarà necessario riavviarlo, perdendo tutti i dati non salvati. Non è necessario essere amministratori del computer.

Ovviamente digitare questa sequenza di caratteri non è un esperimento da provare su un computer che state usando per lavoro o che non potete permettervi di riavviare bruscamente.

Ma come è possibile che basti così poco?

Quella sequenza di caratteri non è una falla recente: è un problema conosciuto da decenni e si chiama fork bomb o rabbit virus o ancora wabbit. Il primo caso di fork bomb risale addirittura al 1969. Non è neanche un virus: fa parte del normale funzionamento dei computer.

Semplificando in maniera estrema, ogni programma o processo che viene eseguito su un computer può essere duplicato, formando un processo nuovo che viene eseguito anch’esso. Questa duplicazione si chiama fork, nel senso di “biforcazione”. A sua volta, il processo nuovo può creare una copia di sé stesso, e così via.

Se si trova il modo di far proseguire questa duplicazione indefinitamente, prima o poi verranno creati così tanti processi eseguiti simultaneamente che il computer esaurirà le risorse disponibili, come la memoria o il processore, e quindi andrà in tilt, paralizzandosi per il sovraccarico e costringendo l’utente a uno spegnimento brutale e a un riavvio.

Questa trappola letale è stata per molto tempo un’esclusiva dei sistemi Unix e quindi anche di Linux, ma oggi esiste anche in macOS e in Windows 10 e successivi. Questi sistemi operativi, infatti, includono quella che si chiama shell bash, ossia un particolare interprete dei comandi (chiamato bash) usato anche dai sistemi Linux e Unix. Dare a questo interprete quei tredici caratteri è un modo molto conciso di ordinargli di generare un processo che generi un processo che generi un processo e così via.

Non è l’unica maniera di avviare questa reazione a catena: ce ne sono molte altre, anche per le vecchie versioni di Windows, ma questa è particolarmente minimalista.

:() definisce una funzione di nome ":" e il cui contenuto è quello che si trova fra le parentesi graffe

:|:& è il contenuto della funzione, ed è una chiamata alla funzione stessa (":"), seguita da un pipe (che manda l’output della funzione chiamata a un’altra chiamata della funzione ":") e da un ampersand (che mette in background la chiamata)

; conclude la definizione della funzione

: ordina di eseguire la funzione di nome ":"

È forse più chiaro se si usa bomba per dare un nome “normale” alla funzione e si usa una notazione meno ermetica:

bomba() {
  bomba | bomba &
}; bomba

Difendersi non è facilissimo per l’utente comune: ci sono dei comandi che permettono di porre un limite al numero di processi che è possibile creare, ma comunque non offrono una protezione perfetta. In alternativa, si può tentare di disabilitare la shell bash in Windows, ma le conseguenze possono essere imprevedibili.

In parole povere, il modo migliore per evitare una fork bomb è impedire che un burlone o malintenzionato possa avvicinarsi, fisicamente o virtualmente, alla tastiera del vostro computer.

Fonti aggiuntive: Apple, Cyberciti, Okta.

2020/01/14

Se Dropbox si paralizza e state spostando tanti file, provate questo incantesimo

Uso Dropbox molto intensamente, con un account a pagamento, e ogni tanto ha qualche breve mancamento ma di solito funziona egregiamente, sincronizzando bene i dati sui miei computer Mac e Linux e sui miei smartphone. Ma qualche giorno fa si è completamente paralizzato, con l’icona della sincronizzazione permanentemente attiva ma nessun aggiornamento effettivo dei file.

È rimasto così per oltre due giorni, dandomi involontariamente la possibilità di riscoprire la sofferenza profonda di sincronizzare a mano computer multipli.

Le versioni grafiche di Dropbox sotto macOS e Linux non davano alcuna informazione utile. Idem l’help di Dropbox. Solo grazie alla riga di comando di Linux (sempre sia benedetta) ho scoperto la ragione del problema: stavo migrando una grossa quantità di file (alcune migliaia) e avevo superato il limite di default del numero di file gestibili.

Nel terminale di Linux ho dato i comandi

dropbox stop
dropbox start

per fermare e riavviare l’attività di Dropbox, che mi ha risposto con quest’informazione essenziale:

Unable to monitor entire Dropbox folder hierarchy. Please run "echo fs.inotify.max_user_watches=100000 | sudo tee -a /etc/sysctl.conf; sudo sysctl -p" and restart Dropbox to fix the problem.

Cosa che ho fatto subito, digitando poi dropbox start, e tutto ha ripreso a funzionare a meraviglia. Lascio qui questo appunto nella speranza che possa essere utile ad altri utenti di Dropbox.


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2017/10/20

Panico per Wi-Fi insicuro? Da ridimensionare

Se ne parla ovunque da qualche giorno: come ho già segnalato, è stato scoperto che il WPA2, il protocollo di sicurezza che protegge abitualmente le connessioni Wi-Fi contro le intercettazioni, ha una serie di falle gravi che sono state denominate KRACK. Queste falle consentono di intercettare dati sensibili, come per esempio le password usate per collegarsi ai siti, e riguardano praticamente tutti i dispositivi digitali di ogni marca dotati di Wi-Fi: televisori “smart”, router Wi-Fi, smartphone, computer. Ma non è il caso di farsi prendere dal panico.

I fabbricanti di dispositivi, infatti, sono stati avvisati a luglio scorso dai ricercatori che hanno scoperto le falle e quindi quelli diligenti hanno già distribuito gli appositi aggiornamenti di sicurezza. Trovate qui una chilometrica lista di produttori di software vulnerabili e aggiornati: Apple, Microsoft, Linux, iOS e Android sono tutti coinvolti, ma hanno già distribuito gli aggiornamenti o li stanno per distribuire (eccetto quelli per i vecchi dispositivi Android, che è comunque il caso di cambiare per molte altre ragioni).

Un attacco basato su KRACK, inoltre, funziona soltanto se la vittima si collega a un sito usando HTTP (connessione non cifrata); se usa HTTPS, come avviene ormai in molti siti e soprattutto quando si digita la password di accesso, questo attacco non è possibile. Lo stesso vale se usate una buona VPN.

Ma il limite più importante di KRACK è che è sfruttabile soltanto se l’aggressore è nel raggio di azione della rete Wi-Fi usata dalla vittima. Questo rende impraticabili gli attacchi a distanza fatti a casaccio e in massa, che sono il metodo preferito dai criminali informatici. In altre parole, l’aggressore dovrebbe avercela proprio con voi: questo non capita molto spesso, e comunque si risolve usando le già citate connessioni cifrate (HTTPS e VPN).

Ci sono anche altre limitazioni che rendono KRACK difficile da sfruttare, ma quello che conta è che se aggiornate il software dei vostri principali dispositivi siete sostanzialmente al sicuro da KRACK. Il vero problema è fare l’inventario di tutti i dispositivi che usano il Wi-Fi: rimboccatevi le maniche e preparatevi a dedicare un po’ di tempo a questa magagna.


Fonti: Graham Cluley, Ars Technica, F-Secure, The Register.

2016/07/29

Ultimo giorno per aggiornarsi a Windows 10 gratis: che fare?

L’articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale. Ultimo aggiornamento: 2016/08/01 21:30.

Oggi, 29 luglio, è ufficialmente l’ultimo giorno disponibile per passare gratuitamente a Windows 10 per chi ha un computer dotato di una versione di Windows precedente. Da domani, salvo novità dell’ultim’ora o acrobazie discutibili, aggiornarsi a Windows 10 costerà circa 100 euro (o franchi svizzeri) per la versione Home e qualcosa in più per la versione Pro. La versione Enterprise, quella che le aziende dovrebbero in teoria usare, non ha nessun aggiornamento gratuito temporaneo, ma i contratti Microsoft aziendali di norma includono sempre il passaggio alla versione successiva dei prodotti Microsoft.

Conviene passare a Windows 10? Di solito sì: chi lo fa beneficia degli aggiornamenti di sicurezza, che le versioni precedenti non hanno più o non avranno per molto tempo ancora, e ci sono molte funzioni nuove e pratiche (per esempio i desktop multipli, la riga di comando e migliori prestazioni nei giochi; per non parlare dell’imminente arrivo di bash).

Aggiornarsi in teoria è semplice: si fa un backup dei propri dati, si accetta l’insistentissimo invito a passare a Windows 10 che compare periodicamente sullo schermo, e poi si lascia che il computer lavori per un po’. Il programma d’installazione verifica la compatibilità del computer prima di procedere, per cui in teoria non c’è da temere che l’aggiornamento vada storto.

In effetti moltissimi utenti mi hanno segnalato installazioni effettuate senza alcun problema, per cui ho provato anch’io ad aggiornare un laptop (Acer Aspire E1-510) sul quale avevo Windows 7 per fare informatica forense. Ho accettato l’invito e Windows mi ha detto “Sfortunatamente questo PC non consente l’esecuzione di Windows 10”, nonostante Acer lo dichiari compatibile.



Ho provato a cliccare su “Visualizza report” per avere informazioni sul motivo del rifiuto a installarsi, e ho ottenuto questa risposta classicamente contraddittoria: “Sei pronto! Il tuo PC potrà eseguire Windows 10”.



Gli anni passano, ma certe cose in informatica non cambiano mai.

Vista la schizofrenia di Windows, ho deciso di risolvere a modo mio: ho scaricato Linux (Ubuntu) e l’ho installato su una chiavetta USB, dalla quale ho avviato il laptop. Linux è partito al primo colpo, senza alterare il Windows preesistente, e ha riconosciuto tutti i componenti, mettendomi subito a disposizione mail (Thunderbird), browser (Firefox) e LibreOffice. Così ho accettato il suo invito a installarsi sul disco rigido in dual-boot. Problema risolto.



Fonte aggiuntiva: The Register.

2016/06/28

Tesla, l’interfaccia e le app spiegate in dettaglio

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento).

Al convegno Tesla Revolution 2016, tenutosi a marzo scorso, Tiziano Di Valerio, utente Tesla e membro di Teslaforum.it, ha presentato una panoramica della sua esperienza come utente di una Model S, descrivendone l’interfaccia utente, basata su Linux, e la sua vasta integrazione con servizi esterni e presentando alcune delle principali app per la gestione dell’auto.

Il video del suo intervento è disponibile su Youtube (l’ho incluso qui sotto): ve lo consiglio perché è divertente e illuminante e contiene moltissime informazioni preziose. Qui sotto ho aggiunto i link alle app citate.


App ufficiale di Tesla per Model S (iOS e Android)

Visible Tesla (non ufficiale, per Mac, Windows, Linux)

Remote S for Tesla (non ufficiale, iOS e Apple Watch; recensione)

EVmote (webapp)

Teslalog (webapp)

EVE for Tesla (webapp)

2015/12/31

Lutto nel mondo Linux: morto Ian Murdock, padre di Debian

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alle donazioni dei lettori. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora (anche con un microabbonamento). Ultimo aggiornamento: 2016/01/06 9:15.

Ian Murdock, creatore della distribuzione GNU/Linux Debian, è morto a 42 anni in circostanze al momento poco chiare. L’annuncio è stato dato da Ben Golub della Docker, l’azienda startup dove Murdock lavorava da circa un mese.

Murdock aveva dato uno scossone al mondo Linux nel 1993, quando aveva fondato Debian (Deb per Debra, sua ragazza all’epoca, e ian per ovvie ragioni) e scritto un manifesto per smuovere dall’apatia e dalla corsa al denaro gli sviluppatori delle varie distribuzioni di Linux, creando le definizioni di base del movimento open source e diventando in seguito il direttore tecnico della Linux Foundation. La sua distro è considerata una delle più pure e aderenti ai principi ispiratori del software libero.

Le cause del decesso non sono state rese note ma non sono ritenute sospette. Tuttavia risulta che lunedì scorso Murdock ha scritto online un messaggio che sembrava indicare un intento suicida (“I'm committing suicide tonight…do not intervene as I have many stories to tell and do not want them to die with me #debian #runnerkrysty67”). Inoltre aveva riferito di aver avuto un confronto ostile con la polizia di San Francisco, che dice che a tarda sera di sabato 26 aveva ricevuto la segnalazione di un uomo che tentava di entrare con la forza in un’abitazione. L’uomo, dice la polizia, era Murdock, che aveva bevuto e aveva opposto resistenza aggredendo gli agenti. Era intervenuto un medico, che aveva curato un’abrasione alla fronte di Murdock, che era stato poi rilasciato per andare in ospedale. Ma qualche ora dopo (alle 2.40 locali) la polizia è stata chiamata nuovamente perché Murdock stava picchiando alla porta di un vicino nella stessa zona di prima. La polizia lo ha portato in cella; Murdock è stato rilasciato il giorno dopo su cauzione ed è morto il giorno successivo.

La comunità Debian ha pubblicato un annuncio qui, con le istruzioni per l’invio delle condoglianze.


2016/01/01 14:00. SFBay ha pubblicato un resoconto degli eventi e parla di un probabile suicidio dopo un arresto particolarmente turbolento. L'account Twitter di Murdock è stato disabilitato.


2016/01/06 9:15. Ho corretto la grafia di Debra, che avevo inizialmente riportato in modo sbagliato. Grazie della correzione.


Fonti: Ars Technica, The Register.

2015/12/18

Linux, sicurezza scavalcata premendo 28 volte Backspace

Linux ha una buona reputazione in fatto di sicurezza, e molti linuxiani si bullano della robustezza di questo sistema operativo. Per cui vederli umiliati da un difetto di sicurezza ridicolo come quello scoperto da due ricercatori del Politecnico di Valencia è piuttosto divertente.

I ricercatori, Hector Marco e Ismael Rispoli, hanno infatti trovato che si può scavalcare completamente la sicurezza di un computer Linux correttamente configurato semplicemente premendo il tasto Backspace 28 volte durante l'avvio, quando la macchina chiede il nome dell’utente. C’è infatti un difetto nel bootloader Grub2, per cui queste pressioni ripetute portano alla Rescue Shell di Grub.

Niente panico, comunque: la falla è sfruttabile soltanto da chi ha accesso fisico al computer, per cui è un rischio soltanto in ambienti promiscui, e il bello del software libero è che chiunque può apportare modifiche e correzioni. Infatti i due ricercatori hanno realizzato una patch che risolve il problema. Ubuntu, Red Hat e Debian hanno già pubblicato degli aggiornamenti ufficiali.

2015/05/13

Aggiornamenti di sicurezza importanti per Windows, Office, Flash Player, Acrobat, Reader

Questo articolo vi arriva gratuitamente e senza pubblicità grazie alla gentile donazione di “giovanni.por*”. Se vi piace, potete incoraggiarmi a scrivere ancora.

Mettete in preventivo un po' di tempo oggi per aggiornare i vostri computer: Microsoft ha rilasciato degli aggiornamenti importanti che tappano una cinquantina di falle di sicurezza in Windows e in altri suoi prodotti (.NET, Office, Silverlight) e Adobe ha fatto altrettanto per chiudere una ventina di vulnerabilità in Flash Player, Air, Reader e Acrobat per Windows, OS X e Linux.

Questi aggiornamenti non sono da trascurare: tre sono stati classificati da Microsoft come “critici”, perché consentono di attaccare il computer senza che l'utente debba fare nulla di speciale. Una delle falle corrette, la MS15-044, permette l'attacco informatico semplicemente convincendo l'utente a visualizzare una pagina Web o un documento appositamente confezionato.

Per quanto riguarda il software Adobe, controllate se avete installato Flash usando questo link in italiano: se l'avete installato, verificate di avere la versione indicata nella tabella mostrata dal link. Se necessario, aggiornatevi facendo attenzione a non installare software indesiderato come per esempio Security Scan di McAfee.

Google Chrome, che include una propria versione di Flash, si aggiorna automaticamente al riavvio; in alternativa potete forzare l'aggiornamento facendo clic sulle tre barrette a destra della casella dell'indirizzo e scegliendo la voce Informazioni su Google Chrome.

Se usate Adobe Reader o Acrobat, procuratevi i rispettivi aggiornamenti. Buon divertimento.


Fonti aggiuntive: Microsoft Technet, Krebs On Security.

2014/11/02

Com’è installare Linux su un computer a caso oggi?

Questo articolo vi arriva grazie alla gentile donazione di “alanati” e “nikber*” ed è stato aggiornato dopo la pubblicazione iniziale.

Pochi giorni fa ho comprato un laptop (un Acer Aspire E 11 con Windows 8.1) praticamente a caso: i miei unici criteri sono stati il prezzo (era in offerta a meno di 300 franchi, circa 250 euro) e le dimensioni (mi serviva molto piccolo, per cui ho preso un 11,6" con un touchpad generosamente dimensionato per le mie mani da elefante). L'ho comprato perché mi serve un ultraportatile sacrificabile da portare sempre in borsa con me.

Scrivo molto e il copia-e-incolla è un compagno continuo di digitazione (specialmente quando sto traducendo) e quindi mi serve qualcosa che abbia una vera tastiera, non un tablet, e un copia-e-incolla efficiente. Inoltre a questi prezzi sono anche disposto a sopportare la natura schizofrenica di Windows 8.1, che non ha ancora deciso se vuole essere un sistema operativo a quadratoni di Mondrian oppure fare un'operazione nostalgia mantenendo una grafica anni Novanta che conforta l'utente di lungo corso.

Ho provato a installarvi Linux, anche per vedere quanto è facile (o difficile) farlo oggi rispetto ai tempi eroici di Da Windows a Linux e ottenere una macchina funzionante e funzionale (perlomeno per i miei scopi principali: scrivere, andare online, fare presentazioni) senza dover passare ore a leggere recensioni e tutorial per scoprire quali computer sono perfettamente compatibili con Linux. Avrei preferito trovare un laptop con Linux preinstallato a un prezzo abbordabile, ma è tuttora un miraggio. Questi sono i miei appunti di viaggio linuxiano.

Aggiornamento: visti i commenti iniziali alla prima stesura di questo articolo, ribadisco che si tratta di appunti di viaggio, non di un esperimento scientifico rigoroso. Evitate dunque le flame war, se potete.


L'importanza dei preliminari


Come primo passo, naturalmente, faccio un backup del Windows preinstallato, caso mai vada storto qualcosa durante l'installazione di Linux (o se per caso decido di reinstallarvi Windows). Rimpiango i tempi in cui veniva fornito un DVD d'installazione di Windows, ma oggi i lettori DVD sono assenti in quasi tutti i netbook e ultrabook, e Microsoft (come del resto Apple) si guarda bene dall'offrire un supporto d'installazione o recovery più moderno, tipo una scheda SD o una penna USB, che graverebbero sul costo del laptop. Sul laptop c'è l'utility apposita fornita da Acer (Recovery Management), che include la possibilità di creare un backup dell'installazione di fabbrica su una penna USB da almeno 16 GB.

Intanto che effettuo il backup, scarico la ISO di Linux Ubuntu 14.04.1 LTS a 64 bit. Poi la masterizzo su un DVD usando l'utility integrata in Windows (molto semplice e pratica – un netto passo avanti rispetto al passato).




Installazione vera e propria


Collego un lettore di DVD esterno USB al laptop e vorrei fare semplicemente boot dal DVD, ma questo è un laptop moderno, e quindi ha l'UEFI e il Secure Boot, per cui devo entrare nel setup. Ma come si fa? Una rapida Googlata mi dice che devo spegnere completamente il laptop (non basta fare un riavvio di Windows) e poi riaccenderlo premendo (non continuativamente) il tasto F2 mentre c'è il logo Acer sullo schermo, oppure da Windows fare Shift-Restart - Troubleshoot - Advanced Options - UEFI Firmware settings - Restart.

Nota: ho tentato anche di fare un'installazione dual boot, ma ho fallito miseramente. Nel Setup c'è (in Main) l'opzione di abilitare il menu di boot premendo F12, ma se la abilito mi offre solo l'opzione di fare boot con Windows. Nel Setup c'è anche la voce Boot, che permette di cambiare il Boot priority order, mettendo il DVD al primo posto. Non serve a niente: parte sempre Windows. Grazie tante. In teoria Ubuntu è in grado di gestire il Secure Boot, ma sembra che sia preferibile disabilitarlo se voglio fare un dual boot. Ma quella carognetta del Setup non mi permette di disabilitare il Secure Boot: l'opzione c'è, ma non è selezionabile. E adesso? Dopo un po' di tentativi scopro che diventa selezionabile solo se è stata impostata nel Setup una password di supervisore. Adorabile. Nel Setup disabilito quindi il Secure Boot e cambio la sequenza di boot, mettendo il DVD al primo posto. Salvo e riavvio. Riparte comunque Windows. Grrr. Provo Shift-Restart - Use a Device - boot da EFI DVD/CDROM. Niente. Per questo ho deciso di purgare Windows dal computer.


Nel Setup, vado nella sezione Boot e cambio il boot mode da UEFI a Legacy. Faccio un riavvio, rientro nel Setup, scelgo la sequenza di avvio (prima il DVD, poi il disco rigido interno), riavvio ancora e... ta-daa! Ubuntu si avvia dal DVD. Finalmente un segnale di vita.


Il guaio è che l'installazione non prosegue oltre la schermata che vedete nella foto qui sopra. Il computer resta inerte. Vado a fare altre cose, sperando che il computer stia in realtà macinando per installare il sistema operativo (mi mancano tanto le lucette di attività del disco di una volta), ma quando torno lo trovo ancora così, in coma.

Spengo e riaccendo, nella migliore tradizione di The IT Crowd, faccio di nuovo boot dal DVD, e accade il miracolo: parte Ubuntu, che mi propone un'installazione di prova o definitiva. Opto per la definitiva e scelgo l'interfaccia in italiano.

Decido di non scaricare gli aggiornamenti durante l'installazione e di installare il software di terze parti (principalmente per il decoder MP3). Non voglio complicare le cose: vediamo se s'installa, tanto per cominciare.

Decido poi di cancellare il disco e di cifrare l'installazione. A questo punto arrivano le richieste tipiche di qualunque sistema operativo: il fuso orario, la lingua della tastiera (nel mio caso, Svizzera francese standard), il nome utente, il nome del computer, la password dell'utente, la cifratura della cartella personale. A differenza di Windows, Ubuntu non mi chiede insistentemente di attivare un account nel cloud di nessuno. Al termine dell'installazione mi chiede un riavvio e basta. Mi dice di togliere il DVD e premere Invio: lo faccio, ma non succede nulla.

Spengo e riaccendo brutalmente: parte Ubuntu, che mi chiede la password di cifratura e poi si blocca. Spengo e riaccendo di nuovo: stavolta va meglio e arrivo alla schermata di login. Il Wi-Fi viene rilevato e mi collego alla rete senza problemi. Mi chiede di aggiornare il supporto per le lingue e poi installo gli aggiornamenti di tutto il resto del software.

Sembra tutto a posto! Firefox e LibreOffice sono già installati e funziona anche Flash per i video. Anche l'audio va. Almeno questo è cambiato rispetto al passato, quando scheda video e audio andavano configurate a mano.



Ma c'è un problema. Quando cerco di spegnere il computer facendo uno shutdown ordinato, Ubuntu si pianta. Quando lo spengo premendo il tasto di spegnimento (non ho altra scelta) e poi lo riaccendo, rimane piantato due volte su tre. Questo è semplicemente inaccettabile, per cui l'esperimento finisce qui (Aggiornamento: c'è un lieto fine). Ve lo racconto com'è andato, senza peli sulla lingua e senza pretese di stabilire un principio generale (qualche mese fa ho messo Ubuntu su un mio vecchio netbook Samsung senza il minimo problema), e ripristino Windows. Sono un sostenitore dei principi del software libero e senza lucchetti, ma c'è un limite al numero di ore che posso spendere per far funzionare un software. No, mi correggo: per cercare di farlo funzionare e poi fallire.

Morale della storia: l'Acer Aspire E11 non è una buona scelta per installarvi Linux, oppure installarlo è un'impresa superiore alle mie capacità e al tempo che posso dedicarvi. Sono passati quattordici anni da quando ho scritto Da Windows a Linux insieme a Odo, e siamo ancora a questo punto. Colpa mia, colpa dei produttori che usano soluzioni tecniche Windows-centriche, certo. Ma all'utente interessa poco di chi è la colpa. Interessa che lo strumento che acquista e sul quale deve lavorare funzioni.

E così Windows cheap and cheerful vince ancora, e quel MacBook Air da 11 pollici che mi guarda dal sito Apple e he costa, sì, tre volte quanto questo laptop Acer ma funziona (col suo OS X proprietario, ma funziona), improvvisamente non sembra più così assurdamente costoso. Il tempo è denaro, dannazione.



2014/11/02: Lieto fine a sorpresa


Dopo la pubblicazione iniziale di questo articolo, due commentatori (prima prez e poi indipendentemente giovbrunetti) hanno scovato la causa della magagna che mi aveva fatto esaurire la pazienza. Così ci ho riprovato, reinstallando da capo Ubuntu e poi modificando dal Terminale il file /etc/modprobe.d/blacklist.conf, aggiungendogli

blacklist dw_dmac
blacklist dw_dmac_core

e salvando il file. Dopo un riavvio a freddo, lo shutdown e l'avvio di Ubuntu funzionano perfettamente, per cui ora ho un minilaptop Linux e l'esperimento è passato dal fallimento al successo. Grazie!




2014/11/03: Successo? Un momento...


Ho gioito leggermente troppo presto: quando ho iniziato a scrivere un po' sul laptop, come sto facendo ora per aggiornare questo blog, mi sono accorto di una magagna bizzarra: i tasti freccia su, giù e destra non funzionavano, mentre quello verso sinistra reagiva correttamente. Questo avveniva in tutti i programmi, per cui era chiaramente un problema a livello di sistema operativo.

Una ricerca in Google mi ha permesso di trovare questa soluzione: digitare in un Terminale il comando

sudo dpkg-reconfigure keyboard-configuration

e poi selezionare Acer laptop come modello di tastiera. Piccolo problema: come faccio a selezionare se non funzionano i tasti freccia? Per fortuna ho scoperto che attaccando un mouse potevo muovere la selezione su e giù usando la rotella e poi digitare ripetutamente la lettera A fino a posizionarmi sulla voce che mi interessa.

Ho scelto anche le varie opzioni del layout e poi ho riavviato il laptop. Adesso i tasti freccia funzionano tutti.

2014/09/25

ShellShock: falla critica in Linux, Mac OS X e altri sistemi operativi derivati da Unix

L'articolo è stato aggiornato estesamente dopo la pubblicazione iniziale.

C'è una falla seria in innumerevoli server, computer, router, dispositivi connessi a Internet che permette agli aggressori di agire in modo così  devastante che l'ente statunitense NIST ha assegnato a questa vulnerabilità il massimo grado di gravità: dieci su dieci.

Non c'è da stupirsi, dato che la falla, battezzata ShellShock, consente per esempio di prendere il comando di un server Web non aggiornato semplicemente mandandogli un solo comando via Internet.

Secondo l'esperto Robert Graham di Errata Security, ShellShock è sfruttabile per creare un attacco che si autopropaga: “this thing is clearly wormable”. Una sua scansione ha già trovato alcune migliaia di server vulnerabili, e la BBC parla di mezzo miliardo di dispositivi a rischio. È già in circolazione il primo malware basato su ShellShock (Virustotal; Kernelmode.info) e Trustedsec ha pubblicato una dimostrazione di come questa falla può essere usata per attaccare un computer o altro dispositivo Linux vulnerabile che si collega a una rete Wi-Fi ostile.

Niente panico, comunque: gli utenti Windows sono totalmente immuni dalla falla, a meno che abbiano installato software come per esempio Cygwin: il problema, infatti, riguarda i dispositivi che usano sistemi operativi “Unix-like”, come per esempio Linux, Mac OS X o iOS. Al momento i Mac risultano formalmente vulnerabili, ma la falla normalmente non è sfruttabile per attacchi dall'esterno se si usa il Mac come workstation (per chi lo usa come server pubblico è tutta un'altra storia). Inoltre gli antivirus riconoscono già questo genere di malware. Se volete sapere se un sito è vulnerabile, c'è un test innocuo presso Brandonpotter.com.

È comunque fondamentale aggiornare i dispositivi vulnerabili installando la correzione (e anche la correzione della correzione), che è quasi sempre già disponibile: un'operazione relativamente facile per i computer, ma chi aggiornerà router, webcam, termostati, smart TV, stampanti, NAS e altri dispositivi online? Improvvisamente l'Internet delle Cose non sembra più una bell'idea come prima.


In dettaglio


La falla (CVE-2014-6271) risiede in Bash, l'interprete dei comandi di quasi tutti i sistemi operativi Unix e “Unix-like”. Secondo alcune indicazioni, giace indisturbata da circa vent'anni: un fatterello che non mancherà di riaprire il dibattito sui pro e contro dell'open source in termini di sicurezza (sul quale dico subito che la falla è stata scoperta proprio perché il codice sorgente è ispezionabile e che non sappiamo quante altre falle segrete ci sono nel software chiuso). È presente fino alla versione 4.3 inclusa ed è stata resa pubblica da Stephane Chazelas.

Per sapere se un dispositivo che usa Unix o simile (quindi anche un computer Apple) è vulnerabile, provate a digitare in una finestra di terminale questo comando:

env x='() { :;}; echo vulnerabile' bash -c "echo prova"

Se vi compare un messaggio d'errore del tipo bash: warning: x: ignoring function definition attempt
bash: error importing function definition for `x'
, siete a posto. Se invece compare la parola vulnerabile, siete appunto vulnerabili. Se comunque non vi va di attendere che Apple turi la falla, ci sono delle soluzioni non ufficiali qui.

Maggiori dettagli tecnici sono su The Register, Redhat.com, SlashdotArs Technica, e una delle migliori spiegazioni è quella di Troyhunt.com; in italiano c'è Siamogeek.

2013/01/07

Podcast del Disinformatico radiofonico

Potete scaricare da qui il podcast della puntata di venerdì scorso del Disinformatico che ho condotto per la Rete Tre della RSI, parlando di Linux Ubuntu per smartphone e tablet, Internet Explorer 8 vulnerabile, soluzioni concrete per comandare il computer con gesti e sguardi, e un metodo per passare facilmente una password Wifi complessa a un ospite Android. La parola di Internet della settimana è data poisoning: la ragione per la quale, per esempio, nelle mappe ci sono vie inesistenti nella realtà.

2010/11/28

Linux vs Windows 7: boot

Boot veloce di Windows 7 battuto da Linux


Ho appena comperato un netbook (niente di speciale, un Samsung N150 Plus) con su Windows 7 e l'ho reso dual-boot con Linux (Ubuntu Netbook Edition). Poi ho fatto un paio di prove molto informali di “partenza da fermo”, ossia l'accensione del netbook con caricamento del Writer di OpenOffice.org, che per me è il caso standard di lavoro: il gesto informatico che corrisponde al tirar fuori il taccuino e la penna per poter cominciare a produrre.

Ubuntu e Writer sono pronti in 47 secondi. Windows 7 ci mette 48 secondi solo per partire e poi carica Writer: tempo totale, 1 minuto e 54 secondi. In entrambi casi ho attivato l'autologin. Tutto questo senza tentare ottimizzazioni in entrambi i casi (disabilitando l'auto updater di Java e Acrobat Reader ho ridotto l'avvio di Windows 7 a 1:40, ma il distacco è sempre forte). Niente male per un sistema operativo open source e non ottimizzato.

Linux batte Windows 7 anche nell'altra operazione essenziale di un computer mobile: lo spegnimento veloce. Linux, con Writer aperto, si spegne in 8 secondi. Lo shutdown di Windows 7 nelle stesse condizioni richiede 21 secondi: un tempo accettabile, ma comunque quasi tre volte più lungo.

Però Windows 7 si prende una rivincita: va in standby istantaneamente e ne esce in 7 secondi. Anche Linux va in standby immediatamente, ma non ne esce: s'impalla. Forse è un difetto risolvibile, ma volevo fare un confronto alla pari, senza tweaking e lunghe ricerche in Rete per trovare una possibile soluzione. Ho già perso abbastanza tempo per trovare come disabilitare l'orrida interfaccia Unity di default di Ubuntu Netbook Edition e ripristinare quella standard che non m'ingabbia.

È divertente, ma anche un po' sconsolante, notare come un sistema operativo che non ha alle spalle un colosso come Microsoft o Apple riesca a fornire prestazioni paragonabili o superiori a quelle del software commerciale. La questione dei tempi di boot, inoltre, non è puramente accademica: è forse la chiave del successo dei tablet e degli smartphone. Nonostante le loro limitazioni di altro tipo, sono pronti subito, cosa essenziale per chi li usa mentre è in movimento.

2009/10/23

ROBAM da matti

Proteggersi dai malviventi? Meglio usare una penna o un CD


Ha suscitato un certo clamore la proposta drastica di Brian Krebs, uno degli specialisti in sicurezza informatica del Washington Post. Di fronte alle numerose truffe ai danni di chi usa Internet per gestire il proprio conto bancario o postale, ha suggerito un rimedio drastico: "Non usate Windows quando accedete al vostro conto bancario via Internet".

La sua considerazione è molto semplice: il comune denominatore dei vari tipi di attacco informatico che ha visto subire da aziende e privati è l'uso di Windows. Per due ragioni fondamentali e interconnesse: Windows è il sistema operativo più diffuso, e quindi il più appetibile per i criminali che sparano nel mucchio sperando di colpire qualcuno a caso, e praticamente tutti i malware, ossia i programmi ostili che scavalcano le protezioni e infettano il computer, sono progettati per attaccare Windows.

Molti di questi malware sono così sofisticati da aggirare le normali misure di sicurezza, come gli antivirus e l'uso di token (generatori tascabili di password temporanee) o il controllo dell'indirizzo IP dal quale proviene la richiesta di transazione bancaria, usando un semplice espediente: il malware si insedia sul computer dell'utente e ne intercetta il traffico in tempo reale.

In questo modo l'utente non si accorge di nulla (almeno fino a quando non si accorge dei soldi che spariscono dal suo conto corrente). Quando si collega al proprio istituto finanziario e digita i codici di accesso, compreso quello temporaneo del token, tutti i dati vengono intercettati dal malware e ritrasmessi istantaneamente al malvivente che l'ha iniettato nel computer.

L'utente legittimo vede una schermata in cui lo si informa che è stato rifiutato l'accesso e quindi ritenta. Ma intanto il malfattore, utilizzando la connessione del PC infetto (quindi con un indirizzo IP approvato), sta operando sul conto corrente tramite i codici intercettati. Nel suo articolo, Krebs fa nomi e cognomi di aziende derubate di centinaia di migliaia di dollari con questa tecnica. Di solito il criminale informatico preleva pochi soldi tante volte, in modo da passare inosservato, ma nei casi più sofisticati all'utente viene mostrata una schermata bancaria fasulla che gli presenta un saldo fittizio del suo conto, che in realtà è stato prosciugato.

Un computer che usa un sistema operativo diverso da Windows (Mac o Linux) sarebbe immune da questi malware più diffusi e quindi ridurrebbe questo genere di rischio, ma non lo eliminerebbe. Occorrerebbe un sistema operativo non infettabile: uno che sia fisicamente protetto contro le alterazioni. In questo senso, lo stimato SANS Technology Institute ha recentemente pubblicato una ricerca intitolata Protecting Your Business from Online Banking Fraud (PDF qui), il cui consiglio numero uno è appunto di adottare un ROBAM (read-only bootable alternative media) come ambiente isolato per le transazioni finanziarie.

Un ROBAM è un sistema operativo separato e autonomo, memorizzato su una penna USB protetta contro la scrittura o su un CD. Quando si vuole effettuare una transazione finanziaria online, il computer viene avviato da questo supporto. In questo modo si è sicuri che il computer parta "pulito" ogni volta. Nessun virus o altro malware presente nel computer (a parte un keylogger fisico) potrebbe agire.

L'idea è semplice e non costosa: ci sono decine di "Live CD" del sistema operativo Linux (ne trovate un elenco qui), che è legalmente scaricabile e gratuito. Basta masterizzarlo o trasferirlo su una penna USB e riavviare il computer da lì. L'avvio è a volte più lento di quello normale, e bisogna abituarsi un momento all'ambiente nuovo, ma è il prezzo che si paga per una maggiore sicurezza.

Il vero problema è che molte banche non hanno ancora colto questi suggerimenti tecnici e quindi hanno siti che accettano soltanto utenti di Internet Explorer, obbligando quindi i correntisti a usare Windows. Ma tentar non nuoce, e potreste trovarvi con una sorpresa piacevole, visto che la resistenza ai browser alternativi a Internet Explorer ormai sta scemando.

2009/07/10

Google annuncia un sistema operativo

Google: in arrivo l'anti-Windows


Google ha annunciato che offrirà un proprio sistema operativo gratuito per personal computer, alternativo a quelli esistenti: il principale bersaglio in termini di concorrenza è Windows, ma anche Mac OS X di Apple e Linux sono nel mirino. Il paradosso è che questa nuova creatura di Google, battezzata Chrome OS, è figlia proprio di Linux.

Non preoccupatevi, comunque, per le vostre prossime scelte informatiche: si tratta di un semplice annuncio. Al momento non è possibile acquistare un computer dotato di Chrome OS: i primi esemplari saranno disponibili, secondo il comunicato ufficiale di Google, "nella seconda metà del 2010". Il sistema operativo in sé sarà scaricabile da Internet "nei prossimi mesi di quest'anno".

Chrome OS sarà piuttosto differente dai sistemi operativi concorrenti: è concepito per essere leggero, veloce e soprattutto basato su Internet. Invece di installare programmi, gli utenti di Chrome OS useranno le applicazioni presenti in Rete. Niente client di posta: si andrà alla pagina Web di Gmail. Niente programma di scrittura, niente spreadsheet: si userà Google Docs. E così via.

Questo permetterà alcuni grandi vantaggi per l'utente: non saranno necessari computer potenti, perché l'elaborazione verrà effettuata dai computer di Google; non sarà necessario effettuare la configurazione, la manutenzione e l'aggiornamento dei programmi, perché se ne occuperà Google; i dati saranno accessibili da qualunque computer (a patto di conoscere le chiavi d'accesso) e saranno al sicuro sui server di Google. Se vi si guastasse il computer o ve lo rubassero, oggi quanto tempo ci mettereste a ripristinare tutto e tornare al lavoro (ammesso di avere un backup dei dati)? Chrome OS promette di eliminare tutti questi problemi.

Si tratterà, dice l'annuncio ufficiale, di un sistema operativo leggero e minimalista: praticamente lo stretto indispensabile per avviare il computer, gestire le sue periferiche e affacciarsi a Internet con un browser (Google Chrome, già disponibile per Windows), attraverso il quale si accederà alla posta, alle applicazioni e ai dati.

Chrome OS funzionerà sui comuni processori tipo x86 (quelli presenti nei normali computer odierni) e sui processori ARM dei telefonini evoluti. Sarà basato su un kernel di Linux (non si sa quale, per ora) e quindi il suo codice sorgente sarà aperto e ispezionabile. In altre parole, la gran fanfara mediatica riguarda in sostanza una distribuzione di Linux ridotta all'osso e marchiata Google.

La differenza importante è che Chrome OS beneficerà delle risorse economiche e del potere contrattuale di Google per indurre i fabbricanti di computer e periferiche a fornire prodotti hardware e software compatibili con Linux, a preinstallare questo sistema operativo al posto di Windows, cosa che finora è avvenuta in ben pochi casi, e attingerà al talento del personale di Google per offrire un'interfaccia utente pulita e professionale (come del resto già si trova in varie distribuzioni di Linux, come Ubuntu). Secondo le FAQ di Chrome OS, Google è già al lavoro con Acer, Adobe, ASUS, Freescale, Hewlett-Packard, Lenovo, Qualcomm, Texas Instruments e Toshiba per la commercializzazione di computer dotati del suo sistema operativo.

In tutto il clamore possono restare inevase due domande di fondo. La prima è la compatibilità: quello che si fa con Chrome OS sarà leggibile e utilizzabile da chi andrà avanti a usare Windows, Mac OS X o Linux? Sì, a patto di usare un browser conforme agli standard. A differenza delle applicazioni tradizionali, che funzionano soltanto su uno specifico sistema operativo e vanno quindi prodotte in versioni differenti per Mac, Windows e Linux, le applicazioni via Web di Chrome OS saranno infatti indipendenti dal sistema operativo, cosa che costituisce un grande incentivo alla loro realizzazione e che rende molto meno importante di oggi il ruolo del sistema operativo.

Ai più anziani utenti della Rete questo ricorderà qualcosa: Netscape e i suoi piani di rendere irrilevanti i sistemi operativi e di mettere il Web al centro di tutto. In quel caso, il timore di vedersi minare la principale fonte dei propri utili indusse Microsoft a comportamenti estremi, che furono condannati dalle sentenze antitrust statunitensi ma che costarono la vita a Netscape e rallentarono non poco l'evoluzione dell'informatica. Sarà interessante vedere quale sarà la reazione di Microsoft questa volta.

Cosa forse più importante a livello del singolo utente, quest'architettura significa che in realtà non ci sarà alcun bisogno di passare a Chrome OS per averne i benefici (salvo forse la velocità di avvio e la parsimonia di risorse), per cui la compatibilità perfetta potrebbe paradossalmente rivelarsi il maggior freno all'adozione di questo nuovo sistema operativo. Non c'è molto incentivo a migrare a Chrome OS, se tanto tutti i servizi di Google funzionano già con il Mac o Linux o Windows che avete, mentre i programmi e i giochi che conoscete bene non funzionano sotto Chrome OS.

La seconda domanda inevasa è ancora più concreta: se si usa un sistema operativo basato su applicazioni e dati che risiedono su Internet, che si fa quando Internet non c'è?

La risposta in parte c'è già: Gmail, la posta di Google, è già usabile anche senza connessione Internet grazie a Gears. Lo stesso vale per Google Docs. L'obiezione più sottile ai piani di Google riguarda invece le attività informatiche che richiedono un elevato flusso di dati, come per esempio l'elaborazione di foto o video: su connessioni Internet lente, sarebbero un vero supplizio.

Ci sarebbe anche la questioncella della sicurezza, ma dietro a tutto questo c'è una domanda ancora più fondamentale. Vogliamo davvero regalare tutta la nostra posta, tutti i nostri contatti, l'agenda di tutti i nostri impegni, tutti i nostri documenti e presto persino il funzionamento stesso dei nostri computer a una singola azienda?

2008/11/13

Netbook, che fare?

Come scegliere un netbook da battaglia?


I netbook, i mini-mini-laptop a basso costo, con Linux o Windows XP preinstallato, sono in questo momento il segmento di mercato in maggiore crescita, tanto da intaccare i ricavi di Microsoft (la licenza di XP per i netbook frutta a zio FesterBallmer meno di quella di Vista su un PC tradizionale), secondo Bloomberg.

Niente male, per un segmento che prima del debutto dell'OLPC e poi dell'EeePC di Asus praticamente non esisteva.

I netbook fanno gola per molte ragioni. A differenza dei laptop tradizionali, sono sufficientemente compatti da poter essere ficcati senza problemi in uno zaino, pesano pochissimo (in genere sotto il chilo) e hanno un'autonomia generosa; a differenza dei cellulari evoluti (smartphone), hanno una tastiera più che decente e uno schermo realmente usabile per sfogliare il Web senza penalizzazioni, e permettono di lavorare con applicazioni standard (Microsoft Office, OpenOffice.org, ssh per gli smanettoni, eccetera). E a differenza di entrambi, costano poco. Alcuni modelli costano grosso modo quanto un iPhone.

Queste caratteristiche ne fanno un buon candidato come primo computer per i figli (anche da tenere a casa, visto il bassissimo ingombro e la connettività Wifi che permette di piazzarlo ovunque e collegarlo a Internet). Aggiungeteci il fatto che spesso sono venduti con Linux preinstallato e che lo stesso modello con Windows XP preinstallato costa parecchio di più, e avete un eccellente incentivo a passare all'open source anche per l'utente non appassionato.

Gli smanettoni li adorano come secondo o terzo PC su cui fare esperimenti. Persino i nostalgici di Windows XP, quelli che non vogliono o non possono passare a Vista, possono trarre beneficio dai netbook, perché attualmente questi computer sono fra i pochi per i quali è ancora disponibile la licenza di Windows XP.

Ma quale netbook scegliere? Il mercato offre una vasta scelta di marche, modelli e specifiche tecniche. Per esempio, conviene un disco rigido piccolo ma a stato solido, in previsione di un trattamento un po' brusco, oppure un hard disk tradizionale, assai più capiente ma forse più vulnerabile? Quanto sono valide le tastiere ridotte all'osso di questi aggeggi? La loro potenza è sufficiente per un uso normale (scrittura di testi e preparazione e uso di presentazioni offline con OpenOffice.org/MS Word, consultazione di pagine Web, gestione della posta, chat video con la webcam incorporata, qualche video a tutto schermo ogni tanto) senza lentezze esasperanti? E le versioni di Linux preinstallate sono veramente usabili da un utente medio? Supportano i modem cellulari USB? Si avviano o escono dallo standby in pochi secondi?

Sto meditando l'acquisto di un netbook come micro-laptop da portare sempre con me, per scrivere testi con OpenOffice.org, fare presentazioni per conferenze e riunioni, reportage video e fotografici nei prossimi mesi (è una lunga storia, dettagli a gennaio), e vorrei sentire i vostri pareri e le vostre esperienze, soprattutto in fatto di robustezza, ergonomia della tastiera e durata della batteria. Non ne faccio troppo una questione di costi: l'importante è che funzioni, sia veloce (senza pretendere editing video HD realtime), usi preferibilmente Linux e abbia un'autonomia meno fallimentare di quella del MacBook Pro dal quale sto scrivendo.

Così fallimentare che di recente, dopo poco più di un'ora di batteria, mi sono dovuto chiudere nel gabinetto di un treno per finire un lavoro: immaginate cos'avrebbero detto i controllori se mi avessero trovato seduto sul water, con un laptop in grembo, collegato alla sperindio alla presa del rasoio (terrorista!). No, non c'erano prese elettriche in carrozza, pur essendo in prima classe, e la presa del rasoio è elettricamente limitata ma sufficiente a ingannare per qualche minuto i sensori del Mac e farlo andare avanti il tempo di mandare un paio di mail urgenti via modem cellulare.

Se riuscite a togliervi dalla mente questa visione del Disinformatico rintanato in un WC delle FFSS mentre litiga con il suo Mac, eccovi qualche spunto (in inglese): la Netbook newbie's guide to Linux di The Register: prima parte, seconda parte, e alcune recensioni di netbook: Asus EeePC 1002HA, EeePC S101, Eee PC 1000H, Eee PC 904HD, Eee PC 901, Eee PC 900, Eee PC 701; Apricot Picobook Pro. Se avete altri modelli e altre recensioni da segnalare, fatelo pure nei commenti.

2008/10/18

Ci vediamo al Linuxday di Cinisello il 26?

Dopo l'open source, l'open culture a Villa Ghirlanda


Sono stato imprudentemente invitato a partecipare al Linuxday a Cinisello Balsamo il 26 ottobre prossimo, domenica, alle 9.30 circa.

Visto che ormai il software open source si è conquistato rispettabilità e mercato nonostante l'opposizione dei grandi monopolisti del software, è forse il momento di festeggiare un attimo questo successo, frutto delle fatiche di tanti, e pensare alla prossima sfida: introdurre il concetto di open culture, ossia del nuovo modello di cultura, non più dispensato dall'alto, ma generato (spesso incoerentemente) dal basso, reso possibile da Internet.

La chiacchierata, intitolata "Dopo l'open source, siamo pronti per l'"open culture"? Cosa succede quando Sua Emittenza siamo noi", è un esame dei problemi, dei rischi e delle disperate esigenze d'innovazione sociale e legislativa dettate dallo sviluppo crescente di questo nuovo modello e un'impietosa analisi dell'arretratezza di leggi, imprese e istituzioni di fronte al fenomeno Internet e al modo odierno di acquisire, condividere e disseminare informazioni e conoscenza, fino a creare cultura.

Se vi interessa, il programma completo del Linuxday di Cinisello, organizzato con la partecipazione dell'associazione culturale Lifos e dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Cinisello Balsamo, si estende su due giorni (sabato e domenica) ed è disponibile qui. L'ingresso è libero e gratuito previa registrazione.

2008/06/01

Concorso: Linux spiegato alla nonna

Scrivete di Linux? Partecipate al concorso giornalistico di Linuxtrent



L'associazione Linuxtrent ha indetto un concorso giornalistico aperto a tutti (anche agli italofoni fuori Italia): se avete scritto in lingua italiana un articolo riguardante l'etica del software libero e l'avete pubblicato su un quotidiano o periodico cartaceo o digitale, preferibilmente con sede nelle regioni dell'arco alpino, leggete il regolamento e inviate i vostri lavori: verranno letti e valutati dalla giuria, della quale ho il piacere di far parte.

La comunicazione al pubblico non specialistico è una delle eterne palle al piede di Linux e del software libero in generale: è difficile che attecchisca se non c'è nessuno che spieghi in termini semplici e pratici quali sono i suoi vantaggi per l'utente comune. Il vostro lavoro potrebbe contribuire a colmare questa lacuna. Che ne dite?

2008/05/06

TiLUG Day e Linux Installation Party a Lugano sabato 17

Sabato 17 maggio il Ticino Linux User Group organizza un TiLUG Day presso l'aula A21 dell'Università della Svizzera Italiana: la mattina, a partire dalle 10, sarà dedicata all'installazione guidata di Linux sui computer degli utenti e dei curiosi di provare questo sistema operativo alternativo, libero e gratuito; nel pomeriggio, gli organizzatori mi hanno incautamente invitato fra i relatori delle varie presentazioni dedicate al tema del software libero.

L'entrata è libera: i dettagli sono qui.

2008/04/17

Software libero a Opera (MI) domani e sabato

Fare tutto con il software libero? A Opera insegnano come


Ero stato gentilmente invitato a Liberamente, un incontro che si terrà domani e sabato (18-19 aprile) al Centro Polifunzionale di Opera, ma purtroppo ho dovuto declinare: checché ne dicano i cospirazionisti, la CIA non mi ha ancora fornito il Mantello dell'Ubiquità.

Sono sicuro che Liberamente se la caverà benissimo senza di me, visto il ghiotto menu dei temi che verranno trattati: uso del software libero nelle pubbliche amministrazioni, per la gestione dell'intera filiera di produzione di album musicali e per le applicazioni d'ufficio (con OpenOffice.org); Linux installation party; e fumetti, viaggi, giochi e tanto software libero, anche per Windows.

Non c'è che dire: qualcosa si muove. Tutti i dettagli sono sul sito di Liberamente.
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